di DANIELE GIANCANE
Televisione cattiva maestra. Karl Popper scrisse diversi anni or sono un libello in cui mise in guardia contro i guasti etico-culturali della tivvù, riguardo essenzialmente al rapporto con i bambini.
Affermò che gli operatori della televisione (ideatori dei programmi, registi, presentatori) avrebbero dovuto addirittura prendere la «patente» per essere ammessi a svolgere quel ruolo. Le parole del filosofo calzano a pennello ora che non solo la televisione manda in onda trasmissioni di mediocre fattura, ma che i referenti della riflessione, i «bambini» appunto, sono divenuti centro-merce dei programmi.
Antonella Clerici conduce il celebrato «Ti lascio una canzone» sulla Rai e Gerry Scotti ha un omologo programma, «Io canto», sulle reti Mediaset, mettendo al centro della trasmissione i bambini che cantano. (C’è stato un ripetuto scambio d’accuse fra i due conduttori qualche tempo fa: la Clerici attaccò Scotty, reo di presentare un programma, non copia - fu detto - ma «fotocopia» del suo, Scotty si difese affermando che oramai tutti copiano tutti e tra Rai e Mediaste c’è un accordo in tal senso.)
Il problema è - non certo per gli altissimi ascolti (circa sei milioni di «contatti» per la Clerici), ma sotto l’aspetto pedagogico - che in questi programmi si assiste ad uno stravolgimento del rapporto adulto-bambino: il bambino non più piccolo umano da proteggere e da far crescere coi suoi ritmi (la scoperta dell’infanzia come età a sé stante, non più quindi come età che deve attendere di concludersi nell’adultità dura da circa due secoli) ma «oggetto» da utilizzare a fine di profitto.
Ora si può obiettare che in qualche modo si è sempre fatto così: dal lavoro minorile nei campi - la cui piaga in Italia esiste eccome, come dimostrano i frequenti arresti, ultimamente nel Salento - all’ambizione di lanciare un proprio figlio nel mondo dello spettacolo (ricordate il film Bel- lissima con Anna Magnani?) o nello sport.
Tuttavia adesso il fenomeno è divenuto endemico e (soprattutto) senza alcun soprassalto morale.
Diciamo senza alcun dubbio o incertezza che quella sia la strada giusta per i ragazzi. C’erano stati casi precedenti con competizioni tra ragazzi come le trasmissioni «Bravo bravissimo» e «Genius » condotte entrambe da Mike Bongiorno. Erano anch’essi programmi con protagonisti dei bambini, epperò ancora si trattava di una visione diversa del «fanciullo»: Mike in qualche caso addirittura umiliava i bambini, li rimproverava. Li accoglieva non come dei «mostri», ma con una certa freddezza che non faceva mai scattare il fenomeno del divismo. Che non permetteva la rappresentazione della «scimmia ammaestrata» che appare invece invariabilmente nelle trasmissioni della Clerici e di Scotty dove ragazzini imberbi - vecchi dentro, pettinati come se fossero invitati ad una prima comunione di vip - cantano canzoni di Celine Dior, fanno duetti con Al Bano e Massimo Ranieri.
Paolo Bonolis, che pure proviene da programmi di intrattenimento per i ragazi, ha capito anche lui dove porta il vento e così in «Chi ha incastrato Peter Pan?» fa diventare protagonisti i piccolissimi che interagiscono, con domande e riflessioni, con i «divi» (per esempio Bruno Vespa e Raffaella Carrà). Non è difficile intuire che ci troviamo di fronte a una nuova visione dei bambini-divi. Dei bambini stimolati, incalzati, «inzufolati» dai genitori che sognano per loro una carriera da divi, mai una carriera da ingegneri o da musicisti di pianoforte o clavicembalo. Genitori che pensano di avere fra le mani il modo di arricchirsi e arricchire. Di far fare la bella vita ai figli. Di apparire sui giornali a più non posso. Diversi «divetti» della Clerici li ritroviamo pari pari in altri programmi con delle «comparsate», segno che non si tratta di un’esperienza «una tantum», come avveniva e avviene allo «Zecchino d’oro», ma di una modalità di accesso al mondo dello spettacolo.
Già. Lo «Zecchino d’oro». Alessandro Caspoli, direttore del’Antoniano di Bologna e presidente della giuria della nota manifestazione canora per bambini, ha affermato: «le nostre canzoni sono scritte per i bambini, negli altri show i piccoli si misurano invece con testi di adulti. Qui allo “Zecchino” abbiamo a che fare con un festival canoro “dei” bambini, lì con trasmissioni “con” bambini. Cosa può capire un bambino di amanti, tradimenti? Si può dire: ma il bambino non fa caso al testo. D’accordo, allora è una pura e semplice esecuzione. Ma che cosa insegniamo ai bambini, che non importa che cosa si dice, ma “come” lo si dice?».
Il fatto è che lo «Zecchino d’oro» è stato insignito del titolo di «Patrimonio per una cultura di pace» dall’Unesco, mentre in «Ti lascio una canzone» e in «Io canto», si assiste a volte a movenze sexy, ammiccamenti, languide occhiate. C’è qualcosa di vagamente ambiguo, in tutto questo, come afferma Rita Parsi. Perlomeno c’è qualcosa di dubbio gusto e di pericoloso nell’atteggiamento dei bambini. Non l’avesse mai detto! In una trasmissione televisiva, esattamente «TvTalk» i due«Clerici-Scotty) si sono coalizzati contro la Parsi, insistendo che occorre star zitti, perché questi programmi piacciono agli italiani. Come dire: il giudizio etico su una trasmissione (su un avvenimento, una situazione) lo dà solo l’a udience.
Lo sfruttamento a fini economico- mediatici dei bambini fa il paio con quello dei giovanissimi (minorenni) che imperversa pure in trasmissioni come quella della Maria De Filippi o in «X Factor» dove a gareggiare sono spesso appunto dei ragazzi, vedi l’ultimo, il leccese Davide, che - ovviamente - è già un fenomeno, e al suo paese Salice Talentino gli organizzano la festa e via dicendo. Stupisce il pensiero che sottende a tutto questo: il successo televisivo va raggiunto ad ogni costo. Cattiva maestra televisione. Popper l’aveva previsto, ma non immaginava che si sarebbe giunti a questo punto. Che gli operatori e gli adulti avrebbero by-passato la sua riflessione ritenendola - in sostanza - ininfluente. Non si tratta più - seppur provocatoriamente - di prendere la «patente», ma di non porsi più neppure il problema della necessità di una «patente», ovvero di una cautela nei confronti di esseri umani (i bambini appunto, i piccoli, i minorenni) che avrebbero bisogno di altri ritmi e di altri «valori » in cui credere. Di altre mete per le quali valga davvero la pena impegnarsi.
27 Novembre 2010
Fonte:
http://www.lagazzettadelmezzogiorno.it/notizia.php?IDNotizia=385597
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