Energia del Mezzogiorno



Basilicata. Opporsi alle nuove ricerche petrolifere della Total
[di Ola (Organizzazione lucana ambientalista)]
La Ola (Organizzazione lucana ambientalista) denuncia, ancora una volta, come per le compagnie petrolifere l’intera Basilicata sia diventata una colonia energetica nella quale sono a rischio l’integrità del territorio, le fragili falde idriche ed i parchi naturali, ma anche il futuro delle comunità. Tutto questo accade grazie alla “benevolenza” interessata dei sostenitori del “Memorandum” e degli interessi privati dei petrolieri. Analogamente a quanto già richiesto ai sindaci per i permessi di ricerca Eni “San Fele”, “Monte Li Foi”, “Muro Lucano”, “Frusci” e “La Cerasa”, “Monte Cavallo” e “Pignola” (Shell) la Ola chiede ai Comuni facenti parte dei nuovi permessi della Total “Tempa La Petrosa” e “Oliveto Lucano” di produrre le proprie osservazioni ai progetti depositati per il parere VIA, presso l’ufficio compatibilità ambientale del Dipartimento Ambiente della Regione Basilicata entro 45 giorni, ovvero entro il termine dell’1 aprile 2012, tenendosi successivamente pronti a ricorrere contro “colpi di mano” degli Uffici della Regione Basilicata, che potrebbero escludere i loro pareri contrari con lo stesso stratagemma (esclusione procedura VIA), già utilizzato per il permesso Eni “Frusci”.
In questi giorni i Comuni lucani e calabresi hanno ricevuto i relativi progetti per il rilascio dei pareri amministrativi. Nel preannunciare le proprie osservazioni, la Ola invita i Comuni, i cittadini e associazioni a presentare le osservazioni in base alla procedura VIA in base alla L.R. 47/98 ai due nuovi permessi di ricerca della Total che prevedono rilievi sismici anche in aree protette nazionali (parco nazionale del Pollino e Val d’Agri) e regionali (parco regionale Gallipoli Cognato Piccole Dolomiti Lucane), in aree boscate e di interesse paesistico–ambientale e lambendo i confini di due eco-sistemi importanti del Metapontino, la Riserva speciale del Geosito dei Calanchi e Bosco Pantano di Policoro. Un territorio ricco di sorgenti ed attività prevalenti di tipo agricolo e zootecnico. Già in passato – ribadisce la nostra Organizzazione – la Regione Basilicata tentò di derogare i vincoli imposti dalla Legge Regionale 47/1997 che vietano le attività petrolifere nei parchi, attraverso la modifica con L.R. n.4/2010 della Legge Regionale n.28/94, quest’ultima prontamente impugnata dal Governo per il fatto di derogare la legge nazionale in materia di aree protette.
La Ola, pertanto, chiede al neo assessore regionale all’Ambiente, Vilma Mazzocco, di negare nuove autorizzazioni e/o intese a compagnie petrolifere interessate ad effettuare ricerche petrolifere sul territorio lucano e trivellare anche nei parchi nazionali e nell’area del parco Regionale Gallipoli Cognato Piccole Dolomiti Lucane, auspicando la moratoria petrolifera per nuove attività di ricerca ed estrazione.
Il territorio interessato dai due permessi della Total pari a centinaia di chilometri quadrati, comprende i Comuni di Montalbano Jonico, Nova Siri, Rotondella, San Giorgio Lucano, Sant’Arcangelo, Senise, Tursi e Valsinni ed i comuni calabresi di Canna, Montegiordano, Nocara, Oriolo, Rocca Imperiale (permesso Tempa La Petrosa) ed ancora per il permesso Total “Oliveto Lucano” l’intera area del parco regionale ed i comuni di Accettura, Albano di Lucania, Calciano, Campomaggiore, Castelmezzano, Cirigliano, Garaguso, Oliveto Lucano, Pietrapertosa, San Mauro Forte, Stigliano e Tricarico.


Noi lucani e il  petrolio. Siamo un popolo di imbecilli?
31/01/2012
 di SERGIO MAURO
(segue asterisco di grecanico)
Sul quotidiano Il Giornale di martedì 17 gennaio scorso, nella rubrica il caso, il giornalista Nino Materi titolava il suo articolo in questo modo: “Così lo Stato regala ai petrolieri l'oro nero lucano”. Sintetizzando, il giornalista sostiene che il petrolio lucano ripianerebbe in gran parte il nostro debito pubblico. Faccio presente che per nostro debito pubblico Materi non fa mica riferimento al debito pubblico lucano ma bensì - udite udite - al debito pubblico italiano. Lo ripeto, per chi è duro di comprensorio, con il petrolio lucano si ripiana il debito pubblico italiano. Ora due sono le possibilità: o Materi è un folle, che non sa quello che scrive, o Materi dice solo e semplicemente la verità. Bene io propendo per la seconda possibilità e a tal proposito voglio sciorinare alcuni dati presenti nell'articolo: “In Basilicata ci sono i giacimenti petroliferi più grandi d'Europa su terraferma e attualmente circa il 90% del territorio della regione Basilicata ·interessato da perforazioni, da permessi di ricerca, di coltivazione e da istanze di permessi di ricerca delle compagnie petrolifere. Da 15 anni, nella Val d'Agri e nella Val Camastra, si estraggono 80 mila barili al giorno in cambio delle royalties più basse al mondo”. L'articolo, del pur bravo Nino Materi, prosegue confermando quanto da me già conosciuto, che la Basilicata riceve per il suo petrolio, che è pari all'80% della produzione nazionale di greggio e al 6% del fabbisogno energetico italiano, una misera aliquota del 7% sul valore dei barili prodotti: un'inezia, considerato ad esempio che Libia e Indonesia incassano l'85%, Russia e Norvegia l'80%, Alaska 60%, Canada 50%, Kazakistan e Nigeria 45%”. Orbene a tal proposito è opportuno fare alcune importanti precisazioni. La prima è che di questo 7% di royalties, che rappresentano una miseria, come spero abbiate ben compreso ma ne dubito, lo stato si fotte il 30% ed il resto va alla Basilicata e ai suoi comuni nella misura del 55% e del 15%. Come spiega bene il giornalista Materi la colpa, per questa elemosina, non è mica delle compagnie petrolifere ma della disonestà di tutti i politici di centrosinistra e di centrodestra che, da professionisti del settore, hanno chiesto il 7% ed hanno avuto il 7%. Mi auguro che un giorno la Magistratura, su queste combine faccia luce in maniera seria e approfondita. La seconda precisazione, quella più importante, è che con il petrolio lucano lo Stato italiano si è notevolmente arricchito, senza riconoscere un bel niente a noi lucani. Il vero affare del petrolio lucano, è sfuggito questo aspetto al bravo Materi, non sono le royalties, che rappresentano, in termini di guadagno, una parte molto piccola della torta dell'oro nero lucano. Questa percentuale del 7% viene calcolata sul valore dei barili estratti e non sul valore della benzina venduta nei distributori, ma sono le accise che lo Stato italiano incassa per ogni litro di benzina venduta alla pompa. Come noto la percentuale di accise o tasse che lo Stato prende su un litro di benzina è pari a circa il 70% del prezzo di vendita ergo se calcoliamo che oggi un litro di benzina costa mediamente ? 1.75, lo Stato incassa, senza colpo ferire, ? 1.22 per ogni litro venduto alla pompa. Se dalla nostra amata Lucania si estraggono 104.000 barili al giorno di petrolio grezzo, che corrispondono a circa 16.640.000 di litri trasformati in benzina e gasolio, moltiplicando 16,5 milioni di litri per ? 1,22 per 365 giorni, lo Stato italiano incassa circa 7,5 miliardi di euro all'anno. A regime in Lucania si arriverà ad estrarre oltre 200.000 barili al giorno il che significa quasi 15 miliardi di euro all'anno di accise dal petrolio lucano. Ma è mai possibile che l'oro nero lucano attiri le attenzioni di giornalisti del Nord Italia che vedono nel nostro petrolio la panacea per l'economia italiana, mentre nessuno, dalle parti nostre si ribella a questo stato di cose? Non parlo dei disonesti politici regionali che sono tutti protesi a non alterare lo status quo, ma parlo dei lucani, del popolo lucano che vede giorno per giorno la propria terra depauperarsi, che vede, giorno per giorno, emigrare i propri figli alla ricerca di un futuro migliore. Se quei 7,5 miliardi di euro di accise sul petrolio fossero lucani, la nostra regione cambierebbe volto. La Lucania potrebbe diventare la Dubai d'Italia. Non voglio credere e non voglio pensare che noi Lucani siamo un popolo di imbecilli. Non voglio. Caput imperare, non pedes.
astrerisco
c’e’ dell’altro. Che sfugge. Da un barile di petrolio derivano circa 2.000 prodotti diversi. Alcuni in produzione alternativa tra loro; e’ un po’ come il latte, tanto per dare un’idea. Se fai i burro e la ricotta non puoi fare alcuni tipi di formaggio, mentre se fai solo la ricotta, o solo il burro, la gamma di alternative e’ diversa. Insomma la gamma si restringe o si allarga in base alle scelte che fa la filiera petrolifera. Comunque resta il concetto oggettivo: dopo il bitume c’e’ la benzina, poi c’e’ la nafta, e via cosi’, sino alla plastica ed i medicinali, i tessuti e via con quello ch’e’ sotto gli occhi di tutti ma che nessuno vede. Insomma, anche la card che distribuiscono in Basilicata per la miseria dei cento euro di sconto benzina e’ fatta col petrolio, forse proprio quello lucano. E’ facile arricchirsi col barile buono, a basso costo d’estrazione e nessun problema sociologico con i nativi. Certo, dipende anche dalla qualita’ del petrolio, che pero’ - nel nostro caso - pare sia di ottima qualita’.
Quindi, pagare piu’ o meno accisa sul barile in funzione del concetto di greggio, e’ una turlupinatura, se non vogliamo definirlo per quello che e’: un contratto imposto da una parte, perfettamente cosciente, ed accettato dall’altra, incosciente. Insomma un contratto leonino.
Ma non e’ neanche questo il peggio. Le dimensioni del petrolio lucano sono tali da rendere fattibile un sogno da favola: benessere sociale e sviluppo sostenibile ed ecologico per tutto il Mezzogiorno. Per tutti. E’ proprio cosi’: niente nucleare, energia solare, auto elettriche, pannelli solari, scuole ed ospedali triplicati, pesca ed agricoltura di qualita’. Universita’ e ricerca scientifica. Il tutto finanziabile col petrolio lucano. Senza contare che gia’ altri potenziali siti sono stati individuati in Puglia e Sicilia.
grecanico
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L'oro nero brilla lontano da Potenza
dal nostro inviato Roberto Galullo
Gianni Rosa, combattivo consigliere regionale del Pdl, si attacca al cellulare per l'ennesima volta negli ultimi mesi per avere i dati aggiornati sulle royalty del petrolio che in Val d'Agri zampilla da anni abbondantemente al di sotto delle possibilità che il ricco sottosuolo offre.
 Solo che questa volta lo fa davanti al Sole 24 Ore nella stanza riunioni del suo gruppo consiliare, situato all'interno di una grande struttura che ospita il consiglio regionale dove tutto sembra galleggiare per gli enormi (e largamente sottoutilizzati) spazi a disposizione.
 «Vede, vedete - si rivolge prima al cronista e poi più volte ai suoi collaboratori – questa è la prova provata di quale difficoltà abbia l'opposizione ma prima ancora i lucani ad avere informazioni sulle entrate e sulle spese di questa Regione. Tutto è tenuto segreto».
 Dopo numerosi tentativi, Rosa riesce a ottenere i dati ma l'indignazione, anziché placarsi, aumenta. «Legga, legga qui». Sul documento, accompagnato da una nota del Gabinetto del Presidente, si legge che si tratta della risposta fornita il 1° luglio alla Corte dei conti, che chiedeva notizie, perfino lei, «sull'utilizzo delle risorse generate dall'estrazione petrolifera in Basilicata». «Da luglio è pronta la risposta – si scalda Rosa – e al consiglio, anzi, solo a me, arriva ora, quando al posto del sole sta per arrivare la neve».
 Magra consolazione scoprire che a fine 2010 le royalty incassate dalla Regione a partire dal 2000, ammontavano a 557,5 milioni di cui 467,3 impegnati per il 55% sugli investimenti previsti in Val d'Agri e 163,4 autorizzati per interventi nel settore della forestazione, della riduzione del costo dell'energia, del sostegno al reddito, per parte del cofinanziamento regionale dei programmi comunitari e per l'Università. Meglio non aprire il capitolo dei finanziamenti dell'ateneo – 10 milioni all'anno per dieci anni – perché perfino un politico moderato e misurato come Ernesto Navazio, ex sindaco di Melfi e consigliere di Io amo la Lucania, dichiara che «l'Università dovrebbe rappresentare il luogo della formazione ma molti giovani non la frequentano e vanno fuori regione». Basta vedere la frequenza delle corse dei bus privati tra Potenza e Napoli, pieni di giovani a ogni ora, per rendersene conto. Allora ha senso tenerla in piedi?
Navazio respira a fondo e dice: «la resa in termini di ricerca è zero. Non sono stati impegnati 90,2 milioni mentre, infine, 48 milioni sono andati per le politiche sociali e il parziale ripiano dei disavanzi in sanità». Strano davvero quest'ultimo passaggio visto che – al contrario di quanto giura l'opposizione – il governatore Vito De Filippo (Pd), nella sua mega stanza, posta in una mega struttura che ospita la Giunta, afferma «che la Basilicata è l'unica regione a non aver mai avuto disavanzi sanitari». Del resto, come è giusto che sia, De Filippo racconta come tutto sia faraonico in Basilicata, forse per tenere fede ai primati di una piccola regione che ha saputo ritagliarsi uno spazio di ammirazione anche in Europa. «Abbiamo la migliore performance di spesa dei fondi europei da sempre», ripete De Filippo come un disco incantato, visibilmente annoiato dalle domande e noncurante delle accuse di scarsa trasparenza che l'opposizione, targata Pdl e Io amo la Lucania, riversano quotidianamente sul suo tavolo.
A partire proprio dalle royalty del petrolio che, per un meccanismo disciplinato tra Stato e compagnie petrolifere, sono del 6% alla Regione, dell'1% a favore dei Comuni e del 3% riservato al fondo unico nazionale per il bonus benzina. Fatti due calcoli ai Comuni sono andate briciole mentre, secondo un calcolo della stessa Regione, l'Eni avrebbe finora incassato 8 miliardi. Ma il più felice sembra essere lo Stato che tra accise e Iva nel 2010 ha incassato 1,6 miliardi e che, se la produzione di Eni e Total arrivasse nei prossimi anni complessivamente a 175 milioni di barili al giorno contro gli attuali 88, vedrebbe lievitare l'incasso a 3,5 miliardi.
 La Regione, dunque, incamera poco dall'estrazione di oro nero e gas (136 milioni per il 2012 su un bilancio di previsione di 3,6 miliardi) e su questo concorda anche il governatore che da tempo chiede una trattativa che riparta da zero anche alla luce della scarse ricadute occupazionali. Il paragone è facile visto che la Fiat, a Melfi, tra diretto e indotto, ha prodotto circa 7mila posti di lavoro. Pochissimo incamerano i Comuni che anziché scagliarsi contro compagnie e Stato, sembrano prendersela ancora con la Regione. Antonio Romano, vicesindaco di Tito, non le manda a dire. «Parla, parla, parla - riferendosi a De Filippo senza però nominarlo mai – ma dove sono le strade, dove sono le grandi opere che grazie alle royalty regionali da trasformare in investimenti infrastrutturali dovrebbero togliere la Basilicata dall'isolamento?». De Filippo, anche questa volta, fa spallucce e rimanda «alle centinaia di report che abbiamo elaborato sulla spesa delle royalty». L'ultimo è di aprile 2011 ma se si chiede a un altro politico, Donato Ramunno, consigliere a Rionero, di parlare del report l'effetto è peggiore. «Lì troverà la conferma che dal petrolio non arriva nulla e la spesa si disperde in mille rivoli».
 L'ambiente è sempre al centro delle spese della Regione e dei suoi conti. Se dall'oro nero si passa all'oro verde, vale a dire la natura che qui offre mari su due lati e monti con il Parco del Pollino, la musica non cambia: è una continua rincorsa per conoscere la spesa e i suoi effetti. La rincorsa passa attraverso indagini della magistratura ma anche questo sembra non interessare il governatore De Filippo. «Non so cosa risponderle», taglia corto ma poi aggiunge: «Le suggerirei comunque di attendere la fine delle indagini».
 Sarà così ma intanto l'Arpab, l'Agenzia per l'ambiente, è in piena bufera e si susseguono le interrogazioni consiliari per sapere come vengono spesi i 9,4 milioni all'anno che la Regione versa nelle casse di questo ente strumentale. Non che manchino i rendiconti: nel 2010 ben 4,1 milioni se sono andati tra buste paga e fatture arretrate. Quel che sembra mancare, ancora una volta secondo la denuncia degli oppositori in consiglio e fuori, sono i frutti di quella spesa, vale a dire i dati sui monitoraggi in una regione che dovrebbe vivere anche di turismo ed ecosostenibilità. Il 12 ottobre, dopo oltre 9 anni di indagini, sono stati spediti ai domiciliari dalla Procura di Potenza, due dirigenti dell'Agenzia ma la cosa più grave, spiega Rosa con un esempio più che con cento parole, è che «molti dati sono stati ritrovati in una cassaforte di Matera dove non avrebbero dovuto essere».
 Senza certezze, ciascuno si attrezza come può. L'8 novembre 2011 il consiglio comunale di Pisticci ha approvato all'unanimità una mozione che impegna la Giunta a istituire un capitolo di spesa per il monitoraggio mensile delle acque e dei sedimenti del Basento a valle degli scarichi industriali per la ricerca e il dosaggio di metalli pesanti e solventi clorurati. Maurizio Bolognetti, della direzione nazionale dei Radicali Italiani, autore del libro La peste italiana-Il caso Basilicata mette insieme opacità giudiziarie e ambientali. «Personalmente provo un sottile senso di inquietudine – dichiara – nel leggere di tanti processi su questioni ambientali che finiscono in prescrizione».
 12 gennaio 2012



Basilicata, per Geogastock nuove misure per tutelare l'ambiente
POTENZA – La Regione Basilicata ha stabilito per l’attività della Geogastock nuove misure di tutela ambientale e di compensazione economica superiori alla Valutazione di impatto ambientale (Via) rilasciata dal ministero dell’Ambiente: il progetto per lo stoccaggio del gas prevede due concessioni, a Grottole e Ferrandina, con impianti a Salandra (Matera). E' quanto stabilito in una delibera di “intesa”, approvata dalla giunta regionale e resa nota dall’ufficio stampa: l'iniziativa prevedeva anche un secondo progetto a Pisticci (Matera), ma la giunta ha rinviato l’assenso in relazione ad alcune sollecitazioni presentate dal Comune.
La Regione ha imposto alla Geogastock un piano di monitoraggio e un programma di informazione alle comunità locali, tra cui il controllo delle vibrazioni al suolo, delle eventuali emissioni, delle condizioni della falda acquifera e della qualità dell’aria, anche prima della realizzazione e della messa in esercizio dell’impianto di stoccaggio. Le attività di monitoraggio saranno finanziate dalla Geogastock e realizzate dalla Regione, dall’Arpab e dai Comuni.
“La Basilicata – ha detto il governatore lucano, Vito De Filippo – è consapevole dell’importanza, nell’interesse generale del Paese e della stessa Regione, dell’incremento delle capacità di stoccaggio di gas naturale, ma chiede che a fronte del suo ruolo di servizio al Paese possa ottenere garanzie assolute e vantaggi di competitività per il proprio territorio. Sul versante della crescita mettiamo in campo un meccanismo per l'abbattimento dei costi di energia alle imprese della Val Basento che per gli analisti rappresenta uno dei fattori di maggiore attrattività delle imprese. In questo modo garantiamo energia all’Italia e sicurezza e sviluppo al nostro territorio”.
“La Regione – ha aggiunto l’assessore all’ambiente, Agatino Mancusi – è voluta andare oltre le previsioni dello Stato in materia di garanzie ambientali. L’intesa che eravamo chiamati ad esprimere non aveva questo tipo di finalità, ma la lunga fase di dialogo condotta con la società ha prodotto il risultato di condividere misure ulteriori rispetto a quelle imposte dallo Stato. Del resto tutelare l’ambiente non vuol dire bloccare ogni iniziativa, ma individuare le modalità che rendano le attività dell’uomo compatibili con l’ambiente”.



I dati del progetto Geogastock
POTENZA – Queste le caratteristiche principali del progetto della Geogastock: a Ferrandina saranno utilizzati 14 pozzi per lo stoccaggio, il deposito avrà una capacità di accumulo complessiva di 1,2 miliardi di metri cubi di gas. Solo 700 milioni di metri cubi – è scritto nella nota dell’ufficio stampa della giunta regionale – rappresentano la capacità di utilizzo a fini commerciali, poichè i restanti 500 milioni servono a tenere il deposito in pressione per il funzionamento.
E’ prevista una portata giornaliera massima di 5,8 milioni di metri cubi. Nella fase di avvio del progetto, la società dovrà corrispondere un milione di euro a ciascuno dei Comuni interessati (Ferrandina, Grottole e Salandra) e sei milioni alla Regione, a cui si aggiungeranno altri 250 mila euro l’anno per tutta la durata della concessione. In totale si tratta di 14 milioni di euro, a cui si aggiungeranno altri cinque o sei milioni di euro di compensazioni per il mancato utilizzo alternativo del territorio. La parte di compensazioni alle comunità locali negoziata con la società (14 milioni di euro) rappresenta “il massimo vantaggio mai ottenuto da un ente italiano per opere analoghe”.
28 Dicembre 2011

Gas in Valbasento: scontro di idee
Per De Filippo è il momento di trattare, Santochirico e Folino invece frenano
22/07/2011  POTENZA - Santochirico e Folino da un lato, De Filippo e Viti dall’altro. Due posizioni diverse nel Pd regionale sul futuro della Valbasento in relazione alla centrale di stoccaggio del gas della società russa Geogastock. Un confronto tra i tanti che sulla questione. L’ultimo è avvenuto durante la riunione del gruppo consiliare del Pd. La stessa riunione in cui furono espresse posizioni diverse in merito ai provvedimenti sulla Sanità presenti nell’Assestamento di bilancio che sarà al vaglio del consiglio regionale i prossimi 26, 27 e 28 luglio.
 Ma se sulla materia della Sanità ci sono state distinzioni accese tra vari consiglieri (per buona pace del capogruppo Vincenzo Viti sempre pronto a svolgere con puntiglio il ruolo di “pompiere” alle notizie di cronaca) ancora più evidenti sono state le puntualizzazioni sullo stoccaggio di gas nella Valbasento nel territorio che interessa i comuni di Salandra, Ferrandina e Pisticci. La riunione si è aperta proprio dalla relazione sulla Geogastock resa ai consiglieri dal presidente della Regione, Vito De Filippo che per l’occasione è stato accompagnato dal capo Ufficio di Gabinetto della giunta, Raffaele Rinaldi. La questione non è nuova. Se ne parla da anni. La società russa del resto opera già in altre parti d’Italia. Ma ora ci potrebbe essere un’accelerazione. Da quanto è emerso la linea del governatore sarebbe per portare a termine la trattativa cercando di ottenere in cambio dello stoccaggio del gas, che la società russa porterebbe dall’esterno della Basilicata, dei benefici in termini economici e occupazionali. La questione è legata ovviamente a tutta la materia energetica per la quale la Basilicata da tempo mira a diventare un polo di eccellenza nel panorama nazionale. La discussione nel gruppo regionale del Pd si è incentrata proprio sugli obiettivi da perseguire e i benefit da ottenere. In particolare il presidente del consiglio regionale Vincenzo Folino e il consigliere Vincenzo Santochirico avrebbero “insistito” nei confronti del governatore per non accelerare con la considerazione secondo la quale si può ottenere di più sia in termini di vantaggi economici che di rassicurazioni ambientali. Secondo Santochirico e Folino, è quanto si è appreso dalle fonti, in realtà la ricaduta occupazione attuale non sarebbe superiore a 20 o 30 unità. Senza contare che gli ambientalisti e i cittadini della zona sono assolutamente contrari alla centrale di stoccaggio. Per questo sarebbe stato “consigliato” al governatore di coinvolgere la popolazione sulla decisione attraverso l’organizzazione di un referendum e di una petizione popolare. Oltretutto anche la posizione del protagonismo dei comuni interessati non è chiaro.
Salvatore Santoro


Petrolio lucano. Nuovi bandi per Tempa Rossa
di FILIPPO MELE 23 Luglio 2011
Petrolio lucano al centro dell’attenzione stante il deficit energetico del Paese. Per gli appalti sulla realizzazione dei lavori di preparazione del centro oli di Tempa Rossa, della strada di accesso al centro e della preparazione del sito per il deposito del gpl, ad esempio, interessanti un giacimento che si estende tra le due province da Corleto Perticara, nel Potentino, a Gorgoglione, nel Materano, è tutto da rifare. La Total E&P Italia ha revocato quelli già banditi. Il motivo, comunicato alle imprese che avevano inoltrato la richiesta di partecipazione alla gara, sta in una decisione della Commissione europea del 24 giugno scorso. Decisione importante non solo per il futuro di Tempa Rossa, ma anche per gli sviluppi del procedimento penale denominato Totalgate. Ma andiamo con ordine. «La Comunità europea ha stabilito che gli appalti destinati a permettere la prestazione di un’attività di prospezione ed estrazione del petrolio nel territorio italiano – ha spiegato il direttore del progetto, Fabrice Arnaud – non sono più soggetti alla direttiva 2004/17/CE. Ciò, in quanto il settore è stato riconosciuto esposto alla concorrenza su un mercato liberamente accessibile».

Da qui la revoca della gara pubblica, bandita, cioè, come da una stazione istituzionale, poiché Total non è più soggetta alle regole del codice dei contratti pubblici. Significa che gli appalti di Tempa Rossa torneranno ad essere privati, come all’origine. A prima, cioè, dell’esplodere, il 16 dicembre 2008, dell’inchiesta Totalgate condotta dall'allora pubblico ministero della Procura della Repubblica di Potenza Henry John Woodcok. Un'inchiesta che fece assai rumore e che ora è al vaglio del giudice dell’udienza preliminare, Rosa Larocca. In carcere, su disposizione del giudice per le indagini preliminari Rocco Pavese, finirono tra gli altri l'allora amministratore delegato della Total Italia, Lionel Levha, l'ex direttore di Tempa Rossa, Jena Paul Juquet, l’imprenditore Francesco Rocco Ferrara, di Policoro, l'ex sindaco di Gorgoglione Ignazio Giovanni Tornetta. Tra gli altri personaggi coinvolti, l'on. Salvatore Margiotta (Pd), assolto da ogni accusa il 4 maggio scorso. Sono rimasti in 35 a dover comparire davanti al giudice dell’udienza preliminare.

Ma cosa c’entra il Totalgate con la decisione della Comunità europea sul petrolio italiano? C’entra, poiché l'inchiesta di Woodcock si è basata proprio sul mancato rispetto del codice dei contratti pubblici. Insomma, se la Comunità europea ha chiarito che i lavori per l'estrazione del greggio non sono regolati da appalti di procedura pubblica ciò non potrà non essere preso in considerazione nel dibattimento davanti al giudice dell’udienza preliminare. Tanto, almeno, auspicano gli imputati coinvolti nel Totalgate.

Sarà il terzo centro oli lucano
Tempa Rossa sarà il terzo centro oli della Basilicata dopo quello della Valbasento e di Viggiano. I dati sul progetto complessivo sono pubblicati sul sito della Total Italia. Il giacimento interessato è situato nell'alta valle del Sauro, tra Corleto Perticara e Guardia Perticara, nel Potentino, e Gorgoglione, nel Materano. A regime l'impianto avrà una capacità produttiva giornaliera di circa 50.000 barili di petrolio, 250.000 m³ di gas naturale, 267 tonnellate di gpl e 60 tonnellate di zolfo.

Il progetto prevede la messa in produzione di 8 pozzi; la costruzione di un centro di trattamento oli dove gli idrocarburi estratti, convogliati tramite una rete di condotte interrate (pipeline), verranno trattati e separati nei diversi sottoprodotti (grezzo, gas combustibile, zolfo, gpl) e poi, a seconda del prodotto, spediti tramite canalizzazioni interrate; la costruzione di un centro di stoccaggio gpl (2 serbatoi interrati della capacità totale di 3.000 m³) dotato di 4 punti di carico stradale; la costruzione o modifica di infrastrutture di servizio (adeguamento di strade comunali, realizzazione dei sistemi per l'alimentazione di acqua ed elettricità per il centro di trattamento, connessione alle reti esistenti per il trasporto e la distribuzione degli idrocarburi).
«Il giacimento Tempa Rossa – si legge sul sito Total - beneficia della vicinanza di infrastrutture esistenti. Così il gas sarà convogliato alla rete locale di distribuzione Snam e il petrolio trasportato tramite condotta interrata fino all'oleodotto «Viggiano -Taranto», lungo 136 km (di cui 96 in Basilicata), che collega le installazioni petrolifere della Val d'Agri alla raffineria di Taranto, suo terminale di esportazione».

Lo sviluppo del progetto Tempa Rossa riunisce tre grandi gruppi petroliferi mondiali. Al fianco di Total, operatore incaricato alla sua realizzazione, figurano Shell ed Esso Italiana. [fi.me.]


«No» a nuovi pozzi nell'area di Viggiano
di PINO PERCIANTE
VIGGIANO - Stop alle trivelle in Val d’Agri. «Prima dell’apertura di nuovi pozzi – dice Giambattista Mele di Laboratorio per Viggiano, una delle associazioni che ieri hanno partecipato alla manifestazione “la Val d’Agri non è la Libia d’Italia” - vogliamo un monitoraggio serio e innovativo dell’ambiente e della salute perché su questo fronte la trasparenza è uguale a zero. Dicono sempre che è tutto a posto ma il monitoraggio lo fanno Eni e Regione: non ci fidiamo più, vogliamo tecnici indipendenti che possano rendere trasparente il compito che gli sarà affidato dall’osservatorio ambientale. Qua non si muoverà più niente se non avremo risposte. Chiediamo di spostare i nuovi pozzi previsti a piano di Lepre».

«Qui non si vive più – dice Domenica che abita vicino al centro oli - la puzza è sempre più insopportabile, rumori di giorno e di notte e stiamo male: capogiri, vomito bruciori agli occhi e alla gola ma ci prendono per pazzi». «Quando l’impianto – dice Vincenzo Antonio Capogrosso – entra a pieno regime vibra tutto. Ora vogliono addirittura raddoppiarlo. Da qua ce ne dobbiamo solo andare». Mele mostra ai cronisti dove dovrebbero sorgere i due nuovi pozzi Enoc 6 e 7. Proprio sulla collina di fronte a piazza Papa Giovanni dove si è svolta la manifestazione, a ridosso di alcune abitazioni, un hotel e un complesso turistico. «Se verranno aperti i pozzi - dice Mele - dichiariamo fallito il turismo a Viggiano. È stata scelta questa piazza perché è il luogo emblematico non solo per i viggianesi ma per tutta la Basilicata; è il posto dove viene celebrata la messa la prima domenica di settembre di ogni anno per festeggiare la Madonna Nera, quando viene riportata dal Sacro Monte in paese per ricevere l’omaggio delle migliaia di pellegrini provenienti non solo dalla Basilicata ma anche dalle altre regioni limitrofe». È evocativo, quindi, di tante cose. Di gente però non ce n’è tanta, ma neppure poca. La manifestazione nasce proprio per dire “no” alle nuove estrazioni. Una contrarietà motivata dal fatto che i due pozzi petroliferi oltre ad essere situati in prossimità del centro abitato, sarebbero anche in aree ad elevato rischio idrogeologico e a vocazione storico-religiosa-ambientale, per il fatto che vi si svolge la tradizionale processione della Madonna nera, protettrice della Basilicata. La manifestazione è proseguita con la performance musicale di alcuni gruppi e un’anticipazione dello spettacolo di Ulderico Pesce «Attenti al cane», le perforazioni dell’Eni in Basilicata e in Africa.


Per i lucani patentati arriva la «card» per sconti sulla benzina
di LUIGIA IERACE
Arriva il bonus Idrocarburi: la carta prepagata, erogata dal Ministero dello Sviluppo Economico e dal Ministero dell’Economia e delle Finanze, ai maggiorenni muniti di patente di guida residenti nelle regioni interessate dalle estrazioni di idrocarburi liquidi e gassosi. Da oggi sul sito del Ministero dello sviluppo economico e su quello di Poste Italiane sono disponibili tutte le informazioni per richiedere la card finanziata con l’incremento delle royalty dal 7% al 10%, quel 3% aggiuntivo destinato ad alimentare il Fondo preordinato alla riduzione del prezzo alla pompa dei carburanti per i residenti delle regioni interessate dalle estrazioni di idrocarburi. E così da lunedì 4 luglio fino al 10 settembre, i residenti in Basilicata, patentati, potranno inoltrare la richiesta della card agli uffici postali. Ci vorrà un mese di controlli e a novembre dovrebbero arrivare le card nelle case dei cittadini. Il fondo versato nel 2010 sulla produzione del 2009 in Basilicata ammonta a 32.929.972 di euro. L’intero fondo costituito con le royalty di Eni, Shell, Edison e Gas Plus Italiana è di 38,5 milioni. Le altre Regioni interessate dalle estrazioni riceveranno direttamente il beneficio perché inferiore o uguale a 30 euro a beneficiario (si va, infatti, da 87 mila euro delle Marche, a 214 mila del Molise, 365 mila dell’Emilia Romagna, 558mila della Calabria, 1,8 milioni della Puglia e 2,4 del Piemonte).

In base al numero dei patentati lucani, calcolati al dicembre 2010, su ogni card dovrebbe essere caricato l’importo di circa 90 euro. «Abbiamo pensato di ridurre al minimo i costi di gestione del sistema - ha sottolineato il direttore generale per le Risorse Minerarie ed Energetiche del Dipartimento Energia del Ministero dello sviluppo economico, Franco Terlizzese - in modo che il più possibile del fondo vada nelle tasche dei cittadini lucani». Quindi nessuna comunicazione da inviare nelle case, nè una massiccia campagna di comunicazione, ma solo la scelta di utilizzare il sito del Ministero e di Poste italiane. Per questo l’ingegner Terlizzese anticipa alla Gazzetta le modalità di funzionamento della card, auspicando che i cittadini lucani si adoperino a richiederla e che si stemperino le polemiche che ci sono state fino ad oggi.

