Politica ed economia:
1. È crisi in Irlanda: elezioni l'11 marzo.
2. Mosca in aiuto dell'euro per tornare grande.
3. Spagna: aumentano case nuove invendute.
4. Ue, record disoccupazione giovani. In Italia molto piu' elevata della media europea.
Finanza e debito pubblico:
5. Ipotesi buyback per il debito greco.
6. La Bce: tensione sui debiti di Italia e Spagna.
7. E adesso anche Berlino rischia di perdere la Tripla A.
8. Parte dal board dell'Esrb la sfida tra Draghi e Weber.
9. Italia. Debito degli stati e risparmio privato. La ricchezza non ci salvera'.
1. È crisi in Irlanda: elezioni l'11 marzo. L.Mais. il Sole24ore. LONDRA. Dal nostro corrispondente. Brian Cowen getta la spugna e porta Dublino alle urne. L'annuncio delle elezioni irlandesi fissate per l'11 marzo era nell'aria dai giorni cupi d'autunno, quando la crisi finanziaria aveva spinto il governo del Fianna Fail al minimo storico del consenso.
Per scrivere una data in calendario è stato, però, necessario un altro colpo di coda, il tentativo disperato del meno popolare primo ministro che Dublino ricordi.
Cowen ha tentato un rimpasto record con la sostituzione di sei ministri, ma se il premier sperava che quella potesse essere la via per prendere altro tempo ha sbattuto contro il no dei verdi, partner nella coalizione che hanno staccato la spina all'esecutivo. «Ho letto delle dimissioni dei ministri sui giornali - ha detto il leader ecologista John Gromley - e il rimpasto è stato presentato come una decisione già presa, senza alcuna trattativa. Una decisione che non potevamo avvallare con i nostri voti perché avremmo dato i segnali peggiori al paese». Paese che, di altri cattivi segnali dalla classe politica, non ha affatto bisogno. Soprattutto quella che governa. Il Fianna Fail che aveva avuto il 40% dei voti alle ultime votazioni, ora viaggia attorno al 14% , mentre l'opposizione di centro-destra, Fine Gael, è schizzato al 35 per cento. Aumentano anche i laburisti e questo lascia ipotizzare che dalle urne potrà prendere corpo l'anomala unione Fine Gael-Labour. Una rivoluzione per un paese che dal giorno dell'indipendenza da Londra ha avuto come forza largamente dominante il Fianna Fail.
D'altra parte quanto è accaduto nell'ultimo decennio a Dublino è rivoluzionario in tutti i sensi. Lo fu lo straordinario boom che fece della cenerentola d'Europa una delle realtà più ricche dell'Unione, lo è stata l'esplosione di una bolla, soprattutto immobiliare, che non ha avuto uguali nel resto del Continente. Il crollo del real estate ha trascinato a fondo le banche e in ultima istanza il paese che si è trovato a fare i conti con un disavanzo superiore al 30% del Pil. È cronaca di ieri il salvataggio di Ue e Fmi, deliberato in novembre per evitare che il contagio irlandese si allargasse ad altre realtà comunitarie colpendo l'euro. E già allora il ricorso alle urne sembrava destino inevitabile per Dublino. Brian Cowen ci ha provato, ma il suo azzardo ha solo accelerato l'apertura delle urne.
2. Mosca in aiuto dell'euro per tornare grande. Roberta Miraglia. MOSCA. Dal nostro inviato. La Russia si unirà alla Cina e al Giappone e comprerà bond del fondo di salvataggio europeo nell'imminente asta di debutto. L'annuncio di Alexei Kudrin, il più longevo ministro delle Finanze di era post-sovietica, in sella dal 2000, arriva mentre Mosca, coperta di ghiaccio, è ancora illuminata dalle luci del Natale ortodosso. E recapita al Vecchio continente (e oltre) il primo messaggio del 2011, l'anno che deciderà i giochi per le elezioni presidenziali di marzo 2012.
La Russia è tornata, sembra voler dire il governo di Vladimir Putin, e può sedersi al tavolo delle potenze in grado di dare una mano all'euro. Poco contano i dettagli, l'importante è partecipare.
Chi l'avrebbe detto? Mosca al capezzale di Irlanda e Portogallo quando solo un anno fa era alle prese con il rimborso del debito sovrano. La Russia in soccorso della moneta unica affondata dai deficit mentre ancora sono aperte le ferite della crisi finanziaria che ha colpito duro anche qui, nonostante la ricchezza del petrolio.
