Colonna infamie

Scippo al Sud
di Primo di Nicola
(10 maggio 2010)
Decine di miliardi destinati al Mezzogiorno usati per altri scopi. Dai trasporti sul lago di Garda ai debiti del Campidoglio. E persino per coprire il deficit causato dall'addio all'Ici
Un tesoro da oltre 50 miliardi di euro disponibile solo negli ultimi due anni. Che poteva servire per terminare eterne incompiute come l'autostrada Salerno-Reggio Calabria e che invece è andato a finanziare i trasporti del lago di Garda e i disavanzi delle Ferrovie dello Stato. Una montagna di denaro che avrebbe dovuto rilanciare l'economia del Sud e che è stata utilizzata per risanare gli sperperi e i buchi di bilancio dei comuni di Roma e Catania e per la copertura finanziaria dell'abolizione dell'Ici.

Un fiume di denaro destinato a colmare i ritardi delle zone sottoutilizzate del Paese e che è stato impiegato invece dal governo per pagare le multe delle quote latte degli allevatori settentrionali cari ai leghisti e la privatizzazione della compagnia di navigazione Tirrenia. Sono alcuni brandelli di una storia incredibile, il grande scippo consumato ai danni delle regioni meridionali. La storia delle scorribande sul Fas, il Fondo per le aree sottoutilizzate, manomesso e spremuto negli ultimi anni dal governo Berlusconi per finanziare misure economiche e opere pubbliche che niente hanno a che fare con i suoi obiettivi istituzionali. Un andazzo che, nonostante qualche isolata protesta, è andato sinora avanti indisturbato. Fino alla soglia della provocazione. Come per gli sconti di benzina e gasolio concessi agli automobilisti di Valle d'Aosta, Piemonte, Lombardia e Trentino Alto Adige, denunciati dal deputato Pd Ludovico Vico.

 La Corte dei conti ha provato a stoppare lo sperpero lamentandosi apertamente per l'utilizzo dei soldi del Fas che hanno finito per assumere"l'impropria funzione di fondi di riserva diventando uno dei principali strumenti di copertura degli oneri finanziari" connessi alla politica corrente del governo. Ma con scarsi risultati: qualche riga sui giornali, poi il silenzio. Anche Vasco Errani, presidente della Conferenza delle Regioni, ha chiesto al governo di "smetterla di utilizzare i Fas come un Bancomat". Così come Dario Franceschini al tempo in cui era segretario del Pd: "Ogni volta che è stato necessario finanziare qualcosa, dall'emergenza terremoto alle multe per le quote latte", ha affermato, "si è fatto ricorso al Fas togliendogli risorse". Quante per l'esattezza? Cifre precise non ce ne sono. Interpellata, persino la presidenza del Consiglio getta la spugna dichiarandosi incapace di fornire un rendiconto dettagliato delle spese fatte con i fondi Fas. Secondo una stima de 'L'espresso' però i soldi impropriamente sottratti al Sud solo negli ultimi due anni sono circa 37 miliardi. Una cifra ragguardevole confermata dal senatore democratico Giovanni Legnini: "Siamo di fronte ad una dissipazione vergognosa che certifica come il Pdl stia tradendo il Sud". Giudizio condiviso persino da Giovanni Pistorio, senatore siciliano dell'Mpa, il Movimento politico per le autonomie, parte organica della maggioranza di centrodestra: "Gli impegni verso il Mezzogiorno erano al quinto punto del programma elettorale del Pdl, il governo li ha 
completamente disattesi". 

Quante promesse
 E già, chi non ricorda le sparate a favore del Meridione con le quali il Cavaliere giurava che stava "lavorando con tutti i ministri per mettere a punto un piano innovativo per il Sud, la cui modernizzazione e il cui sviluppo ci stanno da sempre a cuore"? O quelle del sottosegretario Gianfranco Micciché che, sebbene da quasi dieci anni come viceministro o sottosegretario gestisca i fondi per il Meridione, più volte ha minacciato la fondazione di un partito del Sud se Berlusconi non avesse "sbloccato i fondi Fas e reso i parlamentari meridionali protagonisti della elaborazione delle strategie"? Parole al vento.

 La storia del Fas e dei suoi maneggiamenti comincia nel 2003 con il secondo governo Berlusconi quando tutte le risorse destinate alle aree sottoutilizzate vengono concentrate e messe sotto il cappello del ministero per lo Sviluppo economico. Il compito di ripartire le risorse viene invece affidato al Cipe con il vincolo di destinarne l'85 per cento al Sud e il 15 al Centro e al Nord. Intenti lodevoli, ma si parte subito con il piede sbagliato. Nel solco della peggiore tradizione della Cassa per il Mezzogiorno, i fondi finiscono per essere in gran parte utilizzati per quella politica delle mance tanto cara ai ras locali di tutti i partiti e alle loro fameliche clientele. Il 2003 è un anno destinato a rimanere negli annali degli sperperi. A colpi di milioni di euro si realizzano fondamentali infrastrutture come il museo del cervo a Castelnuovo Volturno e quello dei Misteri a Campobasso; il visitor center a Scapoli; si valorizza la palazzina Liberty di Venafro; si implementa il sito Web della Regione Molise; si restaurano conventi, chiese e cappelle a decine come a Montelongo, Castropignano e Gambatesa; si acquistano teatri come a Guglionesi; si consolida il santuario di Montenero di Bisacce. Per carità, si fanno pure le reti fognarie nei paesi e strade interpoderali sempre utili alle popolazioni; si recuperano siti turistici e pure aree naturalistiche, ma a fare epoca sono sicuramente il fiume di regalie come quelle legate al recupero e la valorizzazione della collezione Brunetti e agli studi sulle valenze naturalistiche dell'aerea di Oratino, al museo ornitologico di Montorio dei Frentani, per non parlare della realizzazione dell'enoteca regionale del Molise.

Progetti inutili
 Insomma, una insaziabile vocazione a spendere. Che continua a prosciugare il Fas anche negli anni successivi, pure quando a Palazzo Chigi torna Prodi. Tra il 2006 e 2007, accanto a tanti impeccabili interventi per il Sud, come il finanziamento ai programmi per l'autoimprenditorialità e autoimpiego gestiti da Sviluppo Italia (90 milioni) o agli interventi per il risanamento delle zone di Sarno e Priolo, appaiono una miriade di contributi a progetti che con il Sud hanno poco a che vedere: 180 milioni vanno per esempio al progetto 'Valle del Po'; 268 al ministero dell'Università per i distretti tecnologici; 119 al ministero per le Riforme per l'attuazione di programmi nazionali in materia di società dell'informazione; altri 36 milioni al ministero dell'Ambiente per finanziare tra l'altro il 'Progetto cartografico'. E non è finita: un milione finisce al ministero per le Politiche giovanili e le attività sportive per vaghe attività di assistenza; un altro milione al Consorzio nazionale per la valorizzazione delle risorse e dei prodotti forestali con sede in Frontone nella meridionalissima provincia di Pesaro e Urbino; 4 milioni al completamento dei lavori di ristrutturazione di Villa Raffo a Palermo, sede per le attività di alta formazione europea; 2 milioni alla regione Campania per la realizzazione del museo archeologico nel complesso della Reggia di Quisisana; 20 milioni al Cnipa per l'iniziativa telematica 'competenza in cambio di esperienza: i giovani sanno navigare, gli anziani sanno dove andare'; quasi 4 al ministero degli Esteri per il sostegno delle 'relazioni dei territori regionali con la Cina'.

 Sarebbe già abbastanza per gridare allo scandalo. Ma non è finita: da conteggiare ci sono pure i trasferimenti di risorse Fas ai vari ministeri e che si sono tradotti tra l'altro in uscite di 25 milioni a favore della presidenza del Consiglio per coprire le spese della rilevazione informatizzata delle elezioni 2006; 12 per finanziare le attività di ricerca e formazione degli Istituti di studi storici e filosofici di Napoli; 5 milioni al comando dei carabinieri per la tutela ambientale Regione siciliana per interventi di bonifica; 52 per coprire i crediti di imposta di chi utilizza agevolazioni per investimenti in campagne pubblicitarie locali; 106 milioni per l'acquisto di un sistema di telecomunicazione in 
standard Tetra per le forze di polizia. E vai a capire perché. 

 Cavaliere all'attacco
 Insomma, un autentico pozzo senza fondo al quale si attinge per le esigenze più disparate rendendo vane le richieste di un disegno organico per il rilancio dell'economia meridionale. Sarà anche per questo che tra il 2007 e il 2008 arriva una mezza rivoluzione per il Fas. L'intento sembra quello di fare ordine e voltare pagina, in concreto si gettano le premesse per l'ultimo grande scippo. Cominciamo dai soldi. Il governo Prodi riprogramma le risorse per il Meridione e con la Finanziaria 2007 stanzia a carico del Fas 64 miliardi 379 milioni, un autentico tesoro. Con tanti soldi a disposizione e l'esperienza negativa dei decenni di intervento straordinario a favore del Mezzogiorno, sembra l'inizio di una nuova era: il Sud deve solo pensare a spendere con raziocinio. Invece all'inizio del 2008 esce di scena Prodi e rientra in gioco Berlusconi. Che, per coprire le spese dei pochi interventi di politica economica che riesce a varare, ricomincia a saccheggiare proprio il Fas, una delle poche voci di bilancio davvero carica di soldi. Non è un caso perciò se a fine 2008 il Fondo si vede sottrarre altri 12 miliardi 963 milioni per finanziare una serie di provvedimenti tra cui quelli che foraggiano le aziende viticole siciliane carissime al sottosegretario Micciché (150 milioni); l'acquisto di velivoli antincendio (altri 150); la viabilità di Sicilia e Calabria (1 miliardo) e la proroga della rottamazione dei frigoriferi (935 milioni); l'emergenza rifiuti in Campania (450); i disavanzi dei comuni di Roma (500) e Catania (140); la copertura degli oneri del servizio sanitario (1 miliardo 309 milioni); le agevolazioni per i terremotati di Umbria e Marche (55 milioni) e perfino la copertura degli oneri per l'assunzione dei ricercatori universitari (63).

Tagli dolorosi
 E siamo solo all'assaggio. Un altro taglio da un miliardo e mezzo arriva per una serie di spese tra cui quelle per il G8 in Sardegna (100 milioni) marchiato dagli scandali; per l'alluvione in Piemonte e Valle d'Aosta (50 milioni); la copertura degli oneri del decreto anticrisi 2008 e gli accantonamenti della legge finanziaria; gli interventi per la banda larga e per il finanziamento dell'abolizione dell'Ici (50 milioni).

 Il secondo elemento della 'rivoluzione' del 2008 è costituito dalla trovata di Berlusconi e Tremonti di riprogrammare e concentrare le risorse del Fas (ridotto nel frattempo a 52 miliardi 400 milioni) su obiettivi considerati "prioritari per il rilancio dell'economia nazionale". Come? Anzitutto, attraverso la suddivisione dei soldi tra amministrazioni centrali (25 miliardi 409 milioni) e Regioni (27 miliardi). Poi con la costituzione di tre fondi settoriali: uno per l'occupazione e la formazione; un altro a sostegno dell'economia reale istituito presso la presidenza del Consiglio; un terzo denominato Infrastrutture e che dovrebbe curare il potenziamento della rete infrastrutturale a livello nazionale, comprese le reti di telecomunicazioni e energetiche, la messa in sicurezza delle scuole, le infrastrutture museali, archeologiche e carcerarie. Denominazioni pompose ma che in realtà nascondono un unico disegno: dare il via al saccheggio finale.

 Al Fondo per l'occupazione e la formazione vengono per esempio assegnati 4 miliardi che trovano i primi impieghi per finanziare la cassa integrazione e i programmi di formazione per i lavoratori destinatari di ammortizzatori sociali. Quanto al fondo per il sostegno all'economia reale finanziato con 9 miliardi va a coprire le uscite per il termovalorizzatore di Acerra (355 milioni); gli altri sperperi per il G8 alla Maddalena (50), mentre 80 milioni se ne vanno ancora per la rete Tetra delle forze di polizia in Sardegna; un miliardo per il finanziamento del fondo di garanzia per le piccole e medie imprese; 400 milioni per incrementare il fondo 'conti dormienti' destinato all'indennizzo dei risparmiatori vittime delle frodi finanziarie; circa 4 miliardi per il terremoto in Abruzzo; 150 milioni per gli interventi dell'Istituto di sviluppo agroalimentare amministrato dal leghista Nicola Cecconato; 50 milioni per gli interventi nelle zone franche urbane; 100 per interventi di risanamento ambientale; 220 di contributo alla fondazione siciliana Rimed per la ricerca biotecnologica e biomedica.

