Bozen. Sanità: Lega Nord, 60% esenti ticket sono stranieri
Ivrea. Primi profughi a Pont e Verrès
Ivrea. Profughi, la Chiesa si prepara
Bergamo. Stipendio straniero vale 319 euro meno
Treviso. Islamici volontari per aiutare anziani e malati
Padova. Metà dei tunisini se n'è già andata
Ferrara. Profughi, ora l'emergenza è il lavoro
Bologna. Aldrovandi: «Usiamo i profughi libici per finire i lavori del Civis»
Bozen. Sanità: Lega Nord, 60% esenti ticket sono stranieri
"Nella provincia autonoma di Bolzano su un totale di 5.484 esenti ticket il 60% (3.355) sono cittadini stranieri, quasi tutti extracomunitari (3.255). Marocchini (818), pakistani (635) e albanesi (437) continuano a mantenere saldo il podio di chi non paga un euro per la partecipazione alla spesa sanitaria"
BOLZANO. "Nella provincia autonoma di Bolzano su un totale di 5.484 esenti ticket il 60% (3.355) sono cittadini stranieri, quasi tutti extracomunitari (3.255). Marocchini (818), pakistani (635) e albanesi (437) continuano a mantenere saldo il podio di chi non paga un euro per la partecipazione alla spesa sanitaria". Lo afferma la Lega Nord. "Cittadini stranieri che nella Provincia autonoma di Bolzano hanno superato quota 40.000, rappresentando l'8% dell'intera popolazione. Sta di fatto che oggi sul totale della popolazione straniera extracomunitaria residente in provincia di Bolzano, il 20% gode di una esenzione totale dalla partecipazione alla spesa sanitaria provinciale, mentre solo lo 0,5% dei cittadini italiani gode di un'esenzione alle spese per prestazioni mediche e prescrizioni di medicinali", ha detto la consigliera provinciale Elena Artioli. Secondo la Artioli, "l'assorbimento degli stranieri extracomunitari nella Provincia autonoma di Bolzano è un problema reale ma l'azione della Giunta si limita a un disegno di legge provinciale sull'immigrazione e l'integrazione che per due terzi parla di diritti, in uno Stato che è già costituzionalmente di diritto". La Lega Nord chiede "di fermare l'orda a Salorno, confine provinciale nel quale Comune gli stranieri sono già al 70% nelle classi delle scuole elementari".18 aprile 2011
Ivrea. Primi profughi a Pont e Verrès
Il sindaco Yeuillaz: «Dare una mano ci è parso un dovere»
di Luigi Varese
BASSA VALLE. Arrivano in questi giorni in Valle d'Aosta i 22 profughi attesi, come da accordo sottoscritto il 6 aprile scorso tra il Governo, le Regioni, le Province autonome e gli Enti Locali, finalizzato a garantire assistenza ai migranti attraverso una distribuzione di queste persone su tutto il territorio nazionale. Cinque di questi sono ospiti dalla Caritas di Aosta. A questo proposito, il piano per l'emergenza immigrati prevede che alla Valle d'Aosta sia assegnata una soglia massima di 108 migranti (che potrebbero, però, scendere a una settantina, se il numero totale di profughi non sarà superiore a 50 mila unità). In Valle, al momento, i profughi, oltre ai 5 sistemati presso la Caritas, saranno distribuiti tra quei Comuni che hanno messo a disposizione la loro capacita ricettiva (la regola ne prevede uno su ogni mille abitanti). Per quanto riguarda la Bassa Valle, Pont-Saint- Martin ospiterà quattro persone, disponendo sul territorio comunale di una struttura idonea alla situazione. «Capiamo il momento difficile che stanno vivendo anche gli abitanti di Lampedusa «soffocata» da un numero di persone spropositato, non del luogo, che creano