Ma la campagna elettorale incombe. Con l'acquisto dei bond, quando arriverà, il governo di Putin, oltre a salvaguardare le sue riserve in valuta (euro compreso), ritorna alla retorica della superpotenza, che era stata un po' appannata dalla recessione. Una politica che vede il boom delle scuole militari di impronta imperiale, vuole insegnare agli studenti la materia "Russia nel mondo" e finisce nel mirino degli intellettuali. Tra questi Alexander Arkhangeleskij, scrittore, blogger, conduttore televisivo del canale culturale. «Quando il potere parla alla maggioranza silenziosa - osserva - usa un linguaggio di tipo sovietico. E la maggioranza può ancora credere alla retorica della superpotenza. Ma l'establishment si rende conto che per come è messa economicamente la Russia si può collocare nella prima fila dei paesi in via di sviluppo».
Arkhangeleskij è scettico sul peso che il suo paese può gettare sullo scacchiere internazionale. Sotto la facciata scintillante, costruita grazie al potere delle immense riserve energetiche, si vede una realtà diversa. «Kudrin sa bene - dice - che il volume dell'economia russa è sì e no pari a quello di due-tre grandi province cinesi. Se guardiamo ai Bric noi ci possiamo collocare al livello del Brasile, non certo della Cina».
L'immagine del proprio status nel mondo cambia radicalmente, aggiunge, a seconda dell'interlocutore. «Chiediamo a un tifoso durante una partita di calcio se crede che lo stato russo riuscirà a mettere tutti i partner in riga e a ottenere il posto che merita. Risponderà sicuramente "sì". Domandiamogli poi se è disposto a pagare qualcosa di persona per essere una superpotenza. La risposta sarà negativa, senza appello».
L'élite della società, invece, si rende conto che nel prossimo futuro non tornerà la grande scuola della scienza, fiore all'occhiello delle potenze. I migliori studenti della Russia, i ricercatori, i giovani di talento lasciano il paese. Nei giorni scorsi è stato Vladimir Ryzhkov, esponente dell'opposizione, a lanciare l'allarme: l'attuale struttura verticistica del potere, ha detto a radio Ekho Moskvij, impedisce lo sviluppo di un tessuto sociale imprenditoriale e di un'ampia classe media. Il rischio, secondo Ryzhkov, è che continui l'ondata di migrazione dei "cervelli" che ha segnato l'ultimo decennio. Un milione di persone, dicono le statistiche, ha lasciato la Russia: l'80% erano specialisti e studenti altamente qualificati.
Ma il governo e il Cremlino, nell'anno cruciale che deciderà il prossimo presidente - Dmitrij Medvedev sfiderà Putin o gli cederà il passo per un altro decennio? - lanciano la loro sfida per far riprendere quota al paese dopo gli anni della crisi globale. La recessione delle grandi economie industriali, riducendo il bisogno di energia, ha penalizzato il paese che sulle riserve di gas e petrolio aveva ricostruito, alla fine degli anni Novanta, la sua influenza internazionale.
Se il peggio è davvero passato, oggi l'Orso russo prepara il ritorno. Un tassello importante dei nuovi equilibri è la chiusura, una settimana fa, dell'importante accordo tra Bp e Rosneft, la prima società russa per produzione di petrolio, guidata dal potente Igor Sechin, fedelissimo di Putin. Un'intesa senza precedenti, con scambio di partecipazioni azionarie e di consiglieri di amministrazione, che segna una svolta nella pur lunga storia delle joint-venture con le compagnie straniere del settore energetico.
3. Spagna: aumentano case nuove invendute. Nel 2010 +34.000, in totale sono 730.000. (ANSA) - MADRID, 21 GEN - Cresce ancora lo stock di case nuove invendute in Spagna: secondo il ministero delle Infrastrutture nel 2010 altre 34.112 abitazioni si sono aggiunte al totale delle 730 mila che non riescono a trovare compratore nel saturato mercato spagnolo che ha vissuto prima la speculazione e poi lo scoppio della bolla immobiliare, riferisce Expansion. La maglia nera del possesso delle case disabitate va alla regione di Valencia, che accumula da sola il 44% delle nuove entrate del 2010, oltre 15 mila. http://www.ansa.it/web/notizie/rubriche/economia/2011/01/21/visualizza_new.html_1618104407.html
4. Ue, record disoccupazione giovani. In Italia molto piu' elevata della media europea. (ANSA) - BRUXELLES, 21 GEN - In Europa l'occupazione stenta a risalire la china, anche se in Paesi come la Germania si registrano segnali di ripresa. La crescita economica pero' 'resta fragile' - si legge nel rapporto mensile dell'Osservatorio occupazione della Commissione Ue - e determina condizioni del mercato del lavoro 'deboli' e una disoccupazione ancora molto elevata, che tra i giovani a fine 2010 ha raggiunto livelli record. Disoccupazione giovanile che anche in Italia resta 'molto piu' alta' della media Ue.