 Senza fondo
 Ma la vera sagra della dissipazione si consuma all'interno del fondo Infrastrutture (12 miliardi 356 milioni di dotazione iniziale) dove il Sud vede poco o niente. Le sue dotazioni se ne vanno per mille rivoli a coprire i più svariati provvedimenti governativi: 900 milioni per l'adeguamento dei prezzi del materiale da costruzione (cemento e ferro) necessario per riequilibrare i rapporti contrattuali tra stazioni appaltanti e imprese esecutrici dopo i pesanti aumenti dei costi; 390 per la privatizzazione della società Tirrenia; 960 per finanziare gli investimenti del gruppo Ferrovie dello Stato; un altro miliardo 440 milioni per i contratti di servizio di Trenitalia; 15 milioni per gli interventi in favore delle fiere di Bari, Verona, Foggia, Padova.
 Ancora: 330 milioni vanno a garantire la media-lunga percorrenza di Trenitalia; 200 l'edilizia carceraria (penitenziari in Emilia Romagna, Veneto e Liguria) e per mettere in sicurezza quella scolastica; 12 milioni al trasporto nei laghi Maggiore, Garda e Como. Pesano poi sul fondo Infrastrutture l'alta velocità Milano-Verona e Milano-Genova; la metro di Bologna; il tunnel del Frejus e la Pedemontana Lecco-Bergamo. E poi le opere dell'Expo 2015 che comprendono il prolungamento di due linee della metropolitana milanese per 451 milioni; i 58 milioni della linea C di quella di Roma; i 50 per la laguna di Venezia; l'adeguamento degli edifici dei carabinieri di Parma (5); quello dei sistemi metropolitani di Parma, Brescia, Bologna e Torino (110); la metrotranvia di Bologna (54 milioni); 408 milioni per la ricostruzione all'Aquila; un miliardo 300 milioni a favore della società Stretto di Messina. E non per le spese di costruzione della grande opera più discussa degli ultimi 20 anni, ma solo per consentire alla società di cominciare a funzionare.

giovedì 9 settembre 2010
Intanto che, finanzio al nord.
Intanto che il Presidente del Consiglio appunta sul notes a quadrettini - che gli entra giusto giusto nella taschetta della giacchetta - gli Aurei Punti Programmatici dell’Azione di Governo per i prossimi tre anni, posizionando e riposizionando nella scaletta i Sacri Impegni sulle Priorità Strategiche Del Paese - col fine palese di convincere Tutti della Sua Insostituibilità fisica e carismatica -, cos’è realmente accaduto?
Intanto che il Presidente del Consiglio appunta sul notes, il 13 luglio 2010 il Sole 24 Ore (vedi fonte 1), a firma Santilli, così titolava:
Tra rigore e sviluppo - IL RILANCIO DEL MEZZOGIORNO.
Non decolla la spesa Fas per il Sud. E Santilli, tra l’altro, scrive: (…L'accelerazione prevista per la spesa del fondo aree sottoutilizzate (Fas) nelle regioni del sud non ci sarà neanche nel 2010. Il rapporto annuale 2009 del dipartimento per lo sviluppo e la coesione economica, ora messo alle dipendenze di Palazzo Chigi, prevede che «il picco inizialmente previsto per il biennio 2009-2010 viene spostato in avanti di un anno subendo contemporaneamente una riduzione di importo inferiore al 5 per cento». Il «perdurare del clima di incertezza» potrà comunque aggravare questo ritardo…..).
Intanto che il Presidente del Consiglio appunta sul notes, oggi, 9 settembre  2010, il Sole 24 Ore (vedi fonte 2), a firma Santilli, così titola:
Le grandi opere del Nord a caccia di finanziamenti.
Breve, ma significativo, stralcio, dal pezzo di Santilli:
(……La prima vera questione che si porrà con la legge finanziaria sarà quindi quella del finanziamento delle grandi opere nel Centro-Nord. È per alcune infrastrutture strategiche, soprattutto nella Padania, che occorre trovare i fondi e soprattutto chiarire il quadro finanziario necessario per partire speditamente con le opere…..)
Fonti:
1) http://www.banchedati.ilsole24ore.com/doc.get?uid=sole-SS20100713006BAA

lunedì 11 ottobre 2010
Secondo Banca d'Italia
Secondo l'Indagine della Banca d'Italia sui bilanci delle famiglie italiane, nel 2008 il reddito equivalente delle famiglie era pari a 18.840 euro; quello delle famiglie del Nord era di 22.303 euro, in linea con il dato relativo al Centro (21.219) e nettamente superiore a quello delle famiglie meridionali (12.986).
Dal 1993, il ritardo del Mezzogiorno si è ampliato per effetto di una crescita cumulata del reddito equivalente in termini reali più sostenuta al Centro (15,4%) e nel Nord (12,5%), rispetto al Mezzogiorno (7,7%).
Nel 2008 il livello della disuguaglianza dei redditi era superiore nelle regioni meridionali. L'indice di concentrazione di Gini dei redditi familiari equivalenti era pari in Italia a 0,33; nel Mezzogiorno il valore era 0,32, maggiore di quello delle regioni centrali (0,28) e settentrionali (0,30). Nel periodo 1995-2008 l'indice di disuguaglianza è rimasto stabile nella media nazionale.
Sempre con riferimento al 2007, l’indice di diseguaglianza dei redditi sul territorio italiano varia da un minimo di 0,244 nella provincia autonoma di Trento a un massimo di 0,334 in Campania. Tra le regioni in cui l’indice di concentrazione è superiore alla media nazionale si trovano anche Calabria, Sicilia e Lazio. La Sicilia presenta il reddito medio annuo più basso (22.511 euro, il 23 per cento in meno del dato medio italiano) e qui, in base al reddito mediano, il 50 per cento delle famiglie si colloca al di sotto dei 18.594 euro annui (circa 1.550 euro al mese). In Calabria si rileva invece il reddito mediano più contenuto del Paese (18.408 euro, pari a circa 1.530 euro mensili). Nel Mezzogiorno, l’indice di concentrazione si attesta al di sotto del valore medio italiano in Abruzzo, Molise, Sardegna e Basilicata. Tra le regioni del Nord, l’Emilia-Romagna fa registrare il valore più alto dell’indice (0,301). Oltre a Trento, un’elevata equità nella distribuzione dei redditi si osserva anche in Veneto, Friuli-Venezia Giulia e Umbria. Il Trentino-Alto Adige, grazie al contributo della provincia autonoma di Bolzano, presenta il più alto reddito familiare medio annuo (33.476 euro); seguono Emilia-Romagna e Lombardia (rispettivamente con 32.802 e 32.632 euro).
Fonte:
http://www.bancaditalia.it/
giovedì 14 ottobre 2010
I virus del nord pagano i debiti?

Sul Mattino di oggi, mercoledì 13 ottobre 2010, a pagina 1, si legge quanto segue.
Titolo: Va premiato solo il Sud che funziona, di Emmott Bill - Grillo Francesco.
Elaborato: “La prima cosa che viene comunicata a qualsiasi straniero che si avvicina all'Italia, è che questo Paese si caratterizza per essere diviso in due da un muro immaginario, che alcuni collocano sul fiume Garigliano e altri più a Nord. Del resto la tensione tra nordisti e sudisti è considerata la chiave di lettura più potente per capire cosa succede nella politica italiana e, persino, per spiegare le fratture nella maggioranza di governo. Noi riteniamo che questo sia un luogo comune. La divisione più importante non è quella tra Nord e Sud, ma tra una cattiva e una buona Italia che vivono, spesso, una accanto all'altra. Ed il problema è che, troppo spesso, la moneta cattiva finisce con lo scacciare quella buona. È una constatazione semplice quella che ci rimane dopo un viaggio per l'Italia - che abbiamo in parte condiviso - alla ricerca di virus positivi e, tuttavia, in grado di cambiare radicalmente il giudizio su decenni di riforme ambiziose e impotenti, e di suggerire un approccio al cambiamento della società italiana che deve essere molto diverso da quello finora adottato.
In fin dei conti, ogni Paese, così come ogni persona, esprime potenzialità e problemi. Ed è il bilanciamento delle convenienze, dei modelli culturali, che determinala differenza tra situazioni nelle quali le nazioni conseguono prosperità e prestigio, rispetto a quelle nelle quali si avviano su parabole di declino irreversibili. Le riforme - intese come atti legislativi il cui obiettivo è cambiare un intero sistema (pubblica amministrazione, università, scuola, sanità) - falliscono spesso perché partono dalla ipotesi sbagliata che le società siano uniformi o, tutt'al più, divise in due parti. Questo è un errore e lo dimostrano molti casi che il libro «Forza, Italia» racconta: la trasformazione di Torino che negli ultimi venti anni è riuscita a sfuggire ad un destino di archeologia industriale per diventare una delle città a più alta concentrazione di tecnologie e creatività; ma anche Bari, che è diventata il centro di una regione a forte vocazione turistica e il cui centro solo qualche anno fa era considerato pericoloso per chiunque vi si avvicinasse. Differenze importanti esistono anche tra gli ospedali di Napoli per efficienza, tra le università della Campania in termini di capacità di attrarre finanziamenti privati. Persino, dallo sport arrivano dal Napoli Calcio e dalla Juve Caserta le conferme che dai peggiori fallimenti, ci si può riprendere e ricominciare a vincere. E allora invece che di grandi riforme, abbiamo bisogno di identificare attraverso semplici sistemi di misurazione i casi di buona amministrazione, di premiarli attraverso incentivi, di indicarli come esempi. O, perlomeno, dobbiamo lasciare i virus positivi liberi di crescere perché, spesso, in Italia chi ha entusiasmo viene penalizzato. Ciò di cui un Paese come l'Italia ha bisogno è soprattutto apertura e competizione. Competizione leale, perché chi è bravo deve poter sostituire chi consuma risorse a danno di tutti. Apertura, perché gli alleati di chi innova possono venire anche dall'esterno. C'è poi bisogno di istituzioni che si concentrino sui propri compiti: garantire il rispetto di regole uguali per tutti; incoraggiare la responsabilità individuale; svolgere, in alcuni casi, funzioni da imprenditori per il proprio territorio - come, ad esempio, in un'area di enormi opportunità per il Mezzogiorno come il turismo - dando sempre conto dei risultati raggiunti e delle risorse investite. La partita tra virus positivi e negativi si gioca, infine, sulla conoscenza che un paese riesce a sviluppare e a far circolare. In questo senso l'infrastruttura di cui l'Italia ha più bisogno è una piattaforma digitale, in grado di far connettere chiunque e qualunque oggetto tra di loro e senza fili. Le università giocano un ruolo decisivo e, tuttavia, è cruciale che vengano riprogettate per essere al servizio degli studenti mentre ancora, troppo spesso, quelle italiane servono da piattaforma per le carriere politiche dei professori. I buoni esempi di Italia sono dovunque. Esistono differenze importanti anche nel Sud. Se piuttosto che aspettare riforme e alchimie politiche riusciremo - come giornalisti, politici, insegnanti, amministratori - a favorirne l'emulazione, cominceremo a invertire quella rassegnazione diffusa che è il vero avversario di chi a questo Paese ancora ci crede.”
Ci sia consentito, emerite, delicate, penne; ospiti del Mattino, una volta glorioso: stendo un velo pietoso sul cumulo di luoghi comuni spennellati nel vostro delizioso componimento da terza media inferiore, e stento a riderne, perche’ voi, a quello che avete scritto, un po’ ci credete, anche.
Invece di sparare sentenze ‘sui generis’, di stampo moralistico, degne di quelle propinate – ai miei tempi - dalla gentile suora dell’asilo di Bellavista, perche’ non impegnate il Vostro Intelletto per leggere due tabelle? E magari ripensare alle quattro leggerezze di cui sopra, da voi due – con notevole faccia tosta – offerte ai Lettori di oggi? Banca d’Italia, oggi, ha reso pubblico – a mezzo del Bollettino statistico n. 51 del 13 Ottobre 2010 - il Debito delle amministrazioni pubbliche.
Bene, non fermatevi alla prima pagina, andate alle Tavole 7 e 8. E leggerete:
Tavola 7 - Debito delle Amministrazioni locali: analisi per comparti e strumenti - TCCE0250
(sono compresi Titoli emessi e Prestiti di IFM e CDP spa)
anno 2008:
Regioni e Province autonome € 41.691.000
Regioni e Province autonome, peso % su totale 39,0
Province € 8.939.000
Province, peso % su totale 8,0
Comuni € 47.716.000
Comuni, peso % su totale 45,0
Altri enti € 8.733.000
Altri enti, peso % su totale 8,0
Debito delle Amministrazioni locali (totale) € 107.079.100

anno 2009:
Regioni e Province autonome € 42.283.000
Regioni e Province autonome, peso % su totale 38,0
Province € 9.071.000
Province, peso % su totale 8,0
Comuni € 48.581.000
Comuni, peso % su totale 44,0
Altri enti € 11.115.000
Altri enti, peso % su totale 10,0
Debito delle Amministrazioni locali (totale) € 111.050.100

Tavola 8 - Debito delle Amministrazioni locali: analisi per aree geografiche - TCCE0275
anno 2008:
Nord ovest € 27.875.000
Nord ovest, peso % su totale 26,0
Nord est € 15.744.000
Nord est, peso % su totale 15,0
Centro € 32.333.000
Centro, peso % su totale 30,0
Sud € 22.782.000
Sud, peso % su totale 21,0
Isole € 8.344.000
Isole, peso % su totale 8,0
Debito delle Amministrazioni locali (totale) € 107.078.100

anno 2009:
Nord ovest € 29.041.000
Nord ovest, peso % su totale 26,0
Nord est € 15.854.000
Nord est, peso % su totale 14,0
Centro € 33.258.000
Centro, peso % su totale 30,0
Sud € 24.552.000
Sud, peso % su totale 22,0
Isole € 8.346.000
Isole, peso % su totale 8,0
Debito delle Amministrazioni locali (totale) € 111.051.100
Scusate Emeriti, chi paghera' lo stradebito delle province autonome e delle regioni del nord? Quelli che risiedono li'? Manco a pensarci, magari dovranno farlo i virus buoni del Sud, anche attraverso la politica dei tagli in Finanziaria. Cosa dovremo aspettarci? Una ecumenica divisione dei debiti? Grazie alla forza contrattuale del partito del nord?
Perche' non spendete i soldi del Mattino ed la Vostra intelligenza su questo tema?
Fonte: Banca d'Italia

Il Piano Salva Padania.
18 ottobre 2010
Fase 1: L'auto salva le province del Nord. Il bollo sostituirà i trasferimenti regionali, ma al Sud il gettito non basta.
“In Basilicata, Calabria e Liguria la tassa pagata dagli automobilisti della regione non basta nemmeno per coprire l'addio ai trasferimenti correnti; in Piemonte, Toscana, Marche e Umbria è appena sufficiente per compensare la prima voce ma, come accade anche in Emilia Romagna, Campania e Puglia, la coperta è troppo corta per compensare un addio integrale ai trasferimenti regionali. Senza problemi solo Lombardia, Veneto, Lazio, Abruzzo e Molise. In sintesi: a Milano e Roma circolano abbastanza auto da finanziare le province, in Veneto, Abruzzo e Molise l'equilibrio si spiega con il fatto che i trasferimenti regionali sono circa la metà della media nazionale, nel resto d'Italia il problema è concreto.
Se gli automobilisti lombardi e veneti possono guardare con ottimismo a questa data, lo stesso non capita agli altri, soprattutto al Sud.
Fase 2: Napoli «regina» dei tagli.
”Gli spettatori più attenti della complessa partita in corso sono gli amministratori del Mezzogiorno; a Milano, per esempio, i trasferimenti statali alle province valgono 3 euro ad abitante, a Napoli 29.
(….l'ipotesi (….) applica la tagliola solo ai trasferimenti «strutturali» (fondo ordinario, perequativo, consolidato e compartecipazione Irpef), l'altra la estende a tutte le voci in arrivo dallo stato (compreso il fondo sviluppo investimenti). Il primo caso "salverebbe" dai sacrifici una quindicina di province, tutte del Centro-Nord, tra cui compaiono big come Milano, Torino, Brescia, Verona, Bologna e Firenze. Nell'altra ipotesi anche loro parteciperebbero ai tagli, con somme però contenute che non arrivano mai al milione di euro. Molto diverse le cifre in gioco a Napoli (20 milioni), Palermo (fra 10 e 15) o Catania (fra 8 e 13).
In entrambi i casi, le province settentrionali possono mostrare le pagelle migliori: in Friuli Venezia Giulia, Piemonte e Veneto, per esempio, le buste paga dei dipendenti assorbono meno di un quarto della spesa corrente, mentre Abruzzo, Sicilia e Molise dedicano alle stesse voci più del 40% delle uscite, e la Calabria si ferma poco sotto. Una geografia simile, con qualche variabile legata ai contributi delle regioni autonome, si incontra nell'autonomia finanziaria, che in Lombardia arriva al 71,4% e in Basilicata si ferma al 27,2 per cento”.