tantissimi problemi - sottolinea il sindaco Guido Yeuillaz -; per cui,ù dare una mano in questa situazione, ci è parso un dovere». Anche il Comune di Verrès si è reso disponibile ad accettare due o tre persone sul proprio territorio, purchè si tratti di stranieri titolari di permesso di soggiorno temporaneo o richiedenti asilo politico. «Anche se capiamo - sottolinea il primo cittadino Luigi Mello Sartor - che sarà certamente un impegno gravoso anche per i nostri amministrati. Ma è tutta la comunità che si farà carico del problema». Tra le località valdostane che non potranno ospitare profughi vi sono Donnas e Arnad che non dispongono di strutture
idonee; mentre Montjovet, che ha già sul territorio persone in difficoltà
economiche gestite dalla Regione, non ha altre disponibilità ricettive: «Non abbiamo altre strutture per ospitare persone come i profughi di Lampedusa», ha precisato il primo cittadino montjovese, Rinaldo Ghirardi. Molto dispiaciuto di non poter accogliere profughi, anche Amedeo Follioley sindaco di Donnas, che condivide in pieno, tuttavia, l'iniziativa di dare una mano in questa fase di emergenza profughi: «Noi, purtroppo, siamo stati costretti a dire di no sottolinea Follioley -; non possediamo infatti locali adatti a tale scopo. Voglio comunque aggiungere che il problema doveva coinvolgere altre nazioni europee». Molto riconoscente verso tutte le amministrazioni comunali valdostane per la loro disponibilità dimostrata, s'è detto il presidente Augusto Rollandin. Il quale ha ricordato anche il mondo del volontariato «che, grazie alla sua esperienza, potrà offrire un valido aiuto in questa sistuazione, come in tantissime altre».18 aprile 2011
Ivrea. Profughi, la Chiesa si prepara
Riunione operativa al Centro migranti venerdì 22 per valutare le disponibilità
di Rita Cola
IVREA. Una riunione «operativa e concreta», promossa da Caritas e Centro Migranti della diocesi per fare il punto sull'accoglienza ai profughi. La riunione è prevista per venerdì 22 aprile, ore 10, nel salone del Centro Migranti in via Warmondo Arborio e sono invitate «persone, gruppi, associazioni». Ancora non si sa, però, se anche qui arriveranno i profughi. Spiega tutto don Emiliano Sandretto, direttore della Caritas diocesana. Premette che il dramma delle popolazioni dell'altra sponda del Mediterraneo non può lasciare indifferenti e che, quindi, la Chiesa si muove per una soluzione «civile, umana e cristiana». Il vescovo Arrigo Miglio ha già assicurato collaborazione per l'accoglienza ed accompagnamento di piccoli nuclei di profughi e ne ha già parlato con la diocesi di Torino. Si tratta, ora, di mettere insieme le risorse e l'esperienza. Sottolinea il direttore Caritas: «Noi saremmo in grado di ospitare piccoli nuclei familiari e no, sulla base dell'esperienza già acquisita in passato con i cittadini albanesi prima e kosovari poi. Con piccoli nuclei, abbiamo constatato, che si riesce a sopperire innanzi tutto all'emergenza, ma non solo, perchè si dà vita a progetti veri e propri di accompagnamento. Il vescovo Miglio ha dato, a Torino, la propria disponibilità. E ora ci ritroviamo per mettere a punto un piano pratico, in modo da essere pronti se e quando ci chiameranno». E proprio sul fatto che, sul territorio e non solo, l'esperienza dell'accoglienza abbia fatto negli anni passi da gigante punta l'attenzione Armando Michelizza, oggi volontario alla cooperativa