5. Ipotesi buyback per il debito greco. Alessandro Merli. Le autorità dell'area dell'euro stanno discutendo la possibilità di finanziare un buyback del debito greco, con un'operazione che consentirebbe di alleviarne il peso per Atene, senza dover dichiarare formalmente una sua ristrutturazione. Il possibile intervento, rivelato da fonti di stampa tedesche, sarebbe il riconoscimento che, nonostante il salvataggio realizzato da Unione europea e Fondo monetario nel maggio scorso per 110 miliardi di euro, la situazione del debito greco resta insostenibile. Ufficialmente, si continua a rifiutare l'ipotesi di una ristrutturazione del debito. L'opzione verrebbe inserita insieme ad altre nel pacchetto di riforma della European Financial Stability Facility, il cosiddetto fondo salva-stati, riforma che dovrebbe ampliarne le risorse e i compiti e sulla quale i leader europei cercheranno di trovare un'intesa prima del summit di fine marzo.
Il riacquisto di titoli greci verrebbe realizzato dall'Efsf a prezzi di mercato. Non è chiaro se il fondo interverrebbe direttamente sul mercato secondario, oppure rilevando titoli già acquistati dalla Banca centrale europea, nel programma attraverso il quale la Bce ha sostenuto in queste settimane il debito di alcuni paesi della periferia di Eurolandia. Secondo Erik Nielsen, di Goldman Sachs, l'operazione avrebbe anche il vantaggio di ridurre la necessità di acquisti da parte della Bce. L'istituto di Francoforte non vede di buon occhio la continuazione di queste operazioni indefinitamente, in quanto ritiene che il problema vada affrontato dal punto di vista fiscale. Un'altra possibilità è che l'Efsf presti i soldi alla Grecia e che sia Atene a effettuare il buyback, oppure che il fondo europeo garantisca emissioni greche destinate a finanziare il riacquisto. In ognuna di queste ipotesi, la Grecia potrebbe quindi cancellare il debito rilevato, ottenendo un alleggerimento pari alla differenza fra la quotazione di mercato o un valore leggermente superiore per attirare i venditori (si parla del 70%) e il valore nominale. L'operazione verrebbe accompagnata dalla imposizione di ulteriore condizionalità rispetto a quella già applicata, con la richiesta dell'adozione di misure più severe da parte del paese beneficiario.
Una cifra circolata in ambienti finanziari è di un possibile buyback da 50 miliardi di euro (il debito totale della Grecia è di 300 miliardi), su cui Atene potrebbe risparmiare circa 15 miliardi. I dettagli tecnici sono ancora comunque tutti in discussione e non è chiaro a quali condizioni possa arrivare l'assenso della Germania, che per ora si è opposta a diverse altre ipotesi di aumento delle risorse o dei compiti dell'Efsf, accampando anche, nel recente meeting dei ministri finanziari, il miglioramento del mercato del debito dei paesi periferici e la buona riuscita delle aste negli ultimi giorni.
L'ostacolo principale alla realizzazione del buyback è che ad accusare le perdite sarebbero le banche europee (fra cui quelle tedesche e francesi) che hanno investito in debito dei paesi periferici e non lo hanno ancora svalutato nei propri libri.
Secondo John Higgins, di Capital Economics, la proposta potrebbe essere «un modo intelligente di alleggerire i problemi fiscali della Grecia senza far scattare un default», ma incontra due problemi, nella dimensione del buyback e nelle possibilità che si riveli comunque insufficiente a ridare sostenibilità al debito, se la Grecia dovesse pagare un tasso vicino a quello corrisposto dall'Irlanda all'Efsf, cioè il 6 per cento. Molti osservatori di mercato insistono che in ultima analisi i paesi delle periferia dovranno ricevere dall'Efsf prestiti a tassi più bassi.