«Speriamo che l’informazione arrivi a tutti i lucani - aggiunge Terlizzese - Questo è molto importante perché l’importo destinato a ogni cittadino è in funzione della stima già effettuata sulla base dei dati relativi alla popolazione munita di patente di guida al 31 dicembre e residente in regione. Ma al termine del periodo di presentazione delle domande con decreto verrà determinato tale importo». In sostanza i circa 33 milioni del fondo attuale andranno divisi tra quanti effettivamente ne faranno richiesta. È per questo che ad oggi si parla di circa 90 euro e non è possibile ancora quantificare l’importo preciso. Come dire la somma è in funzione di quanti si recheranno alle poste in questi due mesi. Per chi non ritirerà il bonus (ipotesi che qualche associazione aveva avanzato in passato per protesta) la norma prevede le somme non prelevate vengano versate al Ministero dell’Economia e delle Finanze. Insomma, l’invito è a recarsi alle Poste (nella scheda al lato ci sono tutte le informazioni). «Sperando che non si facciano file», ironizza Terlizzese, che insiste sulla collaborazione e sulla necessità di una informazione capillare in questi due mesi iniziali. Poi, dal prossimo anno si tratterà solo di ricaricare la card e questo potrebbe avvenire già i primi mesi dell’anno.

Versate le royalty ieri, il tempo di fare i conti e si può ripartire con la divisione della somma tra i patentati al 31 dicembre del 2010. E così sarà ogni anno. «Sarebbe un peccato per i lucani perdere una somma che è destinata a crescere nel tempo - conclude Terlizzese -. La produzione del 2010 ha avuto un leggero aumento, alto è stato anche il prezzo del greggio. Di conseguenza anche le royalty dovrebbero essere più alte. Anche per il 2011 il trend è favorevole. La produzione del primo semestre è stata in aumento, poi c’è stato il blocco per la fermata del Centro Olio di Viggiano, ma si va verso la ripresa». Si potrà arrivare ad avere sulla card anche 150-200 euro. Per ora 90. Un pieno per la vacanza di Natale.


Policoro, catena umana contro trivelle petrolifere
MATERA - Gli ambientalisti lucani riaprono la partita contro le estrazioni petrolifere in Basilicata destinate a raddoppiare nei prossimi anni. Una catena umana contro le trivellazioni si è svolta questa mattina sui cinque chilometri di costa a Policoro, in provincia di Matera. L'iniziativa è nata per bloccare i progetti di estrazione off-shore nel Mar Jonio, il cui fantasma ricompare periodicamente, e per bloccare il Memorandum con il Governo per lo sviluppo infrastrutturale della Basilicata quale riconoscimento per il contributo della regione alla “bolletta energetica” del Paese.

Il Memorandum è in discussione il 5 luglio presso il Cirm del Ministero per lo Sviluppo Economico (Commissione per gli idrocarburi e le risorse minerarie) e le associazioni ambientaliste ne chiedono la sospensione. La Regione, invece, è intenzionata ad andare avanti perchè l’intesa con il Governo viene vista come la possibilità di ottenere finalmente un adeguato contro-valore del “sacrificio” inflitto ad un territorio a vocazione agricola e naturalistica per estrarre petrolio dalle viscere del sottosuolo delle aree interne, Val d’Agri in primis.

Il Governo, infatti, ha riconosciuto la Regione Basilicata come “strategica” per l’Italia in quanto maggiore fornitrice di greggio. I due grandi giacimenti petroliferi della Basilicata, ubicati rispettivamente in Val d’Agri e nell’alta Valle del Sauro, rappresentano la massima parte delle estrazioni petrolifere nazionali, offrendo un importante contributo alla bilancia nazionale dei pagamenti per la 'bolletta energeticà. In particolare il giacimento della Val d’Agri è il più grande dell’Europa continentale e garantisce all’Italia oltre l’80 per cento della produzione nazionale di greggio coprendo circa il 6 per cento del fabbisogno. L’entrata in esercizio di Tempa Rossa - previsto nel 2015 - porterà un incremento del 40 per cento della produzione petrolifera nazionale con un’ulteriore riduzione della dipendenza dall’estero per l’approvvigionamento energetico.
Però le estrazioni non hanno prodotto posti di lavoro e le royalties previste dalla legge italiana sono ritenute “irrisorie” rispetto all’impatto ambientale che i centri di stoccaggio e le infrastrutture di convogliamento del greggio provocano tra le montagne e le vallate. Il Memorandum va proprio in questa direzione: la Basilicata si siede allo stesso tavolo del Governo rivendicando un ruolo di polo di eccellenza dell’energia e un reale sviluppo per le proprie aree interne.

Tutto questo, ad ogni modo, non convince le associazioni ecologiste. Le loro spinte per dire “stop” alle trivelle si fanno sempre più pressanti. Le continue notizie di richieste di permessi di ricerca e di esplorazione per idrocarburi e di apertura di pozzi rendono la situazione incandescente. Per gli ecologisti lucani “non c'è una convenienza economica che tenga di fronte alla distruzione del territorio". La catena umana contro le trivellazioni è stata solo la prima di una serie di iniziative, promettono i promotori della protesta. La Ola (Organizzazione lucana ambientalista) e l’associazione “No Scorie Trisaia” chiamano a raccolta le categorie sociali e le forze politiche per chiedere una moratoria delle attività minerarie sul territorio lucano, al fine di ottenere la salvaguardia del territorio e dei suoi abitanti. “Il recente episodio dei 21 operai dell’Elbe, intossicati da una nube di H2S (acido solfidrico) a circa 200 metri dal centro Oli di Viggiano, e la presenza di metalli pesanti (manganese, bario e cromo) nella sorgente lucana della fonte Acqua dell’Abete, e di bario nelle acque della diga del Pertusillo, deve far riflettere sui possibili rischi legati alle estrazioni del petrolio”, sostengono.
http://www.lagazzettadelmezzogiorno.it/notizia.php?IDNotizia=437619&IDCategoria=12

Prendono petrolio e gas e danno zero euro
14 giugno 2011
[di Enzo Palazzo*] No royalties, sì petrolio! Parafrasando un tormentone di una famosa pubblicità della Martini, resta singolare il quadro generale della provincia di Matera in tema di rapporti tra estrazione mineraria e tutele del territorio. Zero euro è infatti il corrispettivo del 2010 maturato da Pisticci, Salandra e Ferrandina, dove si estrae gas e petrolio, come zero euro è il guadagno (si fa per dire) dei comuni di Scanzano Jonico, Nova Siri e Policoro, dai cui territori si estrae gas. Solo Garaguso, come comune materano, ha guadagnato qualcosa dalla perforazione del suo territorio: circa 70 mila euro, erogate nel 2010, ma riferite alle estrazioni del 2009 (le royalties si calcolano sulle estrazioni dell’anno precedente all’erogazione). L’anno precedente, nel 2009 – in base ai barili estratti nel 2008 – era andato un po’ meglio per i soli tre comuni basentani: incassarono quanto una tredicesima di un loro dirigente: poche migliaia di euro. Spiccioli che aggiungono al danno dell’inquinamento del territorio e dei rischi sanitari, la beffa di ricavare soldi bucati, è il caso di dire.
 La Val Basento resta uno dei siti più inquinati d’Italia anche col contributo delle attività minerarie. Ha un centro oli in funzione, che desolforizza il petrolio in contrada Pozzitelli di Pisticci, ha avuto fino agli anni ’70, nei pressi dell’industria Pozzi di Ferrandina, una centrale di desolforizzazione del gas (per ripulire anche i gas acidi del sottosuolo lucano di h2s, cov e mercaptani), e racchiude, tra sterili, esausti e attivi, almeno 150 dei 270 pozzi minerari realizzati in provincia di Matera (469 in tutta la Basilicata, dei quali 55 attivi). La perforazione del sottosuolo raggiunge anche 1,5 km. per il gas e va da 5 a 7 km. per il petrolio: si utilizzano una ventina di polimeri al fine di realizzare una camicia di fango all’interno della quale scorrerà poi il tubo che estrarrà petrolio. I fanghi tossici e le acque inquinate di scarto prodotti con i polimeri, sono un serio problema di smaltimento e di inquinamento.
 Il calcolo di zero royalties nel 2010 viene fuori perché il greggio tirato su dai 4 pozzi dell’unica concessione di greggio, quella di Serra Pizzuta (il Pisticci 019 D, lo 029 Dir, lo 007 e lo 019 D A), è stato (su dichiarazione dell’Eni) di 12 milioni e 596 mila kg., otto milioni di kg. in meno rispetto alle 20 mila tonnellate di franchigia annuale di produzione entro la quale i petrolieri non devono erogare royalties né ai Comuni né alla Regione. Più difficile comprendere il perché, anche per il gas estratto nel materano, le società non eroghino royalties, dato che la franchigia di 25 milioni di metri cubi di gas viene abbondantemente superata. Policoro, Pisticci, Ferrandina, Salandra, Nova Siri, Scanzano Jonico e Garaguso, nel dato di riferimento più recente, il 2010 per il 2009, hanno infatti contribuito ad estrarre ben 146 milioni 880 mila e 79 mc. di metano. Circa sette volte di più del limite di franchigia, solo che il calcolo delle royalties, dalle società minerarie nel silenzio della Regione, è fatto per singolo permesso minerario e non per il totale estratto nel materano. Nonostante le concessioni si intreccino su più Comuni e nonostante sia solo una la società che ha più concessioni nel metapontino, la Gas Plus (le altre sono Eni, Edison, Medoil gas e Petrorep), spesso, tra l’altro in joint venture tra loro. Enzo Palazzo
All’Agrobios la richiesta di maggiore trasparenza
La Metapontum Agrobios, società privata di proprietà della Regione (97,5 per cento) e dell’Alsia (2,5), ha eseguito, per conto della Regione stessa, col Programma operativo Val d’Agri-Camastra-Sauro-Melandro (fondi royalties), uno screening nel 2009/2010 in tutte le aree intorno ai pozzi estrattive della Val d’Agri e al Centro Oli di Viggiano. È uno “Studio finalizzato alla valutazione dell’impatto ambientale delle attività estrattive della Val d’Agri”, del quale si sanno già i risultati in sintesi, perché pubblicati sui quotidiani, ma, al momento, non si conosce nel dettaglio la procedura utilizzata. Se non in forme generiche.
 Questa sintesi è veicolata a mezzo stampa di recente, poco dopo l’intossicazione dei 21 operai dell’Elbe di Viggiano e nel pieno della polemica intorno alla moria di pesci nel Pertusillo e delle analisi fatte privatamente dall’Ehpa, Associazione per la tutela della salute e dell’ambiente, che a differenza dei dati ufficiali dell’Arpab, ha trovato valori elevati di metalli pesanti e di idrocarburi nelle acque dell’Agri. Nello studio dell’Agrobios si parla di 200 carotaggi eseguiti, di analisi dell’aria, delle acque di superficie e di profondità, compreso i sedimenti e i cibi prodotti nelle aree estrattive. Con risultati perfettamente nella norma, tranne “l’olezzo” del quale ne avrebbero studiato l’origine, e la presenza di minimi quantitativi di metalli pesanti, “meno delle concentrazioni riscontrabili nelle aree urbane”.
 La Ola, Organizzazione lucana ambientalista, in una nota ha subito parlato di “grave attacco all’informazione e alla trasparenza che occorre sempre garantire ai cittadini, in tema di attività invasive, paventato con la pubblicazione di uno screening commissionato dalla Regione ad un ente che non può garantire di essere autonomo e indipendente”. Perché l’Agrobios è struttura della Regione, che non ha al suo interno un Comitato scientifico, ma solo un Comitato d’amministrazione ed è presieduta da un politico per giunta di maggioranza, il sindaco di Matera, Salvatore Adduce.
 Secondo la nota sigla ambientalista, lo studio dell’Agrobios è “una conclusione offensiva delle gravi compromissioni al sistema cardio-respiratorio che subisce il 44% degli abitanti della Val d’Agri per il probabile contatto con il corrosivo e potenzialmente mortale H2S, gas responsabile dell’olezzo in questione. Documentato dalla stessa relazione sanitaria 1998/2000 della Regione Basilicata, relazione sulla quale la Ola chiede da tempo una Commissione d’inchiesta per capire come mai fu interrotta 11 anni fa e mai più ripresa”. e.p.

Il greggio nelle catena alimentare: ma per il Copam é irrilevante
La Basilicata e gli effetti del suo petrolio sul Sole 24 ore. Un intervento della ricercatrice americana Maria Rita D’Orsogna ha riportato tematiche minerarie e ambientali all’attenzione del giornale di Confindustria. “Sono passati diversi giorni dalla fine della Copam 2011, la conferenza sponsorizzata da Assomineraria per mostrare che è possibile sposare petrolio ed ambiente in Basilicata – ha scritto al D’Orsogna –, che interpreto come pura e anacronistica propaganda”. L’americana di origine abruzzesi ha lamentato come al Copam 2011 “nessun cittadino che da anni si batte per una Basilicata pulita, come quelli dell’Organizzazione lucana ambientalista, è stato invitato a presentare le proprie argomentazioni”, senza però che gli organizzatori di assomineraria siano riusciti a nascondere che “in alcune località lucane il petrolio è entrato nella catena alimentare”. La Basilicata, ha denunciato la D’Orsogna, “prima che un giacimento petrolifero è un’importante riserva d’acqua per l’Italia, che rischia di essere irrimediabilmente compromessa dalle estrazioni petrolifere”.  ’articolo della Sole 24 Ore cita anche le fonti già inquinate, i residui da sospetta attività petrolifera trovati nella diga del Pertusillo e denuncia la pratica della reiniezione di acqua, liquidi e fanghi tossici usata in Basilicata “usata qualche volta anche per smaltire residui fangosi ed acque di scarto iniettandoli tali e quali sottoterra. È facile allora che migrino nel terreno, intaccando le falde idriche”. La verità, conclude la D’Orsogna, è che “sposare petrolio e ambiente è impossibile. Non ci sono riusciti nemmeno i norvegesi”, quarto paese produttore al mondo di petrolio che notoriamente è molto attento alla protezione dell’ambiente proprio dai rischi delle estrazioni minerarie. e.p.

Autorizzazioni ambientali a cuor leggero
È di ieri la notizia che il ministro Giancarlo Galan e il governatore veneto, Luca Zaia, sono stati indagati per non aver impedito l’inquinamento da polveri sottili. È di ieri anche l’interessante proposta fatta dai sindaci della Val d’Agri, di una legge regionale che fissi i limiti delle emissioni sui valori indicati dall’Organizzazione mondiale della sanità e non su quelli vigenti e permissivi italiani. La Ola, Organizzazione lucana ambientalista, e No Scorie Trisaia, è da tempo che denunciano i limiti delle normative e le inefficienze dei sistemi di controllo sia del circuito dell’acqua che dell’aria intorno alle aree industriali e soprattutto, visto il problema lucano, intorno ai pozzi estrattivi e ai centri oli di Viggiano e, anche se più piccolo, intorno a quello di Pisticci. Sulle loro pagine web c’è addirittura un documento-proposta che evidenzia 9 punti da integrare al Memorandum sottoscritto tra Regione ed Eni. Nel quale, secondo le due associazioni, “si sottovaluta o non si considerano affatto i principi di partecipazione alle scelte da parte di comunità ed amministrazioni locali, la tutela delle economia locali, dell’ambiente e delle acque, il rispetto di regole certe sulle autorizzazioni ambientali, i limiti al consumo delle acque nelle attività petrolifere, l’applicazione di clausole fidejussorie a garanzia dei ripristini ambientali e, infine, la ripresa degli studi epidemiologici inspiegabilmente interrotti sugli effetti delle attività petrolifere sulla salute dei residenti”. Ai quali principi andrebbe anche aggiunta la ricerca della presenza di isotopi radioattivi nei fanghi di perforazione, vista la possibilità che siano usati nelle trivellazioni in Basilicata e data la loro elevata pericolosità cancerogena. e.p.

* Enzo Palazzo – articolo pubblicato sulla Gazzetta del Mezzogiorno del 14/6/2011


I lucani si oppongono «Nessuna trivella nel mar Jonio»
di Enzo Palazzo
POLICORO - Tutti al mare, non per «mostrar le chiappe chiare», come recita il famoso stornello di Gabriella Ferri, ma per contestare il ministro per lo Sviluppo economico, Paolo Romani, il suo recente intervento sulle estrazioni petrolifere in Basilicata, e la politica “texana” della Regione.

«In Basilicata stiamo facendo dei buchi per terra», è stata l’infelice e superficiale dichiarazione del ministro ad un incontro con l’Unione petrolieri a Roma, aggiungendo anche che si riuscirà «sicuramente a perforare nel Mar Jonio, a differenza che nell’Adriatico, dove alcune medioevali contestazioni in atto, non ci faranno raggiungere alcun accordo». Le contestazioni medioevali cui si riferisce il ministro sono quelle di 17 Comuni, due amministrazioni provinciali, 280 movimenti ambientalisti e del cantante Lucio Dalla che, insieme a 3 mila persone, hanno contestato i permessi estrattivi al largo delle Tremiti.

«Tutti al mare», dunque è l’iniziativa di NoScorie Trisaia che organizza una catena umana per dire «tre no: no ai 90 mila barili in più al giorno che il ministro Romani e la Regione vogliono dalla Basilicata; no alle piattaforme marine nel mar Jonio; no alla connivenza degli enti locali lucani alla politica mineraria lucana». Attualmente al largo del mare dei greci «pendono» ben 4 coltivazioni e 10 permessi di ricerca tra Soverato e Taranto, mentre sulla terraferma, in Basilicata, ci sono 68 pozzi attivi, 43 destinati a non si sa bene cosa e 313 già realizzati tra sterili ed esausti, con una capacità estrattiva di circa 90 mila barili al giorno da portare, appunto, a 180 mila con altri «buchi in terra» lucana.

La manifestazione si terrà a Policoro Lido domani, alle 12, già impazza sul web e nei social network, e oltre a denunciare la grave superficialità delle parole del ministro e il silenzio delle amministrazioni pubbliche lucane, punta il dito sull’ultima «intesa tra governo e Regione sulle estrazioni minerarie che non prevede particolare tutela degli ecosistemi, dell’agricoltura, del turismo, dell’acqua e della salute delle persone», con un calcolo irrisorio delle royalties (il 7 per cento da dividere tra Stato, Regione e Comuni), che con l’accordo Memoranduma tra Regione e Stato, verranno in futuro erogate non più in denaro, ma in opere infrastrutturali. Un accordo che per gli organizzatori renderà «ancora più difficile il controllo sociale sul rapporto tra società minerarie, sfruttamento del territorio e relazione con gli enti locali». La manifestazione, che per gli organizzatori sarà come «un lungo abbraccio dalla terra di Basilicata al mare dei Greci», aderisce al programma internazionale «Salviamo gli Oceani dalle trivelle» che si tiene il giorno prima, oggi, sulle spiagge più famose del mondo con fotografie degli eventi che verranno postate su questo link: http://www.handsacrossthesand.com/photo-video-gallery/.
25 Giugno 2011


No a nuovi permessi di ricerca di idrocarburi in Basilicata
6 giugno 2011
Si apprende dal sito dell’UNMIG – Ministero dello Sviluppo Economico che il giorno 23 maggio scorso sono state convocate le sedute delle conferenze dei servizi per il rilascio dell’autorizzazione ai permessi di ricerca denominati: -“Satriano di Lucania (ENI)” che comprende i comuni di Abriola, Brienza, Picerno, Pignola, Sant’Angelo Le Fratte, Sasso di Castalda, Satriano di Lucania, Savoia di Lucania, Tito; -“Fusci” (ENI) che ricade nei comuni  di Atella, Avigliano, Baragiano, Bella, Filiano, Pietragalla, Pignola, Potenza, Ruoti, San Fele; – “Anzi” (ENI) che ricade nei comuni di Abriola, Anzi, Brindisi Montagna, Calvello, Pignola, Potenza, Trivigno Abriola, Anzi, Brindisi Montagna, Calvello, Pignola, Potenza, Trivigno. Si ignorano al momento le date fissate per le convocazioni prresso il Ministero competente.
 Il territorio impegnato dai tre permessi di ricerca é pari ad oltre 458 chilometri quadrati. Molti Comuni si trovano nel perimetro di aree protette regionali e statali e del parco nazionale Appennino Lucano. Si ignorano al momento le decisioni che assumeranno Regione, Comuni ed Ente Parco Appennino Lucano sui permessi di ricerca che ricadono su un territorio ricco di  boschi e sorgenti e centri abitati. Un territorio che grazie alle decisioni che si accingono ad assumere gli amministratori regionali si avvia ad essere quasi totalmente petrolizzato, svilendone le sue peculiarità ambientali e turistiche.

Sempre dal sito dell’UNMIG del Ministero dello Sviluppo Economico  la Ola apprende che la Regione Basilicata starebbe per rilasciare l’intesa per il permesso di ricerca denominato “Oliveto Lucano” (Esso – Total) in gran parte ricadente nei comuni del parco regionale Gallipoli Cognato Piccole Dolomiti Lucane. Il permesso di ricerca idrocarburi Oliveto Lucano riguarda i comuni di Accettura, Albano di Lucania, Calciano, Campomaggiore, Castelmezzano, Cirigliano, Garaguso, Oliveto Lucano, Pietrapertosa, San Mauro Forte, Stigliano, Tricarico. In proposito la Ola denuncia che nel parco regionale sono vietate prospezioni, ricerche ed estrazioni di idrocarburi liquidi e gassosi in base alla legge istitutiva del parco regionale. La Ola chiede agli uffici regionali di soprassedere al rilascio dell’intesa anche per non incorrere in pesanti sanzioni dell’Unione Europea ed invita i comuni interessati ad esercitare il loro diritto di decidere su quello che la Regione considera invece un “atto dovuto” ma che verrebbe rilasciato in spregio delle leggi di salvaguardia ambientale ed in particolare della legge istitutiva del parco regionale Gallipoli Cognato Piccole Dolomiti Lucane.


In Val d’Agri royalties estrazione petrolio per raccolta differenziata rifiuti.
 Scritto il 24 maggio 2011
POTENZA – Sara’ una gestione comprensoriale dei rifiuti quella che interessera’, in maniera sperimentale, i 12 comuni che appartenevano all’ex Comunita’ Montana Alto Agri con l’aggiunta di Castelsaraceno: e’ il progetto varato oggi dal Comitato di coordinamento e monitoraggio del Programma Operativo Val d’Agri Melandro-Sauro- Camastra per un importo di 800.000 euro.

Il Piano e’ finanziato con le royalties dell’estrazione del petrolio dell’Eni in Val d’Agri. L’obiettivo del progetto e’ quello di rendere efficiente il servizio di raccolta dei rifiuti, in particolar modo della differenziata, orientando stili di vita e meccanismi di produzione verso la cosiddetta ”societa’ del recupero”. Considerate le basse percentuali di raccolta differenziata, si e’ ritenuta opportuna la migrazione dei 13 Comuni verso una gestione del ciclo dei rifiuti di tipo comprensoriale che possa contribuire a favorire un approccio piu’ efficace al processo che va dalla raccolta del rifiuto al suo smaltimento o recupero.

Nella prima fase saranno assegnati dei contributi ai Comuni per migliorare la differenziata. La seconda fase, invece, sara’ a lungo termine e favorira’ la realizzazione dell’impiantistica necessaria. Prevista la costituzione di un’entita’ intercomunale di Gestione.


La Basilicata produrrà il 10% del fabbisogno petrolifero nazionale
L'incremento è atteso nel 2015, quando entrerà in funzione il giacimento di Tempa Rossa
Il presidente della Regione Basilicata, Vito De Filippo, il sottosegretario all'Istruzione, Guido Viceconte, e quello allo Sviluppo economico, Stefano Saglia, hanno sottoscritto il Memorandum d'intesa Stato-Regione per promuovere lo sviluppo della Basilicata, legato al previsto aumento della produzione d'idrocarburi. “Il documento - si legge in una nota ufficiale - pone le basi a una collaborazione strategica tra Governo e Regione, tesa a rafforzare la competitività del sistema produttivo e formativo della Basilicata, come riconoscimento dell'incisivo contributo della regione all'approvvigionamento energetico nazionale".

Il giacimento petrolifero della Val d'Agri copre oggi il 6% del fabbisogno nazionale; si dovrebbe salire al 10% nel 2015 quando entrerà in produzione il giacimento di Tempa Rossa. L'intesa, "in coerenza con il Piano Nazionale per il Sud e con gli altri strumenti della programmazione comunitaria, nazionale e regionale, punta a definire e attuare gli interventi ritenuti strategici per lo sviluppo industriale locale, la ricerca, le infrastrutture e la formazione, con l'obiettivo di assicurare un'effettiva ricaduta occupazionale sul territorio e il rendimento sostenibile agli investimenti delle compagnie petrolifere, garantendo nel contempo la massima prevenzione e tutela dell'ambiente del territorio e della salute pubblica".

"Con spirito di servizio - ha dichiarato il presidente della Regione De Filippo - la Basilicata è pronta a fare la sua parte in favore del Paese su un tema delicato quale è quello dell'energia. Di contro, ci aspettiamo altrettanta disponibilità a riconoscere il nostro ruolo, favorendo occasioni di sviluppo quale forma di compensazione per quanto la Basilicata darà in un settore così importante per l'economia nazionale". "I recenti fatti internazionali - ha aggiunto Saglia - dimostrano che è tempo di una rivalutazione delle produzioni nazionali di olio e gas e di porsi in un'ottica di sistema. Con questa prospettiva si sviluppa l'iniziativa di collaborazione tra il Governo e la Regione Basilicata, strategica per l'approvvigionamento energetico del nostro Paese".


La Basilicata fornirà il petrolio «perso» nella guerra in Libia
di STEFANO BOCCARDI
Presidente De Filippo, la crisi libica fa miracoli e ancor più la preoccupazione del governo di rimanere senza il petrolio di Gheddafi. Lei solo pochi giorni fa aveva ipotizzato un accordo per l’inizio dell’estate. Che cosa ha favorito questa accelerazione improvvisa? «Sì, avevo parlato di giugno. E in effetti l’accordo vero e proprio, con le cifre, con tutti i dettagli degli investimenti possibili, prevediamo di sottoscriverlo a giugno ».
E questo memorandum allora cos’è? «È sostanzialmente un’espresione di volontà. Nel memorandum, diciamo che lo Stato e la Regione Basilicata intendono procedere alla sottoscrizione di un accordo sul petrolio».
E in Val d’Agri l’Eni che farà? Dovra aspettare giugno o potrà già da domani incrementare l’attività estrattiva? «No. L’Eni dovrà aspettare. L’Eni ha un limite di produzione che è stato sancito nell’accordo del 1998. L’Eni non può estrarre più di 104mila barili al giorno, ai quali vanno aggiunti i 50mila che può estrarre la Total nell’altro giacimento».
Che però è bloccato. «No. A Tempa Rossa stanno eseguendo i lavori di costruzione del nuovo centro oli. Stanno investendo per renderlo agibile e produttivo».

Torniamo al memorandum. Da una rapida lettura, sembra il libro dei sogni. Sembra l’anteprima di una svolta epocale per la Basilicata. Vi si annunciano posti di lavoro, imprese, industrie, infrastrutture. Ma lei crede davvero, visti i precedenti, che il governo centrale possa determinare questa svolta epocale? «Guardi, io dico soltanto una cosa e mi pare che il governo nazionale condivida: la Basilicata, su questa vicenda, può rappresentare u n’opportunità innanzitutto per il Paese, per l’Italia. Soprattutto in questa fase di difficoltà evidenti per l’approvvigionamento energetico. Se mettiamo insieme il nuovo piano industriale dell’Eni che potrebbe nascere da questo accordo, se vi aggiungiamo i programmi della Total, la Basilicata potrebbe produrre 170, 180, forse 190.000 barili al giorno».
Praticamente la metà di quanto l’Italia importa dalla Libia. «Un po’ di più, perché dalla Libia importiamo 260, 270.000 barili al giorno. Quindi possiamo dire che la Basilicata coprirebbe il 14 o addirittura il 15% del fabbisogno nazionale».
E allora? «E allora, questo dato mi porta a pensare che stavolta lo Stato voglia fare sul serio. Innanzitutto perché a guadagnarci dall’attività estrattiva è anche lo Stato: si pensi soltanto al gettito tributario. E poi perché in fondo lo Stato non è che deve fare sforzi enormi per sostenere il memorandum e l’accordo che si accingiamo a sottoscrivere. Faccio notare che Eni, Shell e Total in Basilicata sono già al lavoro da anni e quindi non sarà poi così difficile animare un cluster energetico che faccia investimenti in settori industriali affini, nell’innovazione, nella ricerca. È per questo che non penso che il memorandum sia un libro dei sogni. È sicuramente u n’operazione, e lo dico tra virgolette e con non troppa retorica, che si può definire storica. Ma mi par di capire che stiamo in un quadro nel quale c’è l’interesse di tutti i soggetti in campo».

Non v’è dubbio che la crisi libica consenta alla Basilicata di far sentire la sua voce come non mai, ma per quanto tempo? Se nelle prossime settimane le forse alleate dovessero riuscire a neutralizzare o ad eliminare dalla scena il colonnello Gheddafi, probabilmente la Basilicata tornerebbe ad avere il ruolo marginale che ha avuto finora. Non le sembra? «C’è sempre da calcolare se sia più conveniente il petrolio importato dalla Libia o... Non è che all’Eni glielo regalano il petrolio libico. L’Eni ha sempre detto che in Italia l’attività estrattiva è un po’ più complicata. C’è ad esempio un sistema autorizzativo... Ma se questa opportunità fosse a disposizione nel cortile di casa, com’e la Basilicata, per loro sarebbe più facile e più vantaggioso».

Non tutti però faranno salti di gioia. Già da domani, ad esempio, lei dovrà fronteggiare l’opposizione degli ambientalisti, che certo non saranno felici di sapere che l’Eni ha avuto il primo via libera al raddoppio del’attività estrattiva. «Ma no. Innanzitutto, si tratta di un incremento di 20mila barili al giorno. E poi nel memorandum abbiamo messo al primo punto proprio la sostenibilità ambientale. L’Eni sta sperimentando nel mondo tecnologie avanzatissime. Per esempio la cattura di tutta la CO2. Ovviamente, resta che un’attività industriale è comunque u n’attività impattante, però bisogna sempre valutare i costi e i benefici. Se un’attività che ha un minimo di sostenibile impatto produce progresso, occupazione e sviluppo... Capisco che ci sono radicalismi ambientalisti in Italia ma...».
Nel memorandum si legge si incremento dell’accessibilità regionale. Che significa? «Strade e ferrovie. La Basilicata è una regione tra le meno accessibili d’Italia. Matera non è collegata alla ferrovia dello Stato. A 150 anni dall’Unità di’Italia si potrebbe fare un libro».
A quanto ammonta l’investimento previsto dal governo? «Non mi faccia fare cifre. Io spero il più possibile». Un miliardo? Un miliardo e me zzo? « L’accordo potrebbe essere di queste dimensioni».
Lei nei giorni scorsi aveva chiesto espressamente posti di lavoro. Si può fare una stima di quanti saranno? «Francamente non lo so. Le posso dire che sono previsti investimenti nell’indotto dell’attività energetica nella ricerca, nell’innovazio - ne, nella chimica verde. Quanti posti però non so dire».

Un’ultima domanda: il governo chi manderà per la firma del memorandum? «Stefano Saglia e Guido Viceconte. Saglia che è il sottosegretario con la delega all’energia e Viceconte che è lucano e che ha anche la delega alla ricerca e all’innovazione» .
E crede la loro presenza sia sufficiente o ritiene che ci sarebbe stato bisogno di un intervento più diretto del governo. «Guardi, il ministro Paolo Romani ne ha parlato l’altra sera a Porta a Porta. Per esprime una volonta, mi sembra che la loro presenza sia più che sufficiente».
29 Aprile 2011


Ecco il «memorandum» firmato e non mancano le polemiche
POTENZA – Il primo atto ufficiale di un nuovo decennio di relazioni istituzionali e di prospettive per il greggio lucano è andato in scena oggi, a Potenza, con la firma di un “memorandum” tra lo Stato e la Regione – prologo di quello che dovrà essere un accordo sulle estrazioni del petrolio e sugli effetti per la Basilicata, da chiudere probabilmente entro la prossima estate – e che ha ricevuto un coro “quasi” unanime da parte del mondo politico regionale. Sull'atto sono state apposte le firme del governatore lucano, Vito De Filippo, e dei sottosegretari allo Sviluppo economico e alla Ricerca, Stefano Saglia e Guido Viceconte: non solo maggiori proventi, ma infrastrutture, sviluppo e centri internazionali di ricerca rappresenteranno il “tornaconto” per i lucani, a cui lo Stato riconoscerà “un ruolo centrale” per la politica energetica nazionale, grazie ai giacimenti custoditi dalla Basilicata, tra i maggiori d’Europa sulla terraferma.
Il “memorandum” rappresenta la dichiarazione di intenti che porterà al tavolo tecnico tra Stato e Regione, e a un accordo definitivo sulle trivellazioni, che potrebbero aumentare del dieci per cento dal 2015: in generale, è “l'unico metodo possibile e un banco di prova storico”, secondo De Filippo, che ha evidenziato come la “Basilicata rappresenti, in particolare per il settore energetico, non un problema ma una straordinaria opportunità per l’Italia”. In questo senso, Viceconte e Saglia hanno condiviso l’idea di fare “di questo territorio un punto di riferimento per l’energia a livello europeo”, definendo l'accordo “fondamentale per la regione”, come hanno anche fatto, in una nota, i parlamentari lucani del Pdl, il senatore Cosimo Latronico e il deputato Vincenzo Taddei.
Dal presidente del Consiglio regionale, Vincenzo Folino, è arrivato anche il sostegno dell’assemblea che “nel rispetto del confronto dialettico fra le forze politiche farà fino in fondo la propria parte”.
Ma il coro di consensi e di forti aspettative si è rotto con le dichiarazioni di tre consiglieri regionali, Roberto Falotico (Plb), Francesco Mollica (Mpa) ed Ernesto Navazio (Ialb), ovvero un pezzo di Terzo Polo lucano: assenti all’incontro per la firma del memorandum, hanno spiegato che quella di oggi rappresenta “ancora una volta la politica degli annunci, in un momento in cui i lucani non hanno bisogno di spot ma di leggi e iniziative concrete e condivise”. Assente anche il coordinatore regionale di Fli, Egidio Digilio, per un “atto di contestazione politica per il metodo scelto di mancato coinvolgimento”.
C'erano invece molti dei sindaci della Val d’Agri anche se, in questo caso, non sono mancate alcune critiche per il mancato coinvolgimento nell’iter che ha portato alla firma del memorandum. La posizione dei “terzopolisti” è stata condivisa anche dal segretario regionale dei Popolari per il Sud, Sergio Lapenna, che ha detto “basta con le promesse elettorali”. A chiudere il capitolo dei “distinguo” è stato poi il segretario lucano dei Radicali, Maurizio Bolognetti, il quale ha spiegato di “non condividere l’entusiasmo bipartisan”, evidenziando la presenza del capogruppo al Senato dell’Idv, Felice Belisario “che ha probabilmente benedetto l’incontro”, che “si tradurrà in un ulteriore saccheggio della nostra terra”. Lo stesso Belisario, in una nota, ha chiesto “reciprocità nel rapporto tra Stato e Regione”, nel “rispetto dei diritti dei lucani” e per “lo sviluppo del territorio” che rappresentano “gli interessi che anteponiamo - ha concluso – a ogni convenienza di parte”.
29 Aprile 2011


Petrolio, firmato il "Memorandum"
La Basilicata svolge un ruolo nevralgico per il fabisogno energetico del Mezzogiorno e dell'Italia. Questo il presupposto di partenza per la sottoscrizione del "Memorandum" tra Stato e Regione avvenuta oggi in viale Verrastro
29/04/2011  «Lo Stato riconosce che la Basilicata rappresenta il nodo centrale del sistema dell¨energia per il Mezzogiorno, svolgendo un ruolo rilevante per l'intero Paese»: è questo il presupposto con cui si apre il “Memorandum di intesa» sulle estrazioni petrolifere tra la Regione e lo Stato, firmato oggi a Potenza. Nel documento si evidenzia che «le risorse energetiche lucane e il loro corretto, razionale e sostenibile utilizzo rappresentano un fattore della ricchezza e della competitività del territorio regionale»: Stato e Regione hanno quindi “deciso di affrontare in maniera sinergica la questione, attraverso la definizione di un programma, avente finanza addizionale, che tenga conto dei programmi di investimento delle compagnie petrolifere». Sono quattro gli «assi strategici» indicati dal Memorandum: prevenzione, tutela dell'ambiente e del territorio; incremento dell'accessibilità regionale attraverso la connessione con i nodi delle reti nazionali della mobilità; creazione di nuova occupazione attraverso la ricerca, la formazione e la promozione di nuove iniziative in campo ambientale, turistico e industriale; costituzione di un «cluster dell'energia» con «valenza nazionale e internazionale». Sono poi previste «specifiche linee d'azione», tra cui la realizzazione di un distretto energetico, di infrastrutture industriali ed energetiche «ad alto contenuto innovativo», un centro di Studi europeo «sull'energia e sulla sicurezza energetica a carattere sovranazionale», e «una Scuola superiore di formazione sull'energia».