martedì 19 ottobre 2010
Le olive di Fitto
Il Ministro per i rapporti con le regioni, l'on. Raffaele Fitto, ha dichiarato: il federalismo risolleverà la Puglia. E se codesta roboante  – e gratuita - dichiarazione non vi basta, ha aggiunto che, con il federalismo, una classe dirigente responsabile sapra' gestire al meglio la spesa pubblica e dare le giuste priorità: una Puglia e un Sud da rilanciare. Amen, ed evviva il generalismo astratto dei principi gratuiti, di chi non sa che cos'e' il federalismo, o fa finta di non saperlo.
E, propinando l'usuale doppia porzione, prosegue che alcune manovre sono obbligatorie, che chi governa si vede costretto ad attuarle, e che sono il modo migliore per accompagnare questo Paese ad un rinnovato sviluppo. Viva l'Italia! On. Fitto sei il nuovo mito della gastronomia meridionale – in generale – e di quella pugliese in particolare. Il nostro Rappresentante nel Governo brianzolo a Roma, riesce in quello che risulta impossibile agli altri cuochi: conciliare l'acqua con l'olio ed il pesce con la carne. E la nostra panza si riempie di antinomici ingredienti, di sublimi e sublimati suffle' di pesce e carne. E l'auditorio si avverte satollo.
Di che? Del niente pressurizzato nello stomaco gonfio d'aria fritta.
Va bene, ho capito, l'Onorevole Fitto ha inventato una nuova cucina: abboffare il commensale con l'aria fritta, profumata con gli aromi dei massimi sistemi della Logica aristotelica. Una cucina che prevede persino un digestivo, che sostituisce il vecchio amaro Lucano, e si chiama: Manovre e Pressioni fiscali sulle budella, pero' si esplica con grandi sacrifici.
Ma tranquilli, il Fitto ha inventato anche l'ammazza amaro: il Piano per il Sud, molto utile per la digestione finale. E per concludere in gloria il convivio, il Ministro ha ammonito i commensali di frequentare solo i ristoranti che perseguono la Sua cucina. Originale, ma se uno volesse mangiare delle semplici olive? Magari pugliesi? Non si puo'!
Le olive? Costi alti. Non conviene più raccoglierle.
di MARCO MANGANO
Mentre la Lega difende a spada tratta gli evasori fiscali del latte, nel Sud, in Puglia, si consuma l’ennesimo dramma ai danni degli agricoltori. A pagarne le spese, ancora una vota, gli olivicoltori, i custodi della genuinità e degli alberi dalle foglie argentate, che tutto il mondo invidia alla regione.
«Le olive rischiano di rimanere sugli alberi: sono tanti gli agricoltori pugliesi che rinunceranno quest’anno alla raccolta», lancia l’allarme Tommaso Battista, presidente regionale della Copagri di Puglia. «Sul piano economico - spiega - non è conveniente effettuare la raccolta, in quanto il prezzo delle olive, 35 euro al quintale, non è in alcun modo sufficiente a coprire le spese sostenute dagli agricoltori per aratura, potatura, concimatura e raccolta. Per queste operazioni, infatti, occorrono almeno 70 euro».
Le conclusioni tratte da Battista sono tutt’altro che incoraggianti: «Molti agricoltori sono orientati a lasciare le olive sugli alberi, con un danno enorme in prospettiva per l’intero paesaggio pugliese. Il rischio che la coltura venga abbandonata, infatti, è tutt’altro che remoto».
le stradePer la Copagri sono due le strade da percorrere per evitare che gli olivicoltori subiscano una mazzata. La prima chiama direttamente in causa le istituzioni nella lotta alle sofisticazioni per i mancati controlli alle frontiere e sugli scaffali dei negozi per smascherare un vecchio e diffuso malcostume. È ben noto - come denunciato molte volte dalla Gazzetta - che l’olio ricavato da nocciole marce turche viene spacciato per extravergine d’oliva. «Come si fa a credere che le bottiglie offerte a 2,50 euro possano contenere olio extravergine d’oliva pugliese?», si interroga Battista.
Ed è difficile dargli torto visto che i soli costi vivi ( bottiglia, etichetta, tappo e almeno due passaggi commerciali) superano 2,50 euro.
«È solo dei giorni scorsi l’ultimo esempio - ricorda il presidente della Copagri di Puglia - rappresentato dal maxi-sequestro di olio spagnolo destinato al mercato italiano: sarebbe stato utilizzato per tagliare il nostro olio». Per questo, però, sottolinea ancora il responsabile Copagri «è fondamentale che ci sia una normativa europea sulla etichettatura e la provenienza del prodotto, in quanto la recente legge italiana non ha alcun riconoscimento internazionale».
La seconda strada, invece, riguarda gli stessi agricoltori. «Il nostro auspicio - conclude Battista - è che i nostri produttori si consorzino per commercializzare in modo diretto l’olio d’oliva e non limitarsi a vendere le olive. Solo così, raggiungendo direttamente i consumatori con un prodotto di qualità garantito, si possono ottenere gli auspicati.
19 Ottobre 2010
http://www.lagazzettadelmezzogiorno.it/notizia.php?IDNotizia=375786&IDCategoria=1

giovedì 21 ottobre 2010
Il Piano Salva Padania.2
Carburanti, stacco Nord-Sud fino a 10 cent
I prezzi praticati alla pompa sono sempre più differenziati. La differenza tra prezzi massimi e minimi della benzina supera i 10 centesimi e si attesta a poco meno nel caso del diesel e del Gpl. E i prezzi più alti si riscontrano soprattutto a Sud.
Gioielli d’Italia: ecco il tesoretto
Quanti ce ne sono nell’inventario dello Stato? Una stima di qualche anno fa - era il 2004 - sentenziò che l’intero attivo patrimoniale dello Stato valeva più o meno quanto l’attuale debito pubblico: 1.800 miliardi di euro. Si trattava però di una stima molto sommaria, che comprendeva beni come il Colosseo, gli Uffizi e gli scavi di Pompei.
Ora al Tesoro ci si sono messi con pazienza certosina: all’inizio di quest’anno hanno chiesto a uffici pubblici, enti locali, Asl e da settembre anche alle società partecipate di comunicare il valore dei propri asset.

domenica 24 ottobre 2010
Domanda: chi paga la competitività internazionale dei manufatti italiani?
Fonte: Banca d'Italia, Eurosistema, Supplementi al Bollettino Statistico,Indicatori monetari e finanziari, Anno XX – 22 ottobre 2010, n. 54.
INDICATORI DI COMPETITIVITA' (DATI MEDI NEL PERIODO; INDICI 1999=100)
(Nella tavola sono riportati gli indicatori di competitività calcolati sulla base dei prezzi alla produzione dei manufatti (le relative serie sono state recentemente riviste per i principali paesi dell'area dell'euro) di 62 paesi. Per il metodo di calcolo cfr. la nota: "Un nuovo indicatore di competitività per l'Italia e per i principali paesi industriali ed emergenti", in Supplementi al Bollettino Statistico, Note Metodologiche, n. 66, dicembre 2005. Eventuali differenze tra i dati mensili, trimestrali e annuali dipendono da arrotondamenti. A partire dal Supplemento n. 17, del 16 marzo 2007, le serie sono stateribasate (da 1993=100 a 1999=100).)


USA
2007 ====  99,5
2008 ==== 99,0
2009 ==== 97,5
Spagna
2007 ==== 111,2
2008 ==== 113,7
2009 ==== 113,6
Giappone
2007 ==== 70,0
2008 ==== 76,3
2009 ==== 88,8
Germania
2007 ==== 98,5
2008 ==== 97,4
2009 ==== 99,5
Francia
2007 ==== 102,7
2008 ==== 104,5
2009 ==== 101,7
Italia
2007 ==== 105,6
2008 ==== 106,7
2009 ==== 106,1
U.K.
2007 ==== 93,0
2008 ==== 82,3
2009 ==== 77,4
Canada
2007 ==== 114,9
2008 ==== 109,7
2009 ==== 108,9
P. Bassi
2007 ==== 115,6
2008 ==== 120,0
2009 ==== 116,4
Belgio
2007 ==== 110,4
2008 ==== 112,7
2009 ==== 113,4
Cina
2007 ==== 85,7
2008 ==== 89,6
2009 ==== 94,0
Brasile
2007 ==== 166,6
2008 ==== 183,0
2009 ==== 183,8
SudCorea
2007 ==== 115,0
2008 ==== 97,7
2009 ==== 88,0
Turchia
2007 ==== 137,0
2008 ==== 139,4
2009 ==== 130,5
Polonia
2007 ==== 111,2
2008 ==== 115,9
2009 ==== 100,2

martedì 26 ottobre 2010
I conti delle regioni ed il federalismo
Nord ricco con i fondi del Sud
Le risorse date al Mezzogiorno «tornano indietro» nelle aree forti
di Alfredo Franchini
20 settembre 2010
CAGLIARI. La ricchezza del Centro-Nord dipende, in parte, dalle regioni del Sud, Sardegna compresa. Il dato non si riferisce all’export ma alla spesa pubblica e l’analisi sull’interscambio delle regioni ha il timbro della Banca d’Italia e dell’Unicredit.

mercoledì 27 ottobre 2010
I fondi per l’industria? Dal Sud vanno a Nord
Un decreto governativo sposta gli incentivi «488» per finanziare imprese settentrionali e armamenti.
Emanuele Imperiali- 27 ottobre 2010
NAPOLI - Serviranno perfino per finanziare l’industria bellica degli armamenti. Un terzo degli oltre 150 milioni di euro stanziati dalla legge 488 per le agevolazioni alle imprese nelle aree meridionali e mai utilizzati dal ministero dello Sviluppo Economico sono stati destinati a quest'obiettivo, legittimo per carità, ma che nulla ha a che vedere con le politiche per il Sud. E gli altri 100? Circa cinquanta sono stati attribuiti alla programmazione negoziata nelle aree del Centro Nord. Il rimanente terzo non ha una esplicita destinazione di spesa, ma sarebbe stato suddiviso tra fondi per le televisioni locali e perfino per piccoli interventi nelle zone del Veneto e della Lombardia.

giovedì 28 ottobre 2010
Unione Europea: 4 regioni in top 12 disoccupati
La Sardegna e' 6/a, poi ci sono Sicilia, Basilicata e Campania
27 ottobre, 18:37
(ANSA) - BRUXELLES, 27 OTT - Sono 4 le regioni dell'Italia meridionale e insulare che figurano tra le 'top 12' della classifica 2009 redatta da Eurostat in base ai maggiori tassi di disoccupazione giovanile (15-24 anni). La Sardegna, con un tasso del 44,7%, e' al 6/o posto tra le regioni europee con i dati peggiori e al 1/o tra quelle italiane. Seguono Sicilia (38,5%, 10/o posto), Basilicata (38,3%, 11/a) e Campania (38,1%, 12/a). Trento e Bolzano compaiono invece al 3/o posto per minor tasso di disoccupazione.
Fonte:

giovedì 28 ottobre 2010
E' neo-colonialismo, o servitu', non una nazione.
La spesa statale regionalizzata, Anno 2008

Tab. I: SPESA COMPLESSIVA (Bilancio Stato, Enti, Fondi) ANNO 2008 (dati in milioni di euro)Totale Mezzogiorno          178.258
Pari alla percentuale del    32,8
Totale Centro         122.144
Pari alla percentuale del    22,5
Totale Nord            242.250
Pari alla percentuale del    44,6

Tab. II: SPESA COMPLESSIVA (Bilancio Stato, Enti, Fondi) ANNO 2008 (valori percentuali)Valore medio sud    4,1
Valore medio centro  5,6
Valore medio nord     5,6

Tab. III: SPESA COMPLESSIVA (Bilancio Stato, Enti, Fondi) per abitante ANNO 2008
Mezzogiorno Spesa media procapite  € 8.913

CentroSpesa media procapite    €9.650

NordSpesa media procapite       € 11.003


Tab. 1.3.1: Spesa corrente Trasferimenti ad Amministrazioni Pubbliche per abitante ANNO 2008
MezzogiornoSpesa per abitante €2.424

CentroSpesa per abitante  €1.851

NordSpesa per abitante     € 5.145

lunedì 1 novembre 2010
Soldi e schiavi per salvare il Nord.
Articolo in: io@grecanico
mercoledì 3 novembre 2010
Comunicato Stampa N° 176 del 2 novembre 2010 ministero dell'economia e delle finanze.
Commento in io@grecanico.
FABBISOGNO DEL SETTORE STATALE DEL MESE DI OTTOBRE 2010
Nel mese di ottobre 2010 si è registrato un fabbisogno del settore statale pari, in via provvisoria, a circa 7.500 milioni, inferiore di circa 3.500 milioni rispetto all'importo di 11.054 milioni realizzato nel mese di ottobre del 2009.
Nei primi dieci mesi del 2010 si è registrato complessivamente un fabbisogno di circa 72.000 milioni, inferiore di circa 11.500 milioni a quello dell'analogo periodo 2009, pari a 83.452 milioni.
Il fabbisogno del settore statale del mese di ottobre 2010, rispetto allo stesso mese del 2009, riflette una contenuta dinamica della spesa dell'Amministrazione statale e lo slittamento al mese di novembre di alcuni pagamenti.
Dal lato degli incassi il saldo del mese sconta, in linea con le stime, il minor gettito dell'imposta sostitutiva su interessi e altri redditi da capitale, in larga parte compensato dal buon andamento complessivo degli altri incassi fiscali.
————
Roma, 2 novembre 2010
Per ulteriori informazioni - For further information:
Ministero dell'Economia e delle Finanze
Ufficio Stampa Press Office

mercoledì 3 novembre 2010
Lombardo e' tunnu, non lùoccu: la raffinazione in Italia.
La segue tabella mostra la capacita' di raffinazione del petrolio in Italia, ripartita per zona geografica. Fonte: Unione Petrolifera
Totale Raffinazione in Italia:
capacità di raffinazione in milioni di tonnellate al 1° gennaio 2007:
106,30
lavorazioni effettive di greggio, semilavorati, additivi, ecc. in milioni di tonnellate nell'anno 2005:
106,55.
Totale Nord Ovest:
capacità di raffinazione in milioni di tonnellate al 1° gennaio 2007:
21,75     
lavorazioni effettive di greggio, semilavorati, additivi, ecc. in milioni di tonnellate nell'anno 2005:
20,10.
Totale Nord Est:  
capacità di raffinazione in milioni di tonnellate al 1° gennaio 2007:
6,8  
lavorazioni effettive di greggio, semilavorati, additivi, ecc. in milioni di tonnellate nell'anno 2005:
6,64.
Totale Tirreno:     
capacità di raffinazione in milioni di tonnellate al 1° gennaio 2007:
10,35     
lavorazioni effettive di greggio, semilavorati, additivi, ecc. in milioni di tonnellate nell'anno 2005:
11,23.
Totale Adriatico: 
capacità di raffinazione in milioni di tonnellate al 1° gennaio 2007: 
9,40
lavorazioni effettive di greggio, semilavorati, additivi, ecc. in milioni di tonnellate nell'anno 2005:
10,08.
Totale Isole: 
capacità di raffinazione in milioni di tonnellate al 1° gennaio 2007: 
58,00     
lavorazioni effettive di greggio, semilavorati, additivi, ecc. in milioni di tonnellate nell'anno 2005:
58,50.