6. La Bce: tensione sui debiti di Italia e Spagna. di De Feo Marika. Corriere della Sera di venerdì 21 gennaio 2011, pagina 35. FRANCOFORTE — Allarme della Bce sui debiti sovrani di Italia, Spagna e Belgio. Secondo la Banca centrale europea la crescita continua, ma le pressioni inflazionistiche, attualmente sotto controllo, «potrebbero salire». I tassi di interesse rimangono «ancora» appropriati, ma restano sotto o monitoraggio molto attento». Per questo Jean-Qaude Trichet ribadisce l'urgenza di proseguire nel consolidamento dei conti e nell'attuazione di riforme strutturali volte a migliorare la competitività e ad aumentare la fiducia dei mercati. Per ora altalenante. «Le tensioni nei mercati del debito sovrano dell'area sono rimaste elevate», nota il presidente della Banca centrale, a novembre e dicembre «non si sono limitate soltanto a Grecia, Irlanda e Portogallo, ma si sono manifestate anche in altri paesi dell'area euro, quali Spagna, Italia e Belgio». E non è finita con le turbolenze di fine anno. «Il modesto restringimento dei differenziali e attribuito dagli operatori di mercato all'accresciuta attività associata al Programma (di acquisto) dei titoli finanziari condotto dalla Bce» (salita la settimana scorsa a 1,3 miliardi). Ieri gli spread sono calati ancora in modo generalizzato — quello dei decennali italiani sul Bund ha toccato Il minimo da metà dicembre a 155,4 punti base — in un mercato volatile, sulla scia di voci di riforma del fondo Salva-Stati, che potrebbe essere delegato dalla Ue al riacquisto dei bond. Mentre il Fondo Monetario non ha escluso la possibilità di estendere il prestito alla Grecia E la stessa Bce sottolinea come l'andamento dei Credit default swaps stia ad indicare ancora «tensioni nei mercati del debito sovrano dell'area euro»: il loro livello rimane «di 20 punti base superiore a quello medio dei Cds dei Paesi nell' area orientale dell'Ue». Intanto Francoforte si concentra «con molta attenzione» sui rischi di inflazione, ora sotto controllo, ma suscettibile di nuove fiammate. E già gli esperti dibattono il «dilemma» della Bce, che potrebbe aumentare i tassi di interesse in anticipo — secondo alcuni da giugno — e avrebbe bisogno di definire una exit strategy dalla fase emergenziale. Lorenzo Bini Smaghi, del board Bce, ha avvisato che «un'uscita ritardata dalle misure accomodanti straordinarie potrebbe gettare i semi di futuri squilibri».
Nel frattempo, la Bce, assumendo ieri attraverso Trichet la presidenza del Systemic Risk Board per la supervisione macroeconomica, ha posto le basi per una rilevazione e prevenzione dei rischi sistemici per il futuro. Sulle borse hanno pesato i timori di inflazione e di prossimi passi restrittivi da parte della Cina: Londra ha perso l'1,82%, Parigi lo 0,3%, Francoforte lo 0,83%. In controtendenza Milano, che ha guadagnato lo 0,16%.
7. E adesso anche Berlino rischia di perdere la Tripla A. di Tarquini Andrea. La Repubblica. BERLINO — Anche un'economia e conti pubblici solidi come quelli tedeschi possono non bastare a garantire a lungo termine il rating Tripla A della Germania, se agli occhi dei mercati Berlino è troppo esposta al rischio d'essere il primo pagatore di ogni salvataggio di altri paesi dell'Eurozona il cui debito sovrano è in crisi. La diagnosi spietata, che evoca un nuovo rischio per la moneta unica, viene da fonte non sospetta: Die Welt, il più vicino al governo tra i quotidiani di qualità. Che al tema ha dedicato un'inchiesta ampiamente richiamata in prima pagina. "La Germania perde fiducia e non è più al vertice", gridano i titoli. Non è sensazionalismo: le analisi citano fonti autorevoli, da Alexander Kockerbock di Moody's a Willem Butler, capo economista di Citigroup. I fatti parlano chiaro: i credit default swaps (cds), cioè le assicurazioni che gli operatori sui mercati pagano per garantirsi contro insolvenze i debiti sovrani, nel caso della Germania sono aumentati del 100 per cento da ottobre. Il che vuol dire che un'assicurazione contro il rischio-fallimento della Germania, per quanto remotissimo esso sia, costa ora 60 punti base, ovvero più dei 50 che sono il limite per i paesi che nel rating internazionale hanno il voto AAA, cioè il migliore. E nel frattempo la rendita dei bond tedeschi è salita al 3,14%, sempre un livello bassissimo ma comunque un punto percentuale in più rispetto al settembre dell'anno scorso.