Petrolio, le bugie dell'Eni.
Ecco i rilevi dell'Arpab
Arpab rileva variazioni di idrogeno solforato La società: «Noi estranei». Tutti i buchi del monitoraggio
07/04/2011 VIGGIANO - Le possibilità sono due: o Eni ha mentito sulla misurazione dei parametri dell’aria o gli strumenti dell’azienda non sono in grado di garantire un corretto monitoraggio della sua qualità. La conclusione, invece, è una sola: i lavoratori dell’Elbe Sud, che martedì sera sono finiti all’ospedale di Villa d’Agri lamentando intossicazione, avevano ragione. Quell’odore acre di uova marce, i mal di testa, l’ansia, i bruciori agli occhi e le affezioni alle prime vie respiratorie - tutti sintomi accertati dai referti medici dei sanitari del Pronto soccorso - sono stati provocati dalle emissione in atmosfera di idrogeno solforato (H2 S). Si tratta di una delle principali sostanze che derivano dalla lavorazione del petrolio del vicino Centro Oli. Un gas irritante e molto tossico, anche infiammabile, che, se presente in dosi massicce, può provocare conseguenze molto, molto gravi. E martedì sera i valori della sostanza hanno subito una sensibile variazione, checchè ne dica l’Eni che invece ha subito escluso questa possibilità . La conferma arriva dall’agenzia regionale per la tutela dell’ambiente. Uno dei dieci “campionatori passivi” posizionati nella zona - proprio nei pressi dell’azienda Elbe Sud dove si trovavano gli operai finiti in ospedale - ha rilevato nella serata valori di idrogeno solforato più che quintuplicati rispetto a quelli “soliti”. Se nella media di un anno si aggira tra 0,2 e 0,5 microgrammi per metro cubo, martedì si è raggiunto il valore di 2,7. Una quantità di sostanza che - in queste soglie - è perfettamente compatibile con i sintomi lamentati dai lavoratori. «Il dato va letto con cautela - ha chiarito il direttore dell’Arpab, Raffaele Vita - Primo perché ancora è solo parziale. In secondo luogo va precisato che, per quanto superiore alla media, si mantiene comunque al di sotto della soglia massima stimata dall’Organizzazione mondiale della Sanità in 7 microgrammi al metro cubo». Sono questi gli importanti risultati emersi dalla prima riunione della commissione d’inchiesta interna alla Regione voluta dal presidente De Filippo «per appurare la verità sui casi di intossicazione». Ora le indagini della commissione dovranno andare avanti per accertare le cause scatenanti l’episodio. I tecnici dell’Arpab sono al lavoro da ieri e sono già stati acquisiti i dati delle centraline fisse, anche se da quest’ultime non sono emerse variazioni significative dei valori di concentrazioni di inquinanti.
Ma i valori di idrogeno solforato rilevati dal campionatore passivo dimostrano comunque che qualcosa all’interno del Centro Oli deve essere successa, a dispetto di quanto l’Eni si è affrettata a smentire in quelle ore. E, ieri, nonostante gli aggiornamenti dell’Arpab la posizione non è cambiata. In una nota Eni ha dichiarato la propria «totale estraneità al fenomeno segnalato dai lavoratori della ditta», confermando che «non si è verificato alcun evento incidentale, anomalia o problema impiantistico all'interno dello stabilimento».
A supporto di quanto dichiarato la società ha dichiarato di aver mostrato, nel corso del tavolo tecnico che si è svolto in Regione, i dati del sistema di monitoraggio ambientale relativi alle portate ed alle concentrazioni degli inquinanti ai camini delle apparecchiature, e i parametri di esercizio dell'impianto e le registrazioni dei dati di qualità dell'aria effettuati dalla nostra centralina di monitoraggio. «Tutti i dati presentati sono stati messi a disposizione delle Autorità competenti e testimoniano il totale rispetto dei limiti autorizzati e l'assenza di variazioni delle condizioni di normale esercizio dello stabilimento».
Ma se il malore che ha colpito gli operai della Elbe è un singolo episodio, non lo è per niente quell’odore acre di uova marce, a volte quasi nauseante, costante fissa nelle vite della popolazione che abita a ridosso del Centro Oli. Sono loro a correre i maggiori rischi per l’esposizione a questo gas tossico che in dosi eccessive può provocare conseguenze molto gravi. Da tempo chiedono, e ora più che mai, un sistema di monitoraggio migliore, più capillare e soprattutto costante. Gli strumenti dell’Arpab misurano al momento solo periodicamente i valori di questa sostanza. Il controllo permanente è affidato ai sensori dell’Eni installati nel Centro Oli. Gli stessi che martedì scorso, quando gli operai si sono sentiti male, non hanno segnalato «alcun livello di allarme». Tanto che l’Arpab nei mesi scorsi ha deciso di dotarsi di nuove centraline per consentire il monitoraggio permanente delle emissioni di H2 S. Misuratori che però al momento non sono ancora disponibili. Per fortuna il campionatore passivo nei pressi dell’azienda è riuscito a “raccontarci” la verità su martedì sera. Un dato a cui ora Eni dovrà comunque dare una risposta.
Mariateresa Labanca


«Petrolio, ai lucani solo gli spiccioli». di ENZO PALAZZO
MATERA - Il petrolio è dei lucani? La domanda viene spontanea un po’ a tutti tra il Bradano e il Sinni, guardando la misera percentuale che, in royalties sui barili estratti, tocca annualmente alla Basilicata: il 7 per cento appena. Però, e qui la notizia si fa interessante, secondo quanto pubblicato anche da «The Economist» su come ci si regola nel mondo in tema di royalties (fonte Van Meurs Corporation e Maria Rita D’Orsogna, Università di Santa Monica, California), se fossimo in Canada, la divisione sarebbe stata fifty-fifty. Cioè, 50 per cento alla compagnia mineraria e 50 al territorio. Qualcosa in più sarebbe toccato ai lucani se l’Eni in Basilicata avesse applicato ciò che concesse all’Iran nel 1957 (fonte: “L’era del petrolio”, di Leonardo Maugeri, Feltrinelli Editore): il 50 per cento degli utili lordi sottoforma di imposte da aggiungere al 50 per cento degli utili netti, per un totale del 75 per cento. Il resto, il 25 per cento, alla compagnia mineraria che comunque non ci perde, visto che i 159 litri di greggio per barili estratti li trasforma in lucrosa benzina.

Se invece fossimo in Norvegia, alla Basilicata andrebbe l’80 per cento, più una petrolpensione a 4 milioni di abitanti (i lucani sono appena 600mila), e solo, si fa per dire, un 20 per cento ai petrolieri. Se consideriamo che sono 500 i milioni di barili di petrolio ancora da estrarre dal sottosuolo lucano (fonte: il dirigente dell’Eni Giuseppe Tannoia, al convegno tenutosi in Basilicata, Copam 2011, una tre giorni di elogio all’economia fossile organizzato dall’Eni e dalla Regione), la dimensione dell’affare che perde la Basilicata e guadagna la compagnia mineraria, assume dimensioni interessanti. Calcolando, infatti, circa 100 euro al barile, un po’ per praticità di calcolo, un po’ perché effettivamente il prezzo di un barile si avvicina ai 100 euro, è possibile quantificare il tesoro che la Basilicata nasconde sotto le sue viscere: circa 50 miliardi di euro.

Dunque, ricapitolando: se fossimo in Canada, 25 miliardi andrebbero alle società minerarie e 25 alla Basilicata. Se fossimo in Iran nel 1957, 37,5 alla Basilicata e 12,5 all’Eni. Se fossimo in Norvegia, 40 ai lucani e 10 ai petrolieri. Se fossimo in Basilicata, come in effetti siamo, la divisione sarà, invece, di 46,5 miliardi di euro ai petrolieri e di appena 3,5 ai lucani. I quali devono anche digerirsi i costi ambientali e di salute di un’attività impattante ed inquinante. Dunque, di chi è il petrolio?

http://www.lagazzettadelmezzogiorno.it/notizia.php?IDNotizia=412534&IDCategoria=1 

Contro-Copam 2011, Comunità Lucana: “Una conferenza sul petrolio a mano armata”
[Miko Somma, coordinatore regionale di Comunità Lucana-Movimento No Oil]
7 marzo 2011
Chiusasi finalmente la COPAM il cui compito era render edule proto-scientificamente, secondo criteri mass-divulgativi alla Angela, il significato di scelte energetiche prese altrove e che trasformeranno la Basilicata in pila energetica e damigiana petrolifera, è tempo di alcuni bilanci che riescano a superare il gran circo del consenso in scena in questi giorni a Matera e Viggiano, verso cui facilmente intuiamo che una parte delle royalties qualche effetto pur avranno giocato (ognuno pro domo sua). 
In sintesi estrema, si è deciso che in Basilicata la quota di estratto debba approssimarsi alla quota di 180.000 barili/giorno (praticamente il doppio dell’attuale livello) per una serie di ragioni che vanno da un interesse nazionale mai ben compreso (l’ENI è compagnia privata e le altre sono tutte straniere) alle “solite” opportunità per il territorio che fin qui abbiamo potuto apprezzare, ma non è questo forse il punto in discussione, trattandosi per gli idrocarburi di una proprietà esclusiva dello Stato che potrà magari decidere che l’interesse nazionale siano le accise e le tasse sugli idrocarburi da incamerare in un sistema federalista che ben si guarda dall’inserire queste risorse in quelle oggetto di devolution alle regioni (con tanto di avvallo di alcune forze di opposizione), piuttosto che una diminuzione della dipendenza dall’estero per gli idrocarburi di cui non si comprende allora bene la ratio.
Il punto è che tutto questo viene fatto passare come una libera scelta del territorio che, accortamente allestita una conferenza “scientifica” a tranquillizzare i cittadini, potrà così dare avvallo per mezzo di una opinione pubblica che non si è mai compreso in quali modi si esprimerà o potrebbe esprimersi in simile materia, essendosi forzati sia i termini dell’accordo ENI-regione del ’98 (102.000 barili/giorno il piano industriale), che quelli Total-Regione per Tempa Rossa (54.000 barili/giorno) in funzione non di un aumento teorico tutto sommato poco considerevole (20-30.000 barili/giorno), ma di un precedente che viene così a diventare ammissibile, il superamento di quegli accordi senza reale coinvolgimento delle popolazioni in virtù di decisioni energetiche prese altrove e che si tenderà a rendere sempre più facili (una delle proposte in tal senso parlava di un “semplificazione delle procedure”, la dottrina Scajola, per chi ha più memoria, che recitò questo carme in una visita in Val d’Agri nel 2009).
Ora se di aumenti delle quote royalties neppure a parlarne (bisognerebbe passare dal parlamento ed ottenere una revisione del decreto 625/96 e successivi provvedimenti), ciò che vien messo sul piatto della bilancia sono delle infrastrutture da costruire (e di cui occorrerebbe meglio valutare la necessità o l’opportunità) e la solita burla del lavoro (1300 posti).
In cambio di tanta generosità ci toccherà accettare non tanto l’aumento immediato della produzione di estratto per il quale servono prima i pozzi, quanto l’ampliamento dell’unità trattante del Centro Olii di Viggiano, che già fissata in dimensioni e capacità per il citato accordo con ENI, dovendo svolgere il solo ruolo di stazione di pompaggio per il petrolio di Tempa Rossa (dove è in costruzione l’impianto di desolforizzazione specifico), pesa in modo considerevole sull’intera questione per i risvolti sanitari ed ambientali che finora sono stati sottaciuti da monitoraggi di fatto poco lineari e che con la recente istituzione dell’Osservatorio Ambientale si pretende come annullati per ricostituire quel “punto zero” o inizio-emissioni che andrà accettato in quanto tale, staccare cioè una pagina dal libro della storia del petrolio in questa regione.
A supporto di questa opzione si sono dovuti così processare una serie di dati sulle malattie tumorali e croniche, nei fatti per la prima volta ammesse in aumento (ma mai citare che quest’aumento, la curva si direbbe, è il maggiore d’Italia), sui quali allegramente si è detto dipendere da cause quali aumento dell’età media, maggior capacità di diagnosi e maggiore sopravvivenza, stili di vita, cambiamento del clima globale e mai una sola volta accennando tra le possibili cause all’inquinamento da estrazione e trattamento degli idrocarburi, escluso da ogni ipotesi in una bizzarro aristotelismo alla rovescia e sul quale tuttavia bisognerebbe indagare e non spugnare via con tanta leggerezza.
Si è cioè esclusa ogni possibilità di concausa con buona pace del metodo scientifico spesso citato, ma soprattutto si è glissato sull’evidenza che mancando dati di riferimento certi dovrebbe essere una analisi basata sul principio di precauzione ex-lege a guidare la lettura dei pochi a disposizione.
Ma è soprattutto sul fatto che non si è affatto parlato di turismo ed agricoltura (le due vittime principali in rapporto alle estrazioni), quindi di destinazione del territorio, a lasciare intuire che era proprio di ciò che non si doveva parlare, di quale cioè, al netto di ogni polemica o dibattito, debba essere il destino produttivo della regione in rapporto ad una “perforabilità” del suo territorio che oggi diviene certezza, il tasto sul quale spingiamo con maggior forza a ribadire un’altro possibile destino per questa terra.
Cosa d’altronde ovvia, se la Basilicata deve diventare un hub energetico che non si parli d’altro e che si preferisca una conferenza a mano armata che suona purtroppo come un ….  “o la borsa o la vita!”


Fermi investimenti per 4 miliardi
Luigia Ierace – il sole 24Ore - POTENZA
«Abbiamo investimenti per circa 4 miliardi di euro già programmati dalle compagnie petrolifere in Basilicata che devono assolutamente ripartire: il potenziamento della Val d'Agri; lo sviluppo del giacimento di Tempa Rossa, il pozzo esplorativo Montegrosso in provincia di Potenza, lo stoccaggio in Val Basento». Lo ha dichiarato il direttore generale per le risorse minerarie ed energetiche del ministero dello Sviluppo economico, Franco Terlizzese, nel corso della prima Conferenza "Petrolio e Ambiente", Copam 2011, che si è tenuta a Matera e Viggiano su iniziativa della Regione Basilicata.
Ritardi amministrativi e prolungamenti nel rilascio delle autorizzazioni, opposizioni territoriali che hanno fino ad oggi bloccato o frenato l'avvio delle attività dei più grandi player del settore. «Di qui ai prossimi tre anni con lo sviluppo del giacimento della Val d'Agri – ha sottolineato Giuseppe Tannoia, direttore Attività Sud Europa E&P dell'Eni – potrà essere raggiunto il tetto già previsto nell'accordo del 1998 con la Regione Basilicata, di 104mila barili di petrolio al giorno». Produzione che oggi si attesta a circa 80mila barili al giorno estratti dai 30 pozzi perforati. Ce ne sono ancora 4 da perforare. Il resto rimane quindi nelle viscere della terra con il rischio di essere perduto definitivamente. Compagnie petrolifere e ministero, infatti, hanno quantificato in 50 milioni di barili di petrolio quella parte di produzione che negli ultimi 10 anni è andata perduta proprio per mancanza di una gestione adeguata del giacimento per ritardi amministrativi nel rilascio delle autorizzazioni.
Una mancata estrazione che si riflette evidentemente sulla bilancia economica del paese e sulla sicurezza degli approvvigionamenti. La produzione nazionale di greggio, che per l'80% è data dal giacimento dell'Eni in Val d'Agri, dopo il calo del 2009 con una produzione di circa 3,1 milioni di tonnellate (a fronte delle 3,9 del 2008) ha registrato una leggera ripresa nel 2010 con circa 3,4 milioni di tonnellate.
Ma ora «occorre accelerare lo sviluppo dei giacimenti – ha ribadito Sergio Garribba, consigliere per le politiche energetiche del ministero dello sviluppo – e la condizione imprescindibile è che Stato, Regione e compagnie petrolifere si mettano insieme e arrivino a un'intesa. È importante per il Paese, per il territorio e per gli imprenditori che oggi chiedono certezze e rispetto degli accordi presi». Insomma, la macchina degli investimenti deve ripartire, come ha ribadito il direttore di Assomineraria, Andrea Ketoff. «Ci sono tutte le condizioni, ma emerge chiaramente che è importante che il sistema autorizzativo non si attardi, che abbia tempi certi per evitare che un ritardo negli investimenti blocchi il meccanismo di crescita della filiera dell'indotto».
Un indotto che ha tutta la possibilità di svilupparsi. La Basilicata non è ancora un distretto petrolifero sviluppato e il tessuto locale delle imprese deve ancora crescere. «Due sono i filoni sui quali investire – ha ribadito il presidente di Confindustria Basilicata, Pasquale Carrano – incremento e qualificazione delle competenze e innovazione di prodotto e di processo». E per la Basilicata del petrolio una doppia opportunità: catalizzare l'attenzione del governo sulla centralità delle sue risorse per il Paese, grazie all'intesa raggiunta nel tavolo tecnico Ministero-Regione. Una premessa importante per ottenere la contropartita che il governatore Vito De Filippo chiede: infrastrutture, occupazione e formazione. «Con questa Conferenza abbiamo avviato un nuovo modello di relazioni in campo energetico. Alle compagnie chiediamo tecnologie sicure» ha detto De Filippo.

I NUMERI CHIAVE
4 miliardi
Gli investimenti
Già programmati dalle compagnie petrolifere
in Basilicata che possono ripartire
104 mila
Barili al giorno
tetto produttivo previsto nell'accordo del 1998 Eni-Regione in Val d'Agri
50 milioni
Barili di petrolio
Perduti negli ultimi 10 anni
per ritardi amministrativi
nel rilascio delle autorizzazioni
80%
Produzione nazionale
Gran parte della produzione nazionale di greggio arriva dalla Val d'Agri



Il presidente della Regione Basilicata, Vito De Filippo, lo ha ribadito con nettezza ieri, nel suo bilancio di fine anno, a Potenza, lanciando un messaggio chiaro e netto ai suoi oppositori di centrodestra dopo il loro annuncio «sbagliato e negativo » (fatto filtrare nei giorni scorsi), e alla stessa Eni (che lascia intendere sotto traccia di pensare, più che al raddoppio, a un ampliamento del Centro oli già esistente).

«Per quanto mi riguarda non si realizzerà alcun raddoppio - ha ripetuto il governatore lucano - in assenza di un tavolo nazionale e di un nuovo accordo fra Stato e Regione Basilicata, basato stavolta, più che su una relazione finanziaria, sull’occupazione. Tutto dovrà passare comunque attraverso un nuovo accordo: lo abbiamo già detto anche all’amministratore delegato dell’Eni, Paolo Scaroni, e allo stesso Governo». La nuova frontiera del federalismo - inteso e interpretato in senso solidale - in Basilicata passa inevitabilmente anche dal governo delle risorse energetiche del territorio. A cominciare dal petrolio. Nell’ultima campagna elettorale, al termine della quale De Filippo è stato eletto per il suo secondo mandato, l’impegno assunto da tutti i candidati presidenti in lizza è stato quello di avviare una rinegoziazione per modificare (con maggior vantaggio per i lucani) le condizioni delle royalty, e degli altri oneri (ad esempio sul versante delle compensazioni ambientali), che le compagnie petrolifere sono tenute a versare alla Basilicata. Ma, sino a questo momento, nessun tavolo negoziale risulta essere stato avviato.
Ora De Filippo sembra voler prendere al balzo proprio la questione del nuovo Centro oli per affermare: questa rinegoziazione delle condizioni s’ha da fare. D’altra parte, se non si riesce a mettere sul tavolo il valore del contributo offerto all’interesse nazionale con le risorse energetiche prodotte dal territorio, per una realtà come la Basilicata il tempo del federalismo si prospetta devastante. Con un destino da agnello sacrificale: pur essendo una regione dal territorio abbastanza vasto (10 mila chilometri quadrati), infatti, la Basilicata paga lo scotto di una scarsa popolazione (588 mila unità) con conseguente ridotta capacità impositiva. «Se il Nord, in barba all’articolo 53 della Costituzione («tutti sono tenuti a concorrere alle spese pubbliche in ragione della loro capacità contributiva»), ritiene che ciò che produce fiscalmente gli appartiene - ha detto De Filippo - siamo al poliautarchismo: una bomba sociale per l’Italia». Ma, se i numeri relativi ad abitanti e tasse ci condannano, quelli che fanno della Basilicata la regione che porta all’Italia il maggior contributo petrolifero, potrebbero rivelarsi decisivi. Ed è una regione che - come attestato da Moody’s anche nel 2010 - nonostante tutto, è ancora ritenuta «affidabile», come conferma il rating AA3.
06 Gennaio 2011
  

South Stream e dintorni 
7 dicembre 2010
Roma, 23 giugno 2007, alla presenza del ministro dello sviluppo economico Pierluigi Bersani, Eni e Gazprom firmano un memorandum d’intesa per la realizzazione di South Stream, un sistema di nuovi gasdotti destinato a collegare la Russia all’Unione Europea attraverso il Mar Nero. Il Vice Presidente di Gazprom, Alexsandr Medvedev, dichiara: “La firma del Memorandum è un atto concreto finalizzato allo sviluppo della partnership strategica tra Gazprom e Eni, una partnership di lungo termine e di reciproco vantaggio. Si tratta di un ulteriore passo verso la concreta realizzazione della strategia di Gazprom volta a diversificare le vie delle forniture del gas russo verso i paesi europei e a garantire notevolmente la sicurezza energetica dell’Europa”. Il 18 gennaio 2008 a san Donato Milanese, Eni e Gazprom costituiscono la società South Stream AG (50 per cento Eni, 50 per cento Gazprom). Una volta realizzato, South Stream porterà nella vecchia Europa, attraverso nuove rotte, 30 miliardi di metri cubi di gas all’anno. Nel comunicato stampa che annuncia la nascita della joint-venture si afferma che “nel corso del primo trimestre 2008, il Governo italiano e il Governo russo, Eni e Gazprom si incontreranno per definire il percorso per il raggiungimento degli accordi intergovernativi con i diversi Paesi di transito del gasdotto. Il progetto sarà presentato alla Commissione Europea e discusso con le altre istituzioni dell’Unione Europea.”
Roma, 3 dicembre del 2009, il presidente di Gazprom Alexey Miller e l’Amministratore delegato dell’Eni Paolo Scaroni, alla presenza del Presidente della Federazione Russa Dimitrij Medvedev e del Presidente del Consiglio italiano Silvio Berlusconi, firmano un accordo per l’ingresso della compagnia francese EdF nel progetto South Stream. La multinazionale francese Edf, sempre nel 2009, firma un accordo con Enel per lo sviluppo del nucleare in Italia. La rotta sud del gasdotto South Stream approderà in Italia e precisamente ad Otranto, mentre in Basilicata, nella martoriata Val Basento, nascerà un sito dove verranno stoccati 1,5 miliardi di metri cubi di gas. Il megastoccaggio lucano, come ha scritto Pietro Dommarco in un articolo pubblicato sul quotidiano “Terra”, è parte di un complesso disegno che vedrà “la pugliese Otranto trasformarsi in terminal petrolifero e gassifero e la Basilicata in hub di stoccaggio e polo energetico”. A gestire il sito di stoccaggio della Val Basento sarà la Geogastock, una società con sede operativa e amministrativa a Paderno Franciacorta (BS). La Geogastock è controllata dalla Energetic Source, che a sua volta è controllata da Avelar Energy Group. La Avelar è la holding europea della Renova, colosso energetico guidato dal russo Viktor Vekselberg, che è proprietario della TNK, la terza compagnia petrolifera russa che opera in un patto di ferro con la Gazprom. Insomma, la Geogastock, se non si fosse capito, è controllata da capitali russi. Nell’ottobre del 2007, il sito “Dagospia” rilancia un articolo pubblicato sul settimanale “l’Espresso” a firma Margherita Belgiojoso e Luca Piana. Il sito web di Roberto D’Agostino titola: “L’oligarca Vekselberg ha deciso di investire in Italia, soprattutto nel settore dell’Energia. Per i vertici delle sue società ha scelto due amici di D’Alema”. Vale la pena riportare alcuni stralci del sopra citato articolo: “Ha cinquant’anni ed è proprietario di un impero che spazia dal petrolio alle miniere, dalle costruzioni alla siderurgia. Occupa la decima posizione tra gli uomini più ricchi di Russia nella classifica stilata dalla rivista americana ‘Forbes’. Si chiama Viktor Feliksovich Vekselberg e da circa 12 mesi ha iniziato un’impetuosa marcia sull’Italia, acquistando centrali elettriche e alberghi da sogno, il porto turistico di Rimini e quote azionarie in alcune griffe del made in Italy, dalla marchigiana Poltrona Frau alla siciliana Aicon Yachts. Seguendo le tracce del suo percorso italiano, ci si imbatte spesso in persone che vantano contatti personali con il ministro degli Esteri, Massimo D’Alema”.
Quali siano le persone che vantano contatti personali con D’Alema, i cronisti lo spiegano subito dopo: “Tutto parte da Zurigo, dove hanno sede diverse società del suo gruppo, chiamato Renova. Al numero 22 di Claridenstrasse lo scorso dicembre è stata registrata la Avelar Energy, holding che ha il compito di condurre l’espansione nel settore energetico in tutta Europa e in particolare in Italia, con investimenti previsti per un miliardo di euro in tempi brevi. Forse per questo motivo Avelar Energy può contare fra i propri amministratori non solo alcuni uomini di fiducia di Vekselberg, russi pure loro, ma anche cittadini svizzeri, tedeschi e italiani. E tra questi da giugno è entrato un imprenditore che qualche anno fa aveva animato le cronache politiche: Roberto De Santis, 49 anni, salentino di Martano. De Santis – scrivono quelli de l’Espresso – può vantare un’amicizia di lunga data con D’Alema, con il quale trascorre a volte le vacanze e al quale vendette negli anni Novanta la barca Ikarus. Nel 1999 e nel 2000, durante gli anni dei primi governi di centrosinistra, il suo nome era stato accostato alle iniziative della banca d’affari London Court e alla nascita della Formula Bingo, la società che avrebbe voluto cavalcare il debutto in Italia del popolare gioco d’azzardo, ma che poi non ebbe grande successo”.
La Geogastock, come detto, dovrà gestire nella Val Basento il megastoccaggio di gas proveniente dalla madre Russia e per la bisogna ha acquisito 20 pozzi delle dismesse concessioni Eni “Grottole-Salandra” e “Pisticci”. Nove di questi pozzi risultano ancora fortemente inquinati da sostanze tossiche. In un territorio letteralmente devastato dai veleni si consumerà l’ennesima speculazione sulla pelle di popolazioni che, a partire dalla fine degli anni ’50, hanno pagato un pesante tributo ad un sogno industriale che ha portato solo veleni, morte e cassa integrazione.
Nel progetto South Stream troviamo oltre alla Russia e all’Italia, all’Eni e alla Gazprom, anche la Turchia e la Germania. Tra le regioni italiane interessate al progetto – come abbiamo visto – troviamo la Basilicata e la Puglia. In. Si chiama Viktor Feliksovich Vekselberg e da circa 12 mesi ha iniziato un Lucania, mentre comitati di cittadini e associazioni ambientaliste si interrogano sull’opportunità di realizzare il megastoccaggio di gas in un’area dichiarata nel 2003 Sito di Bonifica di Interesse Nazionale(SIN), l’unica preoccupazione del ceto dirigente è concentrata sulle royalty o meglio sulle compensazioni per il mancato uso del territorio. Compensazioni? Mancato uso del territorio? A pensarci bene viene da sorridere, perché la Val Basento è una bomba ecologica che già ora non potrebbe essere utilizzata. Verrebbe da dire: la Basilicata come il Kazakistan. E se qualcuno mi chiedesse chi fa il Putin, gli risponderei di guardare anche nella vicina Puglia. Questa, però, è un’altra storia; diversa, forse, da quella che racconta di amici e amici degli amici e di amicizie che fanno le fortune di cordate e comitati d’affari. Nello scacchiere della partita energetica internazionale e dei “vantaggiosi contratti energetici” conta poco il futuro della Basilicata e ancor meno quello della Val Basento. Dopo le rivelazioni di Wikileaks, un attento osservatore delle vicende lucane ha commento: Il Totem nero del petrolio e del gas, che non porta lavoro, ha solo creato “La guerra tra i poveri”, un’aria irres/spanpirabile, un aumento delle malattie tumorali e tanti ambigui intrighi internazionali, poco chiari e poco comprensibili alla maggioranza silenziosa dei Lucani.
Mentre stavo scrivendo, ho iniziato a discutere con un amico di come sia possibile costruire, già oggi, case in grado di abbattere i consumi, le chiamano “Case passive” e “Case attive”. Forse dovremmo discutere di questo e di un’energia non verticistica, ma orizzontale. [Articolo di Maurizio Bolognetti]
Fonte:

Petrolio in Basilicata. Destinati ad altro i fondi Eni per il monitoraggio
di ANTONELLA INCISO
POTENZA - Si sà: in tempi di «vacche magre» i soldi vanno utilizzati nel migliore dei modi.
E se l’annuncio dell’impiego dei fondi del petrolio per fronteggiare i tagli disposti dal Governo nazionale fatto dal presidente De Filippo ha provocato la reazione di qualcuno (una sparuta minoranza per la verità), è altrettanto vero che non è la prima volta che i soldi derivanti dal greggio vengono “stornati” da una voce all’altra. È il caso di una parte dei soldi che l’Eni versa in base all’accordo con la Regione a titolo di compensazione per le estrazioni petrolifere. Per il 2009 e il 2010, infatti, le risorse destinate a due di queste risorse sono state dirottate su altro.
In particolare, l’accordo Eni - Regione prevede un’ erogazione di finanziamenti da parte della società petrolifera da destinare a tre voci: la compensazione ambientale, lo sviluppo sostenibile e la gestione del sistema di monitoraggio ambientale. Per le ultime due voci, però, i fondi non sono stati mai utilizzati o più precisamente nelle uniche occasioni in cui sono stati erogati sono stati impiegati per altro.
Nell’ultimo biennio, infatti, la Giunta regionale - con le delibere 1023 e 1525 del 2009 e 1638 e 1674 del 2010, ha impiegato le risorse annue trasferite dall’Eni e destinate alle prime due voci «per finanziare i progetti predisposti e gestiti dalle Regione o da enti delegati, diretti alla compensazione ambientale con interventi di rimboschimento, ricostruzione o manutenzione della vegetazione nelle zone interessate dalle perforazioni e in aree protette quali “bioitaly” e il parco nazionale appennino lucano».
In tutto 5 milioni di euro l’anno, divisi in circa 2 milioni di euro per lo sviluppo sostenibile e 3 milioni di euro per il monitoraggio. Una somma non indifferente (ottenuta per la prima volta nel 2009 considerato che dal 1998 al 2008 non sono stati dati per una clausola sospensiva) che però nei fatti - solo per il 2010, ad esempio, è stata assorbita quasi completamente dalla voce «lavoro». Il che tradotto in termini più semplici significa che i soldi sono stati utilizzati prevalentemente per il costo della manodopera che viene impiegata in attività di forestazione.
Insomma, con i fondi del monitoraggio ambientale e dello sviluppo sostenibile sono stati pagati gli operai forestali che lavorano nelle Comunità Montane. Il tutto, tra l’altro, nonostante proprio per la voce «compensazione ambientale» la Regione abbia ottenuto dall’Eni e per tutto un decennio (sino al 2008 ed a partire dal 1998) undici miliardi di vecchie lire. «Questi soldi rappresentano un bel sì a quell’ammortizzatore sociale che è rappresentato dalla forestazione» tuona l’opposizione in Consiglio regionale che sulla vicenda ha anche presentato una mozione in cui chiede «di non modificare la destinazione delle risorse spettanti per il 2011».
«Da tutto ciò si ricava una sola considerazione - precisa il consigliere regionale del Pdl, Gianni Rosa - in Basilicata non esiste una reale programmazione e le risorse dirette ed indirette rivenienti dall’estrazione del petrolio sono gestite così in malo modo che non creano alcun ritorno in termini di sviluppo. È emblematico che la Regione Basilicata non abbia un progetto strategico di politica ambientale, infatti, invece di provvedere con altre risorse di bilancio a finanziare il piano di forestazione, si arriva addirittura a variare il protocollo di intesa sottoscritto con l’Eni, poi De Filippo asserisce che non ha alcun potere contrattuale con l’Eni - conclude Rosa - preferendo congelare e non programmare su questioni strategiche per l’ambiente oppure investire su ipotesi di sviluppo della green ecology. Reputiamo questo l’ennesimo caso uno spreco di danaro pubblico da parte del Governo De Filippo, che in assenza di qualunque progetto politico per la Basilicata, continua ad operare con atti estemporanei. Per il 2011 la scusa già è pronta: il Governo Berlusconi taglia e la Basilicata è costretta ad utilizzare le risorse del petrolio per la spesa corrente».

