venerdì 5 novembre 2010

Il tricolore del Nord il tricolore del Sud


di Lino Patruno
05 Novembre 2010
Facciamoci caso. Appena il Sud alza la voce, qualcuno si indigna perché si comprometterebbe il <senso di identità nazionale>. Insomma il Sud non più muto minaccerebbe l’Unità d’Italia proprio mentre se ne celebrano i 150 anni. Strano che nessuno si sia inalberato quando dritto dritto di secessione parlava la Lega Nord. Anzi, per dimostrare la parità di trattamento, la si è fatta accomodare con tutti gli onori al governo. E strano che si sia gridato allo scandalo per un tricolore bruciato a Terzigno nella rivolta della monnezza, mentre è solo folklore il tricolore vilipeso ogni minuto da Bossi e compagni.
Il Sud che parla non va ascoltato, ma messo sùbito a tacere come neoborbonico, nostalgico di quell’innominabile Regno del Male. E il Sud che parla non vorrebbe migliorare il suo futuro, ma tornare al suo infame passato. Così qualsiasi libro di storia diversa da quella finora raccontata non è storia ma delirio, come se qualcuno avesse il monopolio della storia. Con la classica domanda: ma a che serve? Se non ad aprire gli occhi sulla storia, dovrebbe servire a capire ciò che bolle nel ventre del Sud. Capire prima di dire, zitto tu che sei sporco e cattivo. Capire prima di accusare il Sud di minacciare un’Unità dalla quale è fuori.
Epoi, squilibri fra aree ci sono in tutta Europa, altrimenti non ci sarebbero gli interventi per eliminarli. Ma non risulta che altrove gli abitanti meno ricchi siano considerati esseri inferiori cui non concedere nemmeno la parola. La Germania, per dire, sempre sbattuta in faccia al Sud, imparate da loro. Per portare l’Est riunificato al livello dell’Ovest ha speso cinque volte quanto speso dalla Cassa per il Mezzogiorno: cinque volte. Ma dopo vent’anni le differenze di reddito sono più o meno pari alle nostre. Eppure i territori dell’Est sono considerati i più colti e chic del Paese. E se finora la parità non è stata raggiunta, nessuno si è sognato di dire che dipende dalle persone e non dalle politiche adottate.
Ora il ministro Tremonti, che non va a cena con i neoborbonici, dice che per il Nord e il Sud non ci può essere la stessa ricetta economica. Il Nord deve competere con l’Europa e il mondo, il Sud deve competere per avvicinare il Nord. Purtroppo 150 anni dimostrano che i piani <speciali> per il Sud sono sempre stati forme tardive (e inefficaci) di riparazione per tacitare la coscienza: se i buoi sono usciti dalla stalla, inutile riparare la porta. Non andavano fatte politiche nazionali che danneggiassero il Sud, questa la verità. E dall’Unità in poi è sempre andata così, come ammettono ora anche molti storici con la puzza al naso. Un esempio a caso, la <svalutazione competitiva> della lira: se ne teneva giù il valore per favorire le esportazioni a basso prezzo. Una manna per gli industriali del Nord, una iattura per la gente del Sud che con quella lira svalutata si impoveriva.
Il problema è trovare il punto di svolta per il Sud. E’ innescare la scintilla della ripartenza, come se fosse il Bari di Ventura. Ricordando sempre come sia imbarazzante rispondere a chi obietta a modo suo sconcertato: ma state ancora lì, nonostante tutti i soldi che vi abbiamo dato? Tutti gli Istat, le Svimez, le relazioni storiche dello stesso ministero di Tremonti dimostrano che questi soldi non sono mai stati in aggiunta al normale. E che, di riffa o di raffa, al Nord ne è stato dirottato il grosso. Gli hanno creato un mercato comodo, protetto, garantito per i suoi prodotti. E hanno addomesticato il consenso politico per continuare così. Ma vai a scalfire il pregiudizio. Mezzo Paese non sopporta l’altro mezzo, altro che <senso di identità nazionale>. Ma dovrebbe essere il Sud a cominciare a dire cosa gli serve. Cominciare a dire che non vuole più uno statalismo senza Stato come finora: vi mando i soldi (un inganno) ma non vi faccio le strade, non vi do i treni puliti e veloci, non vi combatto la criminalità, non vi alleggerisco la burocrazia, non vi commissario i sindaci che trascurano la raccolta differenziata dei rifiuti. Basta che consumiate. Lo statalismo senza Stato è la peggiore istigazione per la cattiva amministrazione al Sud.
Ora pare che l’ennesimo <Piano per il Sud> preveda le grandi opere: ma sono le stesse attese da una vita. Con pochi progetti ma ponderosi e interregionali. Va bene. Ricordando, per dovere igienico, che la Salerno-Reggio Calabria è ancora lì perché, chiuso un cantiere, mancano sempre i fondi per l’altro. E ricordando che la prima scintilla può venire dalla detassazione degli investimenti al Sud, sempre sventolata ma mai contrattata seriamente a Bruxelles. Ma se anche questo santo e questa festa passeranno, resteranno gli indici puntati sulla vergogna del Sud. Dimenticando che senza Sud non cresce l’Italia. E che allora davvero il federalismo trionferà: ciascuno si tiene il suo, tranne voti e consumi del Sud. Alla faccia dell’Italia unita.
Fonte:

Il Governatore Draghi non e’ un pinocchio



Draghi: “(…) La crescita del prodotto per abitante in Italia si va riducendo da tre decenni: siamo passati da un aumento annuo del 3,4 per cento negli anni Settanta, a uno del 2,5 negli anni Ottanta, dell’1,4 negli anni Novanta, alla stasi dell’ultimo decennio. Talvolta, viene notato come questi andamenti siano medie di un Nord allineato al resto d’Europa e di un Centro-Sud in ritardo. Ma così non è. Anche se le carenze di social capability sono più marcate nel Mezzogiorno, e contribuiscono a spiegare i divari nei livelli di sviluppo civile ed economico, la stagnazione della produttività nel decennio precedente la crisi è stata uniformemente diffusa sul territorio. È un problema del Paese.”