venerdì 5 novembre 2010
Il Governatore Draghi non e’ un pinocchio
Draghi: “(…) La crescita del prodotto per abitante in Italia si va riducendo da tre decenni: siamo passati da un aumento annuo del 3,4 per cento negli anni Settanta, a uno del 2,5 negli anni Ottanta, dell’1,4 negli anni Novanta, alla stasi dell’ultimo decennio. Talvolta, viene notato come questi andamenti siano medie di un Nord allineato al resto d’Europa e di un Centro-Sud in ritardo. Ma così non è. Anche se le carenze di social capability sono più marcate nel Mezzogiorno, e contribuiscono a spiegare i divari nei livelli di sviluppo civile ed economico, la stagnazione della produttività nel decennio precedente la crisi è stata uniformemente diffusa sul territorio. È un problema del Paese.”
Fonte: Lezione Magistrale del Governatore della Banca d’Italia Mario Draghi, Ancona, 5 novembre 2010, Convegno in ricordo di Giorgio Fua’ “Sviluppo economico e benessere”.
venerdì 5 novembre 2010

lunedì 8 novembre 2010
Il divario Nord-Sud nasce dopo l'Unità d'Italia
di MARCO ZAMBUTO, Sindaco di Agrigento
05/11/2010
Come accade quando qualcuno, come il Presidente della Regione, pone un tema essenziale, trionfano retorica e denigrazione. Che è il modo per continuare a non sapere e lasciare che le cose scorrano come sempre. Interrogarsi sul valore da attribuire all'Unità d'Italia e alle sue conseguenze rimane un passaggio imprescindibile. Ecco perché, invece di sbandierare vuoti proclami o di indossare la maschera della sudditanza, occorrerebbe stare ai fatti, nella consapevolezza che non può esistere coscienza nazionale senza verità storica. Una storia di parte sarà sempre al servizio di una parte del paese. E l'UDC, come partito della Nazione, sa che la storia non è materia da lasciare agli storici e serve ad unire, non a dividere. Secondo un'autorevole tesi il divario tra Nord e Sud si sarebbe determinato a distanza di cinquant'anni dall'Unità d'Italia, a causa dell'industrializzazione del Nord-ovest.
Non si è però spiegato perché quell'industrializzazione sia stata limitata solo a determinate aree geografiche. Si trattò di un caso o di una precisa scelta strategica? E, per esempio, Mongiana (Calabria), una delle migliori industrie siderurgiche d'Europa, con 1.200 operai all'attivo, chiusa all'indomani dell'Unità, non rientrava forse in quella politica industriale che prevedeva, fin dall'unificazione, che un'area del paese dovesse produrre i beni ed un'altra li dovesse consumare? E tale industrializzazione non ha avuto bisogno di un sistema infrastrutturale (viario, ferroviario, portuale, energetico, ecc…) che si è infatti realizzato al Nord e non al Sud? E non continua ad averne bisogno ancora oggi? Senza dire che, dal punto di vista industriale, non è vero che, al 1861, esisteva un divario tra Nord e Sud. «La percentuale di popolazione attiva addetta all'industria era superiore al Sud che al Nord», ha scritto Amedeo Lepore. Nel 1856, alla Mostra di Parigi, il Regno delle Due Sicilie veniva premiato come paese più industrializzato d'Italia. E, come hanno dimostrato Daniele e Malanima, i dati sui saggi salariali a Nord e a Sud, sia urbani che rurali, non rivelavano, al 1861, sostanziali differenze.
Tutto questo per dire che, sul piano industriale e infrastrutturale, sono state le scelte di politica economica post-unitarie a gettare le basi di quel divario che, inevitabilmente, ci portiamo appresso.
Il fascismo ha fatto solo il resto: da un lato, creando coi soldi pubblici l'IRI per salvare dalla crisi le grandi industrie del Nord e, dall'altro, obbligando, per esempio, i siciliani, che praticavano da tempo l'agricoltura specializzata, a tornare a produrre grano. Né l'Italia Repubblicana ha invertito la tendenza: si confronti quanto è stato speso al Nord e al Sud negli ultimi sessant'anni in scuole, strade, ferrovie, aeroporti, rete energetica, ecc… La tanto vituperata Cassa per il Mezzogiorno spendeva ogni anno solo lo 0,5 per cento del prodotto interno lordo.
Ma c'è un altro aspetto che non viene ricordato abbastanza e che è alla base di quello spaventoso fenomeno che ha svuotato di decine di milioni di persone le terre del Sud e che non si era mai conosciuto fino al 1861. Al Sud l'Unità d'Italia venne realizzata a vantaggio di una ristrettissima cerchia di proprietari terrieri. Lo Stato sabaudo confiscò le terre ecclesiastiche e demaniali e, infischiandosene della massa di contadini che reclamavano un pezzo di terra, le vendette per fare cassa a chi poteva comprarle. Con la conseguenza che una classe di ex gabelloti divenne più ricca e, nonostante le promesse di Garibaldi, venne impedito che nascesse una diffusa classe di piccoli proprietari terrieri. La conclusione drammatica fu la fine degli usi civici: ossia, di quell'istituto che per secoli, all'interno delle terre ecclesiastiche e demaniali, aveva consentito ai contadini di vivere. In conclusione, a volerli conoscere, i fatti dicono che la questione è reale e sentita. E che, i fatti, serve ricostruirli, metterli insieme ed evidenziare come gli uni non si spieghino senza gli altri. Serve soprattutto a capire che per troppo tempo i siciliani sono stati privati di quel complesso di infrastrutture necessario per sottrarsi all'infido giogo dell'assistenzialismo e per esprimere, anche attraverso la fiscalità di vantaggio, quelle energie che, in breve tempo, lo porrebbero al pari di qualunque popolo d'Europa.
Fonte:

martedì 9 novembre 2010
Chi governera’ la sanita’ governera’ il federalismo. Insomma, governera' tutto
Cristina Giudici, Il Foglio
1. La Lega nel girone sanità - di Cristina Giudici
Costi standard e federalismo sono una mela avvelenata. Ecco come nasce la rivoluzione padana - 8 novembre 2010
Forse ha ragione il governatore Luca Zaia quando scandisce il suo motto: “Prima il Veneto”. Perché è proprio nel Nordest (dove spesso si anticipano esperimenti politici ed economici) che è cominciata la guerra per vincere la partita politica ed economica più importante nel nord: quella per il controllo del sistema sanitario. Una partita molto complessa, il cui esito potrebbe trasformare il federalismo fiscale prossimo venturo – giovedì 4 novembre si riunirà nuovamente la Conferenza unificata stato regioni per discutere di costi e fabbisogni standard – in un boomerang, almeno iniziale, proprio per le regioni guidate dalla Lega nord, che stanno iniziando a fare i conti con i propri deficit. Non è un caso che anche i leghisti, Roberto Calderoli tra gli ultimi, abbiano più volte affermato che per la determinazione dei costi standard i modelli di riferimento dovranno essere due regioni che non guidano, Lombardia e Toscana. Allo stesso tempo la Lega sa che, se vorrà governare a lungo nei suoi “territori” – dopo aver ottenuto il benedetto federalismo, ma ancor più se la situazione politica dovesse precipitare costringendo la Lega a una strategica “ritirata” nei suoi territori – dovrà imparare a maneggiare con cura il vero tesoro, che è anche un po’ una mela avvelenata, cioè la sanità. Per questo si è iniziato a parlare tanto di deficit. Deficit che, anche per le regioni “virtuose”, sono spesso diversi da quelli certificati dal ministero delle Finanze o verificati dalla Corte dei conti: perché fino a ora le regioni li hanno ripianati, e in verità nessuno sa interpretare bene i bilanci delle aziende ospedaliere, che talvolta nascondono sprechi, acquisti “impropri”, investimenti sbagliati, gare di appalto truccate, illeciti amministrativi, ammortamenti non accantonati. Non fosse così, non si capirebbe come mai ora che i decreti attuativi del federalismo sono in dirittura d’arrivo (“cinque settimane”, ha detto lunedì Umberto Bossi, facendo gli scongiuri sulla crisi di governo) e con i decreti anche la definizione dei costi standard e della soglia di riparto della spesa sanitaria, oltre alla quale dal 2013 non sarà più possibile andare, molte Asl hanno cominciato ad autodenunciare il proprio “buco”. A cominciare appunto dal Veneto, dove da un mese si assiste a un balletto delle cifre assolutamente incomprensibile, visto che l’assessore alla Sanità, Luca Coletto, parla di un deficit di 25 milioni di euro, mentre il governatore Zaia denuncia una voragine: addirittura “una miliardata”, che riguarderebbe soprattutto il capitolo degli ammortamenti non accantonati. Un enigma che può essere svelato solo leggendo fra le cifre, incomprensibili ai profani, della battaglia politica per il controllo dell’80 per cento dei budget regionali. Si tratta complessivamente di 105 miliardi e 148 milioni di euro, nel 2010 (di cui 8 miliardi e 137 milioni di euro trasferiti dallo stato al Veneto), che secondo il Patto sulla salute firmato nel 2009 dalla Conferenza stato regioni e il governo (confluito nell’ultima Finanziaria di Tremonti) dovrà essere razionalizzato, nonostante la spesa sanitaria nazionale aumenti ogni anno circa del 2,8 per cento (nel 2011 i milioni di euro saranno 107.303 e nel 2012 110.344) per preparare le regioni e province autonome all’asticella dei nuovi costi standard. A Venezia, il 14 ottobre scorso si è tenuto un Consiglio regionale straordinario, che è si è trasformato in una trasparente rappresentazione teatrale della lotta politica in corso. Luca Zaia ha infatti davanti a sè tre sfide prettamente politiche da vincere, che girano tutte attorno alla Sanità: deve regolare i conti con le truppe dei direttori generali delle Ulss, fedeli all’ex governatore Giancarlo Galan; deve sottrarre terreno al sindaco di Verona Flavio Tosi, gran nemico interno nella Lega, che, da ex assessore alla Sanità proprio con Galan, tenta di guidare la sanità a distanza anche da Verona. Infine deve provare a riequilibrare i conti in rosso, che gli fanno tremare i polsi. Il puzzle è complicato. Dopo che un potentissimo direttore generale di una Ulss veneziana, Antonio Padoan (che non poteva più contare sulla protezione di Galan e temeva, pare, gli esiti di un’indagine della Corte dei conti) ha scritto una lettera al segretario regionale alla Sanità veneta, Domenico Mantoan, per chiedere come mai la regione gli abbia vietato di mettere a bilancio come attivo i 208 milioni di debiti ancora non ripianati dall’ente (e ha ricevuto un secco rifiuto dal governatore, che deve affrontare situazioni simili in altre aziende sanitarie venete). E dopo che il ministro del Welfare Maurizio Sacconi, veneto pure lui, si è messo a sventolare le tabelle degli sprechi veronesi. E’ a quel punto che tutti si sono chiesti: cosa sta succedendo? “Il Veneto ha scoperto di non poter più annoverare la sua Sanità fra quelle virtuose? Poi, gradualmente, gli arcani sono stati svelati: il Veneto ha un sistema sanitario con alcune zone d’ombra che probabilmente sono state un po’ sovrastimate, anche per mettere in difficoltà politica la cordata di Flavio Tosi, ex uomo forte del comparto. Che sta cercando di condizionare la politica sanitaria attraverso un gruppo di fedelissimi: la moglie Stefania Villanova, che lavora nella segreteria della Sanità, l’assessore in carica Luca Coletto e il suo consulente Michele Romano, ex direttore generale dell’azienda ospedaliera di Verona nonché consigliere della fondazione Cariverona. E infatti il presidente della commissione Sanità in Consiglio regionale, Leonardo Padrin, ha sintetizzato così il braccio di ferro sui presunti debiti: “Il disavanzo? E’ uguale agli anni precedenti. Di 250 milioni di euro, che prima venivano ripianati grazie all’addizionale Irpef (eliminata da Galan alla fine del suo mandato, per fini elettorali) e se siamo qui a discuterne oggi è solo perché è stata innestata una polemica dovuta a personalismi interni alla maggioranza”. Infatti durante il Consiglio regionale straordinario dedicato ai debiti sanitari l’assessore Coletto ha cercato di difendere la virtù veneta. Peccato che sia stato smentito mezz’ora dopo dal governatore, che invece ha ribadito l’esistenza di una voragine, “ma non verremo commissariati, risolveremo tutto”, ha promesso, sostenuto dal segretario generale della Sanità, Domenico Mantoan, nominato apposta per bonificare l’eredità di Galan e contrastare Tosi. In effetti il discorso di Zaia in consiglio regionale sembrava un discorso di opposizione. Al suo assessore ovviamente. E assomigliava molto a quello fatto da Diego Bottacin, ex consigliere fuoriuscito dal Pd per costruire il movimento centrista Verso nord e membro della commissione regionale Sanità. Bottacin è convinto che i debiti siano addirittura superiori al miliardo di euro e verranno alla luce quando le aziende ospedaliere saranno governate con criteri aziendali: “La sanità è sgovernata da molti anni”, ha dichiarato. Per sapere come stanno le cose veramente in Veneto, che visto dall’esterno si presenta invece come un sistema virtuoso, anzi uno dei laboratori chiamati ad anticipare la riforma federalista, bisognerà aspettare il libro bianco promesso da Zaia: si capirà forse anche chi e dove ha operato male, o addirittura in modo illecito. E cioè se il deficit è così grande. Mantoan parla di 560 milioni di euro sulla carta, “il doppio se si vanno a leggere con più attenzione i bilanci delle Ulss,”, ha detto al Foglio, “che hanno dilazionato molte spese e molti pagamenti per nascondere i loro debiti o non hanno accumulato le rate necessarie per ripagare investimenti non proprio oculati”. O se invece i conti in rosso siano stati parzialmente sovrastimati per far saltare alcuni importanti equilibri economici e politici. Infatti pare che, davanti al veto di Bossi alla sua candidatura alla guida della regione, Flavio Tosi abbia ottenuto due cose, in cambio della sua rinuncia: poter aspirare alla guida della Liga veneta al posto di Gian Paolo Gobbo, sindaco di Treviso (ma tutti sono disposti a scommettere che ciò non avverrà) e poter mantenere una sorta di guida a distanza della Sanità. Con una clausola, determinante per lui che è stato assessore alla Sanità di Galan, senza poter condizionare il sistema degli appalti: e cioè ottenere per il suo uomo fidato, l’assessore Coletto, anche la delega dell’edilizia sanitaria, che nell’era Galan era governata dall’assessorato ai Lavori pubblici, in modo da creare un sistema chiuso che aveva favorito un numero molto ristretto di imprese, che progettavano e costruivano strutture sanitarie. E aveva riservato alla Lega delle cooperative il 72 per cento degli appalti per la “sanificazione” (la pulizia) degli ospedali. Un dato rilevante; in Toscana la Lega delle cooperative, per gli stessi appalti, non è mai riuscita a superare la soglia del 52 per cento. Ed ecco perché, secondo alcune indiscrezioni di fonti attendibili, dopo la vittoria di Zaia ci sarebbe stato un incontro informale durante il quale Galan avrebbe chiesto a Zaia di non modificare gli assetti per gli appalti e Tosi – che ancora qualche giorno fa ha negato l’esistenza della voragine denunciata da Zaia – gli avrebbe risposto che la Lega si comporterà esattamente come aveva fatto il Pdl con gli esponenti del Carroccio veneto. E cioè riserverà agli uomini di Galan le briciole degli appalti sanitari. Dietro a questo scenario di lotte intraleghiste e di controllo reale del sistema sanitario e del suo indotto, Zaia ha però un problema vero, che sembra voler affrontare con piglio decisionista, anche perché è decisivo per il futuro del federalismo. Cioè della “mission” stessa della Lega. Il problema è quello di ridurre il deficit prima che arrivi il federalismo fiscale. Ecco perché nel suo discorso (durissimo) in Consiglio regionale straordinario, ha dichiarato guerra a tutti quei direttori generali di strutture sanitarie che hanno accumulato debiti. I loro mandati scadono fra due anni, “ma alcuni potrebbero essere commissariati”, ci hanno fatto notare alcuni leghisti che hanno lavorato nell’assessorato. Anche perché dietro questo scontro c’è un elemento comune a tutte regioni del nord a guida leghista, o dove i leghisti dirigono le politiche sulla Sanità. E cioè l’ordine di scuderia di Bossi, che è quello di creare una sanità padana che regga l’impatto del federalismo e aumenti il peso politico del proprio partito all’interno del sistema sanitario, che drena l’80 per cento dei bilanci pubblici. Insomma la Lega vuole imitare (parzialmente) il modello della Lombardia di Roberto Formigoni: una delle poche regioni ad avere i conti a posto grazie al contributo delle strutture private accreditate, che rappresentano il 45 per cento del sistema regionale. Anche se pubblicamente la Lega demonizza il concetto della privatizzazione. Una scorciatoia, secondo i fautori del sistema sanitario pubblico, che però rappresenta l’unica strategia possibile per arginare i debiti creati dagli ospedali pubblici, anche dai più efficienti, che non riescono a gestire l’aumento progressivo della spesa sanitaria. Ed è infatti per questo motivo che il governo della regione Veneto vorrebbe trasformare la case di riposo, alcune commissariate con i conti in rosso, in fondazioni private. Ufficialmente per risanare i loro debiti. In realtà per modificare il modello sanitario veneto, per ora quasi interamente pubblico. Basta leggere fra le righe ciò che ha detto il presidente della commissione regionale Sanità, Leonardo Padrin, un passato nella Compagnie delle Opere, parlando dell’apporto minimo dei privati, che dovrebbero essere messi in condizione di offrire maggiori servizi al sistema sanitario pubblico semplicemente perché è più conveniente. Così come si dovrebbe ragionare su quel passaggio di Zaia, trascurato dai cronisti, in cui il governatore, parlando dei servizi sociali che in Veneto sono integrati con quelli ospedalieri, ha dichiarato: “Non possiamo sederci accanto ai lombardi e fare i tontoloni con il nostro debito, dicendo che noi siamo più civili perché spendiamo 260 milioni di euro extra per i Lea (i servizi elementari di assistenza) solo perché crediamo nel sociale”. Insomma, come ha detto il ministro della Salute, Ferruccio Fazio, l’introduzione dei costi standard nella Sanità rappresenta con il federalismo una novità “assolutamente rivoluzionaria”, che migliorerà “la qualità del servizio sanitario nazionale”. Ma la strada per arrivarci non è così semplice. Nemmeno per la Lega.
Fonte: http://www.ilfoglio.it/soloqui/6747