DIRITTO DI REPLICA: LA REGIONE E LO SVILUPPO SOSTENIBILE FATTO CON I FONDI DEL PO VAL D’AGRI
«I 5 milioni di euro destinati alla forestazione per il 2010 e il 2009 sono il frutto di un’opera di “moral suasion” portata avanti dal presidente De Filippo nei confronti dell’Eni». È quanto fa sapere la Regione in merito alla vicenda dei soldi dell’Eni per la forestazione.
«Il protocollo tra Regione ed Eni era articolato su 12 accordi attuativi. Il primo, relativo alla compensazione ambientale prevedeva un contributo di 11 miliardi di vecchie lire per 10 anni - precisa la Regione - così l’ultimo piano di forestazione finanziato con queste risorse è stato quello del 2008. Il progetto sullo sviluppo sostenibile, invece, era soggetto ad una “clausola di sospensiva” secondo cui l’Eni avrebbe dovuto erogare i 4 miliardi di lire all’anno dall’entrata in funzione del Centro Oli di Viggiano solo quando fossero stati perfezionati tutti gli adempimenti a carico della pubblica amministrazione. Adempimenti, soprattutto sul versante municipale, non ancora portati a termine. Ciò nonostante la Regione è riuscita ad ottenere dall’Eni 2 milioni di euro per il 2009 e per il 2010».
«La stessa cosa è avvenuta per il monitoraggio che prevede 3 milioni di euro per 15 anni dall’entrata in funzione del sistema di monitoraggio ambientale, da realizzare con un finanziamento una tantum di 10 miliardi di lire - aggiunge la Regione - sistema ora in fase di realizzazione. Non essendo entrato in funzione il sistema di monitoraggio, l’Eni non sarebbe stata tenuta a versare i 5 milioni di euro. Convincerli è stato quindi un atto di virtuosa diplomazia istituzionale - conclude la nota - che ha consentito alla Regione di non interrompere la forestazione scaduta nel 2008, la quale al di là degli aspetti occupazionali, importanti per i quasi 5000 addetti del settore, consente di preservare uno dei “tesori” più preziosi della Basilicata: l’ambiente. Non va dimenticato, poi, che gli interventi previsti dal protocollo “sviluppo sostenibile” sono stati realizzati attraverso il Programma operativo val D’Agri, con 350 milioni di euro messo a disposizione dei 30 comuni dell’area».
05 Dicembre 2010
FONTE: 
http://www.lagazzettadelmezzogiorno.it/notizia.php?IDNotizia=387506


L’imbroglio di Digilio
02/12/2010 La Basilicata al centro delle traiettorie strategiche dell’oro blu, una regione pivot tra Mediterraneo, Est ed Ovest, un anello di quella catena geopolitica che lega la Russia all’Italia e l’Italia alla Libia e alla Turchia, forse persino il vertice di un triangolo geopolitico oppure anche solo un segmento di quel corridoio commerciale grazie al quale vengono disegnate, almeno in questa fase storica, le traiettorie di una politica estera non conforme all’approccio atlantico.
La Basilicata hub di quell’intreccio di pipelines che assicureranno al Belpaese un’indipendenza energetica fondamentale per rilanciare lo sviluppo e la modernizzazione della penisola, ma soprattutto delle Regioni meridionali. La Basilicata perno di relazioni economico-politiche tra stati sullo scacchiere europeo. Nonostante questa sia la realtà dei fatti, nonostante siamo di fronte a positive potenzialità della nostra terra che le rivelazioni del sito Wikileaks hanno involontariamente confermato, i principali quotidiani locali del Sud e della Lucania di ieri sembravano cadere dalle nuvole con il loro sgomento ingenuo. Detti organi d’informazione hanno adombrato situazioni virtualmente criminogene, trascinate dal poco trasparente business del gas che non sarebbe condiviso pubblicamente dall’amministrazione territoriale e dagli organi centrali di Roma. Così il Quotidiano della Basilicata: “L’Affare sporco del gas russo in Val Basento”. Così rimbalzava la Gazzetta del Mezzogiorno: “Gas russo nella Val Basento, spunta l’affare top secret”. Ed ancora altre articolesse sui silenzi del governo e sulla mancanza di chiarezza rispetto a questi contratti. Se non ci fosse da piangere mi verrebbe da ridere. Siamo diventati la patria delle anime belle, degli uomini che credono a tutto ciò che gli viene raccontato dai media e dal politically correct degli apparati ideologici anglobalizzati. Mettiamo i puntini sulle i una volta per tutte. Ci sono legami, alleanze, intese, scambi economici che non potranno mai essere disbrigati alla luce del sole, non perché siano contornati da intenzioni malvagie o illegali ma in quanto si rischia di far saltare tutto per la rivalità e per la contrapposizione di interessi ostili, soprattutto stranieri, che non ammettono concorrenti in determinati campi fortemente redditizi o collegati alla stessa sicurezza nazionale. In quest’ottica meno infantile e più prosaica andrebbero riletti anche gli ultimi eventi che hanno toccato la Finmeccanica, umiliata da magistrati impazienti di mettere in pratica un principio astratto di legalità che danneggia il Paese e favorisce i competitors esteri del nostro gigante del settore aerospaziale.

Anche le comunità locali non stiano a preoccuparsi, nessuno le vuole gabbare, nessuno vuol far pagare ad esse le esternalità negative di certi investimenti che pure sono ad alto impatto ambientale. Se così dovesse essere, se effettivamente i loro rappresentanti politici si dimostrassero completamente insensibili al loro benessere, allora avrebbero tutto il diritto di bussare alla porta della direzione politica regionale (almeno ora che ne sono a conoscenza) e pretendere che le ricadute economiche di questi progetti siano equamente distribuite tra la popolazione. Ma non si agisca come i muli dicendo no a qualsiasi cosa solo perché le associazioni ambientaliste (o chiunque altro abbia interesse a che il sud resti sottosviluppato) diffondono, immancabilmente in questi frangenti, notizie tendenziose e senza prove su disastri ecologici ed epidemiologici. I politici lucani dovranno migliorare in questo senso ed in altri, visto che la regione sta arrancando paurosamente sotto il peso della crisi economica e la gente comincia ad infastidirsi e a protestare. Le rivelazioni di Wikileaks attestano che da noi ci sono le potenzialità per crescere e portare ricchezza in ogni angolo del territorio. I leader lucani hanno allora l'obbligo morale di lavorare in questa direzione, unanimemente e senza barriere ideologiche, da destra e da sinistra. In tutta questa vicenda c’è un elemento che in particolare vorrei rimarcare. Chi più di tutti sta cercando di fermare questa alleanza tra Gazprom ed Eni, tra l’Italia e la Russia, sono i corifei e i gregari di FLI, la nuova formazione politica di Fini. Il sen. lucano Digilio è stato quello più attivo nel tentare di stoppare o quanto meno ritardare (con interrogazioni pretestuose) il progetto di stoccaggio del gas russo in Val Basento. La cosa non deve sorprendere perché il suo capo e i dioscuri che lo fiancheggiano (Bocchino e Granata) fanno lo stesso a livello nazionale. Le ragioni non sono difficili da capire. Fini, come riportavano ancora ieri le principali testate italiane, ha ricevuto da tempo l’endorsement americano contro Berlusconi che per le teste d'uovo di Washington risulta un alleato infido ed incontrollabile. Più di tutto, gli statunitensi non gradiscono il consolidamento dell’asse Mosca-Roma e l’avanzamento del progetto di dotti Southstream (di cui sono partner Eni e Gazprom) che taglia fuori il loro Nabucco, sistema di condutture che prenderebbe materia prima dal Caucaso aggirando la Russia. Va da sé che gli uomini di Fini si gettino all'arrembaggio quando emergono informazioni di tale portata che agiscono nelle loro teste come un richiamo per uccelli addomesticati. Questi fanno di tutto per dimostrare ai loro sodali stellestrisce di essere in grado di svolgere a dovere il compito assegnatogli, quello cioè di mettere i bastoni tra le ruote all'economia e alla politica estera italiana che si proietta nel mondo con margini di autonomia decisionale, andando oltre i vecchi equilibri egemonici. E' quest'ultimo l'unico affare losco del quale dovremmo veramente preoccuparci.
di Gianni Petrosillo
Ambigui intrighi
02/12/2010 La questione energetica "gas-petrolio" in Basilicata si arricchisce di nuovi "baratti" e di nuove scottanti pubblicazioni.
Non abbiamo mai fatto mancare l'onesta e precisa denuncia del Presidente CSAIL Massaro, di Controsenso e dei parlamentari del PDL , dell'IDV e PD lucani.
Il wiki - Lucania ci confonde e ci rasserena. Ci confonde perchè siamo al centro di ambigui rapporti internazionali e di trasversali triangoli (Russia -Turchia- Germania)mai chiariti. Ci rasserena perchè fino a ieri il nostro greggio non era considerato tra... i "migliori". Ci si nascondeva dietro il dito delle cosiddette "riserve ergetiche nazionali".
Oggi le denunce sui contatori (contatori in grado di misurare le migliaia di barili estratti quotidianamente) mai attivati, e cadute nell'oblìo da secoli ... acquistano un sapore particolare. La Basilicata, mera espressione geografica, non ha mai conosciuto l'elementare correttezza di rapporti tra istituzioni regionali e di governo nazionale di centro-destra e centro-sinistra. Il Centro-sinistra ha sempre glissato sull'argomento. Poche informative e pochi approfondimenti seri.
Scajola, già ministro dello sviluppo economico, si è guardato bene dal rispondere alle interrogazioni a Lui rivolte dai parlamentari PDL. Berlusconi che conosce bene il Progetto South Streem non mai proferito un timido grazie alla Basilicata e alla sua popolazione disagiata da tanti "fumi". Eppure la notra regione ha conosciuto momenti iniziali di euforia e di esaltazione con relativa e "desueta" sudditanza.
Poi ha prevalso la legge del "Totem nero", come definito dal Prof Allegro dell'Università di Napoli sul Quotidiano di qualche settimana fa.Il Totem nero si è insediato indisturbato tra faggi e cerri, tra pascoli e sorgenti, tra campi coltivati e nuovi insediamenti artigianali, industriali e produttivi, in genere, senza pagare alcun fio e senza innalzare quel tenore e qualità di vita da tutti agognato. Oggi ci ritroviamo con momenti di gravissimo "sconforto sociale".
Dalle poche maestranze non specializzate e occupate nella prima fase ci siamo ritrovati, oggi, con le ultime 150 assunzioni tutte rigidamente ...fuori dalla Val d'Agri. La popolazione ha preso consapevolezza e sono nati tanti comitati civici spontanei che denunciano l'attuale status quo , caratterizzato da ..."Meno lavoro e più tumori", meno terre da coltivare e più espropriazioni...
Con la legge del totem nero e dei suoi incommensurabili difensori "ineggianti le meraviglie paradisiache della nuova stagione dell'economia petrolifera" si è completato un processo di un Texas lucano privo di una vera filiera. Oggi wikileaks ci fa ancora più GIUSTIZIA.
Lo sviluppo della Val d'Agri è una mera chimera. Gli ultimi dati sono disarmanti. Interi nuclei familiari hanno ripreso l'odiata valigia. Le royalties hanno fatto prevalere azioni municipali di piccolo cabotaggio e di interventi di basso profilo, senza alcun " respiro " e senza alcun effetto moltiplicatore. Sono nate piccole cattedrali nel deserto... con tanti impianti sportivi, senza il necessario bussiness plan e senza aver programmato i conseguenti alti costi di gestione. Le royalties quelle indirizzate economicamente all'innovazione e agli investimenti produttivi languono da tempo. A tal proposito bisogna far rilevare che oltre 300 milioni di euro giacciono inutilazzati nelle casse interessate. Completa questo quadro desolante la mancanza di una legge regionale al riguardo.
La Basilicata, la regione europea con maggiore concentrazione di attività petrolifera su terra ferma, non si è ancora dotata di alcuna strumentazione legislativa specifica. Lo denunciava il Prof Alliegro sul nostro Quotidiano della Basilicata. La "sbornia" iniziale, dopo le attese dei primi insediamenti faceva molto affidamento sulla Fondazione Mattei, sulla formazione dei quadri e del management locale e su un indotto capace di far crescere l'imprenditoria locale.
Tutto ciò non si è verificato, oggi wiki lucania, ci fa riflettere sulle parole del dirigente ENI Cristiano RE. Il management della Fondazione Mattei si è ben guardato dal coinvolgere l'Università lucana e i tanti ingegneri sfornati dalle nostre Facoltà (ingeneri meccanici, chimici, ambientali, elettro - strumentali ecc.). Il dr. Re pur auspicando il decollo della formazione specialistica con quadri locali non ha rassicurato nessuno come la geostock come l'ENI e come la Total. E' prevalsa un po' di disgustosa demagogia, sempre presente in queste dirigenze "nordiste" pronte a vanificare progetti e proposte rivenienti dal nostro SUD.
Il tutto senza una dovuta e giusta verifica politica sugli atti e sui fatti prodotti. Il già sindaco di Viggiano Vittorio Prinzi, anche lui, terribilmente deluso dalla Fondazione Mattei ha denunciato sempre sul nostro Quotidiano il fermo delle attività formative e le mancate promesse rivolte alla disoccupazione intellettuale della Val d'Agri.
A tutto ciò fa da contraltare una immotivata "gelosia" tra i territori e Sindaci interessati e territori contermini. Per rispondere a questa annosa questione devo far ricorso ad Alessandro Baricco e i suoi "Barbari". Lo slogan "Padrone a casa mia" e le già menzionate azioni municipali di basso cabotaggio non sono certamente forieri di progetti di ampio respiro.In un simile contesto i vari Re, Geostock, ENI e Total avranno... sempre Buon gioco.
I marciapiedi continueranno ad essere rinnovati e lucidi...i giovani intellettuali preferi ricchi di Russia nella classifica stilata dalla rivista americana ranno il disgustoso e mai amato esodo. Un Patto e una sinergia condivisa tra territori cozzeranno con il modus operandi delle Amministrazioni Comunali interessate. Amministrazioni che,forse, ancora oggi, nonostante wiki lucania, intensificheranno i rapporti con le aziende estrattrici con accordi sempre più stretti e sempre più chiusi a discapito dei buoni propositi auspicati dal sindacato e delle "forze sane" lucane
In questa oggettiva situazione incresciosa resta il solo dato della ripresa dell'esodo e del miracolo che non si è verificato e non si è mai tradotto in Sviluppo Economico e Sociale. Il Totem nero del petrolio e del gas che non porta lavoro ha solo creato ..."La guerra tra i poveri", un' aria irrespirabile, qualche sospettoso aumento di malattie tumorali e tanti ambigui intrighi internazionali, poco chiari e poco comprensibili...alla maggioranza silenziosa dei lucani . Che amara consolazione...
di Mauro Armando Tita
Fonti:
http://www.ilquotidianoweb.it/it/basilicata/
Gas russo Valbasento documenti su WikiLeaks
Nell’occhio del cicloneWikiLeaks c’è anche un pezzo di Basilicata. Tra i primi a cliccare con successo sul sito, ma esistono anche altre possibilità (basta incrociare il termine Basilicata con un buon motore di ricerca e il gioco è fatto), il sen. Egidio Digilio (Fli). In un comunicato fa notare che si riferisce ad un file - ma ne stanno spuntando altri - contenente notizie riservate sull’affare dei siti di stoccaggio di gas russo in Valbasento. Perchè la questione assume un certo interesse e non solo locale? Ma perchè a livello internazionale non è vista proprio così bene l’amicizia maturata sul fronte energetico tra il nostro paese e i russi. Per esempio, non è difficile intuire che l’intesa Gazprom-Eni qualche ripercussione può provocarla a varie latitudini. 
«Tra i documenti diffusi via web da WikiLeaks - scrive Digilio - ce ne sono di sicuro alcuni interessanti che, secondo il “filone” delle preoccupazioni degli Usa per l'intesa tra Eni e Gazprom, ci auguriamo possano finalmente contribuire a far luce sulla vicenda dei siti di stoccaggio del gas acquisiti in Valbasento da una società russa, una vicenda dai troppi aspetti ancora oscuri e che ho sollevato nel luglio 2008 con un’interrogazione all’allora ministro Scajola. Solo adesso, dopo le prime notizie diffuse sul materiale del Dipartimento di Stato Usa, comincio a capire le ragioni di una mancata risposta».
Secondo Digilio, «quella dei siti di stoccaggio è una partita fondamentale nello scacchiere internazionale del gas tenuto conto del massiccio ricorso agli stoccaggi di gas in Italia in seguito alla crisi fra Ucraina e Russia che ha comportato, tra il 2007 e il 2008, in diverse fasi, il blocco dell'import verso l'Italia».
Per Digilio, «specie dopo il via libera al progetto di stoccaggio di gas in Val Basento proposto dalla società Geogastock, che ha incassato nel mese di giugno scorso l’ok dal Comitato tecnico regionale della Basilicata per quanto riguarda il nulla osta di fattibilità agli impianti ed alle attività di interramento del gas nel sottosuolo per 1,4 miliardi di metri cubi tra Grottole, Ferrandina, Pisticci e Salandra, è necessario fare piena luce sui progetti industriali di Viktor Vekselberg, proprietario della Tnk, una delle maggiori compagnie petrolifere russe, in stretta sinergia con Gazprom, che come è noto, ha comquot;sans-serifprato miniere esauste in Basilicata (nell’area della Valbasento) per trasformarle in depositi di stoccaggio gas. Altro che litigare sulle royalties come sembrano fare i nostri amministratori locali dei comuni del Materano. La posta in gioco è ben più alta».
«Non va sottovalutato che il Parlamento europeo ha approvato una direttiva che vieta la vendita di infrastrutture energetiche a strutture non europee. L’acquisto di miniere esaurite - sottolinea Digilio - non si può considerare l’equivalente dell’acqui - sto di infrastrutture energetiche ma è evidente che quando queste saranno trasformate in depositi di stoccaggio gas lo diventeranno a proprietà russa o magari con società ex novo costituite in Italia».
«Per tutte queste ragioni nell’interrogazione all’ora ministro Scajola mi ero illuso di poter conoscere “i rapporti tra Eni e la compagnia petrolifera russa Tnk e quella elettrica Tgk, tenuto conto che l’Eni risulta l’unica società straniera a vendere gas nel mercato interno russo. Il contratto firmato il 1 luglio 2008 prevede la fornitura di 350 milioni di metri cubi di gas alla centrale termoelettrica di Perm, da effettuare con la controllata russa di Eni, Eni Energia. Prima che siano i files riservati diffusi da WikiLeaks ad alimentare nuovi allarmi sull’affare politico-economico internazionale - continua il senatore lucano di Fli - è necessario, per pensare agli "affari di casa nostra", conoscere a quanto ammonta esattamente la produzione di gas di derivazione dall’estrazione petrolifera Eni in Basilicata, che secondo alcune stime di fonte Eni si dovrebbe aggirare intorno ai 750 milioni di metri cubi l’anno e sapere di quali strumenti dispone la Sel per la misurazione».
30 Novembre 2010
FONTE: 
http://www.lagazzettadelmezzogiorno.it/notizia.php?IDNotizia=386213&IDCategoria=1

Royalty all'osso. Il petrolio non porta soldi ai materani
di VINCENZO PALAZZO
MATERA - Sono 468 i pozzi di idrocarburi realizzati in Basilicata, tra attivi, esausti e sterili. 199 in provincia di Potenza e 269 nel Materano, in Val Basento, dove si perfora dai tempi di Enrico Mattei. A fronte di questa perforazione massiccia del suolo lucano che non risparmia la vicinanza alle dighe (Pertusillo), agli ospedali (Villa d’Agri – poi bloccata da un intervento del governatore Vito De Filippo), le periferie dei centri abitati (Marconia, Viggiano, Policoro), gli alvei dei fiumi, le aree agricole pregiate, gli spettacolari calanchi lucani e, addirittura, nonostante i rischi di fenomeni di subsidenza, si perfora a 200 metri dal deposito di scorie nucleari di Rotondella (Pozzo Rivolta), la Regione Basilicata incassa dal 2008 mediamente intorno ai 120 milioni di euro di royalty, più o meno un 5 per cento del suo bilancio annuale.

Per il 2010, ha finora «incassato» circa 65 milioni di euro. Il totale delle royalty (il 55 per cento va alla Regione e il 15 ai Comuni interessati dalle attività minerarie, il 30 allo Stato) si fa calcolando il 7 per cento del valore commerciale dei barili estratti, oppure, cliccando sul sito Unmig del ministero dello sviluppo economico, http:// unmig.sviluppoeconomico.gov.it/dgrme/ dgrme.asp.

In base a questi calcoli, i comuni della Val d’Agri (Viggiano, Grumento Nova, Montemurro, Calvello e Marsico Nuovo) in toto hanno già maturato, ad agosto 2010, poco più di 10 milioni di euro di royalty, a fronte di una produzione annua di petrolio che sfiora i 3 milioni di tonnellate e gli 800 milioni di smc di gas.

I Comuni del Materano, invece, hanno avuto spiccioli, come Garaguso, 79 mila euro, o addirittura zero euro, come Pisticci, Ferrandina, Policoro e Salandra, perché le quote estrattive dei loro territori non superano le quota annuale esente da royalty (20 mila tonnellate per il greggio e 25 milioni di smc per il gas). Nonostante si arrivi a produrre intorno alle 12 mila tonnellate di greggio all’anno (8 mila finora nel 2010) e circa 120 milioni di smc di gas e nonostante stiamo parlando di un territorio che «vanta» 269 perforazioni del sottosuolo.

Perforazioni che vengono realizzate ricorrendo a non meno di una trentina di sostanze chimiche altamente nocive il cui possibile e grave rischio è che possano diffondersi nelle falde freatiche del sottosuolo ed entrare nei circuiti dell’acqua. Insomma, il «più grande bacino europeo di idrocarburi», che però non rappresenta più del 6 per cento del fabbisogno nazionale di energia e che, tra l’altro, ha costi estrattivi elevati (è pieno di impurità di zolfo e mercaptani e si trova intorno ai 4 km. di profondità), desta oramai più preoccupazioni che speranze di ricchezza economica.

È infatti in aumento il numero di persone che vorrebbero una moratoria delle coltivazioni minerarie per discutere a bocce ferme di vantaggi e svantaggi in tema di economia, di ambiente e di salute dei cittadini. Tanto che di recente, decine di cittadini lucani, ma anche di altre regioni, hanno contestato al Dipartimento ambiente regionale la Via, Valutazione di impatto ambientale, presentata dalla Medoilgas di Roma, per l’ennesima ricerca di idrocarburi nell’area dei calanchi lucani (pozzo Cavone Dir 1, territorio di Pisticci). Area agricola e naturalistica unica, in procinto da sempre di diventare parco protetto, ma di fatto in mano alle compagnie minerarie.

È la prima volta che accade una cosa del genere, perché finora le Via e le relative contestazioni erano quasi un fatto privatistico fra la Regione, le società minerarie e qualche organizzazione ambientalista di buona volontà e, soprattutto, di buona costanza, vista la difficoltà nell’inseguire gli iter burocratici dei vari permessi minerari. Una contestazione “dal basso” che non ha per ora fermato i signori del petrolio: la Total ha presentato in Regione la Via per ben 4 nuovi permessi di prospezione sismica, cioè, l’uso di cariche esplosive nel sottosuolo al fine di ottenere onde sismiche artificiali che rivelino l’eventuale presenza di giacimenti liquidi. Riguarderà i Comuni di Gorgoglione, Cirigliano, Corleto Perticara, Montemurro, Aliano e Teana, classificate come aree sismiche di zona 2.
17 Novembre 2010
Fonte:
http://www.lagazzettadelmezzogiorno.it/notizia.php?IDNotizia=383069&IDCategoria=12


Federalismo e energia. Il paradosso della Basilicata, che può diventare più ricca della Lombardia
Per produrre energia da centrali di grande potenza, da 1000 MW in su, bastano pochi ettari, siano esse a carbone pulito o nucleare; inoltre sono necessari acqua per raffreddare i sistemi e siti di stoccaggio geologico di CO2 per evitarne le emissioni. Infine, ovviamente, le materie prime, carbone o uranio.
Posto che le centrali nucleari sono praticamente del tutto assenti da tutto il territorio nazionale, il focus è su quelle a carbone. In questo caso, i requisiti di spazio, acqua e grandi siti stoccaggio geologico di CO2 si riscontrano soprattutto in Basilicata, mentre se ne registra praticamente l’assenza in Lombardia.
La Lombardia è invece ricca di agglomerati urbani a poca distanza tra loro e di piccole aziende, che costituiscono una fitta rete in tutto il suo territorio, i cui edifici saranno difficili da smantellare anche nella deprecata ma tutt’altro che remota ipotesi che avranno dovuto chiudere, nel giro dei prossimi 20-30 anni, a causa della concorrenza sleale della Cina. La Basilicata invece, oltre alle caratteristiche enunciate prima, ha anche un doppio sbocco a mare, il  che garantisce acqua in abbondanza, almeno in teoria per 4-5 blocchi da 1000 MW nuovi “coast to coast”.

In Lombardia, al contrario, a causa della portata e del livello decrescenti del Po e del suolo densamente popolato e cementificato,  non sarebbe possibile installare, al massimo, che 1000 MW nuovi, con tutte le difficoltà che si può immaginare deriverebbero dai timori delle popolazioni, fondati o meno, ma certamente sfruttati a fini elettorali. Per non parlare della impossibilità, nell’entroterra padano, di “neanche concepire” un sito di stoccaggio di un gas naturale come la CO2 nel sottosuolo, di pari passo con la impossibilita di stoccare gas naturale-metano, a causa del noto principio, populista ma efficace, del NUMBY (Not Under My Backyard, non sotto il mio giardino).
Così viene impedito che le poche strutture geologiche profonde siano utilizzate per stoccaggio, forse col pensiero neppur tanto recondito di stoccare la CO2 di produzione lombarda nel napoletano, come spesso è avvenuto per i rifiuti speciali.
Quindi il mantra della Padania sarà: no carbone, no nucleare, parola di Zaia. Resterà insoluto il problema di come alimentare di energia le aziende e aziendine che fanno la ricchezza della regione e dell’Italia, come resterà irrisolto il problema dei rifiuti nucleari delle cure ospadaliere di una popolazione.

Cosa sarà della Padania tra 30 anni? Non sembra tanto uno scenario da fantascienza quello di anziani al lume di candela, sottoposti a un sistema curativo diagnostico arretrato di decenni, perché sarà impossibile  sottoporli a radiografia o scanner, per non produrre scorie nucleari.
La Lombardia potrebbe fare ricorso alle energie rinnovabili, ma anche in questo caso la Basilicata sarà avvantaggiata perché, come le altre regioni del Sud, essa ha un potenziale molto maggiore del Nord Italia per la geotermia a media e bassa entalpia per la produzione elettrica e termica rispettivamente. I vulcani e le faglie calde” sono al Sud, non in Padania.
E qui si arriva al nodo del paradosso lucano. Il quantitativo di energia da fonti rinnovabili da raggiungere dovrebbe essere una percentuale dei consumi finali dell’anno 2020: per l’Italia nel suo insieme ora è pari al 17 %, ma con il federalismo in vigore lo stesso principio dovrebbe valere specificamente anche per Lombardia e Basilicata. Ciascuno Stato / Regione dovrà elaborare e indicare il percorso, definito da un modello fisico, che permetta di realizzare l’obiettivo del 20-20-20 europeo nei settori specifici delle fonti rinnovabili: settore elettrico, settore termico (riscaldamento e raffreddamento) e trasporti.
Ecco che la differenza tra Lombardia e Basilicata qui può diventare abissale: servono enormi spazi per produrre solo 2000 MW con eolico: ogni pala genera solo 2 MW e non è neanche possibile sperare nelle pale offshore (fuori costa).
Il Piano Energetico Nazionale, peraltro ora inesistente, dovrebbe divenire Piano Energetico Regionale, con il federalismo, non sulla carta come ora, ma operativo, sostenibile ed “autarchico”: chi produce energia produce lavoro e, certo, può anche cedere energia a chi ne abbia più bisogno, ma a questo punto il modello federale porta con sé l’apertura di un mercato che può avere conseguenze pesanti per chi abbia disperato bisogno di un bene scarso come sarà in quel momento l’energia.
Quel che è successo negli Usa prima della recessione tra stati ricchi di industria e stati poveri ma ricchi di surplus energetici è il classico, biblico muro su cui è già scritto il destino. Una piccola ricerca su Google può rinfrescare la memoria.
Anche a Zaia. E a Bossi.

Fonte:

IL SACCO DELLA BASILICATA

Alfonso Fragomeni
http://www.soslucania.org
Paradossalmente, mentre la Basilicata può essere considerata una delle regioni più ricche, la popolazione lucana non è certamente ricca e rientra nella media di quei parametri negativi di sviluppo che connotano le regioni del Sud.E’ sicuramente una regione ricca se consideriamo la superficie boscata che alimenta in modo sensibile l’industria del legno (ma non lucana), la capacità del propri invasi (più di 900 milioni di metri cubi) assieme alla quantità ed alla grande qualità delle acque, la straordinaria bellezza naturalistica ed ambientale delle sue montagne, i tanti monumenti storico-culturali da Metapontum al parco letterario Isabella Morra fino alle splendide e ben conservate opere federiciane. Ma ancora di più è regione ricca perché nelle proprie viscere custodisce il più grande giacimento di petrolio dell’Europa continentale, il sesto a livello mondiale. E allora com’è possibile che questa regione non riesca a trasformare queste grandi opportunità in strumenti efficaci di sviluppo serio, credibile, duraturo e sostenibile? Perché la Lucania ha quasi un terzo dei suoi giovani disoccupati? Perché non si arresta l’esodo verso le altre regioni d’Italia?
La gente continua ad emigrare ed i paesi a svuotarsi. Tranne casi assolutamente eccezionali, i cc.dd. poli industriali e artigianali navigano nelle difficili acque di un mercato nazionale le cui regole vengono imposte dalle imprese settentrionali e di un sistema creditizio volutamente ottuso e arrogante, anch’esso in prevalenza nelle mani di società del Nord.