Le agenzie di rating internazionali, cioè Standard&Poor, Moody's e Fitch, non chiedono ancora correzioni al rating tedesco, che resta appunto AAA come quello americano, britannico, francese, olandese, austriaco o dei paesi scandinavi. Ma Die Welt pubblica una tabella del "rating sui mercati" derivata dall'evoluzione dei premi cds, in cui la Germania è declassata ad AA2. «Non ci orientiamo sugli sviluppi a breve dei mercati», dice Alexander Kockerbock di Moody's, ma «gli sviluppi sulle assicurazioni cds sono interessanti da osservare per i costi del debito a lungo termine». E secondo Willem Butler, chief economist a Citigroup, siccome la crisi dei debiti sovrani coesiste nell'Eurozona con la crisi del settore bancario, «non esistono più bond sicuri». Due volte, nel passato recentissimo, Berlino ha oltrepassato per poco tempo i dati-limite per restare nel rating AAA e sempre a causa di interventi d'emergenza tedeschi. La prima volta con la crisi ungherese e dei Paesi baltici nel 2008, la seconda volta col massiccio programma di sostegno alle banche tedesche nel 2009. Furono entrambi casi di breve durata. Ma adesso, scrive Die Welt, i mercati temono che il salvataggio dell'euro e dell'Eurozona finisca per rivelarsi una trappola molto costosa peri conti pubblici della Germania. E si aprirebbe cosl un problema strutturale.
8. Parte dal board dell'Esrb la sfida tra Draghi e Weber. di B.R. Sole 24 Ore di venerdì 21 gennaio 2011, pagina 7. II consiglio generale del nuovo comitato europeo per i rischi sistemici ha tenuto ieri la sua prima riunione qui a Francoforte. L'organismo, un tassello cruciale del nuovo assetto della vigilanza finanziaria in Europa, ha eletto alcuni esponenti del proprio comitato direttivo. Tra questi i governatori della Banca d'Italia Mario Draghi e della Bundesbank Axel Weber, ambedue candidati alla presidenza della Banca centrale europea in novembre. L'Esrb, come è noto il comitato secondo l'acronimo inglese, nasce sulla scia della crisi finanziaria degli ultimi tre anni. Il suo compito sarà di individuare e segnalare in anticipo i rischi sistemici in Europa. L'organismo - che potrà emettere raccomandazioni e avvertimenti anche pubblici - è la risposta europea al Financial Stability Oversight Council nato di recente negli Stati Uniti (si veda Il Soie 24 Ore di ieri). Il consiglio generale del comitato è composto da una settantina di persone provenienti da banche centrali e autorità nazionali di tutta Europa. Sarà presieduto dal presidente della Banca centrale europea Jean-Claude Trichet. Vice presidente sarà il governatore inglese Mervyn King. «Avremo bisogno di avere una forte autorità morale. Ce la dovremo guadagnare. Non possiamo ritenerla un automatismo», ha avvertito ieri Trichet in una conferenza stampa. Dietro alla crisi degli ultimi anni si nasconde anche un assetto di vigilanza finanziaria che ha mostrato evidenti debolezze, e non solo perché è ancora decentrato nonostante una crescente integrazione finanziaria in Europa. In varie circostanze le singole autorità hanno ostacolato la collaborazione, bloccando la condivisione di dati politicamente imbarazzanti o mascherando potenziali errori nella sorveglianza finanziaria. Tra le novità della prima riunione di ieri l'elezione di quattro governatori nel comitato direttivo (steering committee, in inglese): il governatore della Banca d'Italia Mario Draghi, il presidente della Bundesbank Axel Weber, il presidente della banca centrale di Cipro Athanasios Orphanides e il loro collega polacco Marek Belka. L'organismo - composto in tutto da 14 persone e non 17, come anticipato in precedenza - ha un ruolo importante. Deve fare da tramite tra il consiglio generale, composto da circa 70 persone, e il segretariato che ha sede a Francoforte. Secondo un regolamento europeo del 2010, il comitato direttivo, le cui riunioni hanno una cadenza almeno trimestrale, «assiste l'Esrb nel processo decisionale preparando le riunioni del consiglio generale, esaminando i documenti da discutere e sorvegliando l'andamento dei lavori in seno all'Esrb». Il nuovo comitato per i rischi sistemici ha scatenato commenti contrastanti tra i commentatori. Molti temono che sia l'ennesimo organismo europeo, ridondante e pletorico. Altri si chiedono se la presenza dei banchieri centrali non comporterà un conflitto tra stabilità finanziaria e politica monetaria. Altri infine vogliono dare il beneficio del dubbio a un nuovo tentativo di fare finalmente una vigilanza finanziaria più europea.