2. Chi governa la salute al nord - di Cristina Giudici
Perché la Lega un po’ imita Formigoni, un po’ lo incalza. Una partita strategica per il federalismo - 7 novembre 2010
Governare la Sanità significa governare il federalismo fiscale che verrà. E dunque assicurarsi per il futuro un governo politico stabile. Soprattutto in quelle regioni del nord dove i bilanci non sono in perfetto ordine, ma allo stesso tempo il sistema vanta standard di efficienza decorosi e non necessita delle cure da cavallo che attendono invece parecchie regioni del centrosud. E’ così per il Veneto, dove Luca Zaia è alle prese con una non semplice gestione del debito in vista dei futuri impegni federalisti. Ed è così per il Piemonte, dove l’assessorato alla Sanità è affidato a Caterina Ferrero, del Pdl, ma Roberto Cota ha nominato direttore generale della Sanità l’ex amministratore delegato dell’Iveco, Paolo Monferino, che dipenderà direttamente dal governatore, in tal modo diventando di fatto il vero uomo forte del settore. Ufficialmente il governatore leghista vorrebbe un manager che non risponda agli interessi delle diverse cricche sanitarie – uno degli slogan preferiti dal popolo padano. In realtà, l’obiettivo di Cota e della sua giunta è di aprire maggiormente, e in tempi ragionevoli, il sistema regionale al settore privato, che ora rappresenta solo una quota del 15 per cento (l’8 per cento secondo l’opposizione). Senza dimenticare che anche in Piemonte alla fine dell’anno ci saranno 21 direttori generali di Asl e Osa che dovranno essere rinnovati (due di loro sono già stati commissariati da Cota) sui quali il cardiochirurgo Claudio Zanon, direttore (leghista) dell’Ares, l’Agenzia sanitaria regionale del Piemonte, ha le idee chiare: “Non faremo prigionieri”, ha detto chiaro e tondo al Foglio. Anche Zanon, come Luca Zaia in Veneto, parla di un deficit regionale molto grande, 350 milioni di euro, che si potranno ripianare soltanto in parte, provocati dalle note storture: “Doppioni di reparti superflui, 130 piccoli presidi sanitari dove nessuno va a farsi curare, un eccesso di figure amministrative e molti, troppi, primari scelti per l’appartenenza politica e non per la qualità del curriculum”. Le nuove linee guida piemontesi studiate da Zanon guardano molto a ciò che è stato fatto di buono in Lombardia: riduzione dei piccoli presidi sanitari e delle Asl, centralizzazione delle gare di appalto per gli acquisti in modo da ridurre i costi impropri e illeciti amministrativi (sempre dietro l’angolo, ovviamente: ma soprattutto sempre pronti ad essere agitati come una minaccia sia all’interno del sistema che da parte dell’opposizione). Inoltre Zanon vuole puntare sulla razionalizzazione della rete ospedaliera e sulla eliminazione dei reparti doppioni. Inoltre, si punterà a costituire un organismo autonomo, che controlli il numero delle prestazioni che fanno lievitare i costi. Infine, e ovviamente, il tentativo di mettere sotto controllo i costi passerà da una maggiore commistione fra pubblico e privato. “Noi però ci vorremmo ispirare al modello inglese di Tony Blair”, aggiunge Zanon, dove gli ospedali appaltano servizi all’esterno in merito ai fabbisogni dei cittadini. Anche se in realtà la Sanità pubblica del Regno Unito lasciata in eredità dai governi laburisti è giusto uno dei settori disastrati del bilancio nazionale: per quanto David Cameron abbia deciso di non togliere al servizio nemmeno una sterlina. In realtà, il modello più vicino al quale Zanon si riferisce è quello lombardo. “Lei lo sa che in Piemonte c’è un reparto con sei posti letto e cinque chirurghi?”, insiste Zanon, esagerando un po’, per sottolineare la volontà leghista di dare un segnale di discontinuità e smantellare il sistema sanitario creato dalle giunte precendenti. A fronte degli allarmi razionalizzatori della Lega, c’è però uno come Roberto Placido del Pd, vicepresidente di opposizione del Consiglio regionale che durante il mandato di Mercedes Bresso ha proposto una maggiore razionalizzazione del sistema sanitario, che si dice convinto che il deficit piemontese sia molto più grande: perché nessuno fino a ora ha controllato davvero i conti. Così Placido continua a chiedersi come farà il governatore piemontese a diminuire i disavanzi di ben 50 milioni di euro ogni anno, per potersi preparare al D day pre-federalista del 2013, senza tagliare i livelli minimi di assistenza. Roberto Placido è assai critico anche sull’altra grande partita politica ed economica che Roberto Cota vuole vincere: quella della nuova Città della salute. Si tratta di un progetto che Mercedes Bresso non è mai riuscita a realizzare, e che la nuova giunta leghista vorrebbe vincere con un finanziamento piuttosto limitato, ottenuto dallo stato: 370 milioni di euro per costruire due nuovi poli sanitari in sinergia con le università. Di questi, uno sorgerà a Novara, cassaforte elettorale della Lega e gioiellino amministrativo piemontese, nonché città natale di Roberto Cota e del suo assessore più competente, Massimo Giordano, ex sindaco di Novara, che ora ha la delega alle Attività produttive. Ma anche qui, andrebbero notate le analogie tra il progetto piemontese e quello del megaprogetto formigoniano della costruenda “Città della salute, della ricerca e della didattica” che entro il 2015 dovrebbe vedere riuniti in un solo polo tre strutture d’eccellenza milanesi, l’ospedale Sacco, l’Istituto neurologico Besta e l’Istituto dei tumori. Un’impresa enorme, dal punto di vista dell’investimento pubblico nel settore dalla Sanità. Il costo complessivo del progetto è stimato in 520 milioni e sarà realizzato in project financing: metà del capitale sarà messa a disposizione subito dalla regione (228 milioni), una parte dallo stato (40 milioni) mentre gli altri 250 milioni saranno resi disponibili dai privati che recupereranno l’investimento con la gestione dei servizi e con un canone di disponibilità a carico della regione. La realizzazione del progetto farà capo a un consorzio fra i tre ospedali interessati, guidato dall’ex presidente della Fondazione Fiera Luigi Roth, storico formigoniano. Un’operazione complessa, su cui Roberto Formigoni ha scommesso molto e che, nella sua visione, dovrebbe essere, assieme al nuovo grattacielo della regione, il vero lascito alla Lombardia della sua lunga gestione politica. Progetti futuribili e faraonici a parte, è comunque proprio alla Lombardia (il cui sistema sanitario vale 16 miliardi di euro) che bisogna guardare per capire che cosa aspira a diventare la sanità padano-leghista, se saprà reggere e gestire l’impatto del federalismo fiscale. Al Pirellone, l’assessore alla Sanità è Luciano Bresciani. E’ conosciuto soprattutto per essere il medico che ha salvato Umberto Bossi dalla carrozzella dopo l’ictus (e involontariamente ha pure innescato la guerra di successione nel partito, perché ha ricordato al Senatur che presto dovrà rallentare definitivamente i ritmi di lavoro). Ma Bresciani è innanzitutto un cardiochirurgo competente, che ha studiato in Inghilterra, ha lavorato in America e in Olanda, ha studiato il modello israeliano e sta cercando di far evolvere – questo è quello che dice lui – il modello sanitario di Formigoni verso una struttura che, con un certo sprezzo tutto leghista del pericolo, definisce “polipo”.  L’idea in pratica è di creare una maggior sinergia con le strutture territoriali e sociali, dividere gli ospedali per funzioni, creare un sistema sanitario meno “ospedalocentrico” e più territoriale. E’ Bresciani, in ogni caso, che sta dettando la linea della (nascente) Sanità di modello leghista, con il benestare di Bossi. E infatti non è un caso che Bresciani abbia già firmato alcuni protocolli con il Veneto, il Piemonte, il Friuli-Venezia-Giulia. L’assessore Bresciani, attento studioso dei sistemi sanitari, cerca insomma di realizzare quella che definisce la sua “rivoluzione copernicana”. Ma nel frattempo svolge soprattutto il ruolo del revisore dei conti della spesa lombarda, per limitare gli acquisti “impropri” dei direttori generali che rispondono a Formigoni, cercando di creare una rete che sia in grado di controllare l’efficienza delle strutture sanitarie pubbliche. Alcune delle quali (come Pavia, Brescia, Bergamo, Policlinico, Niguarda) sono oggetto di inchieste giudiziarie e ministeriali proprio per via di presunti appalti edilizi poco trasparenti. Un lavoro, questo, che ovviamente tende al bilico tra il piano del puro controllo amministrativo e le implicazioni politiche che insorgono ogni volta che ci si avvicina al pianetà Sanità. E non solo in Lombardia, dove come è noto la mano formigoniana è da parecchi anni molto presente e riconoscibile. E infatti Bresciani si prepara anche alla lotta per il rinnovo dei direttori generali delle strutture sanitarie, poltrone eccellenti che i leghisti lombardi vorrebbero raddoppiare (ora ne hanno 10 su 45, gli altri rispondono al presidente Formigoni). “Senza dimenticare però”, precisa l’assessore Bresciani, “che se in Lombardia possiamo permetterci di migliorare il sistema sanitario e siamo più preparati ad accogliere la riforma federalista è solo grazie alla Sanità creata da Formigoni, un sistema che da 8 anni ha i conti in pareggio”, ammette. Bresciani è considerato da molti, più che un uomo di partito, un tecnico che ha fatto un accordo politico di compromesso con Formigoni. Ma all’assessore-cardiologo va anche riconosciuto il merito di aver fermato quello che la Lega e le opposizioni hanno chiamato il “blitz” della Fondazione Policlinico, che qualche mese fa voleva cedere l’intero patrimonio immobiliare del Policlinico –  un miliardo e mezzo di euro il valore – alla società Infrastrutture lombarde: la holding regionale che si occupa di sviluppo territoriale per conto del Pirellone e che guida, tra l’altro, i sette cantieri della costruzione e ristrutturazione degli ospedali lombardi, tra cui quello di Niguarda, finito sotto inchiesta per presunti appalti irregolari e incarichi d’oro, nell’ambito di uno scontro con il ministero del Tesoro di cui i formigoniani hanno apertamente indicato il contenuto politico. Eppure secondo Alessandro Ce’, ex assessore leghista predecessore di Bresciani, che si era dimesso nel 2007 proprio perché contrario all’eccessiva privatizzazione del sistema sanitario, la Lega ha finito per avallare un sistema che, secondo lui, funziona così: “Per ottenere gli appalti, si formano grandi cordate di società private, che riescono a vincere le gare imponendo le loro condizioni”. E cioè il controllo su un intero pacchetto di servizi a prezzi superiori a quelli del mercato. “Prima di dimettermi da assessore alla Sanità, mi sono opposto all’entrata della fondazione Cariplo nel servizio urgenza-emergenza del 118 per impedire che un ente privato potesse condizionare gli appalti per servizi esterni”. Così come non si deve dimenticare che se la Sanità lombarda ha conti in ordine è anche perché i cittadini si rivolgono molto ai privati, generando un flusso extra di investimenti che si aggira sui 9 miliardi di euro, e vanno aggiunti a quelli trasferiti dallo stato. “Ho sempre chiesto a Formigoni dati aggregati per poterli comparare e capire quali strutture gonfiavano i fabbisogni e le prestazioni, ma non li ho mai ottenuti”, insiste Ce’. “Perché se in una provincia con un numero di cittadini simile a quella confinante vengono eseguiti il doppio degli interventi chirurgici, allora è chiaro che il fabbisogno standard dei cittadini è gonfiato per aumentare gli introiti. Ed è chiaro che la battaglia della Lega per ottenere il raddoppio dei direttori generali delle aziende ospedaliere è solo la reiterazione della lottizzazione politica”. Una tesi smentita da Bresciani, che su Formigoni chiude con una battuta: “Lui gioca a calcio, io a rugby”. E considera di essere invece un tecnico che cerca di migliorare il sistema (è sua la delibera che sanziona le strutture che non rispettano le liste di attesa di 30 giorni sulle patologie a rischio, così come è sua l’idea di creare una struttura centralizzata per le gare d’acquisto delle Asl per ridurre sprechi e illeciti). E a chi lo accusa di voler reiterare la lottizzazione politica negli ospedali, risponde così: “I direttori generali delle strutture sanitarie pubbliche devono seguire gli indirizzi politici della Sanità, che in Lombardia spetta alla Lega. Perciò mi sembra giusto che ci sia un contrappeso politico nel sistema sanitario, che corrisponda a quello che abbiamo nel Consiglio regionale”. Sia come sia, una cosa appare chiara: chi vincerà la battaglia per il controllo del budget della Sanità, virtuosismi e storture comprese, guiderà il nord. Una considerazione che al pragmatismo politico della Lega certamente non sfugge, tanto più ora che l’idea di concentrarsi maggiormente sul governo locale, se dovessero saltare governo e federalismo, è tornata a farsi sentire.