Facendo le dovute proporzioni, la situazione lucana è drammaticamente simile a quella di molte nazioni africane, quelle che noi chiamiamo terzo mondo, dove esistono ricchi giacimenti petroliferi o di materiali preziosi. Nonostante la grande ricchezza del territorio e del sottosuolo, le popolazioni vivono nella più totale indigenza, completamente escluse da qualsiasi riflesso produttivo, destinatarie soltanto degli effetti delle devastazioni ambientali.
Anziché disegnare per la Basilicata un coerente programma di sviluppo che tenga conto della straordinaria ricchezza delle "materie prime" (gli stessi lucani, il territorio, le tradizioni, la cultura) si sono aperte le porte a società e multinazionali, italiane (settentrionali) e straniere, che hanno sùbito fiutato l’affare: finanziamenti pubblici, tranquillità sociale, classe politica collaborativa. E così tutto ciò che nel resto d’Italia non viene consentito o ha alti costi sociali e ambientali, arriva in Basilicata dove tutto è possibile, tutto è consentito. Basta trovare i giusti collegamenti politici.
Questo sistema, insieme ad una montagna di miliardi dello stato, ha consentito alla Fiat di costruire non solo lo stabilimento di San Nicola di Melfi ma anche l’inceneritore Fenice, che inizialmente doveva servire soltanto alla fabbrica di auto e ora lo si vorrebbe utilizzare per lo smaltimento di altri rifiuti speciali e tossici, comprese le carcasse delle mucche pazze, provenienti da tutta Italia e dai paesi europei.
Nessun problema se non fosse che tutto questo avviene non in mezzo al deserto o in mare aperto, ma in un’area tra le più antropizzate della Basilicata e dove si produce, ad esempio, il vino Aglianico, uno dei prodotti lucani più tipici e conosciuti non solo in Italia.
A Stigliano, nella collina Materana, la milanese Gavazzi Green Power SpA ha cercato di realizzare, sempre con contributi pubblici, una centrale termoelettrica, alimentata a biomasse del tipo cippato di legno vergine, della potenza di 35-40 MW, che non avrebbe pari in Italia per dimensioni e potenza. Grazie anche alla mobilitazione popolare degli abitanti dei vicini comuni ed a causa dei pesanti effetti dannosi di una centrale di tale potenza sull’economia agricola e zootecnica dell’area, sembra che il progetto sia stato accantonato o, quanto meno, notevolmente ridimensionato.
Ma casi come questo di Stigliano se ne possono elencare tanti, così come sono tante le discariche per rifiuti speciali o tossici disseminate per tutto il territorio regionale, o mastodontici depuratori assolutamente inutili per le popolazioni locali ma molto efficaci per finanziare la politica della classe dirigente regionale, attraverso il pagamento delle parcelle ai tecnici le cui persone, in qualche caso, coincidono con quelle dei segretari regionali dei partiti che governano la Lucania.
E’ strano che in una regione come la Basilicata si riescano a concepire quasi esclusivamente iniziative di grande impatto ambientale. Si ha l’impressione che il destino della regione sia quello di svolgere il ruolo della grande pattumiera al servizio di tutto il Paese…
E poi i Lucani sono pochi, facilmente controllabili e abbastanza ingenui da convincerli che, in nome del progresso e dell’interesse dell’intera nazione, qualche sacrificio bisogna pur farlo.
Queste considerazioni sono alla base di un’altra grande, drammatica illusoria speranza che peserà come un macigno nel futuro di questa regione e, mi auguro, nella coscienza (ma occorre averla!) di coloro che hanno consumato un ignobile tradimento ai danni di un popolo del Sud: il petrolio.
La storia del petrolio in questa regione è una storia sporca, come sporche sono tutte le storie legate allo sfruttamento petrolifero in ogni parte del mondo.
Ed è una storia fatta di leggi violate, di istituzioni distratte se non conniventi, di disastri ambientali, di morti, di corruzione e di disprezzo delle regole democratiche, di campagne elettorali finanziate dalla lobby petrolifera. E’ una volgare – e già vista - storia di una occupazione coloniale finalizzata allo sfruttamento selvaggio del territorio, con la scusa del "progresso che non si può fermare" e con il miraggio di un processo di sviluppo collegato alle royalties ed all’indotto.
La presenza dell’Eni in Lucania ha convinto i pochi scettici rimasti che la legge non è uguale per tutti e che vi sono "zone franche" in cui i diritti dei cittadini sono sospesi, le garanzie limitate.
Le società che per conto dell’Eni hanno effettuato le ricerche geosismiche in molte e vaste aree della regione, hanno violato in modo reiterato e palese la normativa statale riguardante l’occupazione temporanea e d’urgenza di fondi pubblici e privati per finalità di pubblico interesse. Abbiamo assistito alla invasione di diverse centinaia di persone, con la stessa divisa, che senza chiedere il permesso ed anche contro la volontà espressa dei proprietari, hanno aperto cancelli e divelto recinzioni, danneggiato e distrutto piantagioni, lesionato fabbricati, deviato falde idriche; hanno fatto brillare migliaia di cariche esplosive nel sottosuolo, in aree altamente protette o nei letti dei fiumi. E tutto questo è avvenuto senza che ai cittadini fosse notificato un atto amministrativo avverso il quale, eventualmente, ricorrere e far valere in sede giudiziaria i propri diritti. Ma abbiamo anche registrato l’incredibile ignavia dei massimi rappresentanti delle istituzioni. Il prefetto di Potenza, pur avendo l’obbligo di revocare le autorizzazioni in caso di violazione delle procedure previste dalla legge, ha preferito far finta di non avere sentito le proteste e le denuncie di cittadini e associazioni. Ma ad aver fatto finta di nulla non è stato solo il Prefetto di Potenza. In questa singolare gara di colpevole inerzia si sono distinti esponenti delle forze dell’ordine e della magistratura, amministratori e politici di ogni parte politica, ma soprattutto del centro sinistra, che, paradossalmente, sono alla guida di questa regione e che, qualunque sia il giudizio sulla questione petrolio, si sono assunti la responsabilità di consegnare le chiavi della Basilicata alle multinazionali del petrolio e non solo a quelle del petrolio.
La legge è stata calpestata anche quando diversi centri abitati sono stati sorvolati da elicotteri con pericolosi carichi sospesi, o quando sono stati violati dall’Eni numerosi SIC (Siti di Importanza Comunitaria) rigorosamente tutelati da una rigida normativa comunitaria che, di fatto, vieta quasi tutte le attività umane, ad eccezione, evidentemente, di quelle delle compagnie petrolifere. E’ incredibile assistere, da un lato, alla rigida applicazione delle norme forestali per quanto riguarda, ad esempio, la raccolta dei funghi, e, dall’altro lato, all’indecenza dell’indifferenza e dei tanti occhi chiusi del Corpo Forestale dello Stato.
Il "problema petrolio" in questi giorni è sempre di più legato a quello della sicurezza delle popolazioni costrette a vivere nelle aree interessate all’attività petrolifera. Gli incidenti si susseguono, purtroppo anche con morti e feriti, ma l’Eni continua ad occultare i danni quando può ed a ridimensionarli, quando le notizie trapelano. In questo, la Rai di Basi style=licata ha dimostrato di essere un valido ufficio stampa (e propaganda) dell’Eni. Il verificarsi di incidenti (come quello di qualche giorno fa al centro oli di Viggiano dal quale sono fuoriuscite diverse migliaia di litri di greggio andate a finire in un laghetto che alimenta la diga del Pertusillo) ci ricorda drammaticamente l’altra grande responsabilità di chi, a Roma ed a Potenza, ha avuto fretta di consentire l’inizio e lo svolgimento del programma estrattivo prima che venisse messo in atto un sistema di sicurezza, oltre che di controllo sull’aria e sull’acqua. Nonostante la pericolosità dei pozzi e delle attività petrolifere, le popolazioni locali non hanno nessun piano di sicurezza da attuare in caso di incidente. E’ la stessa Eni che, direttamente o tramite sue società, si occupa dei controlli ambientali, dell’intervento in caso di incidente e del ripristino ambientale del sito inquinato. A parte l’assurdità e la paradossalità di affidare i controlli a chi deve essere controllato, in pratica si verifica che spesso i risultati dei controlli non sono disponibili e, comunque, non sono comparabili con i dati anteriori alla messa in funzione degli impianti, e, in caso di incidente, l’intervento spesso è tardivo ed il ripristino parziale o, addirittura, inesistente.
Ma i rapaci interessi di Eni e delle altre compagnie su un vasto territorio della Lucania hanno pesantemente condizionato (e stanno condizionando) il Parco Nazionale della Val d’Agri e del Lagonegrese, istituito nel 1998 ma non operativo perché non è stata ancora approvata la perimetrazione definitiva da parte della regione Basilicata. Perimetrazione che è cambiata ben quattro volte e sempre in funzione delle varianti ai programmi di sviluppo di Eni. Poiché la perimetrazione e, quindi, l’entrata in vigore delle norme di salvaguardia, avrebbe creato qualche problema e sicuramente dei ritardi alle società petrolifere, queste hanno chiesto ed ottenuto dalla giunta regionale il tempo necessario perché le nuove attività avessero inizio.
Dovendo, per forza di cose, tenere conto delle zone occupate dall’attività petrolifera, l’area del Parco è stata ridisegnata per l’ennesima volta ed oggi, grazie all’Eni ed alla giunta regionale, ha assunto la forma di uno sgorbio senza alcuna coerenza logica ed ambientale.
Eppure, il Parco poteva (e forse può ancora) essere quell’occasione di sviluppo vero, duraturo e sostenibile che i lucani non hanno mai conosciuto perché da anni sottoposti alla "tutela" di una classe politica capace solo di offrire "assistenze" in cambio del mantenimento della posizione di potere.
Ma se è vero che ogni popolo ha i governanti che si merita, allora il problema di questa piccola regione del Sud è principalmente storico-culturale, prima ancora che politico, nel senso che i Lucani devono recuperare quella dignità di "popolo" che ormai non hanno più perché cancellata dal piombo di una falsa unità d’Italia e dalla non ancora ripristinata verità storica. I Lucani devono prima di tutto sentirsi "popolo", devono sapere di avere una storia e di appartenere ad una progenie di uomini e donne di valore e di coraggio e non di assassini e grassatori. Devono recuperare dal proprio DNA i geni dei loro antenati briganti e diventare protagonisti consapevoli del proprio destino. Devono ritirare "le deleghe" ai trafficanti di fumo, ai mercanti di speranze. I Lucani devono riprendersi il diritto di determinare il proprio futuro. Cominciamo da qui.

Sfatiamo un mito: non è vero che l’unico grande giacimento in Italia è in Lucania.
Semplicemente, per l’ENI è più facile estrarre il petrolio in Lucania che in altre regioni.
La Lucania è il sogno di ogni petroliere: tranquilla, poco antropizzata (“rischio minimo” non perdono occasione di ripeterci;  naturalmente scordano di precisare che il rischio minimo è per loro non per noi), ettari e ettari senza nessuno, una classe politica ed imprenditoriale che non ha mai conosciuto le multinazionali, un popolo rassegnato e credulone pronto a credere alla buona fatina ENI che regala  progresso e prosperità.
Nelle altre regioni è conservato il petrolio strategico per quando il greggio scarseggerà anche per gli sceicchi e oggi si prendono quello lucano, quando costa meno e con minori investimenti per la sicurezza ambientale. Purtroppo la nostra storia non può essere completa perché tutto è avvolto nel mistero e le uniche informazioni  che abbiamo sono quelle che l’ENI e soci vogliono che noi conosciamo, né la stampa locale e nazionale va oltre le veline che passano loro i signori del petrolio; troppo spesso ci troviamo di fronte ad opere già realizzate senza essere neanche stati informati che c’era un progetto e con le autorità locali e regionali che assecondano l’insolito e particolare clima di riservatezza che circonda le estrazioni degli idrocarburi. Addirittura il Sindaco di Calvello a precise richieste fatte da associazioni ambientaliste ha risposto di chiedere all’ENI e l’ENI, da parte sua, benché al suo legale rappresentante sia stato ricordato che, come dice F. Bacone,  “ Nulla v’è che induca l’uomo a molto sospettare, quanto il poco conoscere”, ha preferito farci sospettare piuttosto che far conoscere i suoi programmi.
Se qualcuno conosce fatti, documenti, eventi ulteriori sarà con grande piacere da noi ospitato: noi vogliamo informare e desideriamo, ancora di più, essere informati.

OIL STORY AL 31/12/2000
Tutto comincia nel 1902 a Tramutola con la perforazione del primo pozzo di petrolio.
Una prima fase di coltivazione si sviluppa tra il 1939/1953 ma, per le mutate condizioni internazionali  e la conseguente caduta del prezzo del barile a pochi dollari, l’AGIP chiude questa fase con l’ultimo pozzo (sterile) sempre a Tramutola.
L’aumento del prezzo del petrolio (dai 7,2 dollari per barile nel 1970 ai 27,8 del 1974) e lo sviluppo tecnologico inducono l’AGIP ad intraprendere tra il 1975 e il 1985 una nuova campagna di ricerca che individua nel sottosuolo della Val D’Agri giacimenti, a loro dire, tra i più rilevanti d’Europa e di avviare la fase di sfruttamento nella quale si sono aggregate anche altre compagnie petrolifere (Enterprise, Mobil). Nel 1984, ai confini tra il territorio di Viggiano e quello di Calvello è individuata l’aerea di produzione denominata Caldarosa ed è aperto il pozzo Caldarosa 1.  Non è Val D’Agri, ma monte di Viggiano e Monte Volturino, ma nessuno ha interesse ad informare che i pozzi cominciano a perforarsi in alta montagna, tra boschi incontaminati, sorgenti e siti protetti. E’ la stessa area che è stata indicata tra le aree protette con la legge 394/91 sulle quali sarà istituito il parco nazionale della Val D’Agri-Lagonegrese.  E’ inevitabile che la storia del parco, la sua istituzione e la sua perimetrazione, siano pesantemente condizionati dagli interessi petroliferi, tanto che più si estende l’area ENI e più si riduce l’area parco, area che sembra  fuggire e ritrarsi sempre di più mentre avanza l’oro nero. La Basilicata è la prima regione italiana  per numero di permessi di ricerca (23) e concessioni di coltivazioni di idrocarburi (27) e 702.536 ettari del territorio lucano, pari al 70,3% dell’intera regione, è interessato dalle attività di  esplorazione e coltivazione di idrocarburi. Quando si parla di Val d’Agri si fa riferimento a una quindicina di permessi di ricerca e a  6 concessioni di coltivazione.  Le concessioni che interessano l’alta montagna sono soprattutto quella di Caldarosa e Costa Molina (decreto ministeriale 27.10.1998) e quella del Volturino (decreto ministeriale del 23.12.1993).
Una più approfondita visione delle concessioni e  delle stime delle riserve petrolifere può aversi leggendo le pubblicazioni di Greenpeace del giugno 1998, di Legambiente del l’ottobre 1998 e Raffaella Liccione "Petrolio in Basilicata: opportunità e rischi".
Dalla Val D’Agri, per il periodo 2000-2005, è prevista una produzione media di 4,8 milioni di tonnellate annue di petrolio, con il raddoppio della produzione nazionale e la copertura dell’11% del fabbisogno. I due bacini, Val d'Agri e Val Camastra, hanno riserve, secondo i dati forniti da ENI, di circa 900 milioni di barili. Questo è quanto ci hanno detto ma la grande attenzione e il massiccio appoggio pubblicitario dato alle estrazioni petrolifere (da tutta l’informazione dai giornali economici, ai giornali c.d. femminili, a quelli ambientalisti) ,  nonché la ripresa di indagini geosismiche a tappeto inducono a pensare che queste stime siano nettamente inferiori a quelle in possesso delle società petrolifere.
Il  protocollo di intesa tra ENI e la Regione Basilicata è firmato il 13.11.1998 e la Corte dei Conti esprime qualche perplessità sulla convenienza per lo Stato, grande azionista dell’ENI, a stipulare l’accordo stesso.
Naturalmente, poiché notoriamente le multinazionali e le compagnie petrolifere non sono enti di beneficenza e di assistenza,  ciò che si legge nell’accordo, che pure è un contratto che nessun avvocato non dipendente dell’ENI consiglierebbe ad un suo cliente di firmare, è una minima parte di quello che effettivamente ricaverà l’ENI dalla rapace occupazione della terra lucana. Che poi l’ENI non perda occasione di ricordare il parere della Corte dei Conti per dimostrare il suo filantropismo, è una ulteriore prova che è tutto orchestrato per convincere noi lucani del grosso affare che abbiamo fatto accettando l’accordo che, con giullareschi comportamenti da fare invidia ai migliori imbonitori di fiera di paese, hanno anche fatto finta di accettare con difficoltà e con grossi sacrifici !!!
Già molto prima dell’accordo, l 'ENI aveva cominciato a costruire le piattaforme petrolifere sui monti lucani e tutto sempre nel massimo riserbo.  A Calvello nel 1991 si sono visti sbancare una collina, in una delle zone più suggestive del territorio comunale a meno di 4 km dal centro abitato, a pochi metri da sorgenti di acqua sulfurea e ferrosa, senza che nessuno avvertisse la necessità di informare la popolazione. Addirittura esponenti della stessa maggioranza in Consiglio Comunale, di quella maggioranza che ha consegnato le chiavi del Comune all'ENI ipotecando pesantemente il futuro di Calvello, si dimostra perplessa su quanto sta accadendo.
Nessuna risposta è stata data dall’Amministrazione comunale.  Solo i soci dell'Associazione Ambientalista “Natura-Futuro”   chiedevano l'intervento parlamentare del Gruppo Verde.
La magistratura sollecitamente interpellata, quasi altrettanto sollecitamente archiviava la denuncia .
Così la Petrex  ha potuto tranquillamente costruire la prima piattaforma petrolifera ed è nata “ Cerro Falcone1”,prima di tante piattaforme con lo stesso nome e numeri sempre crescenti; oggi gennaio 2001 si erge gigantesca l’area “ Cerro Falcone 5-8-10”:  quante piattaforme “ Cerro Falcone”  aspettano di sorgere?
Cerro Falcone 2 è, a 1330 metri, in un bosco incontaminato, su un versante del Volturino e a monte della sorgente “ Acqua dell’Abete”;
Cerro Falcone 3 è nel bosco della Maddalena, a pochi metri dal Farneto, area studiata dall’Università di Basilicata;
Cerro Falcone 5-8-10 è ai piedi del Volturino, vicino alla Potentissima,  nei pressi della sorgente “ L’acqua di bocche” che alimenta l'acquedotto del Comune di Calvello.
E mentre le popolazioni pensavano di poter ancora decidere del loro futuro,   i signori del petrolio trattavano in gran segreto con i sindaci che si guardavano bene dal far partecipi i cittadini, mostrando di non sapere niente.
Poi, pian piano, sono usciti allo scoperto e nel 1998 i sinaci di Abriola, Anzi, Calvello, Corleto Perticara, Laurenzana ed il Presidente della Comunità Montana Alto Sauro chiedevano che la Regione Basilicata caldeggiasse caldeggiasse l'allocazione del nuovo cento oli  nell’ area della loro comunità montana.
Il 9 luglio 1998 i sindaci dei paesi interessati dallo sfruttamento petrolifero partecipano all’audizione davanti alla X Commissione (attività produttive, commercio e turismo) e sempre davanti alla stessa commissione il primo ottobre dello stesso anno c’è l’audizione del Ministro dell’Industria, del Commercio e dell’Artigiano, Pier Luigi Bersani.
I nostri Amministratori sembrano non avere dubbi, ma il Prof. Perrone, che conosce bene l'ENI, avverte i Lucani ...
Intanto dal centro olii di Viggiano ogni giorno partono per Taranto decine di autocisterne piene di greggio e la strada del petrolio è divenuta la strada della morte e dei disastri ambientali stranamente, a sentire la stampa e gli organi di controllo del territorio, sempre sfiorati. Nell’aprile la Giunta Comunale e il responsabile dell’aerea tecnica di Calvello emanano gli atti amministrativi che consentono all’AGIP di realizzare a meno di tre km dal centro abitato, a pochi metri dal fiume La Terra, affluente della diga Camastra che serve gli acquedotti di Potenza e di decine di comuni,  l’area destinata alle prove di produzione dei pozzi Cerro Falcone denominata area di L.P.T. (Long Production Test), sorta di piccolo centro oli.
Per più di un anno, decine di autocisterne cariche di petrolio  hanno attraversato il centro abitato di Calvello riempiendolo di pestilenti esalazioni e causando danni al fondo stradale.
Alcuni consiglieri dell’opposizione hanno chiesto in data 22.2.2000  la convocazione di un Consiglio Straordinario, ma  il consiglio si è rifiutato di deliberare.
Il 25.02.2000, nei pressi dell’area L.P.T. , un’autocisterna ha riversato parte del suo carico nel rigagnolo di acqua che termina nel fiume La Terra.
La dettagliata denunzia   ha ricevuto una stringata archiviazione  senza nessuna attività di indagine.
Il sindaco di Calvello, cercando di arginare il malcontento dei suoi amministrati,  ha fatto passare le autocisterne solo di notte ma l’aria del paese è divenuta sempre più irrespirabile mentre dai pozzi Cerro Falcone 1 e 2 si levavano alte le fiamme.
Solo il sindaco di Trivigno ha impedito il transito della autocisterne nel suo comune.
In data 12.09.2000 un’altra autocisterna si rovesciava   nei pressi di Anzi.
Naturalmente nessuno ha monitorato l’aria, l’acqua e il territorio durante questa intensa attività estrattiva che è stata considerata “una prova di produzione”, né alcuno ha calcolato quanto petrolio è stato estratto dal nostro territorio e portato a Taranto.
Ancora il 4.10.2000 il Presidente Bubbico parla di progetto di monitoraggio…e il bravo giornalista nota con grande soddisfazione che vicino ai pozzi non c’è alcun odore, eppure il cartello dell’ENI è molto chiaro….
Mentre i danni ambientali cominciano ad essere evidenti, le royalties scarseggiano,   l'occupazione della manodopera locale è ancora insufficiente e, comunque, essa non avviene in modo trasparente ma secondo criteri clientelari, miranti a favorire quei gruppi  politici e di potere che si dimostrano acquiescenti ai desideri dell’ENI.
Per poter lavorare è necessario essere iscritti in appositi elenchi, di cui si sente sempre più spesso parlare, e nei quali ci sono solo i nomi di coloro che sono nelle grazie degli amministratori e dei notabili dei vari paesi. 
Le imprese locali sono scarsamente coinvolte e spesso soggiogate da vergognosi, innominati ed innominabili subappalti. 
Non è stata avviata alcuna società per la produzione di energia da "cedere" a basso costo agli operatori pubblici e privati, né è stata realizzata la metanizzazione delle aree artigianali.
Riguardo alla recentemente istituita "FONDAZIONE MATTEI", va detto che l'accordo tra la Giunta Regionale e l'ENI, rappresenta l'ennesima paradossale farsa (che trova un importante precedente nel famigerato "Accordo di programma") dove la contropartita per la regione è il classico piatto di lenticchie, a fronte di una accelerazione dei procedimenti legali ed amministrativi necessari all'ENI per continuare e portare a termine il programma di sfruttamento.
Intanto l'ENI indottrina e premia i nostri figli.
Di quello che sta accadendo sui monti lucani non si parla; si parla molto, invece, del Texas d’Italia, della Val D’Agri che, finalmente, ha reso l'Italia una nazione che produce petrolio. 
Ogni tanto l’ENI organizza qualche patinato convegno (pieno di illustri tecnici che spiegano le loro tecnologie di avanguardia e l’assoluta sicurezza delle estrazioni  perché, come non perde occasione di ripetere l’ing. Amici, che rappresenta sempre l’ENI in Lucania, “il petrolio non entra mai in contatto con l’ambiente esterno”),   ma sempre a Potenza – lontano dalle terre del petrolio - e senza, di fatto, consentire alle popolazioni direttamente interessate di partecipare e di conoscere e di capire.
L’8.4.2000, per la prima volta,le associazioni ambientaliste organizzano una manifestazione unitaria, al Centro Oli di Viggiano  ma, a causa dello sciopero dei giornalisti, non si riesce a dare alla notizia e al problema petrolio quella risonanza che gli organizzatori speravano e che la gravità della situazione richiedeva.
L'8-7-2000, a Villa D'Agri si svolge un Convegno organizzato dal Comune di Marsicovetere con la partecipazione del ministro dell'industria Letta: si parla di petrolio, ma per le Associazioni Ambientaliste ed i Cittadini non c'è spazio.
Che ci sia necessità e voglia di conoscere ciò che sta avvenendo nell’area petrolifera è dimostrato il 10.9.2000  quando a Calvello è organizzato il primo convegno di controinformazione che registra una partecipazione di pubblico e una attenzione  notevoli, malgrado la Rai regione abbia preferito ignorare l’evento ed occuparsi con dovizia di particolari ed immagini della sagra del pecorino. E, quando pochi giorni dopo, l’On. Pecoraro Scanio,  ministro delle risorse agricole, esprime qualche dubbio sulla opportunità e modalità delle estrazioni petrolifere in Basilicata,  i giornali ed  il  “servizio pubblico televisivo” cercano prontamente di dimostrare, con servizi chiaramente ispirati dal padrone petrolio, che il ministro non ha ragione di preoccuparsi .
Non da meno è la Rai nazionale che, in meno di un mese, riesce a mandare in onda più servizi sul petrolio lucano di quanti ne abbia mandati in tutto l’anno su tutte le tematiche della nostra regione. (Questione di soldi   del 4.10.2000,  Zapping del 6.10.2000,  Radio anch’io del 28.9.2000, Ambiente Italia del 14/10/2000.
L'indecoroso spettacolo pro-ENI offerto dal servizio pubblico RAI è stato denunciato alla Commissione di Vigilanza sulla RAI: STIAMO ANCORA ASPETTANDO UNA RISPOSTA
E il Consiglio Regionale? 
L’ANSA ha  informato, il 17 luglio 2000, che  si sarebbe tenuto un consiglio regionale nel quale si sarebbe parlato delle estrazioni petrolifere 
(ANSA) - POTENZA, 17 LUG – “Il Consiglio regionale della Basilicata dedicherà una seduta specifica all'esame dei problemi e delle prospettive connessi all'estrazione del petrolio in corso in Val d' Agri. Lo ha annunciato il Presidente dell'assemblea Egidio Mitidieri, stamani, al momento dell'esame di un ordine del giorno (primo firmatario Egidio Digilio, di An) sugli ''impegni assunti dal Governo, dalla Regione e dall'Eni in ordine alle attivita' di ricerca e sfruttamento giacimenti petroliferi''. 
L'ordine del giorno, quindi, non e' stato esaminato”. 
Non avendo tale annuncio avuto seguito, alcuni cittadini hanno, nella seduta del 3 ottobre 2000, distribuito a tutti i consiglieri regionali un invito a  convocare il più volte annunciato Consiglio sulle attività petrolifere.
Siamo nel 2001: stiamo ancora aspettando la “seduta specifica”.
Intanto tutto continua: i petrolieri lavorano e la nostra terra è giornalmente violentata,  i nostri governanti, forse, conoscono i programmi dell’ENI, noi lucani continuiamo a non conoscere.
I giornali, inizialmente attenti e critici, si inseriscono nel coro dei media osannanti o prudentemente critici al dio petrolio. Si distinguono, solitari, "LIBERO" , "LIBERAZIONE" e "IL MANIFESTO"
Un Dossier molto esauriente è quello pubblicato nel Dicembre 2000 dal WWF

OIL STORY  2001
Il ministro Pecoraro Scanio ribadisce le sue perplessità sulle modalità ed i tempi dello sfruttamento dei giacimenti petroliferi della Val D'Agri.
In occasione della visita del candidato del Centrosinistra per la Presidenza del Consiglio, On. Rutelli, SOLUCANIA informa il candidato  della grave situazione ambientale in Basilicata, ma  Rutelli non vede né sente
Intanto la RAI continua ad oscurare tutte le manifestazioni contro le società che aggrediscono il nostro territorio.
La assoluta carenza di informazioni sulle attività estrattive emerge in maniera chiarissima quando,  a metà Marzo 2001,  i giornali e la RAI Regione danno notizia della apertura di 12 nuovi pozzi nell’area Volturino. Si tratta di pozzi  sulla cui realizzazione il Ministero dell’Ambiente aveva espresso il giudizio positivo di compatibilità ambientale già il 16.6.1999 e che i nostri mezzi di comunicazione dimostrano di conoscere, con il solito tempismo, solo ora !
Sono pozzi che saranno realizzati nei boschi, presso sorgenti e vicino ad attività di agriturismo e agricoltura biologica.
In Val D’Agri sono organizzati due convegni sulle estrazioni petrolifere che mostrano come, malgrado i dirigenti regionali continuino la loro politica pro-ENI, sia sempre più diffusa la sensazione che i rischi, tutti già attuali, non compensino i  guadagni, per la maggior parte futuri.
La Gazzetta del Mezzogiorno del 26.3.2001 pubblica un articolo del Prof. Nico Perrone che, dopo aver visitato più volte i siti petroliferi  e visto dove sorgono i pozzi e cosa fanno alla nostra terra le compagnie petrolifere e le varie società che con  e per esse lavorano, denuncia i danni  già visibili sul territorio ed invita i nostri politici ad affrontare la questione petrolio “ senza pregiudizi e senza entusiasmi, dopo aver predisposto un quadro di regole da rispettare, di costi e di vantaggio per le popolazioni”. Nessun politico risponde ma  lo stesso quotidiano pubblica  due  interventi  di  risposta, uno di Pietro Simonetti ( Presidente Comitato per le politiche del lavoro Regione Basilicata) e l’altro di Michele Vita   “ ingegnere, coordinatore del Comitato paritetico per l’attuazione del protocollo d’intenti Regione Basilicata-ENI),  che si dimostrano entusiasti , il primo, per come la Regione Basilicata si sia fatta rispettare dall’ENI e abbia raggiunto il record nazionale battendo tutte le altre regioni che, a sentir lui, il petrolio lo regalano, il secondo per come l’ENI rispetti l’ambiente e tuteli la salute dei lucani. Non sappiamo se, prima di scrivere i loro zuccherosi articoli, abbiano visitato i siti petroliferi, sicuramente non sanno quanto ha incassato la Regione ( “ negli ultimi due anni 25 miliardi provenienti dalle royalties oltre ad altri 60 miliardi di finanziamenti ENI che sostengono il piano forestale” Simonetti “ ad oggi, con le anticipazioni sulle royalties ed i primi fondi stanziati dall’ENI, in tutto circa 40 miliardi, la Regione ha finanziato interventi di forestazione produttiva ed un programma di incentivazione a favore di 73 piccole e medie imprese…..  E  poi ci sono le royalties …. fino ad ora con la produzione appena iniziata, abbiamo ricevuto circa 20 miliardi.” Vita ) e, se devono dare i numeri, almeno che si mettano d’accordo!
SOS Lucania, WWF Basilicata, CAI sez. Potenza, Osservatorio per l’Ambiente Lucano , sullo stesso giornale, fanno rilevare come gli illustri tecnici editorialisti  siano in mala fede quanto cercano di far passare, ancora una volta, l’immagine di una idilliaca estrazione scrivendo cose che i politici  governanti non potrebbero impunemente scrivere.
La realtà è che il protocollo d’intesa non tutela né le popolazione né l’ambiente e la Regione Basilicata non ha la volontà politica per imporre all’ENI il rispetto non solo del protocollo d’intesa ma neanche delle più elementari norme di tutela ambientale. L’impotenza e l’ignavia dei nostri governanti si manifesta in maniera vistosa sol se si guardano i siti dismessi  e non ripristinati e  i terreni sui quali si è riversato, nel gennaio 2000, il petrolio di due autocisterne nel territorio di Viggiano. Il Consulente Tecnico nominato dal Presidente del Tribunale di Potenza ha, ad un anno dall’incidente, descritto i terreni come ancora inquinati, in varia misura,da idrocarburi di petrolio e, ancora nell’estate del 2001, non solo il terreno non è stato bonificata ma certamente il petrolio ha potuto raggiungere gli strati più profondi.
Intanto prosegue la realizzazione dell’oleodotto  e, con lo stesso sistema utilizzato per le indagini geosismiche,  operai e tecnici delle società che lavorano per l’ENI entrano nei terreni, negli orti, nei frutteti, nei boschi, e realizzano le loro opere senza aver preventivamente avuto il consenso dei proprietari né un qualsiasi atto amministrativo.
La politica torna ad occuparsi del Petrolio con un intervento del sen. Egidio Ponzo, che già prima delle elezioni, aveva manifestato forti critiche al modo in cui sono realizzate le estrazioni e si era impegnato a sollecitare una revisione degli accordi  e più rispetto per gli interessi e l’ambiente lucano. Noi  aspettiamo i  futuri sviluppi  ma non ci fermiamo perché l’ENI non si ferma e l’occupazione continua….
Continua anche l'informazione faziosa del TG Basilicata che non perde occasione di decantare i vantaggi derivanti dall'estrazione fornendo dei dati economici assolutamente falsi che neanche il filopetroliere sindaco di Calvello ha la spudoratezza di confermare (Tg3 Basilicata 5.9.2001) .
Quando poi, ai giornalisti di Rai Basilicata si offre l'occasione di apparire sulle reti nazionali ( vedi Italie dell'1.11.2001 e Mediterraneo di novembre 2001) propinano anche a tutta la nazione la solita tranquillizzante immagine tipica della propaganda dell'ENI.
Malgrado più volte noi di SOS Lucania abbiamo invitato i giornalisti di Rai regione a non fermarsi nei municipi e sulle piazze ma ad andare a vedere quello che effettivamente l'ENI stava facendo nessuna inchiesta è stata fatta. Per fortuna il 18 ottobre 2001 è andata in onda la trasmissione REPORT che ha mostrato all'Italia intera le sistematica violazioni della legge fatte dall'ENI e lo scempio ambientale senza ricadute economiche su una popolazione del tutto disinformata. Finalmente abbiamo potuto sentire il Presidente Bubbico e l'Assessore Chiurazzi rispondere alle domande di una vera professionista dell'informazione che, senza il timore riverenziale che caratterizza certi suoi colleghi, li ha costretti ad ammettere la loro sudditanza alle multinazionali e la voluta non conoscenza dello scempio ambientale in atto. Il nostro ringraziamento a Sabrina Giannini: brava!
Nell' Ottobre 2001 gli autotrasportatori che portano il greggio da Viggiano alla raffineria di Taranto hanno iniziato uno sciopero per " la mancanza di garanzie da parte dell'ENI nell'assicurare una quota di trasporto tale da permettere agli autotrasportatori lucani la sopravvivenza economica" . Si sono accorti, guarda un pò, che l'oleodotto è quasi terminato e loro smetteranno di lavorare. 
Il giorno dopo lo sciopero è stato sospeso perchè la Regione ha garantito il suo interessamento!
Quando la smetteranno di elemosinare e di accettare garanzie che nessuno può dare?
L'ENI non ha mai assunto alcun impegno formale per gli autotrasportatori e se, malgrado fosse chiaro a tutti che il trasporto su gomma era provvisorio, alcuni lucani hanno sostenuto spese per l'acquisto di autocisterne .....forse hanno sbagliato ad appoggiare i petrolieri e i politici filopetrolieri e a considerare noi, che queste cose le diciamo da sempre, dei nemici .
Sbagliare è umano, perseverare è diabolico.....
Finalmente l'11.12.2001 il Consiglio Regionale ha dedicato una seduta al dibattito "in merito alle problematiche relative all'accordo di programma ENI-REGIONE BASILICATA sull'attività estrattiva petrolifera e questioni connesse".
Sono emerse posizioni diverse anche all'interno dei vari schieramenti politici, ma alla fine è stato approvato un ordine del giorno assolutamente inadeguato e deludente (per decenza anche tre consiglieri della maggioranza si sono astenuti) che ha ignorato completamente le critiche, i rilievi, le contestazioni che pure erano emersi durante il dibattito. Tanto rumore per nulla: alla fine si è tornati alla relazione dell'assessore De Filippo , che è interessante solo perchè contiene allegati per la prima volta tutti gli atti relativi alla questione petrolifera, dell'Accordo di Programma alle Leggi Regionali.
Durante il dibattito il Consigliere Dott. Mancusi, parlando degli effetti delle estrazioni petrolifere sul territorio,  ha affermato "alcuni esperti hanno addirittura rilevato un possibile aumento delle neoplasie polmonari".
Nessun Consigliere, nessun Assessore, nemmeno il Presidente Bubbico ha avvertito la necessità di approfondire le affermazioni del Consigliere che tutti sanno essere specializzato in Tisiologia e malattie dell'apparato respiratorio.
Complimenti !!!!!
Mentre per la Rai di casa nostra, quella più vicina, l'interesse alla problematica parco-petrolio è di gran lunga inferiore alla sagra della mortadella che si celebra in qualche contrada lucana, la Rai, quella più lontana, con Ambiente Italia di Beppe Rovera si occupa di parchi e, in particolare, del Parco Nazionale della Val d'Agri e del Lagonegrese, un parco istituito ma non ancora operativo perchè non ancora - dopo 4 anni - approvata la sua perimetrazione. Qualcuno lo ha definito il Parco della Val d'Agip proprio per sottolineare l'assurdità di scelte legislative, da una parte, e la rapacità delle compagnie petrolifere, dall'altra, che pretendono di far convivere le attività estrattive con le esigente di un parco nazionale