9. Debito degli stati e risparmio privato. La ricchezza non ci salvera'. di FRANCESCO GIAVAZZI – corriere della sera. La Banca centrale europea è sempre più in difficoltà. La crescita dell'economia tedesca, più 3,6% nel 2010, consiglierebbe di porre fine a due anni di tassi di interesse straordinariamente bassi e tornare alla normalità. Invece le difficoltà dei Paesi della periferia impongono alla Bce di continuare a creare moneta: vuoi per sostenere quelle banche spagnole che non riescono più a finanziarsi sul mercato, vuoi acquistando titoli pubblici portoghesi, spagnoli, irlandesi, per evitare che un'asta vada male e si rischi un'insolvenza. Con il trascorrere delle settimane il numero dei Paesi in difficoltà cresce: «A dicembre e agli inizi di gennaio — scriveva ieri la Bce — le tensioni sul debito sovrano non si sono manifestate solo in Grecia, Irlanda e Portogallo, ma anche in altri Paesi dell'area dell'euro quali Spagna, Italia e Belgio». È giusto che la Bce continui a intervenire? Ciò che preoccupa non sono tanto gli acquisti di titoli pubblici (gli importi sono ancora relativamente modesti) ma il fatto che la banca non sia più nella possibilità di scegliere la politica monetaria che ritiene adatta alle condizioni macroeconomiche dell’eurozona. I cittadini tedeschi hanno capito che la Bce non è la banca centrale della Germania, e che quindi deve tener conto delle condizioni medie della zona. Accettano che il rialzo dei tassi di interesse avvenga più gradualmente di quanto sarebbe desiderabile per il loro Paese. Ma non che la banca sia costretta ad abbandonare i suoi obiettivi per evitare il rischio che qualche Stato risulti insolvente. Il maggior pericolo che corre l'euro non è l'uscita della Grecia e del Portogallo dall'unione monetaria, ma la possibilità che se ne vada la Germania. Per salvare l'euro è quindi necessario che la Bce sia sollevata da compiti che non le sono propri e gli aiuti agli Stati in difficoltà siano presi in carico direttamente dai governi. Così facendo, tuttavia, i trasferimenti dalla Germania ai Paesi della periferia diverrebbero trasparenti. I contribuenti tedeschi giustamente chiedono delle garanzie, cioè vogliono essere rassicurati sul fatto che i debitori siano in grado di ripagare.
Ma non illudiamoci che per tranquillizzare la Germania basti sottoscrivere qualche nuova regola, un altro Patto di stabilità che tutti firmano per poi violarlo. Essere solventi significa una cosa molto semplice: crescere, perché un'economia che non si sviluppa non ha le risorse per pagare i propri debiti. «Perché è tanto importante crescere?», si chiedono alcuni. Spagna e Italia cresceranno poco, ma sono Paesi ricchi, tra i più ricchi al mondo. La nostra ricchezza privata è la miglior garanzia del debito pubblico italiano. Compiacersi della propria ricchezza è pericoloso. Di rendita si può vivere anche a lungo, ma impoverendosi. Un mese fa il governatore Draghi ha ricordato uno scritto preveggente di Carlo Cipolla, “I decenni del declino, 1620-1680”, in Storia facile dell'economia italiana (Mondadori, 1995): «All'inizio del Seicento la ricchezza italiana era seconda solo all'Olanda. Tre generazioni più tardi l'Italia era un Paese sottosviluppato. Le cause: salari non coerenti con la produttività, un elevato carico fiscale e il potere delle corporazioni che bloccarono l'innovazione».
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