martedì 9 novembre 2010
E NON POSSIAMO NEMMENO PIU’ EMIGRARE
9 novembre 2010 |  Autore: Andrea Lodato
L’odore acre di elezioni anticipate che si respira, sembra spingere il governo Berlusconi a realizzare un paio di accelerazioni che potrebbero servire per l’eventuale campagna elettorale. E se al Nord è gradito il Federalismo, per il Sud il governo sta cercando di chiudere al più presto il Piano da 100 miliardi per investimenti, rilancio e sviluppo. Berlusconi e i suoi potrebbero anche fare in tempo, bisognerà vedere se il governo reggerà ad una successiva fase operativa, ma il dubbio più grande, ancora oggi, è sulla capacità che la classe dirigente siciliana sappia, nell’eventualità che qualcosa di buono accada, ottimizzare il “regalo” del governo nazionale.
Serpeggia una sostanziale rassegnazione generale, inevitabile, perché la Sicilia sta andando alla deriva. Protestano i Comuni per i tagli ai trasferimenti di risorse. Protestano gli industriali, perché i ritardi che hanno paralizzato l’utilizzo di fondi strutturali e Fas si stanno cumulando e, nel frattempo, le imprese chiudono o scappano.
Sono al terrore i sindacati, perché tra qualche mese finiranno per strada migliaia di lavoratori, si stanno esaurendo le casse integrazioni, stanno fallendo centinaia di imprese artigiane. Ma non è tutto, drammaticamente questo elenco replicato all’infinito è solo l’inizio. Perché in questa Sicilia che affonda, c’è il Consiglio di Giustizia amministrativa che condanna la Regione a risarcire con 20 milioni un’azienda romana che voleva investire nell’Isola ma è stata danneggiata dalla burocrazia. Si può pensare: un caso. No, lasciamo stare il caso, è la regola.
Perché in questa Sicilia che annega, da circa un anno gli autotrasportatori che stanno fallendo a centinaia attendono che la Regione chiuda la convenzione con la Crias per cominciare a erogare 15 milioni di eco-bonus non assegnati e per questo destinati a prestiti agevolati. Le imprese di autotrasporto sono schiacciate dai debiti, ma dopo un anno qualche giorno fa è arrivata soltanto la garanzia che «stavolta davvero si farà presto e che i fondi non sono bloccati e che i prestiti saranno fatti. Presto».
Presto? Presto è già tardi. In Sicilia è già il giorno in cui si stanno fermando decine di Tir, è il giorno in cui tremila artigiani che aspettano i soldi del Por cofinanziato Regione-Ue aprono le porte e trovano i decreti ingiuntivi. Siamo al giorno in cui centinaia di commercianti hanno abbassato le saracinesche e i Centri commerciali stanno sotto del 30% di fatturato e licenziano un popolo di giovani. A loro diciamo ogni giorno di avere ancora speranza, di non scappare. Anche perché come fuggire? Treni da quaggiù non ne partono quasi più, le strade sono sempre quelle sfasciate, soldi per ingrandire gli aeroporti niente. Allora? Allora continuiamo a parlare di ultima speranza, finchè dura.
Fonte:

mercoledì 10 novembre 2010
Crisi, il 62% dei posti si è perso nel Meridione
9 novembre 2010, di Patrizio Mannu da il Corriere del Mezzogiorno.
Il tributo più alto alla crisi in termini di posti di lavoro persi l’ha pagato il Mezzogiorno: in due anni sono andati in fumo 361 mila posti di lavoro (vale a dire oltre 15 mila al mese), avendone il resto d’Italia persi 213 mila. Tre su cinque, così, vengono dal Sud; uno su 5 dalla Campania (121 mila in valori assoluti fra il 2008 e il 2010; -7,1%): l’emorragia più copiosa a livello nazionale; un po’ meno grave il caso pugliese: 90 mila posti persi (-6,8%) nello stesso periodo. In un rapido giro di cifre il mito che si sfata diventa presa in giro: quante volte governo e analisti ci hanno raccontato che la crisi ha mietuto occupati più al Nord, visto che lì c’è la maggiore concentrazione industriale? Ebbene, Bankitalia ha svelato le gambe corte della bugia presentando ieri il rapporto congiunturale dell’economia campana (il report pugliese è pubblicato sul sito regionale). Il quadro che ne viene fuori disegna una Campania che ha probabilmente esaurito tutte le speranze, anche se il direttore della sede campana Sergio Cagnazzo parla di «tenue luce in fondo al tunnel» ma che non equivale per nulla al panorama pre-crisi. Insomma, c’è ancora da masticare amaro. Secondo il report della banca centrale, a giungo, il tasso di disoccupazione si è attestato al 14,3%. Un dato che tuttavia, come sottolineato da Giovanni Iuzzolino, responsabile divisione Analisi e ricerca, «misura solo una parte dello scarso utilizzo della forza lavoro disponibile». Secondo le stime, infatti, se al numero di disoccupati si aggiungessero i cassintegrati e tutti coloro che un lavoro ormai non lo cercano più, il tasso di «lavoratori disponibili ma non utilizzati» si attesterebbe al 22% «pari al doppio della media nazionale». Ma non solo. Negli ultimi 15 trimestri, l’occupazione è calata 14 volte e a farne le spese soprattutto giovani e donne. E proprio il livello di inoccupazione femminile in Campania, aggiunge Iuzzolino, «è straordinariamente elevato rispetto a tutte le altre aree del mondo dalle quali possono ricavarsi dati». La flessione occupazionale rilevata è stata «più intensa» nella componente del lavoro autonomo (-2,4%) e si è concentrata soprattutto nell’industria (-15,1%), nell’agricoltura (-5,1%) e nel commercio (-3,7%). Nel primo trimestre dell’anno, il tasso di occupazione della popolazione in età da lavoro è stato pari al 39,9 per cento, valore «più basso tra le regioni italiane» e in calo di 0,7 punti percentuali rispetto al 2009. La mancanza di un lavoro, il più delle volte, si traduce in un avvicinamento alle soglie di povertà. Secondo Bankitalia in Campania il 25% delle famiglie (che rappresentano il 28% della popolazione) vive in uno stato «di grave disagio economico». Un dato che si discosta da quello nazionale che, invece, nelle rilevazioni degli ultimi 5-6 anni, come spiegato, si mantiene stabile e attorno al 10-12%. E l’industria? Secondo il sondaggio congiunturale, tra settembre e ottobre su un campione di aziende con almeno 20 addetti, in relazione al fatturato, per il 36% delle imprese è aumentato, ma per il 28% è in calo; il 31% ammette di aver diminuito la spesa per investimenti, solo il 13 gli ha aumentati; positiva la valutazione da parte delle imprese in merito alle condizioni di accesso al credito: il 68% delle aziende, non ha ravvisato un inasprimento, a differenza di quanto sostenuto dal restante 32%, percentuale tuttavia in diminuzione rispetto al 2009 in cui tale percentuale era del 35,8%. La politica può far qualcosa? «Le risorse sono poche — commenta Iuzzolino — ma possono essere spese meglio pur matenendo parità di bilancio».
Fonte:
http://www.napolionline.org/new/crisi-il-62-dei-posti-si-e-perso-nel-meridione?utm_source=feedburner&utm_medium=feed&utm_campaign=Feed%3A+Napolionline-LaCittaVistaDaDentro+%28Napolionline+-+la+citta+vista+da+dentro%29

Sconfessata la tesi dominante
9 novembre 2010, di Luca Bianchi da il Corriere del Mezzogiorno.
I dati contenuti nei rapporti congiunturali intermedi di Bankitalia pongono in evidenza quanto alto sia stato il prezzo pagato in questa crisi dalle regioni meridionali sul fronte dell’occupazione. Più del 60% delle persone che hanno perso il lavoro nei due anni di crisi (tra la metà del 2008 e la metà del 2010) era impiegata al Sud, dove invece si concentra circa un quarto dell’occupazione italiana. Parliamo di 361 mila posti di lavoro persi al Sud su un totale nazionale di 574 mila. Nella sola Campania siamo in presenza di una vera e propria decimazione del già asfittico mercato del lavoro: -121 mila occupati, un crollo del tasso di occupazione dal 43,2 al 40%. Non sta meglio l’altra grande regione del Sud, la Puglia che ha lasciato a spasso circa 90 mila occupati e 4 punti di tasso di occupazione, sceso al 44,7%. Eppure la storia che ci è stata raccontata in questi mesi è stata soprattutto quella della crisi del settore produttivo del Nord. Anzi, molti pensavano che il Sud assistito fosse protetto proprio dalle sue debolezze e quindi poco sensibile al ciclo internazionale. Invece, è proprio in questa area, peraltro in declino ormai da diversi anni che le molte piccolissime imprese, spesso dipendenti da sub-forniture di imprese del Nord in difficoltà, sono state escluse dal mercato. Ed espulsi sono stati i tantissimi precari, senza alcuna tutela, pagando un costo elevatissimo sul piano sociale. L’abitudine a leggere la dinamica congiunturale sulla base dei dati della cassa integrazione ha finito per trarre in inganno, e far confondere una più forte «debolezza» del Sud nella crisi con una maggiore «protezione» dalla crisi. Se incrociamo infatti i dati della cassa integrazione con quelli dell’occupazione ci accorgiamo come il sistema di ammortizzatori abbia attutito l’impatto della crisi al Nord, garantendo circa 3 lavoratori su 4, lasciando invece senza paracadute 2 lavoratori su 3 al Sud. Un sistema squilibrato, peraltro largamente finanziato con fondi sottratti alle aree sottoutilizzate: la più grande operazione di solidarietà territoriale alla rovescia, di cui nemmeno i meridionali sembrano essere del tutto consapevoli. La stessa discussione meridionalistica, del resto, verte su temi pure decisivi (come gli sprechi delle pubbliche amministrazioni e le riforme — come il federalismo— dagli esiti incerti e i tempi necessariamente lunghi) ma elude il tema decisivo e urgente: il lavoro. Cioè, quali politiche «attive» mettere in campo per allargare la base lavorativa meridionale, soprattutto verso settori e capitale umano qualificati. In fondo, il modo di rispondere alle recenti sollecitazioni di Mario Draghi, non può che essere un piano di interventi mirati all’occupazione dei giovani (e delle donne) ad alta scolarizzazione, attraverso crediti d’imposta e aiuti all’auto-impiego, a gravare su un fondo specifico da finanziare con risorse regionali, nazionali ed europee. Un accordo simile a quello definito per gli ammortizzatori sociali, ma che stavolta avrebbe effetti territoriali a vantaggio del Sud. E non sarebbe (solo) una maniera per riportare un po’ di equità nel Paese. Servirebbe alla crescita di tutti.
Fonte:

mercoledì 10 novembre 2010
Quadro sintetico del Servizio Sanitario Nazionale
Legenda:
(1) == SPESA PRO-CAPITE MEDIA ULTIMO DECENNIO (Euro 2000)

