giovedì 18 novembre 2010

Ci fregano la dieta mediterranea


Patrimonio dell'umanità. L'Unesco la riconosce ma non l'attesta all'Italia, colpa dei padani?
di Anna Meldolesi
Evviva, l’Unesco ha riconosciuto la dieta mediterranea come patrimonio culturale dell’umanità. Il ministero dell’agricoltura esprime, comprensibilmente, soddisfazione. Coldiretti organizza una spaghettata al Campidoglio. L’orgoglio nazional-gastronomico si impenna. Evviva. L’operazione Unesco ha sempre raccolto un sostegno politico trasversale, con qualche marginale mugugno in casa leghista. La dieta padana non ha nulla da invidiare a quella mediterranea, «è altrettanto buona e salutare», aveva precisato tempo fa il sottosegretaraio Francesca Martini. L’allora ministro Luca Zaia, invece, aveva abbracciato la causa proponendo un rebranding per non escludere il nord: «Chiamiamola dieta italiana». Ma poi la dieta è rimasta mediterranea. E il colmo è che adesso rischia di essere ricordata come spagnola.
Se si va a consultare l’elenco delle 46 new entry nella lista dei beni intangibili da tutelare sul sito dell’Unesco, si trovano tutti i paesi che hanno ottenuto un riconoscimento al meeting di Nairobi, riportati in ordine rigorosamente alfabetico. Alla lettera “i” spopola l’Iran, con cinque patrimoni immateriali nuovi di zecca fra tessitura dei tappeti e arti marziali, manifestazioni musicali e di arte drammatica. Evidentemente fra un carico di uranio e un’esecuzione capitale Ahmadinejad trova il tempo di fare efficacemente lobbying. Ci sono anche India e Indonesia. E l’Italia? Nada. La dieta mediterranea, da noi candidata insieme a Grecia, Marocco e Spagna, è stata archiviata sotto la “esse” di Spagna, probabilmente per comodità, perché Madrid si aggiudica anche altre tre menzioni nuove di zecca (cori religiosi, flamenco e torri umane). Qualcuno, comunque, dovrebbe protestare con l’anonimo compilatore che, alfabeto alla mano, al massimo avrebbe dovuto incasellare la nostra dieta sotto la “gi” di Grecia. In confronto la gastronomia francese ottiene più visibilità, come la cucina messicana, visto che entrambi i paesi hanno giocato da soli.
Ma pazienza, il valore del made in Italy non si misura da un comunicato dell’Unesco. Anche perché di questo passo non ci vorrà molto prima che il Giappone veda premiata la sua salutare cultura del pesce, l’Argentina candidi le bistecche della pampa e via continuando. Una volta messo in moto il meccanismo chi lo ferma più?
Anche l’Italia ci vuole riprovare e ha annunciato la prossima candidatura dell’arte della pizza napoletana e della coltivazione ad alberello dello Zibibbo di Pantelleria. Noi facciamo il tifo. Ricordiamo anche che il nostro paese in passato è già riuscito a ottenere l’ambito bollino dell’agenzia Onu per i pupi siciliani e per il canto a tenore sardo. C’è una coincidenza da registrare: Sud e isole stanno facendo incetta di riconoscimenti per i beni immateriali. Sicuramente è una conseguenza della straordinaria ricchezza culturale di questa parte del paese. Ma forse è anche il segno che il Nord sarà pure orgoglioso della polenta e delle tradizioni montanare, ma insegue con maggior determinazione altri, più tangibili, obiettivi.
mercoledì, 17 novembre 2010

Commento, di grecanico.
Esimia Sig.ra Meldolesi, lei non e’ una cretina, e’ una furbetta. Non sapeva come chiudere il pezzo evitando di dover riconoscere quello che e’ chiaro a chi ha frequentato le scuole medie inferiori, e si e’ inventata una chiusura degna di un Direttore di Testa del nord: polenta, montanari, determinazione, altri, piu’, tangibili, obiettivi. Magnifico. Continui cosi’, la faranno Direttrice. Ma faccia una cortesia, si occupi delle cose che sono al suo livello, lasci perdere quelli troppo alti, per Lei.
 
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