giovedì 30 dicembre 2010

Il pensiero di Niki Vendola, in pillole

di BEPI MARTELLOTTA
«Nella piazza di Santeramo in Colle c’è un portone antico con un’epigrafe fatta scolpire sulla pietra nel 1919 da Padre Serafino Germinario, fondatore del Partito Popolare. Dice: “Proletari di tutti i paesi unitevi in Cristo”. Le storie e le culture politiche del ‘900 sono tutte nate misurandosi con la questione sociale, con i diritti del lavoratore che doveva uscire dalla solitudine della servitù per entrare nella storia della democrazia moderna. Berlusconi e Marchionne stanno colpendo quella democrazia, stanno cancellando l’art. 1 della Costituzione. E il centrosinistra, anche su questo, ha la capacità di dividersi».


Presidente Nichi Vendola, il 14 dicembre scorso il governo Berlusconi ha superato la prova della fiducia. La sua corsa alla premiership tramite le primarie è stata arrestata?

Il quadro del governo è precario e il centrosinistra ha davanti a sé tutte le strade per incontrare un popolo maggioritario che lo faccia vincere. Ma il centrosinistra deve smetterla di avere paura delle proprie ragioni sociali, del popolo, della piazza. Oggi è il tempo di scelte radicali del cambiamento, il centrosinistra, invece, si sta assumendo la responsabilità pesante di non voler aprire il cantiere dell’alternativa: eravamo già in ritardo prima del 14 dicembre e lo siamo ancora di più ora. Il centrosinistra vive “aspettando Godot”: prima Casini, poi Fini. Incontri ravvicinati del terzo tipo, o del terzo polo, che non sono arrivati e forse non arriveranno mai. Soprattutto, sta rinunciando ad esprimere le sue ragioni. Abbiamo il dovere di riaprire la partita che è dinanzi a noi, invece di agganciarci alla speranza di una caduta di palazzo con il sogno malaticcio di un governo di responsabilità, pensando di pensionare Berlusconi governando con i berluscones. È un teatrino, mentre intere generazioni non hanno più l’ombrello per ripararsi quando piove.

Bersani ha cambiato idea sulle primarie e sta spingendo per l’alleanza e il programma. Come finirà?

Il veto sulle primarie non è così deciso, non mi pare un argomento archiviato nel Pd. Ma non mi usino come specchietto per le allodole, incolpandomi delle loro divisioni interne. Dovevamo cominciare dalla coalizione, ma appena invocato il recinto i convocati si sono esclusi a vicenda; dovevamo cominciare dal programma e abbiamo ormai esperienza del filologo che doveva trovare l’equilibrio lessicale per tenere insieme gli alleati della fantomatica “Unione”. Siamo di fronte ad un passaggio epocale, la chiusura del ciclo berlusconiano: se non siamo in grado di affrontarlo, ad aprile 2011 o nel 2013 poco cambia, siamo morti. Cercare vecchie formule non serve: servono modelli inediti di costruzione della coalizione e del programma e io non conosco nessun altro strumento che non sia quello delle primarie.

Primarie o meno, i sondaggi non danno ragione ai partiti del centrosinistra. O no?

Il Centrodestra e la Lega sono forti proprio per la subalternità culturale della sinistra. Enrico Letta che propone alla Lega un patto per svincolarla da Berlusconi e costruire un governo, fa rabbrividire. Di che parliamo? Molliamo Berlusconi e facciamo governi con Borghezio? Non è il caso di cominciare a parlare di lavoro, di diritti, di famiglie e di povertà, della libertà che il berlusconismo ha distrutto?

Faccia un esempio.

Per me Pomigliano e Mirafiori sono le indicazioni stradali indispensabili per l’uscita dall’autostrada del berlusconismo. Non si può uscire da questo ciclo rimanendo neutrali sul rapporto tra democrazia e lavoro e sul modello Marchionne. Voglio vincere, ma per conto degli operai Fiat, dei precari, della piccola e media impresa, voglio vincere dicendo una parola chiara su questa modernità arcaica e selvaggia di Marchionne, che considera i lavoratori solo carne da macello e col plauso del governo nazionale e la subalternità del centrosinistra si riveste da competitor internazionale.

Non tutti a sinistra, però, la pensano come lei su Marchionne.

Credo che un centrosinistra genuflesso di fronte ad un padrone arrogante non abbia ragione di esistere. È eversivo parlare male di un padrone, che in Italia vuole impostare ciò che il Paese e l’Ue respingono da anni: il modello nordamericano delle relazioni industriali? Fossi anche solo, non derogherò mai sulla regressione del lavoro ai modelli cinesi, con il sindacato messo alle porte perché non è d’accordo con il padrone della fabbrica. Si internazionalizza la Fiat con la Chrysler, ma a quali condizioni? Americanizzare le relazioni industriali in Italia per farla diventare “colonia” degli Usa? E se fossero vivi i ministri Dc come Fanfani o Donat Cattin, a uno come Marchionne lo metterebbero alla porta o si inginocchierebbero come fa Sacconi o lo stesso centrosinistra di oggi?

Parliamo di Sud: anche su questo tema il centrosinistra sembra essersi un po’ spento.

La realtà sta dimostrando con i dati che Tremonti ha torto sul Sud dei cialtroni, sul Sud che non sa spendere e sulla Puglia che rischia come la Grecia. Abbiamo speso per intero e perfino oltre tutte le risorse comunitarie 2007-2013, a dispetto della partita opaca sui conti che ha giocato da baro e del suo rozzo collega di governo dell’Agricoltura. E Tremonti e i ministeri che dimostrazione hanno dato? Le centrali appaltanti a che punto sono con la spesa? Quanto al Sud, con il famigerato Piano stanno mascherando l’opera sistematica di razionamento delle risorse per il Mezzogiorno. E il problema è che lo stesso governo che vuole accentrare a sé le risorse delle Regioni è più incapace di loro nello spenderle.

Il Federalismo, però, è alle porte. La Puglia ce la farà?

In Conferenza delle Regioni ci hanno puntato la pistola alla tempia, abbiamo dovuto dire sì ad un azzardo giocato da bari professionali. Si parte dalla coda (il fisco) invece che dalla testa (gli assetti istituzionali) e in un’epoca di povertà crescente, chiedere al Sud di avere meno risorse con un’autonomia impositiva che si poggia su una base fiscale decisamente più povera del Nord, significa tagliare in due il Paese. Il dramma è che non c’è confronto, tutta la discussione è subalterna al mito leghista e pre-moderno di non mettere le mani nelle tasche degli italiani, dimenticando che senza il fisco sulle spalle, alla parte più debole degli italiani gli togli i pantaloni.

La accusano di occuparsi troppo di politica nazionale e poco di Puglia.

Non ho mai vissuto la mia terra nel recinto del localismo: non la abbandono se vado a ritirare premi a Berlino per l’energia solare che abbiamo costruito qui, nè se vado negli Usa per incontrare governatori e pugliesi all’estero, tra l’altro spendendo appena 6mila euro. È lo stile di questo governo e la smettano di attaccarmi come se fossi il principe chiuso in un castello: con le riduzioni alle indennità di questi anni guadagno 45mila euro l’anno in meno del mio predecessore Fitto.
30 Dicembre 2010
 

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