(2) == DIFFERENZA % RISPETTO ALLA MEDIA ITALIANA

(3) == TASSO DI CRESCITA MEDIO ANNUO

(4) == Indicatore sintetico di sperequazione infrastrutturale
ITALIA      
(1) ==         € 1.243
(2) ==         0%
(3) ==         3,70%
VALLE D'AOSTA         
(1) ==         € 1.451
(2) ==         16,73%
(3) ==         2,40%
TRENTINO ALTO ADIGE     
(1) ==         € 1.439
(2) ==         15,77%
(3) ==         3,10%
LIGURIA   
(1) ==         € 1.423
(2) ==         14,48%
(3) ==         2,40%
LAZIO       
(1) ==         € 1.395
(2) ==         12,23%
(3) ==         5,00%
MOLISE    
(1) ==         € 1.304
(2) ==         4,91%
(3) ==         5,20%
EMILIA ROMAGNA     
(1) ==         € 1.300
(2) ==         4,59%
(3) ==         2,30%
FRIULI VENEZIA GIULIA    
(1) ==         € 1.267
(2) ==         1,93%
(3) ==         2,50%
UMBRIA    
(1) ==         € 1.266
(2) ==         1,85%
(3) ==         3,10%
ABRUZZO 
(1) ==         € 1.265
(2) ==         1,77%
(3) ==         4,40%
TOSCANA 
(1) ==         € 1.253
(2) ==         0,80%
(3) ==         2,90%
PIEMONTE        
(1) ==         € 1.251
(2) ==         0,64%
(3) ==         4,00%
MARCHE   
(1) ==         € 1.235
(2) ==         -0,64%
(3) ==         3,20%
SARDEGNA        
(1) ==         € 1.234
(2) ==         -0,72%
(3) ==         4,00%
VENETO   
(1) ==         € 1.216
(2) ==         -2,17%
(3) ==         2,60%
CAMPANIA        
(1) ==         € 1.215
(2) ==         -2,25%
(3) ==         3,80%
LOMBARDIA      
(1) ==         € 1.207
(2) ==         -2,90%
(3) ==         3,30%
CALABRIA
(1) ==         € 1.158
(2) ==         -6,84%
(3) ==         3,50%
SICILIA     
(1) ==         € 1.155
(2) ==         -7,08%
(3) ==         6,40%
PUGLIA    
(1) ==         € 1.150
(2) ==         -7,48%
(3) ==         3,90%
BASILICATA      
(1) ==         € 1.126
(2) ==         -9,41%
(3) ==         4,40%
Nord
(1) ==         € 1.319
(2) ==         6,11%
Centro      
(1) ==         € 1.287
(2) ==         3,34%
Mezzogiorno     
(1) ==         € 1.201
(2) ==         -3,26%
        
ITALIA       100
Nord ovest        
(4) ==         116,4
Nord est   
(4) ==         119,7
Centro      
(4) ==         101,8
Mezzogiorno     
(4) ==         75,6

„…..la sperequazione infrastrutturale (sia tipologia di asset che loro qualità) incide sui rendimenti delle funzioni di produzione e sulla qualità degli output. Una endogenità che non va sottovalutata nella fissazione di standard di costo. Lo snodo delle infrastrutture è stato tra le ragioni dell’inapplicabilità del primo schema di finanziamento federalista, quello del D. Lgs. n. 56-2000. Infrastrutture insufficienti e vetuste possono generare sovracosti. Se gli standard non ne tengono conto e non sono realistici, sono a rischio di credibilità e di enforcement.“ (pag. 15 della Fonte citata sotto)
Fonte: Cerm, ALLA RICERCA DI BENCHMARK PER IL FEDERALISMO SANITARIO, SEMINARIO CNEL,  Roma, Gennaio 2010, su dati ISTAT.
elaborazione: grecanico

giovedì 11 novembre 2010
Lettura dei dati Inps sui trattamenti erogati nel 2010
di Daniele Cirioli - 11 Novembre 2010
su http://www.loccidentale.it
L’articolo completo e’ nella rubrica I polli di Trilussa.
Commento di grecanico.
Sintetizziamo – per quanto siamo capaci – il mirabile contributo alla scienza sociologica del Sig. Cirioli, tuorlo d’uovo e guru dell’analisi statistica. Egli ci spega:

“Se è vero, come è vero, che le pensioni hanno una diretta correlazione con l’attività lavorativa…”
Incipit di chi vuole mettere le mani avanti, con un immediato assioma, imposto al lettore, quasi ad esorcizzare la sua capacita’ di critica. Inoltre il contenuto dell’incipit e’ un falso ideologico; infatti l’INPS gestisce codeste erogazioni: gestioni previdenziali, gestione interventi dello stato, pensioni e assegni sociali, assegni vitalizi, pensioni CDCM ante 1989, pensionamenti anticipati, pensioni ostetriche ex enpao, pensioni invalidi civili (esclusa la spesa relativaall’indennita’ di accompagnamento), pensioni invalidi civili con maggiorazione sociale.

 “….i dati riassuntivi dell’Inps sul numero dei trattamenti erogati nei singoli territori possono fornire un’idea, sufficientemente attendibile, delle problematiche insistenti nelle singole regioni d’Italia.”
Si, ma dove sono questi dati riassuntivi? Il tizio non li palesa, il lettore non puo’ vederli. Coniugato all’incipit imposto, il lettore e’, da questo momento, passivizzato. Non puo’ controllare quanto il novello guru ciancia.

“Prendiamo, ad esempio, un raggruppamento di cinque regioni: Basilicata, Calabria, Campania, Puglia e Sicilia.”
Questa impostazione e’ sbagliata, la giusta e’ quella ISTAT, le interpretazioni su campioni territoriali di dimensione diversa, hanno l’alternativa della singola regione, provincia, comune, Stato. Punto.

“Nell’insieme, in questi territori, l’Inps sta erogando quest’anno una pensione diretta (il cui diritto, in altre parole, è direttamente derivante dall’attività lavorativa esercitata) a circa il 50% degli anziani; in tutt’Italia, la media è di circa il 60% (70% circa nel Nord). Se aggiungiamo le pensioni indirette (o di reversibilità, quelle di cui hanno diritto i familiari alla morte del pensionato diretto), la coperta dell’Inps raggiunge quasi il 72% degli anziani, contro quasi il 100% del nord Italia e dell’80% del centro Italia”.
Bravo ragazzo, il Cirieli, ha letto giusto, ma – proprio per questo, ragazzo caro - non ti dicono niente i numeri che hai appena mensionato? Magari una piccola e sfuggente mensione sulla grave sperequazione tra Nord e Mezzogiorno sui sacrosanti diritti acquisiti? Ed ancora, nessuno ti ha detto che si commentano i consolidati, non i dati in real-time?

“C’è poi il capitolo assistenza, con quei trattamenti (sempre pensioni sono) il cui diritto non deriva direttamente (pienamente e/o proporzionalmente) ad un’attività lavorativa esercitata.”
Ragazzo devi deciderti, prima dici una cosa e poi un’altra. Hai esordito con l’assioma “Se è vero, come è vero, che le pensioni hanno una diretta correlazione con l’attività lavorativa…” e qui: (sempre pensioni sono).

“Lo stesso raggruppamento di territori, in tal caso, registra un vero e proprio trionfo raddoppiando il risultato medio dell’intera nazione: l’Inps raggiunge il 12,3% degli anziani, contro il 6,9% del dato Italia. Infine, le cinque Regioni osservate assieme fanno bene anche sul tema invalidità: 15 cittadini su 100 fruiscono di un assegno mensile, contro i 12 in media nazionale. In altre parole, qui finiscono ben 36 pensioni d’invalidità ogni 100 erogate dall’Inps.”
Certo, i dati quantitativi sono questi. Pero’ c’e’ uno sbaglio intrinseco. Questi dati sarebbero accettabili se facessero riferimento ad erogazioni pensionistiche di eguale valore. Non e’ cosi’, l’ISTAT – dati consolidati del 2007 – ci dice quanto segue:

Prestazioni e contributi sociali degli enti di previdenza.
Impegni/Accertamenti- Anno 2007 (in milioni di euro)
nord
milioni di euro in Previdenza € 121.365
milioni di euro in Assistenza € 9.193
milioni di euro in Sanità € 73
Totale  milioni di euro in prestazioni € 130.631
milioni di euro in Contributi sociali € 117.258

centro
milioni di euro in Previdenza € 51.014
milioni di euro in Assistenza € 3.864
milioni di euro in Sanità € 31
Totale  milioni di euro in prestazioni € 54.909
milioni di euro in Contributi sociali € 45.523

mezzogiorno
milioni di euro in Previdenza € 67.673
milioni di euro in Assistenza € 5.126
milioni di euro in Sanità € 41
Totale  milioni di euro in prestazioni € 72.840
milioni di euro in Contributi sociali € 46.300

mezzogiorno/centro
(divario in milioni di euro)
milioni di euro in Previdenza € 16.659
milioni di euro in Assistenza € 1.262
milioni di euro in Sanità € 10
Totale  milioni di euro in prestazioni € 17.931
milioni di euro in Contributi sociali € 777

variazione %
mezzogiorno/centro
milioni di euro in Previdenza 32,7
milioni di euro in Assistenza 32,7
milioni di euro in Sanità 32,3
Totale  milioni di euro in prestazioni 32,7
milioni di euro in Contributi sociali 1,7

mezzogiorno/nord
(divario in milioni di euro)
milioni di euro in Previdenza -€ 53.692
milioni di euro in Assistenza -€ 4.067
milioni di euro in Sanità -€ 32
Totale  milioni di euro in prestazioni -€ 57.791
milioni di euro in Contributi sociali -€ 70.958

variazione %
mezzogiorno/nord
milioni di euro in Previdenza -44,2
milioni di euro in Assistenza -44,2
milioni di euro in Sanità -43,8
Totale  milioni di euro in prestazioni -44,2
milioni di euro in Contributi sociali -60,5

media del nord più il centro 
milioni di euro in Previdenza € 86.190
milioni di euro in Assistenza € 6.529
milioni di euro in Sanità € 52
Totale  milioni di euro in prestazioni € 92.770
milioni di euro in Contributi sociali € 81.391

mezzogiorno/media del nord più il centro
(divario in milioni di euro)
milioni di euro in Previdenza -€ 18.517
milioni di euro in Assistenza -€ 1.403
milioni di euro in Sanità -€ 11
Totale  milioni di euro in prestazioni -€ 19.930
milioni di euro in Contributi sociali -€ 35.091

variazione %
mezzogiorno/media del nord più il centro
milioni di euro in Previdenza -27,4
milioni di euro in Assistenza -27,4
milioni di euro in Sanità -26,8
Totale  milioni di euro in prestazioni -27,4
milioni di euro in Contributi sociali -75,8

Signore e Signori, benvenuti al Nord! Ed il Ciriello termina come meglio non poteva:
“Il dato si “corregge” leggermente se viene letto non in funzione geografica (cioè, con riferimento alle regioni), ma con riguardo alla popolazione residente. Infatti, in tal caso, il divario tra i dati resta ma si riduce: al Sud, ogni 100 abitanti, ci sono 15 invalidi che percepiscono un’indennità; in tutt’Italia se ne registrano 12.”
No comment. Gli piace scherzare.

venerdì 12 novembre 2010
Laureati del Sud, beffati senza saperlo
di Gianfranco Viesti - 11 Novembre 2010
Ecco una storia italiana. Che ci fa capire come vengono realizzate le politiche pubbliche nel nostro paese; che ci fa comprendere l’importanza delle politiche per il Sud per l’attuale Governo; che illustra anche le difficoltà dell’opinione pubblica a conoscere fatti anche di una certa rilevanza. Una storia che forse meriterebbe la prima pagina dei grandi quotidiani nazionali. Che, con tutta probabilità, a parti invertite, l’avrebbe avuta. Ecco la storia (con l’avvertenza che la questione è stata prima sollevata sul sito www.la voce.info, e poi da una interpellanza presentata da alcuni senatori fra cui Latorre e Bubbico, dal cui testo sono presi i dati seguenti). Con una norma delle legge finanziaria per il 2008 (legge 244/07, art.2, comma 556) si era disposto l’accertamento annuale di tutti i risparmi derivanti dalla revoca, per rinuncia o decadenza dal diritto delle imprese destinatarie, dei finanziamenti accordati in base alla legge 488 del 1992. La legge 488 finanziava gli investimenti delle imprese tanto nel Mezzogiorno, quanto – in misura minore – nelle altre aree del paese. Una volta concessi gli incentivi, però, non tutti gli investimenti venivano realizzati, per diversi motivi; innanzitutto perché molte imprese cambiavano idea. Era dunque opportuno comprendere quante risorse, già stanziate, erano invece ferme, e riutilizzabili per altri scopi. Per quali scopi dovevano essere riutilizzate quelle risorse? Era stabilito in un altro comma della stessa finanziaria: in primo luogo per un programma nazionale destinato ai giovani laureati residenti nel Meridione, finalizzato a favorire il loro inserimento lavorativo; ma anche: la riduzione del costo del lavoro per tecnici e ricercatori impiegati in nuove imprese innovatrici (le “star t up”) sempre del Sud, ed altri interventi nel Mezzogiorno.

GOVERNO PRODI - Che è successo? Il governo Prodi, prima di cadere, accerta le disponibilità per il 2008; una cifra imponente, 785 milioni di euro. Poi cade. Con il decreto legge 5, del febbraio 2009, il governo Berlusconi destina quelle risorse (in realtà una cifra ancora superiore, 933 milioni di euro). Sorpresa! Le risorse vengono destinate a copertura degli incentivi alla rottamazione degli autoveicoli. I giovani laureati e ricercatori del Mezzogiorno vengono così rottamati; le risorse destinate a loro finiscono agli incentivi all’in - dustria dell’auto (quelli che sono in realtà serviti solo a fare anticipare gli acquisti di auto finché erano in vigore, e a cui è seguito un crollo della domanda). Nel luglio 2009 (legge 99, art. 2) l’attuale Governo muta le finalità per cui dovevano essere riutilizzate quelle risorse, aggiungendo nuovi obiettivi. Alcuni molto generali: “valorizzazione dello stile e della produzione italiana”, incentivi ai distretti industriali”. Altri, molto interessanti e precisi: “il sistema produttivo delle armi di Brescia” e il “sistema dell’illuminazione del Veneto”. A questi ultimi vengono assegnati 2 milioni di euro ciascuno. Ai laureati e ai ricercatori del Sud, naturalmente niente. Dopo essere stati “rottamati”, vengono adesso “folgorati”: è evidente che l’obiettivo di sostenere i sistemi d’arma di Brescia e dell’illuminazione del Veneto è assai più importante. Poi con la Finanziaria per il 2010 (legge 191/09 art. 2 commi 237 e 238), 50 di quei milioni finiscono – in piana coerenza – nientedimeno che all’emittenza locale.