Marypoppins. «Trovo incredibile - sottolinea - come, per la gestione di questa emergenza, non si faccia riferimento ad una esperienza già consolidata». E partendo da una riflessione sul linguaggio e la sua degenerazione («Si può parlare di tsunami umano?, di invasioni bibliche?»), Michelizza specifica che il territorio canavesano ha dato, almeno negli ultimi quarant'anni, il suo contributo nell'ospitalità dei profughi, Michelizza osserva che proprio dalla gestione dell'emergenza dei migranti provenienti dal Kosovo nacque il servizio "Sprar", che coinvolge oltre centoventi Comuni in Italia, tra cui Ivrea. E che, in fatto di accoglienza ed accompagnamento di piccoli nuclei, in tutto questo tempo ha permesso di dare una possibilità ad almeno centocinquanta persone. Michelizza ricorda bene l'arrivo dei profughi dal Kosovo: «Ogni territorio aveva dato la propria disponibilità al tavolo del prefetto. Qui, arrivarono circa cinquantacinque kosovari. Dopo un paio di settimane quindici avevano già raggiunto parenti e conoscenti in altre zone d'Europa. Si lavorò sugli altri quaranta, suddivisi in piccoli nuclei. Dopo due anni e mezzo, cambiate le condizioni politiche, decise di tornare grazie a un programma dell'Onu. Alcune famiglie rimasero qui, in zona, altri scelsero altre regioni italiane dove vivere». Ecco, Michelizza si chiede come sia possibile non voler risolvere i
problemi con la testa, sedendosi attorno ad un tavolo. Detto così, non sembrerebbe neppure difficile. 18 aprile 2011
Bergamo. Stipendio straniero vale 319 euro meno
Centomila i lavoratori immigrati a Bergamo
Rispetto ai 350mila colleghi italiani, i centomila lavoratori immigrati attivi in provincia vengono pagati mediamente 319 euro al mese in meno. E’ la stima calcolata dalla Cgia di Mestre che, dopo le dichiarazioni rilasciate dal ministro Giulio Tremonti, ha analizzato il livello retributivo e occupazionale degli stranieri regolarmente presenti nel nostro Paese. Da questa analisi emerge che gli immigrati percepiscono mediamente 965 euro netti al mese, cioè 319 euro in meno rispetto agli italiani. Quanto ai motivi di questo differenziale, secondo i ricercatori è dovuto al fatto che l’esperienza lavorativa tra gli immigrati è mediamente molto inferiore di quella maturata dagli italiani. Pertanto, gli stranieri hanno scatti di anzianità più contenuti degli italiani. Stando alle ultime ricerche (Rapporto Ismu 2011) i disoccupati, tra gli immigrati con età superiore ai 14 anni presenti in Lombardia, infatti sono cresciuti dall’11,3% del 2009 al 13% della metà del 2010. Sommando a questi valori quelli relativi alla componente in cassa integrazione o mobilità, raggiungiamo la quota del 15,3% (sul complesso della popolazione) e del 19,1% (sulla componente attiva). Si tratta dei valori più alti mai registrati dall’Osservatorio regionale: a causa della crisi quasi due immigrati stranieri su dieci si trovano in una situazione di sofferenza occupazionale. La disoccupazione colpisce più gli uomini (+4,1%) che le donne (+1,4%) e pesa maggiormente sui nuovi arrivati (il 27% tra coloro che hanno un’anzianità inferiore ai due anni è disoccupato). Tra gli stranieri che hanno dichiarato a metà del 2010 che dodici mesi prima erano in cerca di occupazione, quasi la metà (46,8%) risulta ancora disoccupata, un terzo ha trovato un’occupazione regolare e uno su sei (17%) svolge un’occupazione irregolare.
