giovedì 18 novembre 2010

Fare default? Un affare


di Peter Boone
Ai tedeschi piace criticare gli altri governi, compreso quello degli Stati Uniti, per le loro politiche «irresponsabili». Ironicamente, è stata proprio la lingua un po' troppo sciolta dei tedeschi a portare l'Europa sull'orlo di un'altra crisi di debito.
I tedeschi, in risposta alla comprensibile irritazione della loro opinione pubblica contro i salvataggi di banche e paesi indebitati a spese dei contribuenti, stanno ragionevolmente richiedendo l'adozione di meccanismi che permettano una «più ampia divisione del fardello», cioè delle perdite dei creditori. Tuttavia le loro proposte, che implicano bizzarramente che i default possano avvenire solo dopo la seconda metà del 2013, non sono coerenti con tutto ciò che l'economia c'insegna.
I tedeschi dovrebbero ricordarsi l'ultimo episodio di default generalizzato del debito pubblico: l'America Latina degli anni 70. La loro esperienza c'insegna che i paesi smettono di ripagare i propri debiti quando i costi del default sono inferiori ai benefici. Le ultime dichiarazioni tedesche hanno spinto decisamente alcuni paesi europei chiave in tale direzione.
I costi di un default dipendono essenzialmente dal caos generato dall'interruzione dei pagamenti. I vantaggi sono i risparmi sui pagamenti futuri del governo, in particolar modo i pagamenti fatti ai residenti stranieri, che non possono votare. Questo chiaramente dipende in parte dalla quantità totale di debito emesso, dal tasso d'interesse e dalle prospettive di crescita del paese quando questo continui a pagare.
I paesi che si avvicinano al punto in cui un "non posso pagare" si trasforma in un "non pagherò" devono farsi carico d'interessi più alti rispetto a quelli dei governi considerati "sicuri". Questo è giustificato dal fatto che anche un piccolo shock può spingere i decisori politici a preferire il default. Ma questi differenziali sui tassi d'interesse non fanno che aumentare i vantaggi del non-pagamento, cosicché gli shock stessi possono spingere un paese rapidamente verso il default.
Vista in quest'ottica, appare evidente la ragione per cui il meccanismo di ristrutturazione del debito proposto dal governo tedesco non aiuta i paesi più fragili dell'eurozona ad allontanarsi dal default. Mentre la cancelliera Angela Merkel e i suoi colleghi promuovono il loro piano ben congegnato - accompagnato da un piano per fornire finanziamenti durante il default - i costi associati a tale default diminuiscono. Inoltre i vantaggi crescono, dato che le clausole di ristrutturazione richieste per l'emissione del nuovo debito aumentano i tassi d'interesse che devono essere oggi pagati dai paesi più fragili.
Gli agenti che operano nel mercato dei titoli di debito devono adesso naturalmente incominciare a calcolare i "valori di recupero", cioè ciò che i creditori intascherebbero se il paese fallisse oggi. Per esempio, il valore totale del debito greco, includendo i prestiti ponte forniti dall'Fmi, dovrebbe assestarsi nel 2014 intorno al 150% del Prodotto nazionale lordo (Pnl), e la maggior parte di questo debito sarà detenuta da creditori residenti fuori dai confini nazionali. Se un paese non può sostenere un debito superiore all'80% del Pnl allora ci si può attendere che un buon 50% del suo debito presente e futuro venga effettivamente stralciato (portandolo intorno al 75% del suo valore nominale).
Anche per l'Irlanda si prevede che il debito pubblico raggiunga un valore prossimo al 150% di Pnl nel 2014, la maggior parte del quale detenuto da creditori esteri. Ma un default del debito pubblico richiederebbe un salvataggio bancario ancora più costoso che in Grecia, rendendo il debito privato virtualmente privo di valore se le fonti di finanziamento "ufficiali" hanno la priorità. Stralci totali del debito non sono mai avvenuti in passato, ma è difficile immaginare che i creditori privati non siano destinati a soffrire ingenti perdite sul valore presente netto delle loro quote di debito.
Anche il Portogallo, il cui ingente debito è detenuto in gran parte da non-residenti, diventa un candidato al default. In tal caso, inizia ad avere poco senso anche detenere titoli di debito spagnoli, anch'essi detenuti perlopiù da residenti stranieri. Tuttavia, se pure la Spagna rischia seriamente il default, allora la solvenza di tutti i governi dell'eurozona è a rischio - ad eccezione della Germania. Forse l'Italia può scamparsela, dato che la maggior parte del suo debito è detenuto da residenti, il che rende un default meno probabile. Ciò non toglie che la mera dimensione del debito italiano, così come di quello belga, è preoccupante.
Data la vulnerabilità di così tanti paesi dell'eurozona, sembra proprio che la Merkel non comprenda le immediate implicazioni del suo piano. Di fatto, la Ue e la Bce si vedono ora costrette a tornare in soccorso dei paesi più fragili, prevedendo finanche di comprarne tutto il debito in caso di necessità. Se così non fosse, una corsa agli sportelli creerebbe problemi d'insolvenza a tutti i maggiori debitori dell'eurozona.
Azioni decise sono necessarie per impedire ai mercati europei del debito di prosciugarsi. Il presidente della Bce Jean-Claude Trichet ha ripetutamente sostenuto che gli attuali interventi della Bce non sono influenzati dai tassi d'interesse. La Bce dovrebbe quindi decidere quali paesi sono intrinsecamente solventi e quindi proteggerli da un prosciugamento della liquidità con dei nuovi interventi, ancora più coraggiosi, che invece prendano in considerazione i tassi d'interesse.
Probabilmente la Bce sarà costretta ad avvicinarsi al livello di alleggerimento quantitativo raggiunto dagli Usa, che ammonta a circa un miliardo di dollari l'anno, devolvendone la gran parte il prima possibile. L'euro probabilmente s'indebolirà e Trichet mancherà il tasso d'inflazione fissato come obiettivo. Ma la Germania ne beneficerà significativamente. A quel punto gli europei dovranno completare il loro cordone sanitario monetario e ristrutturare in maniera ordinata il debito di tutti i paesi i cui oneri da indebitamento sono troppo grandi per essere credibilmente ristrutturati attraverso il nuovo regime voluto dalla Merkel.
18 novembre 2010
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