Fonte: Lezione Magistrale del Governatore della Banca d’Italia Mario Draghi, Ancona, 5 novembre 2010, Convegno in ricordo di Giorgio Fua’ “Sviluppo economico e benessere”.

Intervista a Jean Noel Schifano, di Pietro Treccagnoli.


3 novembre 2010. È appena uscito dallo studio di registrazione di France Culture, dove s’è parlato dell’Italia e della monnezza e lui, Jean-Noel Schifano, s’è fatto in quattro per spiegare che Napoli non va lasciata sola, che va amata. Lo scrittore francese ha scritto numerosi libri su Napoli, ama firmarsi Civis Neapolitanus e al Sud ha dedicato anche l’ultima sua opera, «Le vent noir ne voit pa où il va») uscita in Francia il 5 maggio («L’anniversario della partenza dei Mille, una sciagura nazionale»). SCHIFANO vorrebbe pure provarci a mettere tra parentesi la tragedia dei rifiuti napoletani, ma non ci riesce è più forte di lui. E la curiosità nella sua Parigi è sempre alta. E gli tocca sfogarsi, con l’irruenza che gli è abituale. «Quando il sangue dei napoletani scorre sul Vesuvio, la situazione è allarmante» esordisce amaro. Be’, adesso scorre anche più a Nord, a Giugliano... «Lo so, lo so. Quello che hanno fatto nelle campagne tra Caserta, Castelvolturno e Napoli, è il Ground Zero della storia contemporanea dell’Italia, che ormai possiamo ribattezzare come il Brutto Paese». Che impressione le fanno i cumuli di monnezza che stanno imbrattando di nuovo la «sua» Napoli? «Una grande dolore. Ma trovo ancora peggiore la frase di Bertolaso per il quale ”l’eruzione del Vesuvio non sarebbe una tragedia”. Ha mostrato il disprezzo del bravo leghista e la suprema inciviltà del capo della Protezione civile. Vogliono neronizzare Napoli e tutta la Campania con la monnezza. Odiano Napoli per la sua trimillenaria intelligenza, per la sua civiltà. Così la sfruttano, come l’hanno sfruttata in questi 150 anni di Unità». È diventato, per caso, un leghista del Sud? «Per niente. La Lega è razzista. I napoletani, invece, sono stati gli unici nel mondo cattolico a rifiutare l’Inquisizione e non hanno mai costruito ghetti per gli ebrei. E ora non ne possono più. È come se fosse resuscitato il generale Bixio e volesse bruciare vivi i nuovi briganti, contadini, operai, studenti, professionisti e artigiani del ventunesimo secolo. Ma Napoli, la sua terra e il suo vulcano, tormentati, violentati e straziati, resisteranno con tutte le forze. Questa gente è ancora lì, al potere, perché Napoli e il Sud non hanno ancora trovato il tempo di civilizzare il Nord dell’Italia». Lei ama giocare con i paradossi. «Possiamo anche chiamarli paradossi, ma non è così». Sogni, magari speranze. «Io ragiono sulla Storia, fuori dagli schemi imposti dagli altri. E dico che tutti i mali di Napoli nascono a Roma. In un secolo e mezzo hanno fatto di tutto per trasformare la grande capitale che nei secoli è stata Napoli in una città-bonsai, privandola di banche, ferrovie, cantieri navali e opere d’arte. L’hanno trasformata in una città assistita da tenere al guinzaglio. E ora gli lasciano la monnezza, dopo che gli hanno portato per decenni i rifiuti tossici delle fabbriche del Nord». Ma, in tutto questo caos, i napoletani non hanno nessuna responsabilità? «I napoletani oggi sono più vittime che mai. E meno male che hanno cominciato a ribellarsi. Non ne possono più e anche chi, come me, ora ama Napoli non ne può più». Cosa pensano i francesi di questa nuova tragedia dei rifiuti? «Non capiscono niente. Vedono solo il lato burattinesco di Berlusconi. E si sono convinti che l’Italia sia un paese poco serio». E magari non verranno più a Napoli. «Verranno, verranno ancora. I voli Parigi-Napoli sono sempre pieni. Per i francesi la bellezza di Napoli sono i napoletani e non il suo paesaggio». Magari vengono a scattare foto dei cumuli di monnezza. Un turismo in cerca dell’oleografia nera. «Non è così. I francesi sono troppo tirchi per buttare soldi per andare a visitare luoghi brutti. Avete un patrimonio culturale e umano invidiato in tutto il mondo» Ma non è, come al solito, troppo benevolo. «Dovete smetterla di ingiuriarvi da soli». Rivolga un appello ai napoletani, allora. «Siate ancora più napoletani di quanto siate mai stati. È l’unico modo per vincere una partita che gli altri stanno giocando con carte truccate. Siate napoletani e non fatevi sommergere dalle menzogne che sono peggiori della monnezza. Napoli si salverà dall’Italia solo ridendo dei bunga-bunghisti».
Articolo non rintracciabile, o rimosso, dal sito del Mattino di Napoli.