Il numero di cittadini extracomunitari avviati al lavoro ha subito una contrazione del 24,6% nel giro di un anno, con calo dieci volte più marcato rispetto alla contrazione del numero di avviati al lavoro di cittadinanza italiana (-2,4%). A perdere terreno sono soprattutto le occupazioni a tempo determinato (scese dal 12,7% di occupati del 2009 al 9,5% del 2010) o irregolari (scese dal 9,6 al 7,6%), a vantaggio di altre (il part-time è salito dall’8 al 10,9%, mentre le occupazioni a tempo indeterminato sono cresciute dal 48,1 al 51,9%). Cala la quota di lavoro irregolare che passa dal 18,9% al 15,6%. Il totale delle assunzioni di lavoratori immigrati in Lombardia oscilla tra 21,6 e 35 mila unità (comprensive dei contratti stagionali), con una crescita annua del 5,6%. Le assunzioni di tipo stabile previste nei settori dell’industria e dei servizi superano le 19mila unità. Rispetto all’anno precedente si tratta di un incremento inferiore al dato nazionale (+18,7%), ma comunque superiore alla crescita del totale delle assunzioni previste nella Regione (+0,7%). La provincia di Milano registra una crescita della domanda di lavoro immigrato del 13,7%, mentre le altre province nel loro complesso soltanto dello 0,3%. Scendendo in dettaglio, si passa dal raddoppio della domanda di Sondrio (+49,6%), agli incrementi consistenti di Pavia (+41,3%), Bergamo (+30,3%) e Lodi (+22,2%), a quelli più contenuti di Varese (+7,3%), Monza e Brianza (+4,5%) e Mantova (+3,6%). D’altra parte, è da segnalare anche il crollo della domanda di Brescia (-27,7%), il calo di Cremona (-12,1%) e Como (-11,8%) e la quasi stabilità di Lecco (-1,7%). Le professioni non qualificate tornano a essere al primo posto nella domanda di assunzioni previste di immigrati (30,2%). Il grosso della domanda di lavoro continua ad arrivare dai servizi, con quasi i tre quarti del totale (72,6%), mentre un ulteriore quarto è riservato all’industria (25,0%), di cui un terzo circa nelle costruzioni, e la restante quota all’agricoltura (2,4%). Nel lavoro stagionale le proporzioni si modificano: il fabbisogno che riguarda l’industria assorbe il 5,3%, oltre la metà è riservata ai servizi, il 41,4% all’agricoltura.
Treviso. Islamici volontari per aiutare anziani e malati
Castelfranco, la comunità musulmana a disposizione dei Comuni per servizi sociali
di Daniele Quarello
CASTELFRANCO. La comunità islamica in campo per aiutare anziani e malati. Si è svolta ieri al centro Due Mulini di Quartiere Risorgimento l'ultimo dei tre appuntamenti del ciclo organizzato dalla Comunità Islamica di Pace onlus in occasione dei festeggiamenti per i 150 anni dell'unità d'Italia. Il progetto denominato «Fratelli d'Italia» è iniziato il 18 marzo con un incontro sulla Costituzione Italiana. La seconda serata il primo aprile sul tema dei diritti e doveri del cittadino. Ieri l'ultimo appuntamento alle 15.30 al centro Due Mulini con l'avvocato Marco Giampieretti, ricercatore di diritto costituzionale all'Università di Padova. Titolo della giornata: «Insieme verso una partecipazione attiva e responsabile». Il progetto ha ottenuto il patrocinio dei comuni di Resana e Castelfranco. All'inizio degli incontri sono stati proiettati alcuni documenti audiovisivi sulla nascita della Costituzione Italiana. L'iniziativa non si ferma qui. A breve infatti ci sarà una serata di presentazione del Comune di Castelfranco, ovvero del funzionamento del Comune, statuto, organismi e servizi, ai cittadini musulmani residenti nel territorio comunale. Infine l'associazione metterà in pratica quanto approfondito durante il progetto attraverso 3 azioni concrete di partecipazione alla vita sociale dei comuni di Resana e Castelfranco. Ci sarà una donazione di sangue di gruppo da parte di alcuni musulmani in collaborazione con l'Avis. Ad agosto si svolgerà inoltre una cena di beneficenza della comunità islamica. Il ricavato sarà devoluto a favore di un progetto sociale per la città. Infine sarà istituita una banca ore dell'associazione per le iniziative sociali. In sostanza i componenti dell'associazione si metteranno a disposizione dei due comuni per svolgere attività sociale. Assistenza agli anziani e ai malati a casa, in ospedale, in casa di riposo. Partecipazione alle giornate ecologiche, servizio di assistenza e guardiania per eventi culturali svolti in città. L'intero progetto è coordinato dal presidente dell'Associazione Islamica di Pace di Castelfranco e Resana Onlus Kahouach El Kouchi. 18 aprile 2011
