giovedì 18 novembre 2010

Federalismo più ombre che luci


di GIANFRANCO VIESTI
Il percorso di attuazione del federalismo fiscale è divenuto uno dei temi più importanti dell’attualità politica, anche se l’effettiva informazione su quello che sta succedendo è molto modesta. Sia per la natura tecnica molto complessa dell’argomento, sia perché sovrastata dalle mille notizie sull’attualità politica. La legge 42 approvata l’anno scorso è estremamente complessa e per taluni aspetti contraddittoria. Ha 32 principi generali ispiratori e può essere attuata in maniera molto diversa. Il processo attuativo, attraverso i decreti che il Governo sta emanando e dovrebbe emanare, è dunque assolutamente decisivo per comprendere l’effetto che questo provvedimento potrà avere.

Purtroppo la relazione concernente il quadro generale di finanziamento degli enti territoriali presentata dal ministro Tremonti il 30 giugno scorso, che avrebbe dovuto rappresentare uno strumento conoscitivo propedeutico ad un’approfondita e consapevole discussione pubblica, e che in particolare avrebbe dovuto – secondo quanto previsto della legge 42 – definire “ipotesi quantitative” e “possibili ipotesi di distribuzione delle risorse” è stata profondamente deludente. Si è trattato non di un documento informativo, ma di un testo fortemente ideologico, apodittico, ricco di polemica politica di basso profilo (viene tra l’altro ripresa, con cifre sommarie e imprecise, la polemica sulla “cialtroneria” per la spesa dei fondi per il Sud). Il documento non fa tra l’altro alcun riferimento ai livelli essenziali delle prestazioni (LEP) che devono essere garantiti su tutto il territorio nazionale, né al percorso che dalla definizione dei LEP e dei costi standard deve portare a precise ipotesi di finanziamento di regioni ed enti locali.
Si sta da allora procedendo con tasselli di un puzzle di cui però non è nota la configurazione finale. Il quadro d’insieme si compone di molteplici atti attuativi: ma la scelta della sequenza, e delle priorità, può condizionare significativamente il risultato finale. Ad oggi sono ad un diverso stadio di definizione decreti relativi al federalismo demaniale, allo statuto di Roma, al finanziamento delle funzioni dei comuni, alla definizione dei costi standard e del finanziamento della sanità. Non vi è al momento traccia, né è nota la linea ispiratrice, di altri fondamentali elementi: dalla definizione dei livelli essenziali delle prestazioni nel campo dell’istruzione e dell’assistenza ai meccanismi di perequazione infrastrutturale, alle modalità e ai livelli di finanziamento e perequazione delle funzioni “non essenziali” di comuni, province e regioni.

Vi sono problemi anche nella “governance” del processo. La legge 42 assegna in materia di costi e fabbisogni standard un ruolo importante alla Commissione permanente per il coordinamento della finanza pubblica; ma la Commissione non viene istituita. Si è presentato il rischio, in parte superato dai lavori della Commissione Parlamentare, che il pezzo più importante dell’attuazione che riguarda il finanziamento dei comuni – cioè la definizione precisa dei numeri – fosse adottato con un semplice decreto del Presidente del Consiglio, senza discussione parlamentare.

Tre le principali criticità nei decreti attuativi finora presentati. La prima riguarda il finanziamento dei comuni: i criteri di ripartizione del fondo perequativo non sono specificati. Si rischia, a giudizio di autorevoli esperti, di indebolire il principio del pieno finanziamento delle funzioni fondamentali dei comuni, e comunque di non assicurare certezza di risorse. La seconda riguarda la sanità: il criterio riguarda solo il riparto di un fabbisogno totale nazionale dato (così com’è oggi), per il quale al momento ha un ruolo del tutto prevalente la struttura per età della popolazione, mentre non è chiaro se e quanto possano pesare altri indicatori (come l’”indice di deprivazione”, che collega la spesa sanitaria al livello di difficoltà socio-economica dei cittadini). La terza riguarda il meccanismo attraverso cui si definisce il “fabbisogno Standard”, cioè la cifra destinata a regioni ed enti locali per far fronte di volta in volta alle funzioni di cui sono responsabili; nel caso della sanità – come appena detto – si parte da una cifra nazionale e il problema è solo come ripartirla; nel caso dei comuni il meccanismo sembra opposto: partire dalle prestazioni, definirne il costo, e poi stabilire di conseguenza il fabbisogno complessivo.

In generale, tutta l’attenzione finora è concentrata solo su due aspetti: la riduzione della spesa totale; i meccanismi ridistribuitivi. Scarsa, se non nulla, è invece l’attenzione su due aspetti altrettanto importanti: i meccanismi attraverso i quali si potrà progressivamente aumentare l’efficienza di regioni ed enti locali, consentendo loro di mantenere – o di aumentare – quantità e qualità dei servizi offerti con risorse decrescenti; i meccanismi che legano la dotazione di infrastrutture alla possibilità di fornire servizi adeguati ad un costo standard nazionale.
18 Novembre 2010
Fonte:
http://www.lagazzettadelmezzogiorno.it/notizia.php?IDNotizia=383442

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