OIL STORY  2002
L’ENI continua le sue attività sul territorio lucano senza alcun controllo e senza che i lucani sappiano niente dei suoi programmi.
La RAI regione tra il gennaio e il febbraio 2002 manda in onda  un’inchiesta sul  petrolio in Basilicata. Sul fronte ambientale la RAI regione conferma che tutto è sotto controllo suscitando le giuste proteste del WWF, ma nemmeno i suoi zelanti giornalisti  hanno il coraggio di parlare del progetto di monitoraggio che l’Assessore Chiurazzi ha definito “all’avanguardia in Europa”…
Naturalmente è sempre in fase di progettazione ma, altrettanto naturalmente, la RAI nulla dice se non che c’è un efficiente sistema di monitoraggio… provvisorio!!! Come se due centraline, alcuni esami sulle acque dei soli affluenti dell’Agri e poche piantine (attività, peraltro, demandate a società strettamente collegate ad Eni) fossero in grado di monitore l’ambiente! Anche questa volta si ignora il fatto che i pozzi sono il Val Camastra  oltre che in Val D’Agri e che sono stati costruiti sulle sorgenti dei fiumi che alimentano la diga della Camastra.
Il dossier è interessante perché, per la prima volta, sulla Rai Regionale si fanno sentire alcune critiche sul mancato rispetto degli accordi da parte dell’ENI e, soprattutto, si comincia a parlare di insufficiente ricaduta occupazionale. 
Negli stessi giorni il sindaco filo-ENI di Viggiano, Vittorio Prinzi, improvvisamente ed a causa del crescente malcontento dei suoi amministrati, si accorge di aver svenduto il suo paese e di non aver ottenuto niente, dando inizio ad una patetica e “stracciona” rivendicazione della sede della Fondazione Mattei a Viggiano. 
Sembra l’inizio di qualcosa…poi al  Sindaco di Viggiano promettono l’agognata sede lucana della Fondazione Mattei e si zittisce . Non sappiamo cosa danno ad altri ma le leggere critiche espresse dalla RAI Regione non danno risultati a noi visibili. 
Intanto la denuncia di Sos Lucania  sulla mancata bonifica del territorio del comune di Viggiano inquinato dal petrolio trova la conferma dell’inerzia delle autorità  nella denuncia presentata alla Procura della Repubblica dalla Provincia di Potenza , l’unico ente, tra i tanti a cui si è rivolta Sos Lucania, a sentire il dovere di interessarsi alla vicenda, diversamente dal NOE (Nucleo Operativo Ecologico dei CC) e dalla Regione Basilicata che, con la solita ignavia, se ne è lavata le mani.
Veniamo a conoscenza, per la prima volta, che l’ARPAB  aveva accertato il 21.1.2000 che “l’acqua di un pozzo è risultata frammista a greggio” e che il Sindaco di Viggiano aveva emesso un’ordinanza che vietava “l’utilizzo delle acque, superficiali e sotterranee, site nel fosso delle Fornaci nonché di quelle derivanti dall’abbeveratoio Dianò”.
Naturalmente, il TG Basilicata appena “sussurra” la notizia e dopo che ne hanno parlato i giornali. 
Il comune di Viggiano ci informa che (dopo due anni!!) ha attivato la procedura per la convocazione della conferenza di servizi. 
Il 6.3.2002 si apprende che l’ENI ha ceduto a Total-Fina la partecipazione al giacimento Tempa Rossa 
A fine marzo gli autotrasportatori (del greggio) riprendono la loro protesta; di nuovo incontri, di nuovo riunioni, di nuovo promesse.
Si apprende dalla Nuova Basilicata che tornerà a funzionare lo L.P.T. di Calvello che servirà da piccolo centro oli per i pozzi Cerro Falcone. Le autocisterne torneranno ad attraversare il piccolo ponte sul fiume La Terra e, attraversando i valichi del Volturino, porteranno il petrolio al Centro Oli di Viggiano, attraversando anche il territorio che dovrà essere compreso nel Parco della Val D’Agri  (della serie: “come distruggere anche solo l’ipotesi o la speranza di un Parco!!!”).
Continua il rifiuto sistematico di fornire informazioni e le richieste di Sos Lucania ai Sindaci dei Comuni interessati dai giacimenti su pozzi, occupazione, indagini geosismiche e danni, ricevono poche risposte.
Tra risposte mancate o reticenti, quella del Corpo Forestale merita una particolare menzione e meriterebbe sicuramente maggiore attenzione da parte della magistratura penale: alle precise richieste inviate a tutte le stazioni forestali e ai Coordinamenti Provinciale e Regionale ha risposto soltanto il Capo del Coordinamento Provinciale  che, molto pilatescamente, di fatto si è rifiutato di rispondere.! Colui i cui agenti sono cosi attenti a punire chi taglia una sola pianta nel boschi pubblici, alla nostra precisa domanda sui danni che possono aver fatto i tecnici ENI e delle società collegate durante le indagini geosismiche non si è vergognato di rispondere che “L’Amministrazione  non può inserirsi in questioni che riguardano controversie tra terzi“ come se possano considerarsi privati i tagli agli alberi, i tratturi aperti, le esplosioni nei fiumi che hanno causato centinaia di milioni di danni già accertati!!
Il 19.3.2002  si scopre che le società incaricate dall’ENI hanno cominciato a bonificare un “laghetto completamente coperto di petrolio” vicino al centro oli di Viggiano.    
Nessuno sa quello che è effettivamente successo all’interno dello stabilimento ENI né quando si è verificato quello che, secondo una voce non ufficiale della società petrolifera, è un errore di un addetto alla manovra di alcune valvole. Abbiamo provato a parlare con i cittadini di Viggiano che abitano a 100 metri dal centro oli ed è emersa una ben strana e preoccupante ricostruzione degli eventi. Alle ore 11,15 di venerdì   si è avvertito “un rumore  assordante che ha fatto vibrare i vetri e le case”  e la fiamma di combustione che dovrebbe bruciare tutto il gas è sembrata  quasi spegnersi “la fiamma usciva e non usciva”. Mario Diamante, militante di Sos Lucania nonché di un comitato civico, al quale aderiscono 300 cittadini del sindaco Prinzi e molto più preoccupati dal centro oli che dalla  destinazione della fondazione, temendo per la propria incolumità ha telefonato alla Prefettura di Potenza  per, come ci ha dichiarato, “sollecitare il piano di protezione civile già richiesto da questo comitato da maggio 2001 oltre a chiedere casa fare nell’immediato.  Ma come risposta mi veniva assicurato che il piano non è ancora pronto ma che tutto è sotto controllo...  come, infatti,  abbiamo e potete tutti verificare vedendo il petrolio che galleggia sull’acqua…”.
Sono stati chiamati i Carabinieri ed i Vigili urbani che, sempre venerdì, sono scesi al centro oli  ed hanno ascoltato le rimostranze e le denunce della gente.
Quindi, sembra, che al centro oli stava succedendo qualcosa di strano già venerdì e che probabilmente “il fattaccio” si è verificato allora o poco dopo. Perché noi ne siamo venuti a conoscenza solo martedì? Non certamente perché informati dall’ENI  o da qualche autorità locale o regionale, ma perché la sezione della Val d’Agri dei Rangers d’Italia ha scoperto il petrolio nell’acqua e sui terreni e il personale dell’ENI che cercava di cancellarne le tracce.         
Solo martedì è intervenuto il personale dell’ARPAB e, quindi, deve desumersi che gli Amministratori regionali e gli organi di controllo siano stati avvisati solo allora, non potendo noi pensare che questi siano intervenuti con un ritardo di tre giorni! E, dopo due giorni, ancora non sappiamo cosa è effettivamente uscito dal centro oli e in che quantità. Sappiamo solo che è un idrocarburo, che galleggia e che puzza. Forse se ci spiegano cosa è veramente successo capiamo troppo e noi dobbiamo ignorare tutto? Segreto industriale? Almeno al presidente Bubbico lo hanno detto o anche lui legge i giornali per sapere quello che succede? Certamente il nostro governatore non è andato a Viggiano a parlare con la gente che respira gas che l’ENI dice non tossici, che coltiva terreni che l’ENI dice puliti, che beve l’acqua che l’ENI assicura essere perfetta, sempre in attesa di quel favoloso sistema di monitoraggio che ancora si sta progettando e che quando sarà realizzato monitorerà il nulla. 
I cittadini di Viggiano, di Calvello, di Grumento , di Corleto vivono vicino e spesso sotto i pozzi e i centri olii delle compagnie petrolifere senza sapere i rischi che corrono e come devono comportarsi in caso di incidenti. Nessuno li ha informati, nessuno ci informa: Presidente Bubbico ci può dire quali sono i possibili incidenti che possono verificarsi in un centro oli, in un pozzo che si sta perforando, in un pozzo perforato? 
Nella trasmissione REPORT  abbiamo ascoltato un tecnico dell’ENI che, alla precisa domanda della giornalista Sabrina Giannini sui rischi dei pozzi, ha risposto che non ce erano, “è come prendere un aereo”; ma quando prendiamo un aereo sappiamo che può cadere, può bruciarsi un motore, ci fanno mettere le cinture di sicurezza e i giubotti di salvataggio, ci sono le uscite di sicurezza…..Quali uscite di sicurezza hanno il lucani che vivono nelle valli del petrolio? Quali uscite di sicurezza hanno tutti coloro che bevono l’acqua della diga del Pertusillo e della diga della Camastra?
L’episodio è molto grave  e suscita reazioni molto dure anche da parte di esponenti della maggioranza del Consiglio Regionale: la totale ignoranza dei fatti dimostrata dall’assessore all’ambiente, Chiurazzi, dall’assessore alle attività estrattive, Vito de Filippo, e dal Governatore Bubbico dà il senso della totale subordinazione della nostra classe dirigente all’ENI. 
Senza grandi speranze aspettiamo gli sviluppi delle indagini.    
Il 3 aprile si apprende che il gruppo britannico SHELL ROYAL DUTCH ha deciso di acquistare attraverso il lancio di un'opa amichevole Enterprise Oil che detiene in Val D'Agri il 55% della Concessione Cerro Falcone, il 40% della Concessione Monte Alpi ed il 25% della Concessione Tempa Rossa. L'ENI aveva espresso solo qualche giorno prima la disponibilità per l'acquisto dell'Enterprise Oil. 
Il 10 aprile, il “Caso Val d’Agri” viene discusso in una tavola rotonda tenutasi in Senato  organizzata dalla Campagna di Riforma della Banca Mondiale e da Friends of the Earth International, associazioni che si battono affinchè la B.E.I. eserciti un controllo più efficace sui progetti finanziati dalla banca europea, come quello dell’ENI in Val d’Agri (Resoconto della tavola rotonda).
Ai rappresentanti delle associazioni internazionali e della B.E.I e ad alcuni parlamentari, Sos Lucania ha portato la testimonianza di come l’ENI, nella esecuzione del progetto Val d’Agri, violi sistematicamente norme statali ed europee, calpesti cultura e tradizioni delle popolazioni locali e aggredisca in modo volgare e selvaggio il territorio.   
Agli inizi di maggio “ Il Sacco della Basilicata” trova spazio e risonanza nella rivista Due Sicilie. 
Il 20 maggio l’Unità  pubblica un articolo di Andrea Di Consoli dal titolo “Il miraggio dell’oro nero”. Il reportage non è sicuramente piaciuto al Governatore rosso della Basilicata che, diversamente dall’attento e dinamico giovane giornalista, probabilmente non ha mai visto o non ha mai voluto vedere che l’ENI sta distruggendo la nostra regione: chissà se Bubbico ha mai visto come è bello un pozzo a 1.550 metri tra boschi di faggi, sorgenti, falchi, cavalli e volpi….
Per caso, mentre la Procura della Repubblica di Potenza  intercettava i noti imprenditori De Sio per tangenti su appalti vari,  si è scoperto che si parlava anche di ENI, di AGIP, di oleodotti……
E’ scoppiata la c.d. tangentopoli lucana con grande clamore mediatico. E mentre su tutte le televisioni nazionali si metteva in evidenza il filone ENI-AGIP e in tutti i servizio svettavano le torri petrolifere e le relative fiamme, l’ineffabile capo redattore di Rai Regione, Cantore, ha in tutti i TG del 27 maggio tagliato il servizio del giornalista Stolfi nella ultima parte che riguardava l’ENI-AGIP. Chi ha seguito solo il TG regione per due giorni ha ignorato che le indagini riguardavano anche il filone degli appalti ENI in Val d’Agri. Il fatto è stato ancora di più eclatante perché il servizio di Stolfi, in versione integrale, è stato trasmesso lo stesso giorno dal TG3 nazionale: perché sulla RAI Regione il petrolio non deve fare notizia? Non è che l’ultimo episodio di una lunga serie di strani ed ingiustificati silenzi e tagli. 
E se un giorno si scoprisse che qualche illustre (si fa per dire!) giornalista è in qualche modo interessato (magari non direttamente ma attraverso congiunti più o meno stretti) alle attività imprenditoriali di società che in Val d’Agri hanno fatto grandi affari con l’ENI …………. ?
Rispetto a quella che ormai viene definita la “tangentopoli lucana”, Sos Lucania non intende associarsi al coro dei giustizialisti  né a quello degli “innocentisti” a priori, per convenienza o disciplina di partito.
Non abbiamo mai gioìto, né lo faremo ora, del tintinnio delle manette e non ci sostituiremo ai giudici nel sentenziare la responsabilità di coloro che sono indagati; ma neppure condividiamo le ipocrite manifestazioni di sorpresa di chi del “sistema”  ha sempre saputo, se addirittura non ne ha fatto parte.
Continueremo, invece, ad esprimere in modo netto e senza riserve la nostra inappellabile condanna politica nei confronti di una classe dirigente che riteniamo responsabile dell’ennesimo tradimento nella storia del popolo lucano.  
Il 4 giugno si apprende dai giornali che vi è stata una fuoriuscita di 2.500 litri di acqua di lavorazione contenente petrolio nella notte tra il 2 e 3 giugno da una condotta interna alla postazione Monte Enoc che raggruppa 3 pozzi di estrazione di petrolio nel territorio di Viggiano.
Nella notte del 7 sui pozzi petroliferi Monte Alpi 1 Est , in territorio di Grumento Nova, si è verificato un altro incidente: la rottura di una valvola ha causato una fuoriuscita di greggio che, uscito a forte pressione, si è nebulizzato e spinto da forti raffiche di vento ha impregnatolo piante e sottobosco del vicino  bosco "Aspro" per circa 2 ettari. Difficile si presenta l'opera di bonifica anche perchè nella zona vi è un torrente che potrebbe essere anch'esso interessato in caso di pioggia (e naturalmente sta piovendo).
Il 9 giugno leggiamo sul "Quotidiano" che -con le attività petrolifere aumentano i pericoli di dissesto geologico-
Il 16 settembre, la magistratura inquirente potentina emette una nuova serie di ordinanze di custodia cautelare. Questa volta le indagini puntano dritto all’Eni ed alle grandi opere collegate all’attività petrolifera in Val d’Agri. Per la procura della repubblica di Potenza, petrolio e corruzione viaggiano insieme lungo l’oleodotto che porta a Taranto. Il 18 settembre si apprende dalla stampa che “Bubbico  blocca i nuovi pozzi”. In realtà il presidente della giunta regionale ha solo dichiarato: “Sino a quando gli aspetti connessi all’esecuzione dei lavori non saranno chiariti e sino a quando non si saranno realizzati compiutamente gli accordi già sottoscritti nel 1999, la Regione non riaprirà nessun tavolo negoziale su Tempa Rossa e sui programmi estrattivi riguardanti la Val Camastra”. Probabilmente spaventato dalle indagini della magistratura, il Presidente Bubbico ha deciso di annunciare la scoperta dell’acqua calda! Tutti, infatti, sappiamo che l’Eni non ha rispettato gli accordi e solo chi crede alle favole può pensare che la sua dichiarazione possa sospendere alcunché. Infatti, all’Eni non importa più niente della Val Camastra avendo ceduto tutte le concessioni e ha già tutte le autorizzazioni per estrarre tutto il petrolio della Val D’Agri!
Ad accreditare quella che potrebbe apparire (a qualche allocco) come un’improvvisa e sorprendente botta di orgoglio del governatore lucano, intervengono i soliti noti suoi amici, il sindaco di Corleto Perticara e il sindaco di Marsicovetere che, nella sceneggiata rappresentata sui giornali locali, interpretano la parte degli amministratori arrabbiati con il loro presidente e preoccupati che si blocchino le estrazioni.  Che ne dite: ci sono o ci fanno? 
Nel frattempo la Basilicata esporta petrolio!! 
SOS Lucania, su Due Sicilie, così dice la sua. 
Il primo ottobre in Consiglio regionale si discute di petrolio e di tangenti: si decide di istituire la Commissione di inchiesta sulla vicenda petrolio richiesta dall’opposizione (la presidenza andrà a Di Gilio, AN) 
La Gazzetta del Mezzogiorno dà i numeri del petrolio lucano. 
E intanto il nostro cielo e la nostra aria si riempiono di veleno. 
Il 4 ottobre, il Presidente della Giunta Regionale Filippo Bubbico è costretto ad ordinare il blocco dell’impianto di “desolforazione” del centro oli di Viaggiano a causa di un guasto “che avrebbe avuto conseguenze sulla qualità delle emissioni in atmosfera”. 
Il blocco finisce il 9 ottobre, ma tutta la Val D’Agri ha avvertito e respirato le emissioni del centro oli già molti giorni prima del provvedimento del Presidente Bubbico: cosa è successo veramente? 
Come al solito non lo verremo mai a sapere, né dalle autorità regionali, né dall’Eni. 
Di sicuro ancora si parla di un piano di sicurezza (da progettare) e mentre il solito Simonetti ci fa sapere che, alla tutela ambientale, preferisce il petrolio perché porta occupazione (un giorno ci dovrà spiegare quanti posti di lavoro ha creato l’accordo con Eni), il sen. Lapenta lancia un appello che, avendo il sapore della verità, non viene raccolto da nessuno. 
Antonio Porretti sulla Gazzetta del Mezzogiorno conduce un viaggio molto interessante nelle terre del petrolio. 
Gli autotrasportatori del petrolio continuano a protestare e lamentarsi: ci è permesso non commuoverci e sospettare che hanno preferito dare ascolto alle assicurazioni dei mercanti della politica? 
Sorpresa! Si riparla di monitoraggio della Val d’Agri! 
A novembre, si apprende che è stata avviata una procedura d’infrazione contro l’Italia dalla Commissione Europea per le estrazioni petrolifere in Basilicata. 
Ambiente Italia va a Corleto e, malgrado l’accorta regia, riescono ad emergere i dissensi. Antonio Montano, che a Corleto vive, non si nasconde e grida la verità. 
L’ENI chiede di spostare 4 pozzi.  

OIL STORY  2003
18 marzo 2003: la TotalFinaElf presenta alla Regione la domanda di pronuncia di compatibilità ambientale per il progetto Tempa Rossa. 
Commenti. 
25 Aprile: Tempa Rossa comincia a far discutete e il petrolio si avvicina alle Dolomiti lucane e minaccia il parco di Gallipoli Cognato.
27 aprile: il sindaco di Laurenzana vede i petrodollari. 
28 aprile: la Conferenza Episcopale lucana comincia ad interessarsi del petrolio e a mostrarsi  sempre più critica verso un modello di sviluppo che depaupera i lucani del loro territorio e della loro dignità.
29 aprile: il WWF lancia l’allarme, i deputati della Margherita, Mario Lettieri e Giuseppe Molinari, presentano una interrogazione al ministero dell’Ambiente per sapere se il governo ha inserito tra le c.d. grandi opere gli interventi della compagnia petrolifera TotalFinaElf per lo sfruttamento del giacimento Tempa Rossa. Il deputato di Forza Italia Gianfranco Blasi afferma che nessun intervento delle grandi opere è previsto a Tempa Rossa. 
29 aprile: Avvenire pubblica l’accorata e puntuale denuncia dell’arcivescovo di Potenza, Agostino Superbo. 
6 maggio: si fa vivo il presidente della Commissione regionale d’inchiesta sulle Attività estrattive in Val D’Agri e Val Camastra, Egidio Digilio. Pensavamo fosse divenuto muto e sordo: peccato che nulla ci dica sulla sua Commissione che, a 5 mesi dalla sua istituzione, sembra un pallido fantasma. 
7 maggio: il sindaco di Laurenzana Dott. Rocco Martoccia organizza un convegno su  Tempa Rossa.
9 maggio: parte la grande abbuffata della Val D’Agri che porterà a spendere i soldi delle future royalties che la Regione si fa anticipare dalle banche attraverso mutui o altre operazioni finanziarie. Si spendono così i soldi che dovrebbero servire a compensare i danni ambientali. 
La Chiesa alza ancora una volta la voce per denunciare la corruzione della società lucana. 
19 maggio: la Giunta Regionale approva il piano Val D’Agri. 
20 maggio: continuano le polemiche su Tempa Rossa e la Regione firma con ENI due accordi attuativi già previsti nell’accordo di programma del 1998. 
30 giugno: audizione delle associazione ambientaliste davanti alla commissione d’indagine per il petrolio. Presente solo il presidente Digilio, latitanti gli altri consiglieri regionali componenti la Commissione. 
29 giugno: muore un operaio schiacciato da un tubo sul pozzo Alli 4 nel comune di Viggiano. Nessuno protesta, nessuno parla di responsabilità, articoli sintetici di semplice cronaca, nessun commento: non bisogna disturbare il manovratore! Complimenti ai giornalisti per la professionalità. 
Il 3 luglio muore un operaio su un cantiere normale non ENI e qui tornano i commenti e l’indignazione per la mancanza di sicurezza. Che schifo!  In Basilicata non si tiene in nessun conto de principio secondo il quale: ”La notizia è un’informazione che deve dare fastidio almeno ad uno, altrimenti non è una notizia ma pura informazione, come gli orari delle farmacie di turno. Mantenendo sempre il giornalista la sua terzietà” (Lorenzo del Boca Presidente dell’Ordine Nazionale dei Giornalisti).
Una esponente di Sos Lucania approfitta di un convegno organizzato dal WWF a Montemurro per esprimere lo sdegno per il servilismo dell’informazione lucana ai petrolieri (doc. 18) 
6 giugno: il Presidente Bubbico e i rappresentanti degli enti locali sottoscrivono l’accordo di programma sull’utilizzo delle royalties. 
12 luglio: il segretario regionale dei DS, Vincenzo Folino, disserta sulla tangentopoli  lucana e dimentica che il problema non è giudiziario ma politico. Non  basta che non ci sia il reato è necessario che vi sia una gestione onesta del  potere che viene dai soldi del petrolio. Nelle Valli del petrolio non vi è libertà  perché chi ha rapporti privilegiati con le multinazionali controlla  l’anima (e la scheda elettorale) delle popolazioni.
12 agosto: si parla di una trattativa segreta per Tempa Rossa. 
14 agosto: lettera  coraggiosa ed onesta agli amministratori di Corleto del sen. Nicola Lapenta.
16 agosto: parte una raccolta di firme dei cittadini di Viggiano  diretta ad ottenere una maggior trasparenza e maggiori informazioni su ciò che si verifica nei pozzi.
Agosto: cominciano a viaggiare le autocisterne e il sindaco di Abriola se ne accorge e comincia una sterile polemica con l’ultras petroliere sindaco di Calvello. 
5 settembre: ricompare la Commissione regionale d’inchiesta sul petrolio. 
6 settembre: a Viggiano si parla di petrolio e Monsignor Superbo spiega a Bubbico  cosa succede nei paesi del petrolio.: il Presidente della Regione pensava ad altro!
13 settembre: sui giornali è pubblicata la notizia dell’inquinamento delle acque a Calvello.
13 settembre: si tiene un interessante convegno sulla rinaturazione delle aree interessate all’estrazione petrolifera.
13 settembre : l’amministrazione provinciale ritiene che le strade percorse dalla autocisterne sono sicure, i radicali  criticano Diglio e le esportazioni diminuiscono.
4 ottobre: si apprende che la regione stanzia 45 milioni per gli investimenti.
4 novembre: i vescovi lucani esprimono chiaramente la loro contrarietà alle perforazioni petrolifere nel parco Gallipoli-Cognato, i sindaci di Laurenzana e Corleto si lamentano, il presidente della Comunità montana Camastra Alto Sauro si sputtana e presunti operai  di Corleto cercano di commuovere Mons. Superbo. Un cittadino dello stesso paese risponde loro a tono.
9 novembre: il sindaco di Abriola riprende a lamentarsi per il transito delle autocisterne.
11 novembre: la desertificazione avanza anche per le estrazioni petrolifere.
17 novembre: E’ scoperta una chiazza di petrolio, in località Casetta Bianca, tra i comuni di Calvello ed Abriola . Le tracce di un incidente nascosto o, meglio, del solito disastro ambientale sempre evitato!
17 Novembre: ennesimo convegno sul petrolio disertato, al solito, dai sindaci 
20 novembre: i lavori dell’oleodotto interessano anche zone soggette a vincolo idrogeologico ma a parte qualche dichiarazione dell’Autorità di Bacino , niente e nessuno ferma lo scempio ambientale!
21 novembre. Il comitato per lo sviluppo delle aree interne inizia la raccolta di firme per  l’istituzione della zona franca
22 novembre: durante la manifestazione contro le scorie nucleari a Scanzano, alcuni oratori invitano a rendere la protesta più dura e a gestire noi lucani i nostri beni con il blocco del centro oli e delle estrazioni petrolifere.
26 novembre: il presidio davanti al centro oli di Viggiano comincia ad essere effettivo  ma la solita stampa serva cerca di mimetizzare  facendolo apparire una semplice manifestazione politica organizzata da A.N. . Così non è, perché comincia ad arrivare gente da molti paesi  e si comincia a discutere di petrolio come di una nostra risorsa che ci hanno fraudolentemente sottratto. I sindaci cercano di organizzare una manifestazione che fittiziamente blocchi il centro oli,  ma la presenza di manifestanti liberi e non loro sudditi rischia di rendere effettivo ciò che doveva essere virtuale.
Si è quasi sul punto di bloccare l’attività petrolifera ma… il Governo ritira il decreto che individuava a Scanzano il centro unico di stoccaggio delle scorie nucleari e anche la protesta al Centro Oli rientra. C’è mancato poco! Altri pochi giorni e in Lucania, per la prima volta, anche i servi dei petrolieri sarebbero stati costretti a parlare del nostro petrolio e della nostra terra rapinata. Non è che le multinazionali del petrolio hanno messo il loro peso dalla parte dei lucani nella vicenda Scanzano per far tornare la pace nei nostri boschi e nelle loro torri e piattaforme?
All’ENI ridacchiano: che dilettanti quelli delle SOGIM, noi invece………. 
Intanto prosegue lo sventramento delle nostre montagne per costruire l’oleodotto.


Ciclone Woodcock sul petrolio lucano
http://www.lagazzettadelmezzogiorno.it/notizia.php?IDNotizia=218176&IDCategoria=470
16 12 2008
ROMA – Un «comitato d'affari» composto da «imprenditori, politici, pubblici funzionari, faccendieri» che ha «praticamente "svenduto" la terra della Basilicata e le sue ricchezze», trasformando il petrolio, da «grande occasione di sviluppo» per tutta la regione, in «un’occasione di arricchimento» personale. E’ questa la presunta organizzazione per delinquere che la procura di Potenza ritiene di aver smantellato ottenendo dal Gip l’arresto di undici persone.
Tra gli arrestati – per presunte tangenti sugli appalti relativi all’estrazione di petrolio in Basilicata, e non solo – l'amministratore delegato di Total Italia, Lionel Levha (nella foto in basso a destra).
Coinvolto anche il deputato del Pd Salvatore Margiotta (nella foto qui a sinistra), per il quale sono stati disposti gli arresti domiciliari. La misura di detenzione domiciliare per il parlamentare potrà, tuttavia, essere eseguita solo se la Camera dei Deputati darà l’autorizzazione. La relativa richiesta è stata presentata questa mattina e il presidente della Giunta per le autorizzazioni della Camera, Pierluigi Castegnetti, ha convocato per domani, mercoledì 17, una riunione con all’ordine del giorno la questione della richiesta di arresti domiciliari per il deputato del Pd.
Domiciliari anche per il consigliere provinciale di Matera del Pd, Nicola Montesano.
Tra gli altri coinvolti nomi eccellenti: Jean Paul Juguet, responsabile del progetto «Tempa Rossa» (il sito del più grande tra i giacimenti in Basilicata), Roberto Pasi responsabile dell'ufficio di rappresentanza della Total in Basilicata e un suo collaboratore Roberto Francini, l'imprenditore Francesco Ferrara e il sindaco di Gorgoglione (Matera) Ignazio Tornetta.
Le misure cautelari sono state ordinate dal gip di Potenza, Rocco Pavese, su richiesta del pm Henry John Woodcock. Le hanno eseguite, in gran parte a Roma, i carabinieri del Noe guidati dal colonnello Sergio De Caprio (il "Capitano Ultimo" che arrestò Totò Riina) e gli agenti della squadra mobile di Potenza, diretta da Barbara Strappato, in collaborazione con la Mobile di Roma e la polizia municipale di Potenza. Sequestrate anche alcune società e compiute numerose perquisizioni, anche all’abitazione e agli uffici del presidente della Provincia di Matera, Carmine Nigro (Popolari Udeur), indagato in relazione all’appalto per i lavori di una strada.
La vicenda, ricostruita in un’ordinanza di centinaia di pagine, è complessa e ruota attorno all’imprenditore Francesco Rocco Ferrara, attivo nel settore delle grandi opere pubbliche, uno dei destinatari delle misure cautelari in carcere. Secondo l'accusa, proprio Ferrara e gli imprenditori della sua cordata avrebbero dato vita ad un’associazione per delinquere, insieme ai manager della Total, una delle società concessionarie delle attività di estrazione petrolifera nella Val d’Agri, per "pilotare" gli appalti relativi al cosiddetto "Progetto Tempa Rossa".
Margiotta, in particolare – secondo l’accusa – avrebbe fatto valere il suo potere e la sua influenza di parlamentare e di leader regionale del Pd per favorire l’aggiudicazione degli appalti al gruppo capeggiato da Ferrara, in cambio della promessa di 200mila euro. I dirigenti della Total, dal canto loro (oltre a Levha, le misure restrittive riguardano Jean Paul Juguet, responsabile del progetto "Tempa Rossa", ora all’estero, Roberto Pasi, capo dell’ufficio di rappresentanza lucano e un suo collaboratore, Roberto Francini) avrebbero favorito l’aggiudicazione delle gare a Ferrara e soci: per l’appalto del Centro Oli, in particolare, sarebbero state addirittura sostituite le buste delle offerte.
In cambio, sempre ad avviso della procura, sarebbe stato stipulato un accordo commerciale da 15 milioni: tutte le imprese della cordata Ferrara si sarebbero rifornite per cinque anni solo di carburanti e oli lubrificanti della Total. I dirigenti della società, inoltre, sono accusati, in concorso con un funzionario del Comune di Corleto Perticara, in cui ricadono gran parte dei giacimenti petroliferi, di aver imposto condizioni “capestro” ad alcuni agricoltori per la cessione dei terreni di loro proprietà. Custodia cautelare in carcere anche per il sindaco di Gorgoglione (Matera), accusato di aver ricevuto periodiche "dazioni" di denaro in contanti, doni, elargizioni varie e un “oggetto prezioso”, per la sua attività di intermediazione tra i manager della Total e la cordata di imprenditori.
Destinatario di un provvedimento di arresti domiciliari è invece Domenico Pietrocola, dirigente dell’Ufficio tecnico della Provincia di Matera, che – sostiene l’accusa – si sarebbe fatto dare da Ferrara 200mila euro nell’ambito di un appalto per lavori stradali in Basilicata.
L'on. Margiotta si è subito autosospeso dal Pd. “Lo stupore e l’amarezza – dice – sono enormi; più grande è la certezza di non avere commesso alcun reato. E’ questa consapevolezza che mi dà la forza di affrontare la sofferenza di questi momenti, e mi infonde fiducia: la verità non potrà che emergere, spero prestissimo. Nel frattempo, poichè non voglio che in alcun modo il PD, partito in cui milito e che amo, sia coinvolto in questa vicenda mi autosospendo sin da ora da tutti gli incarichi di partito a livello nazionale e regionale”. Oggi pomeriggio Margiotta era a Montecitorio dove ha ricevuto numerose manifestazioni di solidarietà da parte dei suoi colleghi di partito. “Questo mi conforta molto”, dice ai cronisti. Ai quali ripete: “non capisco come mi abbiano tirato dentro”. Da Total, invece, nessun commento: “L'inchiesta è ancora in corso”, si limitano ad affermare da Parigi.
UN PATTO «CORRUTTIVO» TRA TOTAL E IMPRENDITORI DA 15 MILIONI DI EURO
Un patto corruttivo da 15 milioni di euro tra i dirigenti della Total, società titolare di  concessione petrolifera in Basilicata, e gli imprenditori  interessati agli appalti per le estrazioni. E’ quanto si  ipotizza nell’inchiesta della procura di Potenza che oggi ha  portato in carcere, tra gli altri, l’ad di Total Italia, Lionel  Levha (nella foto a destra) ed alcuni dirigenti della società.
In particolare, sempre secondo l’accusa, i dirigenti della  società avrebbero favorito l’aggiudicazione degli appalti dei  lavori per la realizzazione del Centro Oli di «Tempa Rossa» e per altre attività alla cordata capeggiata dall’imprenditore  Francesco Ferrara (anche lui finito in carcere): per l’appalto  del Centro Oli, in particolare, sarebbero state addirittura  sostituite le buste delle offerte.
In cambio, sempre ad avviso  della procura, sarebbe stato stipulato nel febbraio scorso un  accordo commerciale da 15 milioni: tutte le imprese della  cordata Ferrara si sarebbero rifornite per cinque anni solo di  carburanti e di oli lubrificanti della Total.
I dirigenti della società petrolifera, inoltre, sono  accusati, in concorso con un funzionario del Comune di Corleto  Perticara, in cui ricadono gran parte dei giacimenti  petroliferi, di aver imposto condizioni «capestro» di  esproprio ad alcuni titolari dei terreni. Questi avrebbero  dovuto accettare una somma di poco superiore a 6 euro al metro  quadro, e quindi assolutamente «fuori mercato», per evitare di  doversi accontentare di una indennità di esproprio di soli 2  euro e 50 che, sostiene l’accusa, sarebbe stata concordata tra i manager Total e il funzionario comunale.
"I REGALI AL SINDACO TORNETTA PER LA SUA ATTIVITA' DI INTERMEDIARIO"
Periodiche «dazioni» di denaro in contanti, doni ed elargizioni varie, oltre a un non meglio  definito «oggetto prezioso»: sarebbe stata questa, secondo la  procura di Potenza, la contropartita ottenuta dal sindaco di  Gorgoglione (Matera), Ignazio Giovanni Tornetta, per la sua  attività di intermediazione tra i manager della Total e la  cordata di imprenditori interessata agli appalti del petrolio in  Basilicata.
Tornetta (tra i destinatari della misura cautelare in carcere) è il sindaco di uno dei Comuni in cui ricadono i  giacimenti petroliferi lucani: secondo l’accusa, avrebbe  ricevuto più volte somme di denaro dall’imprenditore Francesco  Ferrara per la sua attività di mediazione illecita; lo stesso  Ferrara, inoltre, avrebbe promesso di affidare ad una società  di fatto gestita dal sindaco il servizio mensa per gli operai  della sua impresa.
Destinatario di un provvedimento di arresti domiciliari è  invece Domenico Pietrocola, dirigente dell’Ufficio tecnico della  Provincia di Matera, che – sostiene l’accusa – si sarebbe fatto  dare da Ferrara 200mila euro nell’ambito di un appalto per  lavori stradali in Basilicata.
PERQUISITI UFFICI E ABITAZIONE DEL PRESIDENTE DELLA PROVINCIA DI MATERA
L'abitazione e gli uffici del presidente della Provincia di Matera, Carmine Nigro (Popolari Udeur) sono stati perquisiti oggi nell’ambito dell’inchiesta coordinata dal pm di Potenza, Henry John Woodcock, sul “comitato d’affari” costituito per approfittare delle estrazioni petrolifere in Basilicata. E' stato portato via un computer e a Nigro è stata consegnata una informazione di garanzia che fa riferimento a presunte irregolarità nell’aggiudicazione, nel 2007, di un appalto per l’adeguamento della strada statale 175, finanziato con 18 milioni di euro e affidato all’associazione temporanea composta dalle imprese Ferrara, Polidrica e Giuzio: “Ho la massima fiducia nella magistratura”, ha detto Nigro. E' stata perquisita anche l’abitazione del consigliere provinciale Nicola Montesano (Pd), che è agli arresti domiciliari.
"200MILA EURO PROMESSI A MARGIOTTA"
Duecentomila euro: questa la somma  che sarebbe stata promessa al deputato del Pd Salvatore  Margiotta da Francesco Ferrara, uno degli imprenditori coinvolto  nell’inchiesta sugli appalti per il petrolio in Basilicata, in  cambio di un suo interessamento per favorirlo. È l'accusa che  il pm di Potenza Henry John Woodcock muove al parlamentare, per  il quale è stata chiesta oggi alla Camera l’autorizzazione per  gli arresti domiciliari.
In particolare, secondo quanto si è appreso, Margiotta  avrebbe fatto valere il suo potere e la sua influenza di  parlamentare e di leader del Partito democratico della  Basilicata per favorire l’aggiudicazione degli appalti alla  cordata capeggiata da Ferrara. In questo senso si sarebbe impegnato a fornire informazioni  privilegiate al gruppo di imprenditori e a fare pressioni sui  dirigenti della Total, società titolare di una delle  concessioni per lo sfruttamento dei giacimenti petroliferi della  Val d’Agri, in Basilicata.
REAGISCE MARGIOTTA: SONO AMAREGGIATO, MI AUTOSOSPENDO DA PD
«Ho appreso pochi minuti fa che è stata avanzata alla Giunta per le autorizzazioni della Camera dei Deputati una richiesta di autorizzazione all'esecuzione di arresti domiciliari nei miei confronti. Lo stupore e l'amarezza sono enormi; più grande è la certezza di non avere commesso alcun reato»: lo afferma il deputato lucano del PD, Salvatore Margiotta, coinvolto nell'inchiesta sulla Total.
«E' questa consapevolezza - prosegue Margiotta - che mi dà la forza di affrontare la sofferenza di questi momenti, e mi infonde fiducia: la verità non potrà che emergere, spero prestissimo. Nel frattempo, poichè non voglio che in alcun modo il PD, partito in cui milito e che amo, sia coinvolto in questa vicenda, mi autosospendo sin da ora da tutti gli incarichi di partito a livello nazionale e regionale».
ANCHE MANIGLIO (PD) SI AUTOSOSPENDE
Anche il consigliere provinciale del Pd di Matera, Nicola Montesano, si autosospende dal partito in quanto finito ai domiciliari nell’ambito dell’inchiesta della Procura di Potenza su tangenti e appalti per lo sfruttamento del petrolio lucano. Lo annuncia in una nota Andrea Badursi, capogruppo del Pd alla provincia di Matera. "In merito agli arresti domiciliari del collega consigliere provinciale nonchè amico Nicola Montesano, che nella tarda mattinata di oggi mi ha comunicato di autosospendersi dal gruppo e dal Partito - dice Badursi - mi auguro che lo stesso Nicola sappia dimostrare la sua totale estraneità ai fatti che gli vengono contestati".
"Io stesso ho sempre avuto la ferma convinzione che un cittadino, fino all`ultimo grado di giudizio, debba assolutamente essere considerato innocente. E` ovvio che - conclude Badursi - come rappresentante del gruppo Pd in consiglio provinciale ribadisco, come sempre ho fatto, la piena fiducia nella magistratura con l'auspicio che l`inchiesta, nel più breve tempo possibile, conduca a fare piena luce su tutta la vicenda".
L'IMPRENDITORE FERRARA INDAGATO ANCHE PER DROGA
L'imprenditore Francesco Rocco Ferrara, al centro dell’inchiesta sulle tangenti legate ad appalti per le estrazioni petrolifere in Basilicata, è indagato dalla procura di Potenza anche per violazione della legge sulla droga. Nei suoi riguardi e nei riguardi di altre quattro persone è stata disposta oggi dalla magistratura potentina la custodia cautelare in carcere, oltre che per le presunte tangenti, anche per associazione per delinquere finalizzata alla detenzione e allo spaccio di sostanze stupefacenti.
TOTAL: FIDUCIA NEI NOSTRI DIRIGENTI E IN MAGISTRATURA
In relazione a quanto diffuso oggi dai media, relativamente ad un coinvolgimento di Total Italia e dell’Amministratore Delegato di Total Italia Esplorazione e Produzione Lionel Levha, e di altri tre dirigenti, in una inchiesta riguardante presunte irregolarità relative al progetto Tempa Rossa in Basilicata, Total Italia desidera esprimere piena fiducia nell’operato dei propri dirigenti ed in quello della magistratura italiana.
Total Italia ed il suo personale stanno pienamente cooperando con l’Autorità giudiziaria in merito alle indagini in corso come hanno già fatto in passato. Già nella prima parte del 2008, infatti, su richiesta della Procura della Repubblica di Potenza, Total Italia Esplorazione e Produzione ha fornito informazioni in merito ad alcuni contratti per lavori relativi al Progetto Tempa Rossa.
Nel luglio 2008 Total Italia ha ricevuto una ulteriore richiesta di informazioni a cui la società ha prontamente dato riscontro. L’azienda rinnova la sua fiducia verso i suoi collaboratori e auspica che l’inchiesta porti ad un rapido chiarimento dei fatti.