Padova. Metà dei tunisini se n'è già andata
Gli altri aspettano che apra la Western Union per cambiare i voucher
di Paolo Baron
Talvolta la solidarietà si scontra con la fretta. Dei ventiquattro tunisini accolti sabato alla Casa a Colori soltanto in 17 hanno dormito nella struttura individuata dal Ministero dell'Interno per accogliere i «profughi clandestini» provenienti dal campo di Santa Maria Capua a Vetere. I sette «desaparecidos», infatti, hanno detto grazie e addio appena si sono fatti una doccia. Approfittando del loro permesso di soggiorno per motivi umanitari nuovo di Zecca si sono allontanati, chi per raggiungere i parenti, chi per cercare di bruciare le tappe e andare in Francia (che ieri ha bloccato i treni per impedire che i migranti passassero la frontiera). Intanto, ieri il gruppo di tunisini si è ulteriormente assottigliato: solo in dodici hanno pranzato. Questi non se ne sono andati perché aspettano che oggi aprano le agenzie collegate alla rete Western Union per cambiare i voucher e disporre così di denaro per acquistare cibo e magari i biglietti del treno. Ieri pomeriggio molti di loro hanno continuato a manifestare l'intenzione di andarsene dall'Italia, nonostante le cattive notizie che arrivavano dalla Francia. «Si può sempre passare dall'Austria e dalla Francia - ha spiegato uno dei tunisini della Casa - non esiste soltanto la frontiera con la Francia». «L'impressione che mi sono fatto parlando con loro è che siano tutti dei bravi ragazzi - racconta Maurizio Trabujo, responsabile della Casa a Colori - Qualcuno mi ha chiesto se è meglio restare in Italia. Gli ho spiegato che sotto il profilo economico non stiamo attraversando un buon periodo. Qui da noi faticherebbero a trovare lavoro. Comunque sia tutti questi ragazzi erano preparati ad emigrare. Ricordo quando arrivarono i curdi o i kossovari. Quelli sì che erano scappati. Questi sembra che abbiano pianificato di lasciare il loro paese per cercare fortuna in Europa».
Ferrara. Profughi, ora l'emergenza è il lavoro
A Ca' Frassinetta impareranno l'italiano. «Ma questo è solo l'inizio»
di Alessandra Mura
Imparare l'italiano e trovare un lavoro prima dello scoccare dei sei mesi del permesso di soggiorno, quando - come per incantesimo - i profughi si tramuteranno in clandestini. Superata la fase della prima accoglienza, sono questi gli imperativi che attendono i migranti tunisini arrivati sabato a Ferrara. Otto sono già ripartiti per raggiungere parenti e amici in altre città. I restanti 12 hanno trovato ospitalità a 'Ca' Frassinetta', a cui si è aggiunto un tredicesimo profugo inizialmente destinato a Bologna e poi dirottato a Ferrara dove già si trova un suo fratello. Ca' Frassinetta è una struttura immersa nella campagna, dove gli immigrati hanno potuto trovare un po' di pace e riposo dopo le ultime tumultuose settimane. Sabato sera c'è stato solo il tempo di cenare insieme a Francesco Foddis (responsabile della 'Casona' a cui Ca' Frassinetta' fa riferimento) e ad andare a dormire. Ad accoglierli c'era Giuseppe, infaticabile anima della comunità, che fin da ieri aveva cominciato a rimboccarsi le maniche per affrontare le priorità del momento. «A eccezione di Mohamed, che ha imparato l'italiano in Tunisia tramite i libri, nessuno parla la nostra lingua. Abbiamo preso contatto con una docente per cominciare fin da subito corsi di italiano». Per tutti il chiodo fisso è il lavoro: «Ho preparato dei moduli che gli ospiti dovranno compilare indicando le loro competenze e professionalità. Sulla base di queste informazioni ci rivolgeremo