martedì 21 dicembre 2010

La Francia scopre che l'euro le conviene

Marco Moussanet
Parigi. Forse non è un caso se Le Figaro, il giornale più istituzionale del panorama editoriale francese, ha pubblicato proprio ieri un ampio articolo sulle gravissime conseguenze che avrebbe sull'economia transalpina l'eventuale morte dell'euro con il ritorno alle monete nazionali.


Anche perché si tratta dell'estrapolazione di uno studio realizzato tempo fa da Mark Cliffe di Ing (e di cui questo sito ha dato ampiamente conto con un pezzo di Vittorio Carlini), in cui il responsabile della ricerca sui mercati finanziari di Ing si esercita a "quantificare l'impensabile".

L'impensabile sarebbe appunto la scomparsa della moneta unica europea. Su cui sta martellando Marine Le Pen, figlia del leader storico del partito di estrema destra Front national e candidata a succedergli nel congresso di Tours a gennaio per poi lanciarsi nella campagna presidenziale.

La disoccupazione? Colpa dell'euro e dell'Europa. Le delocalizzazioni? Colpa dell'euro e dell'Europa. La perdita di potere d'acquisto? Colpa dell'euro e dell'Europa. Gli slogan della Le Pen sono grossolani e per questo fanno presa su un'opinione pubblica impoverita e spaventata.

I sondaggi la premiano, costringendo il mondo istituzionale a scendere sul suo terreno, a intervenire su un tema politicamente molto scivoloso. La presidente degli industriali, Laurence Parisot, ha accusato la Le Pen di sfruttare le paure della gente con un programma "demagogico e pericoloso perché dà l'impressione di essere coerente". Lo stesso presidente Nicolas Sarkozy è stato costretto a commentare le battute dell'arrembante Marine, definendole "inimmaginabili e irresponsabili".

Ed ecco, puntuale, l'articolo del Figaro: il ritorno al franco vorrebbe dire un calo del 4% del pil il primo anno e del 10% nel primo triennio; un tasso di disoccupazione che sfiora il 14%; rendimenti del titoli pubblici sotto l'1%; il prezzo di un litro di super a 1,75 euro.

E, in prospettiva, vivere un film che il mondo conosce già, quello dell'Argentina 2002.
Il messaggio, insomma, è chiaro: francesi, attenti alle sirene! Soprattutto quando andrete a infilare le schede nelle urne.

Che tiri un'aria pericolosa lo dimostra peraltro la risposta del ministro per gli Affari europei Laurent Wauquiez in Parlamento alla richiesta di organizzare un referendum sulle modifiche che verranno apportate al Trattato di Lisbona per dare la necessaria cornice istituzionale al Fondo strutturale di aiuto ai paesi membri in difficoltà. "In mezzo alla tempesta non è il momento di porsi grandi domande e fare grandi dibattiti filosofici. La situazione è difficile e se anche un solo paese dovesse dire di no l'intero impianto salterebbe". Il ricordo del referendum del maggio 2005, quando il 55% dei francesi disse no alla Costituzione europea, è freschissimo. E brucia ancora.
21 dicembre 2010
 

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