Barili&Denari, il Texas d'Italia in cifre
16 Dicembre 2008 
POTENZA – Il «Texas d’Italia», il «Kuwait del Mezzogiorno», la «Lucania Saudita» sono solo alcuni dei nomi usati per definire le riserve petrolifere della Basilicata, in grado di coprire l’otto per cento del fabbisogno italiano di greggio attraverso una produzione giornaliera che, a regime, si aggirerà intorno ai 150 mila barili a giorno, su un quarto del suolo lucano, tra i pozzi della Total nel sito di «Tempa rossa» e le estrazioni dell’Eni in Val d’Agri.
Che la Basilicata non fosse solo terra di emigrazione ma anche prezioso serbatoio di «oro nero» si intuì fin dal 1939, quando iniziarono in Val d’Agri – nella parte centrale della provincia di Potenza – le prime trivellazioni. Ma la consacrazione definitiva a «Texas d’Italia» cominciò solo dal 1984, con lo sviluppo dei progetti di esplorazione. L'attività dell’Eni in Val d’Agri è cominciata nel 1997: il greggio viene trasportato dal Centro Oli di Viggiano (Potenza) alle raffinerie di Taranto attraverso l’oleodotto Val d’Agri (lungo 136 chilometri) con una quota attuale di 65 mila barili al giorno (in totale 25 milioni dal 1 gennaio 2008).
«Tempa rossa» è invece il progetto della Total nell’ambito della concessione «Gorgoglione», principalmente nel territorio di Corleto Perticara (Potenza). Il gruppo francese (operatore al 50 per cento, con Shell e Exxon per il 25 per cento ciascuna) ha previsto che il secondo giacimento lucano andrà in produzione nel 2012 con un’estrazione giornaliera, a regime, di circa 50 mila barili.
A novembre la Total ha cominciato i lavori per la realizzazione del Centro Oli «Tempa Rossa» e in questi giorni si è conclusa la prima fase di selezione di 70 giovani «operatori di produzione» da assumere nella struttura. Una parte rilevante della questione petrolio riguarda le "royalties" che ammontano al sette per cento del valore dell’estrazione corrisposto dal titolare della concessione allo Stato.
La Basilicata, in quanto regione economicamente svantaggiata, riceve interamente questa aliquota, di cui l’85 per cento va alla Regione e il restante il 15 per cento ai Comuni interessati dalle attività estrattive: l’ente regionale ha ricevuto, dai pozzi di Viggiano, circa 400 milioni di euro fino alla fine del 2007. http://www.lagazzettadelmezzogiorno.it/notizia.php?IDCategoria=273&IDNotizia=218211

La Total, multinazionale in Italia da mezzo secolo
16 Dicembre 2008   
Total è una società multinazionale che opera in Italia da più di cinquant'anni, in tutte le attività della catena petrolifera, dall’esplorazione e produzione, alla raffinazione e alle attività di marketing. È presente nel marketing con circa 1.500 impianti di distribuzione carburanti, nella commercializzazione di lubrificanti a marchio Total ed Elf, nella vendita di carburanti e combustibili, nei bitumi e bitumi modificati, di cui è leader in Europa e importante attore nel mercato italiano. Total ha inoltre una significativa presenza sul mercato Gpl, attraverso Totalgaz e la gestione operativa della Raffineria di Roma, ed è operatore primario nello sviluppo del progetto Tempa Rossa, uno dei più importanti siti di sfruttamento di idrocarburi in Italia, oltre a detenere alcune partecipazioni in permessi di esplorazione nell’Appennino Meridionale. A queste attività si aggiungono in Italia quelle dei settori della petrolchimica e della chimica del gruppo.        http://www.lagazzettadelmezzogiorno.it/notizia.php?IDCategoria=273&IDNotizia=218186
     
"Chi" è Lionel Levha
16 Dicembre 2008
Lionel Levha, 50 anni, francese è l'amministratore delegato della divisione italiana della società petrolifera francese Total Italia SpA. Laureato in ingegneria è in Total dal 1981. Ha ricoperto diverse responsabilità nell’ambito del gruppo sia in Francia che in Gran Bretagna, Norvegia, Angola, Quatar e negli Emirati Arabi, maturando esperienze tecniche e manageriali nella produzione e nello sfruttamento di giacimenti di petrolio e gas, negoziando importanti accordi per lo sviluppo dei giacimenti con i governi dei paesi produttori, gestendo la messa in opera e l’avvio di progetti di rilevanza internazionale nel settore petrolifero. In Italia ha negoziato e sottoscritto, nel settembre 2006, l'Accordo Quadro con la Regione Basilicata per lo sviluppo del giacimento di Tempa Rossa.    http://www.lagazzettadelmezzogiorno.it/notizia.php?IDCategoria=273&IDNotizia=218184

Petrolio in Val d'Agri: tante risorse, poco lavoro
20 Gennaio 2009
di GIOVANNA LAGUARDIA
POTENZA - Val d’Agri: oro nero, lavoro... grigio. Questo il bilancio delle estrazioni petrolifere in Basilicata, dal punto di vista dei lavoratori, in base ad una in style=dagine sull’indotto industriale e di servizi del centro oli di Viggiano e dei pozzi petroliferi, condotta da Davide Bubbico, dell’Università di Salerno, e presentata ieri da Cgil, Fiom e Filcem. In particolare, secondo la documentazione raccolta dal sindacato, a fronte di una produzione di petrolio che va dai 73.375 barili del 2 settembre 2008 ai 65.855 del 9 gennaio scorso, il sito estrattivo della Val d’Agri, con i suoi 22 pozzi attualmente attivi sui 47 previsti dal progetto di sviluppo, il centro oli della capacità di 104mila barili al giorno e il suo oleodotto di 136 chilometri, dà lavoro stabilmente a 450 lavoratori (130 al centro oli, 50 per servizi amministrativi, 100 per gestione e presidio pozzi, 50 per gli impianti di perforazione, 60 per manutenzione del centro oli, 15 nella gestione dei sistemi di sicurezza, 15 nella fornitura di prodotti chimici, 30 per servizi vari), di cui soltanto il 50 per cento lucani, di cui pochissimi con qualifiche ad elevato contenuto professionale. A questi si aggiungono altri 14 addetti che lavorano per conto di altre ditte appaltatrici, compresi i servizi di trasporto del greggio. Secondo i dati rilevati nel mese di settembre dello scorso anno, le aziende che lavorano nell’indotto del Centro Oli di Vigginao sono 83, di cui 24 lucane (7 della provincia di Matera e 17 della provincia di Potenza).
Le imprese locali che lavorano in applato per il centro oli si occupano di servizi ambientali (5), manutenzione elettrica (4), Opere civili (3), carpenteria metallica (2), manutenzione impianti (2), manutenzione meccanica (2) autotrasporto, montaggi meccanici, servizi di controllo e sicurezza , pulizia industriale, servizi in genere, servizi ingegneristici (una per ciascun settore). La maggior parte delle aziende che lavora nell’indotto della Val d’Agri proviene dal centro Nord ed in particolare dall’Abruzzo e dalla Lombardia. «Complessivamente - è scritto nel dossier petrolio e lavoro della Cgil - il numero dei lavoratori che costituisce il potenziale bacino di impiego (ovvero il numero di lavoratori potenzialmente impiegabili nell’appalto oggetto del contratto ndr) è stimabile in circa 1500; quelli delle 24 aziende locali sono poco più di un terzo (550 addetti).
Insomma, come fa rilevare la ricerca presentata dalla Cgil, «siamo bel lontani da quelle “significative ricadute occupazionali connesse all’indotto” come pure la Regione Basilicata ha scritto in passato nel programma operativo regionale, quando questa ricaduta era stimata in circa mille unità». Ma la denuncia del sindacato non riguarda soltanto le ricadute occupazionali «striminzite » che avrebbe avuto in Val d’Agri il programma di estrazioni petrolifere, ma anche la sperequazione tra lavoratori e lavoratori.
«All’interno del centro oli di Viggiano - ha detto il segretario regionale della Fiom Giuseppe Cillis nel corso della presentazione del documento - permangono situazioni contrattuali diversificate che a volte determinano situazioni di vera e propria disuguaglianza di trattamento tra lavoratori, sia in termini di condizioni di lavoro e di salario, sia di situazioni legate alla prevenzione dei rischi per la salute, che tende a variare a seconda delle caratteristiche dell’azienda per la quale si lavora. Succede così che i lavoratori che per un certo numero di anni sono alle dipendenze di un’azienda, quando cambia l’appalto non solo rischiano il posto di lavoro, ma sul piano dei diritti contrattuali iniziano da capo, come se per loro fosse il primo giorno di lavoro e così succede che un lavoratore a 50 anni si vede costretto a rinunciare ai diritti acquisiti per ottenere un nuovo contratto di lavoro che a volte è anche a termine».
 http://www.lagazzettadelmezzogiorno.it/notizia.php?IDNotizia=222942&IDCategoria=470

A casa anche gli operai delle società che gestiscono le estrazioni provvisorie
20 Gennaio 2009
Quaranta posti di lavoro a rischio a Calvello nel settore delle estrazioni petrolifere. A causa della decisione dell’Eni di sospendere dal 31 gennaio prossimo, l’attività del centro di stoccaggio e carico di Calvello e di tutta l’attività estrattiva dei pozzi ubicati nel territorio di quel comune, la Italfluid Geoenergy e l’Apm, che gestiscono l’estrazione provvisoria dei pozzi (in attesa di essere collegati tramite oleodotto al centro Oli di Viggiano), perderanno la loro attività ed i lavoratori rischiano di essere mandati a casa. Per questo la Filcem Cgil di Potenza ha chiesto alla Regione Basilicata di convocare un incontro congiunto urgente, con le aziende in oggetto e con l’Eni, azienda committente, per scongiurare i licenziamenti già previsti per fine gennaio.
«È necessaria - fa presente Michele Palma della Filcem - la presenza dell’Eni in qualità di committente delle attività, al fine di poter richiamare ed esigere concretamente da parte sindacale e delle istituzioni, gli impegni affermati in varie occasioni pubbliche, di voler contribuire a far crescere l’occupazione e sostenere lo sviluppo dei territori interessati dalle estrazioni petrolifere, e questa è un’occasione per dimostrare coerenza nelle azioni da parte dell’Eni». Secondo il sindacato oggi siamo di fronte ad una situazione, già critica, che rischia di aggravarsi in un’area interna come la Val Camastra, già provata da un tasso notevole di disoccupazione e di emigrazione, nonostante sia interessata da tempo dall’attività estrattiva. «È necessaria - dice il sindacato - la presenza dell’Eni in qualità di committente delle attività, al fine di poter richiamare ed esigere concretamente da parte sindacale e delle istituzioni, gli impegni affermati in varie occasioni pubbliche, di voler contribuire a far crescere l’occupazione e sostenere lo sviluppo dei territori interessati dalle estrazioni petrolifere, e questa è un’occasione per dimostrare coerenza nelle azioni da parte dell’Eni».  http://www.lagazzettadelmezzogiorno.it/notizia.php?IDCategoria=273&IDNotizia=222943

La benzina lucana  costerà meno... ma a che prezzo?
di MASSIMO BRANCATI
POTENZA - La benzina costerà di meno in Basilicata, ma il provvedimento del Senato (si veda la Gazzetta di ieri) - che aumenta le royalties petrolifere dal 7 al 10 per cento per alimentare un fondo che consentirà di applicare lo sconto - rischia di diventare un boomerang. Nelle pieghe del disegno di legge sull’energia approvato due giorni fa c’è chi scorge la classica «fregatura». Il dipartimento regionale all’Am - biente, infatti, spiega che il provvedimento del Senato modifica le norme per l’estrazione di idrocarburi: «Gli abitanti della Basilicata - dice l’assessore regionale Vincenzo Santochirico - saranno trattati allo stesso modo di Paesi come la Nigeria, l’Angola o la Guinea Equatoriale: da oggi, per estrarre il petrolio dal sottosuolo nella nostra regione è sufficiente un accordo fra il governo e le multinazionali, alle quali basterà andare a Roma e contrattare con il ministro Scajola». La legge, inoltre, fa notare l’a s s e s s o re, «cambia le norme sulla Valutazione di impatto ambientale, che sarebbe richiesta soltanto per le attività di perforazione dei pozzi e sarebbe affidata ora all'Unmig, un organismo statale periferico del Ministero per lo Sviluppo economico. In pratica, è stata messa a punto una joint venture in cui Governo e compagnie gestiscono u n’iniziativa comune per poi dividerne gli utili». Nell’evidenziare che sarà lo Stato a decidere anche sulla semplice attività di ricerca del petrolio, cancellando di fatto l’intesa bilaterale con le Regioni del 2001, Santochirico chiama a raccolta i suoi colleghi delle altre realtà territoriali per organizzare una riunione della commissione ambiente delle Regioni e annuncia che la Basilicata è pronta ad impugnare la legge davanti alla Corte Costituzionale: «Veniamo - aggiunge Santochirico - espropriati totalmente delle procedure in materia di compatibilità ambientale su tutti i fronti, compreso il nucleare. Se questo è il prezzo da pagare per una mancia di 9 o 12 centesimi di sconto sul carburante ne faremmo volentieri a meno. E poi mi sembra assurdo che, come trapela da indiscrezioni giornalistiche, l’incremento delle royalties servirà a finanziare i rigassificatori del nord». Anche il sen. Felice Belisario (Idv) è critico: «Stiamo barattando il nostro sottosuolo con un'elemosina, per fare gli interessi delle multinazionali del petrolio, non solo quelli delle imprese italiane. È un vero scandalo». Secondo il parlamentare lucano l’incremento del 3% delle royalties «è vera e propria beneficenza. Avevamo presentato un emendamento per chiedere che tale aliquota fosse portata almeno al 50%, ma governo e maggioranza preferiscono fare gli interessi delle grandi compagnie petrolifere piuttosto che risarcire i cittadini di quanto viene sottratto al loro territorio e del fastidio da sopportare». L’Idv aveva chiesto anche di adeguare il livello delle emissioni di idrogeno solforato nelle vicinanze degli impianti, e in generale delle emissioni nocive. In attesa che l’iter dell’emen - damento completi il suo corso (tornerà alla Camera per una seconda visione, ma si tratta di una formalità), i cittadini cominciano ad interrogarsi su cosa c’è dietro il provvedimento e quanto esattamente risparmieranno. L’au - mento delle royalties potrebbe rivelarsi un «contentino» delle compagnie petrolifere in cambio del «campo libero» alle trivelle. Della serie, l’avevamo detto. Il «comitato no oil» tuona: «Per qualche centesimo in meno sul prezzo del litro di benzina, la Basilicata perde ora anche quel piatto di pasta e lenticchie con cui finora è stata accecata la sua popolazione perché non vedesse quanto accadeva intorno alle estrazioni petrolifere».
15 Maggio 2009

Un pozzo d'estrazione del gas a 200 metri dalle scorie nucleari
Il Dipartimento Ambiente della Regione Basilicata: il pozzo "Rivolta 001" è stato perforato nel lontano 1987
MATERA - Si chiama Pozzo Rivolta. Nome evocativo. È un pozzo di estrazione di gas (estrae la Gas Plus Italia) ed è il nuovo pomo della discordia tra gli ambientalisti, l'assessore all'ambiente della Regione, Vincenzo Santochirico e le compagnie minerarie. Il motivo di tanta preoccupazione è legato alla dislocazione del pozzo Rivolta: a 2 chilometri dalle case di Nova Siri Marina, lungo il torrente omonimo e a ridosso del fiume Sinni, dunque, immerso nelle falde freatiche del territorio e, proprio sotto l'area nucleare dell'Itrec di Rotondella.
«Questa storia del pozzo Rivolta non passerà senza conseguenze», affermano quelli di No Scorie Trisaia, giurando di rivolgersi ad organizzazioni internazionali, oltre a chiedere lumi al "nemico di sempre", la Sogin, la società di gestione degli impianti nucleari, circa la presenza del pozzo estrattivo proprio sotto i loro lavori di messa in sicurezza delle scorie radioattive all'Enea. «Siamo convinti che anche alla Sogin, come a noi di No Scorie Trisaia, questo pozzo Rivolta e questa sua vicinanza al deposito di scorie - precisa il movimento di protesta - ci sia stato letteralmente nascosto al recente Tavolo della Trasparenza di marzo scorso».
Dentro le falde freatiche tra Policoro, Rotondella e Nova Siri, nelle vicinanze di un'area Sic, vicino ai vigneti di una nota azienda vinicola, e cosa strana, a 220 metri dalle scorie radioattive dell'Enea di Trisaia, questo pozzo estrattivo dal nome, forse profetico, racchiude dentro di sè contraddizioni abbastanza evidenti e circa l’operato degli amministratori pubblici, a questo punto, si rende necessario un chiarimento o una presa di posizione netta.
«Il rischio non vale la candela in nessun caso in tema di estrazioni: la scelta energetica di sudditanza alle compagnie minerarie porta solo verso la devastazione del territorio, ma questa del Pozzo Rivolta - ribadisce No Scorie Trisaia - è una vera follia perchè oltre agli inquinamenti di aria e acqua, se si verifica un fenomeno di subsidenza (abbassamento del suolo fino a 5 metri lungo la vena mineraria), come è già avvenuto nel '56 in Polesine, può far fuoriuscire e disperdere nel territorio la radioattività dell'Enea. Il tutto per 46 mila metri cubi di gas, un quantitativo che non basterebbe a riscaldare Matera».
E intanto, si fa notare che la costa jonica lungo la foce del Rivolta, proprio da qualche anno è sottoposta ad un aggressivo fenomeno di erosione. «Esiste un collegamento geologico con l'estrazione avviata nel 2004?».
A domanda, qualcuno risponde. «Il Dipartimento Ambiente della Regione Basilicata non ha concesso alcuna autorizzazione - sottolinea una nota del massimo ente territoriale - la notizia secondo la quale la Regione Basilicata avrebbe concesso l'autorizzazione alla trivellazione del pozzo denominato "Rivolta 001" e all'estrazione di gas è completamente falsa, destituita di ogni fondamento: il Dipartimento Ambiente, Territorio e Politiche della sostenibilità non ha concesso nessuna Via (Valutazione di impatto ambientale). Ancora una volta le notizie riferite da talune Associazioni sono assolutamente inventate. Il pozzo "Rivolta 001" - conclude la nota - è stato perforato nel lontano 1987 su autorizzazione dell'allora ministero dell'Industria ». Notizie utili, non c’è che dire, ma il tutto avviene sempre e comunque a ridosso di un cimitero di scorie radioattive, o no?
di ENZO PALAZZO
04 Agosto 2009




Caccia al petrolio, stop alle trivelle nel mar Jonio
di VINCENZO PALAZZO
MATERA - La ricerca petrolifera nel Mar Jonio non si farà. Il Ministero dell’Ambiente ha «accolto le osservazioni della Regione Basilicata» e ha «preannunciato parere negativo al programma di ricerca della Appennine Energy», presentato nel 2006 e riguardante l’intero Golfo di Taranto, visto che si fa richiesta di perforazioni fino a Santa Maria di Leuca. L’incontro tra i tecnici della Prestigiacomo e del Dipartimento ambiente lucano, a quanto riferisce la Regione, si è tenuto ieri mattina a Roma e ha chiaramente riguardato solamente i 33 km di costa lucana. Questa decisione dà corpo ad alcune perplessità tecniche e politiche della Regione in merito alle estrazioni marine e dà spessore alla volontà di diverse associazioni ambientaliste, agroalimentari e turistiche lucane, riunitesi da tempo in un cartello contro le trivelle nel mare dei greci.
L’istanza di ricerca nel tratto lucano è la «d148 DR-Cs» ed è stato presentato dalla Appennine Energy. «Cs» sta per Cosenza (questa istanza di ricerca lucana è una estensione della prima richiesta calabra), dove già perforano da alcuni anni lungo i litorali che vanno da Crotone fino a Rossano Calabro, mentre l’Appennine Energy è una società srl di proprietà della Consul Service, altra srl con sede a Roma, a sua volta di proprietà della Consul Oil & Gas, ennesima società a responsabilità limitata ma questa volta con sede a Londra. Istanza di permesso di ricerca vuol dire fare sondaggi nel Mar Jonio, con la tecnica dell’air gun (esplosione di aria), cercando di capire, con le onde sismiche di ritorno, dove sono le vene minerarie e quanto minerale c’è nelle viscere del fondo marino.
Le osservazioni della Regione sono state accolte dal Ministero ma va detto che avevano parere consultivo e non vincolante, sia perché ci troviamo in area demaniale – e dunque di pertinenza statale – e sia per gli effetti dell’ex Disegno di legge 1195, ora diventato Legge n. 99 del 23 luglio 2009. Una legge fortemente voluta dal governo Berlusconi e fortemente contestata da molte regioni italiane e da una marea di associazioni, ambientaliste e non, perché di fatto, con questa legge lo Stato italiano scippa ogni decisione agli enti locali in tema di energia, sia nucleare che mineraria. Anche per ciò che riguarda le aree non demaniale e la terraferma, portando i rapporti tra Stato e Regioni in questioni energetiche indietro di una decina di anni.
Il tratto di mare lucano interessato alle perforazioni è una larga fascia marina prospiciente la costa lucana, tra Nova Siri e Metaponto: per meglio capire, sarebbe tutto il tratto di mare compreso tra le foci dei fiumi Sinni e Bradano, dalla costa fino a circa 5 km. verso il mare aperto, per un totale di 162, 28 kmq.
04 Settembre 2009

Benzina:Consumatori, calo o boicottaggio
Il prezzo dovrebbe diminuire di 7/8 centesimi al litro
13 Maggio 2010
(ANSA) - ROMA, 13 MAG - Agli attuali livelli di petrolio e cambio euro-dollaro, la benzina dovrebbe essere venduta a meno di 1,40 euro al litro per i consumatori. 
Adusbef e Federconsumatori stanno valutando di ricorrere a una forma di boicottaggio.
Considerando che il petrolio e' calato del 13% rispetto all'inizio del mese e tenendo conto dell'andamento del cambio euro-dollaro, per l'Osservatorio Nazionale Federconsumatori, il prezzo della benzina dovrebbe diminuire di circa 7-8 centesimi al litro.
Fonte:
http://www.lagazzettadelmezzogiorno.it/notizia.php?IDNotizia=334771&IDCategoria=2687

La benzina lucana  costerà meno... ma a che prezzo?
di MASSIMO BRANCATI
POTENZA - La benzina costerà di meno in Basilicata, ma il provvedimento del Senato (si veda la Gazzetta di ieri) - che aumenta le royalties petrolifere dal 7 al 10 per cento per alimentare un fondo che consentirà di applicare lo sconto - rischia di diventare un boomerang. Nelle pieghe del disegno di legge sull’energia approvato due giorni fa c’è chi scorge la classica «fregatura». Il dipartimento regionale all’Am - biente, infatti, spiega che il provvedimento del Senato modifica le norme per l’estrazione di idrocarburi: «Gli abitanti della Basilicata - dice l’assessore regionale Vincenzo Santochirico - saranno trattati allo stesso modo di Paesi come la Nigeria, l’Angola o la Guinea Equatoriale: da oggi, per estrarre il petrolio dal sottosuolo nella nostra regione è sufficiente un accordo fra il governo e le multinazionali, alle quali basterà andare a Roma e contrattare con il ministro Scajola». La legge, inoltre, fa notare l’a s s e s s o re, «cambia le norme sulla Valutazione di impatto ambientale, che sarebbe richiesta soltanto per le attività di perforazione dei pozzi e sarebbe affidata ora all'Unmig, un organismo statale periferico del Ministero per lo Sviluppo economico. In pratica, è stata messa a punto una joint venture in cui Governo e compagnie gestiscono u n’iniziativa comune per poi dividerne gli utili». Nell’evidenziare che sarà lo Stato a decidere anche sulla semplice attività di ricerca del petrolio, cancellando di fatto l’intesa bilaterale con le Regioni del 2001, Santochirico chiama a raccolta i suoi colleghi delle altre realtà territoriali per organizzare una riunione della commissione ambiente delle Regioni e annuncia che la Basilicata è pronta ad impugnare la legge davanti alla Corte Costituzionale: «Veniamo - aggiunge Santochirico - espropriati totalmente delle procedure in materia di compatibilità ambientale su tutti i fronti, compreso il nucleare. Se questo è il prezzo da pagare per una mancia di 9 o 12 centesimi di sconto sul carburante ne faremmo volentieri a meno. E poi mi sembra assurdo che, come trapela da indiscrezioni giornalistiche, l’incremento delle royalties servirà a finanziare i rigassificatori del nord». Anche il sen. Felice Belisario (Idv) è critico: «Stiamo barattando il nostro sottosuolo con un'elemosina, per fare gli interessi delle multinazionali del petrolio, non solo quelli delle imprese italiane. È un vero scandalo». Secondo il parlamentare lucano l’incremento del 3% delle royalties «è vera e propria beneficenza. Avevamo presentato un emendamento per chiedere che tale aliquota fosse portata almeno al 50%, ma governo e maggioranza preferiscono fare gli interessi delle grandi compagnie petrolifere piuttosto che risarcire i cittadini di quanto viene sottratto al loro territorio e del fastidio da sopportare». L’Idv aveva chiesto anche di adeguare il livello delle emissioni di idrogeno solforato nelle vicinanze degli impianti, e in generale delle emissioni nocive. In attesa che l’iter dell’emen - damento completi il suo corso (tornerà alla Camera per una seconda visione, ma si tratta di una formalità), i cittadini cominciano ad interrogarsi su cosa c’è dietro il provvedimento e quanto esattamente risparmieranno. L’au - mento delle royalties potrebbe rivelarsi un «contentino» delle compagnie petrolifere in cambio del «campo libero» alle trivelle. Della serie, l’avevamo detto. Il «comitato no oil» tuona: «Per qualche centesimo in meno sul prezzo del litro di benzina, la Basilicata perde ora anche quel piatto di pasta e lenticchie con cui finora è stata accecata la sua popolazione perché non vedesse quanto accadeva intorno alle estrazioni petrolifere».
15 Maggio 2009

Alto Bradano e petrolio
I sindaci dicono «no» alle trivelle, inutilmente
di ANTONELLA INCISO
18 Maggio 2010
Doveva essere la giornata del no: del no dei sindaci, dei cittadini, della Regione alle trivelle nel Vulture - Alto Bradano. Doveva essere ieri: giorno in cui gli amministratori dei 13 comuni interessati dal progetto di ricerca idrocarburi denominato «Palazzo San Gervasio» si sono incontrati con l’assessore regionale all’ambiente Agatino Mancusi per far sentire la loro forte contrarietà a quel progetto. Il loro sforzo, però, è servito a poco. Proprio ieri, nello stesso giorno della riunione, infatti, scadevano i sessanta giorni per il silenzio assenso ossia il termine ultimo entro il quale la Regione era chiamata ad esprimersi sulla richiesta di esplorazione presentata dalla società americana «Aleanna Resources».
E poiché la Regione non si è espressa è evidente che sulle carte ci sarà un parere positivo grazie al silenzio assenso. Certo, con la legge 1355 definita decreto energia varata dal Governo nazionale qualche mese fa, la decisione finale in materia di estrazioni petrolifere spetta all Ministero per lo sviluppo economico (mentre alla Regione resta il parere vincolante legato alla valutazione di impatto ambientale) ma è evidente che il silenzio assenso nella vicenda del Vulture pesa. Pesa perché gli amministratori di tutti e 13 i comuni interessati dal progetto si sono sono detti contrari, pesa perchè sono in tanti a chiedersi cosa succederà se gli screnning dell’Aleanna Resources oil & gas exploration dovessero dare un risultato positivo.
«Prima della legge 99 del 2009 – sottolinea l’assessore Mancusi – c’era l’obbligo per il ministero di sentire gli enti locali. Dopo questa legge, c’è invece l’obbligo di sentire solo la Regione. Tuttavia, come testimonia l’incontro – noi vogliamo essere vicini ai comuni e alle popolazioni condividendo ogni passo di questo percorso attraverso una consultazione permanente. Sappiamo che questa materia dell’estrazione degli idrocarburi è tutta in capo allo Stato. E tuttavia tenteremo, da un punto di vista legislativo, di individuare, tutti insieme, la strada più efficace per ridurre al massimo questo limite». Già il limite, quello di avere il potere di decidere, di scegliere senza che tutto venga stabilito a Roma. Gli amministratori dei comuni lucani vorrebbero abolirlo. Vorrebbero - al contrario - avere la possibilità di esprimersi sulla questione. Proprio come fatto ieri in Regione, quaConsiderando che il petrolio endo uniti, si sono detti contrari alle estrazioni petrolifere in quello che è uno dei cuori pulsanti dell’agricoltura lucana. 
«Noi siamo contrari all’attività estrattiva, c’è un’evidente incompatibilità ambientale - precisa il sindaco di Forenza, Francesco Mastrandrspan style=ea - la nostra è una zona irrigua, naturalistica». Quella del sindaco di Forenza, però, non è la sola voce che esprime dissenso sulla questione. «Sono assolutamente contrario ad estrazione petrolifere nella nostra zona - aggiunge il sindaco di Oppido lucano, Rocco Pappalardo - tanto che abbiamo anche approvato una delibera con cui ci opponiamo a qualsiasi decisione in questo senso». Fermo nella necessità di voler capire, invece, il sindaco di Ripacandida, Giuseppe Annunziata. «Dobbiamo discutere» sostiene. Sulla stessa lunghezza d’onda l’assessore ai lavori pubblici del comune di Genzano di Lucania, Carmine Beccasio. «Non abbiamo avuto il tempo e quindi non abbiamo potuto visionare gli atti - precisa l’assessore - pertanto chiediamo alla Regione di farci conoscere come la ricerca possa interagire con lo schema Bradano- Basento. Sapendo che ieri, poi, scadevano i termini per le osservazioni abbiamo chiesto la proroga per la presentazione delle osservazioni». 
Più nette le parole del primo cittadino di Banzi, Nicola Vertone. «Sono fermamente contrario alle estrazioni petrolifere - sostiene Vertone - anche perché la nostra è una zona irrigua e uno dei problemi riguarda lo schema idrico Basento- Bradano». Un progetto di milioni di euro, atteso da anni che ora potrebbe trovare un nuovo “stop” se nella zona dell’Alto Bradano arriveranno le trivelle. 
Fonte:
http://www.lagazzettadelmezzogiorno.it/notizia.php?IDNotizia=336030&IDCategoria=12