a istituzioni, parrocchie e privati sperando di trovare per tutti una sistemazione». C'è chi, come Mohamed, è idraulico («e ce lo teniamo stretto»!, scherza Giuseppe), altri sono meccanici o saldatori. Altri ancora come Bilel, si dicono disposti a qualunque mansione. «Siamo in contatto con gli agricoltori della zona e contiamo sulla raccolta di fragole e pomodori», prosegue Giuseppe. «I soldi sono secondari, la cosa più importante è il lavoro», conferma Mohamed, fuggito nella sua Tunisia dalla Libia in fiamme («non ho potuto portar via nulla con me») e infine sbarcato a Lampedusa su un barcone con altri 246 disperati, dodici ore di viaggio («il mio primo in mare») costato mille euro. Ad ascoltare i loro racconti ci sono i Radicali ferraresi Mario Zamorani e Paolo Niccolò Giubelli e Stefano Droghetti dell'associazione Coscioni: «È paradossale un governo che prima fa arrivare i profughi in Italia e poi li vuole fuori dai piedi - attaccano - Noi stiamo dalla parte degli immigrati, e ricordiamo che secondo lo stesso Ministero del Lavoro nell'arco di 10 anni l'Italia avrà bisogno di 1 milione e 800mila stranieri». «Se loro li hanno fatti arrivare fin qui, perché mai dovrei essere io a cacciarli? Io li aiuto, altroché», protesta lo stesso Giuseppe. Ieri per i profughi è stata una giornata di tregua prima di ricominciare la lotta per un posto al sole: alcuni hanno inforcato la bicicletta per una passeggiata in campagna, altri hanno preso il treno per una breve gita a Bologna. «Sono persone libere, ma abbiamo chiarito che la nostra comunità ha delle regole e che vanno rispettate - spiega il responsabile - Orari, lavanderia, cucina: ognuno dovrà assumersi compiti e responsabilità. Anche in via Marconi un avvocato li ha informati dei loro diritti, ma anche dei loro doveri: un errore, e il permesso di soggiorno svanisce». Giuseppe guarda già oltre la prima accoglienza: «Questo è solo il punto di arrivo, sono tutti consapevoli di dover intraprendere un percorso». Ca' Frassinetta funziona contando sulle sue forze, gli ospiti contribuiscono con piccoli lavori, «quelli che nemmeno gli ultimi vogliono più fare, come sfalciare l'erba o ripulire i muri dalle scritte». Ma c'è un sogno che sta diventando realtà: l'apertura di un ostello per cicloturisti, ricavato da un fienile, che prima del varo ufficiale fin da ora viene affittato per compleanni, feste di laurea, concerti, feste di matrimonio: uno splendido rustico messo su mattone dopo mattone, a dimostrazione che la solidarietà può anche essere un buon affare. 18 aprile 2011
Bologna. Aldrovandi: «Usiamo i profughi libici per finire i lavori del Civis»
Bernardini: «Boutade. Con che contratto?». E il civico replica: «Maroni ha dato loro il permesso di soggiorno»
Per accelerare i cantieri del Civis, Stefano Aldrovandi propone di mettere a lavoro in profughi in arrivo in città in queste ore. «Bisognerebbe mandare i libici a lavorare nei cantieri per farli finire in fretta», dice, dopo aver puntato il dito contro la lentezza alla quale procedono i lavori: «Andate a vedere i cantieri, in un chilometro, se ci sono 6-7 persone al lavoro per sette ore al giorno è molto». Di qui, appunto, l’idea di arruolare i profughi.
Polemizza Manes Bernardini, in corsa per la Lega: «Fare lavorare in libici? E con che contratto? Lanciare boutade è lo sport di ogni candidato, ma qui bisogna fare le persone serie. A meno che Aldrovandi non pensi di farli lavorare in nero...».
«Se il ministro dell’Interno Roberto Maroni, così vicino al candidato sindaco Bernardini - è la replica di Aldrovandi - ha concesso il permesso di soggiorno temporaneo ai profughi libici, non dovrebbero esservi difficoltà d’inquadramento con un contratto a tempo determinato per qualsiasi lavoro, compreso quello nei cantieri Civis, qualora sussistano i requisiti, le competenze e le capacità di ogni singolo individuo. Il lavoro - aggiunge - è un diritto, e su questo tema non sono concesse battute di alcun genere».
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