Economia lucana prima recessione ora è «grave crisi»
04 Giugno 2010
POTENZA - Dopo un 2007 di ''rallentamento'' dell’economia lucana e un 2008 di “recessione”, il 2009 segna per la Basilicata la “grave crisi” del sistema economico e produttivo: rispetto a una diminuzione del Pil identica a quella del resto del Paese (cinque per cento), l’export regionale è calato del 22,5 per cento e l’occupazione del 2,7 per cento, con circa 5.200 posti di lavoro persi e altrettanti lavoratori in cassa integrazione. Sono questi alcuni dei dati contenuti nel rapporto “L'economia della Basilicata” nel 2009 realizzato dalla Banca d’Italia, e presentato stamani, nel capoluogo lucano, dal direttore della filiale di Potenza, Francesco Occhinegro. Il segno “meno” contraddistingue gli andamenti dell’industria lucana anche nel 2009 (10,5 per cento rispetto al 13,5 per cento nazionale), con una diminuzione attutita dal comparto dell’automobile e dagli incentivi del governo, ma calano bruscamente la produzione di mobili (del 39 per cento) e le vendite al dettaglio (del 5,3 per cento). La crisi, per le famiglie, ha fatto sentire i suoi effetti in particolare per l’acquisto di beni durevoli (del 7,3 per cento), cioè per quelle spese che possono essere rimandate nel tempo, mentre risulta essere minimo il trend negativo delle vendite per la grande distribuzione, in grado di offrire promozioni e sconti che i piccoli commercianti non possono sostenere. I prestiti ai nuclei familiari hanno continuato a crescere rispetto all’anno precedente, anche se con un sensibile rallentamento, ancora più evidente per le imprese, mentre il tasso di interesse sui prestiti per le aziende, in Basilicata, si è ridotto di 2,8 punti (al 5,7 per cento).
"LA BASILICATA DEVE RILANCIARE GLI INVESTIMENTI"
Per uscire più velocemente dalla “grave crisi” in corso, la Basilicata deve agganciare lo sviluppo alla ripresa del commercio internazionale, favorire la ristrutturazione delle imprese, riqualificare l’azione pubblica, progettare un uso più razionale delle risorse e sciogliere i nodi strutturali che ancora pesano sulla regione. Sono queste le proposte della Banca d’Italia, illustrate dal direttore della filiale di Potenza, Francesco Occhinegro, stamani, nel capoluogo lucano, nel corso della presentazione del Rapporto 2009 sull'economia regionale. La Basilicata detiene un primato, nel Mezzogiorno, per quanto riguarda la premialità derivante dagli “Obiettivi di servizio”, introdotti con il Quadro strategico nazionale 2007-2013 su quattro macro-settori: istruzione, servizi per la prima infanzia e per gli anziani, servizio idrico e gestione dei rifiuti urbani. La regione ha raggiunto gli obiettivi in tutti i settori, fatta eccezione per lo smaltimento dei rifiuti (il conferimento pro-capite in discarica è passato da 235 a 309 chilogrammi nel 2009). Questo ha permesso di ottenere, a metà percorso, i una vera follia perchl 31 per cento delle premialità previste (39 milioni di euro su 147 totali, superiore rispetto alla media del 25 per cento del Sud), con un avanzamento particolarmente significativo nel settore dell’istruzione.
Fonte:
http://www.lagazzettadelmezzogiorno.it/notizia.php?IDNotizia=340623&IDCategoria=12

Governatore lucano De Filippo: royalties sul petrolio al 7% è incivile
04 Giugno 2010
POTENZA – Il sette per cento dei diritti di sfruttamento del petrolio destinati dallo Stato alle Regioni in cui sono presenti attività estrattive è «un limite incivile e insopportabile, il più basso al mondo». Lo ha detto il presidente della giunta regionale lucana, Vito De Filippo, oggi, a Potenza, durante la presentazione del rapporto sull'economia della Basilicata nel 2009 realizzato dalla Banca d’Italia. La Basilicata, ha aggiunto il governatore, «non farà la secessione su questo argomento: la modifica delle norme è lunga e difficile, ma servono tavoli di discussione e accordi per dare al territorio una leva straordinaria di sviluppo, specie nell’ottica del federalismo». Il petrolio e l’acqua sono risorse «ancora saldamente in mano allo Stato» e, in questo momento, secondo De Filippo, «ci muoviamo in un quadro poco incoraggiante», con le diminuzioni ai trasferimenti dello Stato e i fondi comunitari «ogni giorno minati dal governo, con un Sud che deve utilizzarli per colmare questi tagli»: la Basilicata ad esempio, ha concluso il governatore lucano, riceverà 110 milioni di euro in meno dallo Stato nel prossimo biennio, ed è «una regione che sente di più la crisi, perchè fortemente condizionata da fattori esogeni».
Nella regione il petrolio viene estratto nel giacimenti di Tempa Rossa, uno dei più grandi d’Europa tra quelli in terraferma.
Fonte:
http://www.lagazzettadelmezzogiorno.it/notizia.php?IDNotizia=340745&IDCategoria=2700

Manovra, De Filippo: Rinegozieremo royalties del petrolio
09 Giugno 2010
POTENZA - «Non chiedo una tregua alla minoranza, ma la crisi, con la necessità di cercare soluzioni, impone di uscire dallo scontato e anche da questo dibattito vedo elementi fondamentali che possono costituire le basi per convergenze lucane». Lo ha detto – secondo quanto riferito dall’ufficio stampa della Giunta – il Presidente della Regione, Vito De Filippo (Pd), ieri sera, replicando in Consiglio al dibattito sulla sua relazione programmatica.
Secondo il Governatore lucano, «petrolio e acqua, università e scuola, le infrastrutture e i sistemi produttivi possono rappresentare quattro campi strategici su cui lavorare congiuntamente per trovare le migliori soluzioni da consegnare alle future generazioni». 
«La nuova manovra Finanziaria di Tremonti – ha continuato De Filippo – ridurrà probabilmente di 120-130 milioni di euro i trasferimenti statali alla Basilicata. Sono certo che nel nostro bilancio si possa scavare molto, anche attraverso la possibilità di rinegoziare le royalty del petrolio, ma nell’assestamento dovremo probabilmente fare una nostra manovra di assestamento». 
Il Presidente ha poi evidenziato la volontà di «riorganizzare e riarticolare la Regione e i suoi Dipartimenti, una fetta importante di quella pubblica amministrazione che la Banca d’Italia considera un asset per il Sud’' annunciando l'intenzione di affrontare la questione nell’immediato» e ha indicato la via della «sobrietà e del rigore come quella da seguire, per dare stabilità. C'è un senso che ho colto nel Paese e che si rispecchia anche qui in Basilicata è come se ci fosse un timore incombente di tenuta del Paese che fa reagire la comunità. E anche il dibattito in questo Consiglio regionale – ha concluso De Filippo – ha il senso di un appello sul quale dobbiamo impegnarci tutti».
ORE 9.54 - DIGILIO (PDL): MANCA STRATEGIA 
«Non c'è una sola grande diversità tra le posizioni di maggioranza e opposizione, come sostiene il Governatore De Filippo, su chi ha la responsabilità della crisi che vive il Mezzogiorno e con esso la Basilicata e che per noi non sono scaricabili, come da novello Ponzio Pilato, sul governo nazionale». Lo ha detto, in una dichiarazione, il coordinatore regionale vicario del Pdl, Egidio Digilio, secondo il quale, «lo spartiacque, che non si può certamente colmare nè con un armistizio e tanto meno con una tregua, è la strategia da mettere in campo. Le proposte di De Filippo sono ancora troppo deboli e confuse come del resto tutto il 'pacchetto lavoro', nonostante qualche elemento di novità che è comunque atteso alla prova pratica».
«Questo significa che il Pdl, in coerenza con l’avvio della stagione della 'buona politica' – ha aggiunto Digilio – non si tira indietro se c'è da individuare azioni da svolgere per superare l’emergenza occupazionale, sociale e civile delle nostre comunità. Solo che De Filippo non può scambiare la 'buona politica' con il 'buonismo dei samaritani' e deve sapere che su questioni come quelle relative all’utilizzo e alla gestione delle risorse naturali strategiche, (petrolio e acqua), non ci possono essere mezze misure e che risultano tra loro contraddittorie. Lo spartiacque tutto politico resta complessivamente tra una visione di assistenzialismo e per certi aspetti di spreco di risorse finanziarie e un’altra di svolta autentica nella programmazione. E’ su questo terreno incalzeremo il Governatore e la maggioranza di centrosinistra e su questo terreno che ci attendiamo da parte delle forze imprenditoriali e sociali la fine del 'balletto della concertazione inutile' e uno scatto di orgoglio perchè – ha concluso il senatore – i rapporti istituzione regionale-parti sociali escano definitivamente dalla fase del formalismo e degli 'yes-man'».
Fonte: 
http://www.lagazzettadelmezzogiorno.it/notizia.php?IDNotizia=341923&IDCategoria=12


Ambiente o petrolio scontro aperto nel "Texas d'Italia".
11 Luglio 2010
POTENZA - La Basilicata rimane oggetto del desiderio di compagnie petrolifere ed energetiche. Sono oltre una ventina le istanze all’esame per le ricerche in terraferma di petrolio e gas che si aggiungono ai 10 permessi di ricerca ed alle 22 concessioni di coltivazione già vigenti. Il "Texas d’Italia", come è stata ribattezzata la piccola regione, già oggi offre una frazione consistente dell’estrazione italiana di idrocarburi con il giacimento di greggio dell’Eni in Val d’Agri a cui, a partire dal prossimo anno, si affiancheranno le attività estrattive nel secondo giacimento lucano più grande per quantità di riserve, quello della valle del Sauro su cui opera la Total. Quest’ultima da diversi mesi sta realizzando le infrastrutture dopo lo stop di un anno e mezzo circa a seguito di un’inchiesta del pm Henry John Woodcock, oggi in servizio a Napoli, che pose la lente di ingrandimento sugli appalti connessi. L’attenzione delle compagnie verso la Basilicata va di pari passo ad un’accresciuta sensibilità ambientale per cui non c'è giorno che le attività petrolifere in corso e quelle che si vogliono realizzare non provochino proteste a livello locale e delle associazioni ambientaliste. L'ultimo "casus belli" arriva dal territorio dell’Alto Bradano, al confine con la Puglia, per la richiesta di trivellare fatta da una società proprio del Texas. Secondo i dati dell’Ufficio minerario (Unmig) del Ministero dello Sviluppo economico, in Basilicata nel 2009 sono stati estratti 913.990.141 metri cubi standard (smc) di gas naturale e 3.155.531.469 kg di greggio, questi ultimi quasi del tutto estratti dall’Eni. Nel 2010, sino alla fine di aprile, sono stati prelevati 408.877.523 smc di gas naturale e 1.094.991.293 kg di greggio. Il picco dell’estrazione petrolifera si è avuto finora nel 2005 con 4.386.035.577 kg. La quota totale è destinata ad aumentare notevolmente quando entreranno in produzione gli impianti della Total (concessione "Gorgoglione"). Le attività di coltivazione di idrocarburi hanno fatto cadere sulla Basilicata una pioggia di royalties, ben 114.334.043 euro alla data del 30 giugno 2009, in larga parte investiti nel comprensorio di Viggiano (Potenza), centro nevralgico dell’estrazione dell’Eni. Le royalties sono inoltre servite per finanziare 30 progetti per la realizzazione di infrastrutture del gas metano, 10 in provincia di Matera e 20 in provincia di Potenza. Al momento sono operativi 78 pozzi con le concessioni vigenti e 9 centri di raccolta e trattamento. Un numero destinato a crescere se andranno in porto le 18 istanze per permessi di ricerca in terraferma (non tutte perché di alcune di esse l’iter si è fermato). Ci sono inoltre due istanze per la concessione di stoccaggio in terraferma. La più importante, che avanza verso il via libera, è della società russa Geogastock che vuole realizzare un mega-impianto a Ferrandina (Matera). Eppure non c'è permesso di ricerca o autorizzazione all’estrazione che in Basilicata non susciti polemiche. Negli ultimi tempi la "resistenza" dei lucani sta aumentando. Nel territorio dell’Alto Bradano la "Aleanna Resources" vuole effettuare trivellazioni per ricerche in 15 Comuni della provincia di Potenza ed anche del territorio della Puglia, nella Barletta-Andria-Trani (Acerenza, Banzi, Barile, Forenza, Genzano di Lucania, Ginestra, Maschito, Minervino Murge, Montemilone, Oppido Lucano, Palazzo San Gervasio, Rapolla, Ripacandida, Spinazzola, Venosa). L'istanza, denominata "Palazzo San Gervasio", naviga verso il via libera, accumulando pareri favorevoli. E’ terra di produzione del vino Aglianico e così i produttori vitivinicoli, rappresentati dal Consorzio Qui Vulture e dal Consorzio di Tutela dell’Aglianico del Vulture, minacciano di portare in giudizio la Regione Basilicata “per rivalersi di tutti i possibili danni che dovessero verificarsi al settore, in conseguenza dell’attività estrattiva”. La Organizzazione lucana ambientalista ha presentato osservazioni alla richiesta del permesso segnalando che già in passato si sono registrate ricerche andate a vuoto e sottolineando la vocazione agricola e rurale della zona. Un film già visto in altri territori della Basilicata che rivendica la vocazione ai parchi naturali, all’agricoltura di qualità e al turismo paesaggistico per rilanciare la propria economia rispetto ad investimenti di grande impatto ambientale e scarsi risvolti occupazionali. Una questione che resta sempre aperta nella piccola regione. Uno scontro aperto: da una parte ambientalisti e territori, dall’altra le compagnie, nel mezzo la Regione e gli altri organi deliberanti messi a dura prova dal continuo braccio di ferro.
Fonte:
http://www.lagazzettadelmezzogiorno.it/notizia.php?IDNotizia=349601&IDCategoria=12

Trivelle e petrolio 2mila € annui come royalty
di ENZO PALAZZO
21 Luglio 2010
MATERA - Occorrerà che qualcuno lo dica ai pisticcesi che le royalty minerarie spettano anche a loro. Perché è probabile che non se ne siano accorti visto che per l’anno 2009 è stata maturata l’imprevedibile cifra di 2.259 euro e 90 centesimi e nel 2008 è andata poco meglio, appena 12 mila euro (Fonte Unmig, http://unmig.sviluppoeconomico.gov.it/unmig/royalties/royalties.asp). A fronte di una produzione 2009 di circa 3 milioni di tonnellate di greggio e di poco più di 2 milioni di smc di gas, il 7 per cento di royalty sul ricavato fa una cifra ridicola rispetto alla presenza di un “Centro oli” appena sotto Pisticci e alla condizione di un territorio bucherellato peggio di una gruviera (sono una trentina i pozzi attivi e altrettanti gli esausti). Al centro oli si desolforizza in loco il greggio, procedura che libera in aria il pericoloso idrogeno solforato oltre a particelle organiche volatili e ai Pm10, mentre per ogni pozzo realizzato, anche quelli sterili, va tenuto conto che sono state somministrate nelle profondità una quantità infinita di almeno 20 sostanze chimiche dette avapoly. Siringoni di polimeri altamente tossici, consentiti dalle disposizioni di legge, ma pur sempre molto tossici che producono fanghi nocivi e rischi di inquinamento delle falde freatiche. Ma se Pisticci piange, non ride Ferrandina: in cambio di circa 10 milioni di smc di gas, una trentina di pozzi attivi e altrettanti già consumati, le royalty del 2009 hanno sforato la cifra di circa 4mila euro (circa 14 mila euro nel 2008). L’invasività della coltivazione mineraria, oltre ad assumere il sapore di una beffa per l’esiguità delle royalty, continua ad alzare il livello del confronto tra chi chiede regole precise contro il Far West minerario italiano e chi, come le compagnie minerarie stesse, giocano la loro gara di perforazioni e profitti. Un nuovo confronto si terrà a Metaponto lido, già al centro di una lunga contestazione ambientale per l’arretramento del tratto di litorale sabbioso, e che un anno fa si mobilitò contro due permessi di ricerca nel Golfo di Taranto della società francese Appennine Energy. L’occasione sarà il convegno “La terra e il mare al tempo del petrolio” (venerdì prossimo, ore 19, Lido Nettuno), organizzato da No Scorie Trisaia, dall’Organizzazione lucana ambientalista e dagli Operatori turistici di Metaponto. Nel mirino del dibattito ci saranno: la nuova Legge 99, che in tema di energia avoca al Ministero e non più alle Regioni ogni competenza in fatto di titoli minerari, il delicato assetto idrogeologico del sottosuolo della Basilicata e, soprattutto, rischi e regole delle coltivazioni su terra e in mare. Argomento quest’ultimo sul quale relazionerà l’abruzzese Maria Rita D’Orso gna della California State University at Northridge di Los Angeles, diventata la paladina dei diritti dei cittadini di tutta l’Italia contro i giganti del petrolio. «Che in Italia ci sia un Far West - ha dichiarato la D’Orsogna -, lo dimostra il semplice confronto tra ciò che è permesso nel nostro Paese e le regole che invece le compagnie minerarie devono rispettare nelle altre nazioni. In California, ad esempio, è ritenuta cancerogena tutta la filiera del petrolio, compreso il pieno di benzina alla pompa, e un warning è stato sottoscritto dalle maggiori compagnie petrolifere. Mentre mi pare che in Basilicata il problema è sottostimato, visto che si può perforare a pochi metri dalla costa, davanti ad un ospedale (Villa d’Agri) e a ridosso di case e centri abitati (Marconia, Pisticci, Viggiano e Policoro)».

Le trivelle arrivano nel cuore del Parco dei Calanchi
di ENZO PALAZZO
04 Agosto 2010
CRACO - La Regione si prepara a dire addio al mai nato Parco dei Calanchi e degli Ulivi, puntando sulle trivelle anche tra i dolci declivi argillosi? L’estrazione petrolifera non è infatti compatibile con le finalità di un’area protetta, data l’invasività stessa dell’attività mineraria. I dubbi sulla volontà regionale verso il parco argilloso nascono con il rilascio di Intesa, importante procedura burocratica propedeutica alla Via, Valutazione di impatto ambientale, concessa dal Dipartimento ambiente all’istanza di permesso di ricerca petrolifera avanzata dalla londinese Celtique Ltd. Istanza di permesso che si chiama “Monte Negro”, i cui confini vedono interessati i territori municipali di Craco, Aliano, Ferrandina, Salandra, San Mauro Forte e Stigliano per un totale di circa 288 kmq.: il cuore del possibile Parco dei Calanchi e degli Ulivi.
L’Intesa è stata rilasciata a giugno, dopo che il 31 maggio la Celtique Ldt. ha anche incassato il parere favorevole dei Beni archeologici. Va precisato, e su questo punto viene fatta dagli ambientalisti la lettura di una precisa volontà politica, che il rilascio di Intesa è stato concesso nonostante la legge 99 avochi al Governo e non più alle Regioni ogni decisione in merito a questioni energetiche. Di fatto ricorrendo alla non retroattività della legge 99 per i titoli già vigenti. In tal maniera, si va ad accelerare l’iter burocratico dei titoli minerari antecedenti il 23 luglio 2009, concedendo alle compagnie minerarie un favore non da poco per l’enor me risparmio di tempo guadagnato. Altrimenti costrette a rimettere, riformulandole, tutte le pratiche già aperte da anni alle procedure e al vaglio del Ministero dello sviluppo economico. «Viste le contestazioni in atto, i sempre più certi dati di inquinamento da perforazione mineraria, le esiguità delle royalty e le denunce negli Usa della cancerogenicità della filiera del petrolio, il Dipartimento ambiente poteva essere meno zelante», affermano all’unisono le sigle ambientali attive sul territorio lucano. Evidenziando un atteggiamento in contrasto con le aspettative ambientali sull’area dei calanchi argillosi. Questa suggestiva stratificazione di balze biancastre che, insieme alle Tavole palatine del Tempio di Era di Metaponto, più di tutto identifica la Basilicata all’esterno dei suoi confini. «Io non so se le cose stanno realmente così in merito al permesso Monte Negro – ha dichiarato Giuseppe Lacicerchia, sindaco di Craco il cui territorio è interamente dentro il perimetro di ricerca che interessa la Celtique Ltd. –, ma so per certo che in tema di energia in Basilicata forse dovremmo rivedere alcune cose, per puntare realmente alle rinnovabili. Per le quali, basterebbe che ogni comune lucano realizzasse un impianto fotovoltaico da 10 mw. per essere non solo energeticamente autonomi, ma anche ricchi di royalty ben più corpose di quelle ottenute col petrolio».
Fonte:
http://www.lagazzettadelmezzogiorno.it/notizia.php?IDNotizia=355934&IDCategoria=470


Trivelle tra i calanchi Assessore minimizza «Sono solo ricerche»
di ENZO PALAZZO
CRACO - « L’istanza “Monte Negro” fa riferimento a sole attività di ricerca mineraria, non c’è alcuna autorizzazione all’attività estrattiva». Il nuovo assessore regionale all’Ambiente, Agatino Mancusi, non cambia la linea politica attuata dal precedente assessore, Vincenzo Santochirico, neanche nei toni usati, visto che ritorna l’accusa di “allarmismo” dato alle associazioni e ai movimenti ambientalisti. La querelle tra il nuovo assessore e le associazioni ambientaliste è tornata in auge con il permesso di Intesa rilasciato dalla Regione alla Celtique Ldt. per ricercare idrocarburi nella concessione Monte Negro. Circa 290 kmq. di calanchi argillosi tra Aliano, Craco, Ferrandina, Salandra e Stigliano: il cuore del possibile Parco dei Calanchi e degli Ulivi che si va ad aggiungere ad altre istanze di ricerca o di coltivazione già presenti nei comuni dei dintorni di Craco. Fino a coprire gli interi 600 kmq. di questa area unica che più di altri simboli caratterizza la Basilicata fuori dei suoi confini.
Sono anni che si lotta per il Parco dei Calanchi, oramai ridotto ad una novella Araba Fenice, “che vi sia ciascun lo dice, dove sia nessun lo sa”. E anche nella risposta ufficiale del Dipartimento ambiente della Regione alle recenti polemiche per il “favore” probabilmente fatto alla Celtique Ltd., l’assessore Mancusi continua a non dare risposte sulla vera domanda emersa all’indomani dell’Intesa concessa alla Celtique: che destino avranno il mai nato, ma nemmeno mai confutato, Parco dei Calanchi e degli Ulivi e le stesse aspettative dell’unicità di quei luoghi. A quest’area bella quanto depressa il Parco potrebbe forse dare anche un vigore economico oggi purtroppo più spento di ieri, per colpa di un’emigrazione tornata acuta e per la stretta economica che il mercato globale del grano (è la vocazione principale dei nostri calanchi), da sempre gestito dalle multinazioni del cibo, dà alle aree marginali e periferiche del pianeta.
E i calanchi lucani, che sono periferia della periferia, non possono certo sperare di andare oltre uno di questi destini: l’essere un’area agricola più o meno abbandonata, oppure una riserva tutelata, oppure ancora un’area estrattiva mineraria o un’area di rifiuti di ogni genere. Una specie di pattumiera regionale se non addirittura nazionale! Nella risposta ufficiale dell’assessore Mancusi, appare chiaro e determinato il no al nucleare paventato da No Scorie Trisaia, ma, ad onor del vero, nulla dice sulla vera questione e intrinseca paura contenute nelle polemiche di questi giorni con gli ambientalisti: che fine farà il Parco dei Calanchi e degli Ulivi, visto che arrivano le trivelle. L’assessore si limita solo a dire che si tratta «solo di un permesso di ricerca su terraferma e non di un’attività estrattiva».
Ma al di là del fatto che «sia la ricerca che l’estrazione sono ugualmente invasive per il territorio, cambia solo la durata del fenomeno», come dice Maria Rita D’Orso gna, docente di fisica in California, non si capisce a che pro la Celtique dovrebbe fare ricerca, magari trovare una sacca petrolifera, senza poi perforare. Non risulta al momento una loro vocazione alla pura informazione geologica.
16 Agosto 2010

Potenza, pozzo di petrolio a ridosso dell'ospedale
di Massimo Brancati 
10 Settembre 2010
C’è chi contesta i pozzi a ridosso delle case. C’è chi è costretto a far convivere i propri campi coltivati con il petrolio. Ma ciò che sta accadendo a Villa d’Agri assume i connotati di un fatto inedito: l’amministrazione comunale di Marsicovetere, come i nostri lettori ricorderanno, ha autorizzato l’attivazione di un pozzo (denominato Alli 2) a circa 500 metri dall’ospedale. Incredibile a dirsi, ma è proprio così. Malati e medici dovranno imparare a stare gomito a gomito con trivelle, fumi e rumori. L’operazione economica dovrebbe portare nelle casse comunali circa 50 mila euro all’anno. Ma, dicono gli ambientalisti, a quale costo? Il caso di Villa d’Agri testimonia ancora una volta - dice il comitato Noscorie - che non esistono regole precise in Basilicata sulle distanze delle trivelle petrolifere da case, persone, fiumi e dighe. Tutto si lascia gestire alle compagnie petrolifere e alle cieche logiche di profitto degli amministratori comunali. Il comitato, lo ricordiamo, è stato tra i primi a protestare, quando a novembre dello scorso anno ha organizzato un sopralluogo e un sit-in nella zona insieme alle associazioni della rete Lucana. In quell’occasione fu distribuito un volantino in cui erano resi noti i pericoli di un pozzo petrolifero. Fu informato dettagliatamente anche il direttore della struttura ospedaliera, responsabile ora più che mai della salute dei degenti e del personale alle sue dipendenze. L’associazione ha rivolto un appello all’assessore regionale alla Sanità, Attilio Martorano, chiedendogli «di chiudere l’ospedale in quel luogo e magari di trovare un’altra opportuna sede quale misura cautelativa sulla salute dei degenti e degli operatori sanitari.Magari lasciando in vita altri ospedali come quello di Tinchi, dove i cittadini non vogliono assolutamente né la chiusura né il ridimensionamento».  Oggi la vicenda di Villa d’Agri tornerà d’attualità grazie all’attore-regista Ulderico Pesce che ha deciso di scendere in piazza. «Non è più il tempo della festa, delle sagre e delle tarantelle. È arrivato il tempo di scendere in piazza, con disciplina e serietà per ottenere i nostri diritti. In Basilicata - tuona Pesce - c'è il giacimento petrolifero più importante dell'Europa continentale. Ad oggi sono attivi 471 pozzi petroliferi, 22 concessioni di coltivazione petrolifera, 10 permessi di ricerche ed esistono 720 chilometri di oleodotti sotterranei. Tutto ciò mentre in questi ultimi anni le malattie tumorali e respiratorie in Basilicata sono aumentate in maniera esponenziale. Come se non bastasse l'alto tributo già pagato dagli abitanti della Val d'Agri e dal suo ambiente, che rientra in larga parte nel Parco Naturalistico Val d'Agri-Lagonegrese, è stata autorizzata la creazione di un nuovo pozzo petrolifero a 500 metri dall'ospedale di Villa d'Agri». Contro questo progetto - sarebbe il primo pozzo di petrolio al mondo realizzato nei pressi di un ospedale - oggi è prevista una manifestazione durante la quale sarà chiesto anche di attivare l'Osservatorio ambientale e delle regole trasparenti sulle quantità di barili estratti quotidianamente. C’è anche la richiesta di un piano d’emergenza e di evacuazione nel caso di incidenti. L’appuntamento è per questa mattina, alle 10.30 in piazza Zecchettin. Da qui si muoverà il corteo fino al piazzale dell’ospedale dove stanno per agire le trivelle. Sono previsti interventi finali di giornalisti, ambientalisti e cittadini. La manifestazione sarà seguita da Report (Raiuno). Sul sito internet dell’attore rivellese (www.uldericopesce.it) è attiva una petizione popolare dal titolo «Attenti al cane» contro la realizzazione del pozzo petrolifero alle spalle dell’ospedale. 

22/09/2010 - 12:19 - Quattro pozzi non allacciati, la causa della contrazione.
Estrazioni petrolifere da record, con un trend inarrestabile, in continua crescita in attesa di raggiungere l’ambito traguardo dei 104mila barili giornalieri previsti nel progetto a pieno regime per l’impianto lucano. Nelle intenzioni doveva essere così, invece, anche in questo semestre come in quello precedente le cose sono andate diversamente. Ed indubbiamente non perché il petrolio lucano sia in via di esaurimento. Tutt’altro, a metterci lo zampino oggi come in passato, infatti, è stata la solita burocrazia. O meglio alcune mancate autorizzazioni per l’ allacciamento di quattro pozzi che prima venivano attivati attraverso le autobotti. A spiegarlo l’ufficio stampa dell’Eni. In particolare, secondo quanto evidenziato dalla compagnia petrolifera i lavori per l’allacciamento non sono stati ancora completati. Anzi, per la precisione i lavori sono stati iniziati solo nel corso del primo semestre 2010 grazie all’arrivo di alcune autorizzazioni regionali. Autorizzazioni che unite a a quelle ottenute dal Ministero per lo Sviluppo economico hanno consentito alla compagnia la ripresa dei lavori di costruzione della rete di raccolta nell’area di Cerro Falcone, in agro di Calvello. Le autorizzazioni, inoltre, hanno consentito l’inizio delle attività di allestimento a produzione di 2 pozzi, già perforati nel passato, situati nella stessa area. Insomma, dopo lo stop legato alle mancate autorizzazioni i lavori sono in corso e secondo le previsioni della compagnia petrolifera essi potranno essere completati nel corso del secondo semestre 2010. Dicembre 2010, al massimo, quindi. Una data che dovrebbe consentire di raggiungere sempre maggiori picchi nelle estra
zioni petrolifere della Val d’Agri. Per poter arrivare nel minor tempo possibile al tetto massimo di 104 barili di greggio estratti al giorno. [a.i.]
Fonte:  

Il petrolio lucano non fa più «boom». In flessione numero barili.
di ANTONELLA INCISO
22 Settembre 2010 
 POTENZA - Produttori di petrolio sì, ma senza le grandi performance del passato. È il quadro sulle estrazioni di greggio in Basilicata dalle quali emerge che la produzione petrolifera lucana si è mantenuta sostanzialmente standard rispetto a quanto avvenuto nel semestre di riferimento precedente. La conferma viene dagli ultimi dati sulle estrazioni petrolifere dell’Eni riferite al territorio lucano. 
Nel primo semestre del 2010, infatti, la compagnia petrolifera italiana ha avuto una produzione media (stimata) di 70.166 barili di greggio al giorno. In particolare, in Val d’Agri, cuore delle estrazioni, secondo il report della società petrolifera sono stati estratti mediamente 69.968 barili di greggio al giorno. A Pisticci, invece, i barili di petrolio estratti giornalmente sono stati 198. Il tutto per una produzione complessiva in Val d’Agri di 12milioni 664mila 160 barili di greggio, mentre a Pisticci ha raggiunto i 35mila 895 barili. Numeri che - in entrambi i casi - invece di segnare una crescita nella produzione (come avveniva, al contrario, negli anni passati) si sono mantenuti più o meno stabili rispetto al report precedente.
Se le estrazioni petrolifere non crescono, a subire una contrazione è anche il numero delle persone occupate. Nel centro olii della Val d’Agri, infatti, gli occupati diretti hanno toccato quota 200, mentre nel centro olii di Pisticci gli occupati diretti sono stati undici (due in più rispetto al semestre precedente). A cui bisogna aggiungere, in entrambi i casi, gli occupati indiretti ossia i contrattisti: 1450 per la Val d’Agri e 15 per Pisticci. Sostanziose per la regione, invece, le royalty che sono state elargite per l’ultimo semestre di riferimento: pari a 572,382 milioni di euro per l’area della Val d’Agri e 4,011 milioni di euro per l’area di Pisticci. Il che significa che l’ammontare complessivo delle royalty sul greggio estratto in Val d’Agri ha raggiunto quota 676milioni 426 euro (per la Val d’Agri) e 5milioni 371 euro per la zona di Pisticci. Soldi già accreditati alla Regione Basilicata. E se i soldi erogati rappresentano una buona notizia lo stesso può dirsi - leggendo sempre i dati dell’Eni - per la qualità dell’aria e dell’acqua. Sono al di sotto dei valori limite consentiti dalla legge, infine, i parametri riferiti al’anidride solforosa, al diossido di azoto, all’anidride carbonica, ai grassi ed ai fenoli.
Fonte:  
http://www.lagazzettadelmezzogiorno.it/notizia.php?IDNotizia=368759&IDCategoria=12

11/10/2010 - 12:28 - Massimo Moratti festeggia anniversario matrimonio in Basilicata.
di Franco Toritto.
SAN MAURO FORTE - coniugi Massimo e Milly Moratti si sono fatti il regalo del loro anniversario di matrimonio, che cadeva ieri (10.10.2010), trascorrendo una mezza giornata a San Mauro Forte, centro dell’alta collina materana ricco di palazzi settecenteschi. Poi, in serata un salto nella città dei Sassi, prima di raggiungere l’aeroporto di Bari Palese per fare rientro nella loro Milano.
Il presidente dell’Inter è stato invitato a San Mauro dall’amico Antonio Calbi, natìo del posto, e attuale direttore del settore spettacolo del Comune di Milano. Il presidente dell’Inter, giunto con qualche ora di ritardo, è stato accolto da un paese letteralmente coloratosi di nerazzurro, sebbene due bimbi, incuranti di trovarsi in «trasferta», ineggiassero alla Juventus con un vessillo bianconero. Il presidente ha pranzato in casa di alcuni amici del posto.Dicono che fossero di fede juventina. «Non so, forse si trattava di milanisti. Di sicuro erano cortesissimi e ho avuto modo di apprezzare la loro cucina. In questi casi sottolinea l’imprenditore meneghino - non ha importanza il colore della maglia». Questo, frattanto, il menù che il petroliere ha apprezzato: antipasto di salsiccia, soppressata, olive, pecorino, orecchiette al ragù e capretto alla brace. Il tutto ovviamente innaffiato da buon vino locale. Sulla questione mercato Moratti prova a glissare. «Per ora vediamo come va», taglia corto. Portato «in processione» come una vera icona, da almeno 500 appassionati della Beneamata in un percorso lungo quasi un chilometro, via Diaz, partendo dal locale Inter club dove ha bevuto un caffè e fumato una sigaretta offerta e accesa da un tifoso, Moratti, giunto in Comune e ricevuto dal sindaco, Francesco Diluca, è stato ulteriormente festeggiato. «Presidente facci un regalo per gennaio (mese in cui si svolge il mercato di riparazione, ndr). E Moratti di rimando, tra il serio e il faceto, gli ha risposto: «Promesso Messi». E un altro po’ il Comune veniva giù, sebbene la signora Milly desse segni di preoccupazione invitando il marito a non allargarsi troppo in spese folli. Il sindaco, poi, ha donato all’illustre ospite un quadro che raffigura il borgo di San Mauro, invitandolo peraltro, nel prossimo mese di gennaio per la sagra del Campanaccio. Quindi i coniugi Moratti hanno raggiunto in tarda serata Matera per un altro bagno di folla a tinte nerazzurre.
Fonte: 
http://www.lagazzettadelmezzogiorno.it/notizia.php?IDNotizia=373764&IDCategoria=12