ATTO FINALE - Finito qui? Neanche per idea. Manca l’atto finale. Avviene il 4 maggio scorso. Che succede quel giorno? Il Ministro dello Sviluppo Economico Claudio Scajola si dimette, nel dubbio che – egli non sapendolo – qualcuno avesse pagato una quota dell’acquisto del suo appartamento. Ma prima di dimettersi, lo stesso giorno, emana un decreto ministeriale, evidentemente di grandissima importanza. Ma senza immediata pubblicità: della questione si ha notizia, perché il decreto viene pubblicato sulla Gazzetta Ufficiale, solo il 17 settembre seguente. Con questo decreto il Ministro accerta i risparmi per il 2010, pari a 152 milioni. Ma li destina anche. A chi? Finalmente ai laureati e ai ricercatori del Mezzogiorno? Domanda sciocca. La destinazione è la seguente: 50 milioni all’emittenza televisiva locale, 48 alla programmazione negoziata nel Centronord. Ancora, 2 milioni sia per l’illuminazione del Veneto sia per le armi di Brescia: obiettivi evidentemente strategici della politica industriale nazionale. Infine, ciliegina sulla torta, 50 milioni vanno all’industria bellica degli armamenti, rifinanziando (senza una legge, con atto amministrativo) una legge del 1993 senza risorse dal 2001. Dopo essere stati rottamati e folgorati, i giovani laureati e ricercatori meridionali sono definitivamente battuti, armi alla mano. Ma non è il caso di continuare nello scherzo. Sì, è successo questo: risorse per i laureati e i ricercatori del Sud sono finite un po’ dappertutto e anche all’industria bellica, per decisione autonoma con atto amministrativo di un Ministro che si stava dimettendo. Questa è l’Italia di oggi. Non sorprendiamoci se, quando i nostri ragazzi se ne accorgeranno (se riusciranno a saperlo) si arrabbieranno. E molto.
Fonte:

venerdì 12 novembre 2010
BANKITALIA: DEBITO RECORD A 1844,817 MLD
Nuovo record del debito delle pubbliche amministrazioni.
A settembre ha raggiunto quopta 1.844,817 miliardi di euro. Lo rileva il bollettino sulla finanza pubblica di Bankitalia. Il debito, ad agosto era di 1.842,984 miliardi di euro, mentre a settembre del 2009 era pari a 1.789,806 miliardi.
Fonte:
http://www.televideo.rai.it/televideo/pub/view.jsp?id=731140&p=130

Crescita in frenata: nel terzo trimestre Pil +0,2%. Nuovo record per il debito
Roma, 12 nov. - (Adnkronos) - Nel terzo trimestre del 2010 il pil e' aumentato dello 0,2 per cento rispetto al trimestre precedente e dell'1,0 per cento rispetto al terzo trimestre del 2009. Lo rileva l'Istat sottolineando che l'aumento congiunturale del Pil e' il risultato di un aumento del valore aggiunto dell'industria e dei servizi e di una diminuzione del valore aggiunto dell'agricoltura. Il terzo trimestre del 2010 ha avuto tre giornate lavorative in piu' rispetto al trimestre precedente e lo stesso numero di giornate lavorative rispetto al terzo trimestre 2009. La crescita acquisita per il 2010 e' pari a 1,0 per cento.
Nel terzo trimestre il Pil e' aumentato in termini congiunturali dello 0,8 per cento nel Regno Unito e dello 0,5 per cento negli Stati Uniti. In termini tendenziali, il Pil e' aumentato del 3,1 per cento negli Stati Uniti e del 2,8 per cento nel Regno Unito.
Intanto Bankitalia segnala un nuovo record per il debito pubblico italiano. A settembre, secondo quanto emerge dal supplemento al bollettino statistico della Banca d'Italia, si attesta a 1.844,817 mld. Ad agosto si fermava a 1.842,984 mld.
Calano invece le entrate tributarie nei primi 9 mesi dell'anno, che secondo la Banca d'Italia si attestano a 266,077 mld con una diminuzione dell'1,8% rispetto allo stesso periodo del 2009. A settembre si attestano a 21,8 mld. Il dato si confronta con i 33,9 mld di agosto ma registra un incremento rispetto allo stesso mese del 2009, quando erano pari a 20,1 mld.
Fonte:

venerdì 12 novembre 2010
Debito delle Amministrazioni locali 2008 e 2009, analisi per aree geografiche
elaborazione dati: grecanico
Tavola 8 (TCCE0275)
Finanza pubblica, fabbisogno e debito
 (milioni di euro)

Anno 2008
Nord ovest
29.208
Nord est
16.426
Totale Nord:
45.634
Centro:
29.016
Sud
23.679
Isole
8.749
Totale Mezzogiorno:
32.428
Totale Debito Amministrazioni locali, 2008
107.079
==========
Anno 2009
Nord ovest
30.297
Nord est
16.482
Totale Nord:
46.779
Centro:
30.117
Sud
25.449
Isole
8.708
Totale Mezzogiorno:
34.157
Totale Debito Amministrazioni locali, 2009
111.051

Fonte:
Banca d'Italia – Eurosistema
Supplementi al Bollettino statistico
Indicatori monetari e finanziari
Finanza pubblica, fabbisogno e debito
Nuova serie, anno XX – 12 Novembre 2010
Numero 60

sabato 13 novembre 2010
L'Italia perde quota in attrattività. Sempre ai massimi per il cibo e la cultura, frena il turismo
di Marika Gervasio
13 novembre 2010
Il brand Italia perde appeal a livello globale ed esce dalla top ten della classifica del Country Brand Index 2010, lo studio sull'immagine dei principali paesi del mondo condotta da FutureBrand in collaborazione con Bbc World news. Scende infatti al dodicesimo posto dal sesto dell'anno scorso cedendo terreno a paesi come la Svizzera (quinta, l'anno scorso non era tra le prime dieci), Giappone (sesto, l'anno scorso era settimo), Finlandia (ottava), Gran Bretagna (nona, perde una posizione rispetto al 2009) e Svezia (decima). Al primo posto si classifica il Canada, seguito da Australia, Nuova Zelanda e Stati Uniti che perdono lo scettro.
Il nostro paese mantiene però la leadership nella classifica dei 25 migliori paesi per il patrimonio artistico e culturale avendo ottenuto ottimi piazzamenti nei parametri di valutazione della categoria: prima per arte e cultura davanti alla Francia; seconda, alle spalle di Israele, per il ruolo nella storia.
Si posiziona, però, al quindicesimo posto nella classifica dei 25 migliori paesi per il turismo dietro Spagna (dodicesima), Francia (tredicesima) e Austria (quattordicesima) tra le destinazioni Europee, e superata da Mauritius (al primo posto seguita da Australia, Nuova Zelanda, Canada, ma anche Giappone e Stati Uniti tra le mete più lontane.

Un primato però nei parametri di valutazione della categoria turismo l'Italia lo guadagna: quello del cibo (l'anno scorso era seconda), seguita da Giappone e Francia; mentre è terza (nel 2009 era settima), dopo Stati Uniti e Francia per lo shopping; settima per la vita notturna (da sedicesima l'anno scorso) con gli Usa primi; ottava (dal 48° posto del 2009) per bellezza e cura delle spiagge (qui il primato spetta all'Australia).
Non appare, però, come l'anno scorso, nella top ten dei parametri rapporto qualità-prezzo resort e offerta alberghiera, due segmenti fondamentali per un paese, come il nostro, a forte vocazione turistica, che sta cercando di guadagnare le quote di mercato cedute ai competitor.
«La classifica del Country Brand Index – spiega Susanna Bellandi, amministratore delegato di FutureBrand Italia e Francia – riconferma la nostra forza in storia, arte e cultura, ma anche food e shopping anche se nel turismo non eccelle per il rapporto tra prezzo e qualità, ma anche la Francia, che solitamente ha un buon rapporto, è andata male. Questo è attribuibile, oltre che a motivi interni, forse anche al fatto che sta aumentando la concorrenza di altri paesi che stanno migliorando la loro offerta. Bisognerebbe continuare a investire sugli asset nei quali siamo più forti, arte e cultura, perché l'attenzione da parte della gente c'è».
I paesi primi nella classifica generale, fa notare l'amministratore delegato, hanno stabilità politica e un'immagine di posti in cui si vive bene. «L'Italia – si legge nello studio – nonostante gli sforzi compiuti e le iniziative per presentarsi internamente ed esternamente quale destinazione turistica ricca di arte, cultura, bellezze naturali, paga lo scotto della continua litigiosità, degli scandali e, naturalmente, delle difficoltà della crisi globale».
L'instabilità del governo, ma anche fatti di cronaca come i rifiuti in Campania, alluvioni, terremoti e scandali di vario genere, secondo Bellandi «hanno offuscato la filosofia tutta italiana della "dolce vita". Infatti abbiamo perso, come marchio-paese, anche nella qualità di vita percepita dal di fuori e dalla facilità di fare affari nel nostro paese. Tutto questo dipende dai valori che comunichiamo come la trasparenza e la correttezza per il business. Quando sia parla di buon cibo, shopping e spiagge bisogna capire che è necessario tenere alta la qualità e le industria italiane, dall'alimentare alla moda, possono contribuire in maniera importante».
Fonte:

sabato 13 novembre 2010
Cgil: sfondato il tetto di un miliardo di ore di cassa integrazione
Incremento del +44,2% rispetto al 2009
13 novembre, 11:41
ROMA - Sfondato il tetto di un miliardo di ore di cassa integrazione. Ad ottobre, infatti, secondo quanto riferisce la Cgil, le ore di Cig autorizzate dall'Inps da inizio anno sono state 1.026.479.655, mettendo a segno un incremento del +44,2% rispetto al 2009 quando le ore erano 712.008.425.
Nel dettaglio del rapporto della Cgil si segnala il calo significativo della Cassa integrazione ordinaria, a ottobre -8,4% sul mese precedente per un monte ore pari a 23.852.446, mentre da inizio anno sullo stesso periodo del 2009 la flessione è del 36,9% pari a 299.550.331 ore.
La Cigo ha rallentato la discesa e per ora si va stabilizzando sugli ultimi valori fatti registrare ma, secondo la Cgil, "non si intravede una ripresa produttiva tale da muovere positivamente l'occupazione nei settori produttivi". Nella maggioranza dei settori c'é infatti una riduzione delle ore di Cigo ma in quello alimentare, nell'edilizia, nell'energia e nei servizi si registra la tendenza ad un nuovo aumento.
Per quanto riguarda la Cassa integrazione straordinaria si registra un calo a ottobre sul mese di settembre del 5,1% con 42.579.361 ore di Cigs mentre da inizio anno l'aumento è consistente: +159,61% sul 2009 per un volume di 406.688.066 ore. I settori con incrementi maggiori sono: il metallurgico +518,4%, il legno +300,3%, il meccanico +279,2%, l'edilizia +175,5%, carta e poligrafiche +154,7% e il commercio +85,1%. Continua il trend di aziende che progressivamente passano dalla Cigo alla Cigs e si acuisce il pericolo sulle prospettive occupazionali: "Si stanno determinando - segnala la Cgil - nuove condizioni produttive nelle aziende che tendono a stabilizzarsi su una minore occupazione, soprattutto nella continua assenza di una ripresa dei consumi".
Per la Cassa integrazione in deroga i settori con il maggiore ricorso continuano ad essere i quelli che non rientrano nella normativa attuale della Cigs. Tra i settori con più occupazione c'è l'edilizia che resta quello con l'aumento più consistente, da inizio anno, pari a +1.150,4% sul 2009. Segue il settore chimico +471,9%, il legno +675,7%, il commercio +369,5%, carta e poligrafiche +325,1% e la piccola industria meccanica +264,38% che ha il volume più alto con 98.076.416 ore. Le regioni maggiormente esposte con la Cigd restano la Lombardia con 78.147.195 ore da inizio anno (+202% sul 2009) e l'Emilia Romagna con 45.772.191 ore (+1109,9%). "Si conferma l'aumento consistente - si legge nel rapporto - soprattutto nei settori direttamente produttivi, frutto di un allargamento ulteriore delle difficoltà del settore manifatturiero e del fatto che molti lavoratori, prima coperti dalla cassa ordinaria e straordinaria, stanno progressivamente ricorrendo alla cassa in deroga".
Fonte:

domenica 14 novembre 2010
Il raglio dell’asino.
Commento di grecanico all’articolo “Alle origini del vittimismo meridionale“ di Luca Ricolfi. Articolo riportato interamente nella rubrica Valeriana@Morfina.
Devo delle scuse. Agli asini. Anche a quelli che Dio ha chiamato a Sé. Mi piace immaginare chieda ad ognuno di loro quanti varricchi (barrique, per gli intellettuali) ha trasportato nella vita, e quanti bambini ha reso felici, con gli occhi tondi tondi e luccicanti. E spero che il Buon Dio abbia cura anche della mia asina fulva, della Murgia - comprata da mio nonno per la famiglia: occhi grandi grandi, tondi tondi e buoni, ed il garrese alto. Mia madre me la contendeva, volevamo ambedue andarci in giro, tanto e con piacere: alla vigna, alla masseria ed anche per il paese, chi se ne frega.
Ho generalizzato, è una colpa: ma c'e' asino ed asino. Infatti, quello clonato da Panorama è un imbroglioncello. E mi riferirò a lui, solo a lui. E che Dio salvi tutti gli asini come me.
Credo debba spiegare.
Il Sig. Luca Ricolfi, cognome di chiara origine ligure-piemontese, scrive nel Suo memorabile articolo “Alle origini del vittimismo meridionale”: “Il Sud ha sempre amato dipingersi come vittima dei soprusi e delle spoliazioni perpetrate dal Nord. Questo abito mentale, che per lunghi anni ha portato le popolazioni del Mezzogiorno e le loro classi dirigenti a cercare al di fuori di sé le origini dei propri mali, fortunatamente sta lentamente scemando.” Esimio asino ligure-piemontese, che i miei antenati fossero dei piagnucoloni, lo ammetto, vengo a saperlo solo ora, da Lei. Fino ad oggi non me ne ero accorto, forse perché anch’io sono antropologicamente lamentoso. Ma se Lei fosse uomo, dovrebbe dirlo in faccia ad uno di quelli che Lei sottintende vittime del lamentoso vittimismo. Mio padre, mio nonno, il mio bisnonno ed i miei trisavoli mi hanno incaricato di rappresentarli al Suo cospetto. Attendo la Sua convocazione. Trepido, sarà un vero piacere. Asino ligure-piemontese, le Sue sono querule apodittiche, superficiali e, per di più, Lei digiuna di conoscenza storica, minima ed adeguata per scrivere. Asino ligure-piemontese, a questo mirabile ed offensivo incipit, Lei aggiunge: “Finché la torta da suddividere era abbastanza ricca, era naturale chiederne una fetta sempre più grande. Ma ora che la torta non cresce più, e anzi accenna a diminuire, ci rendiamo conto tutti, al Nord come al Sud, che le risorse vanno usate con più discernimento, e che certi sprechi del passato non possiamo più permetterceli.” Una cosa è certa: gli asini liguro-piemontesi sono, per meriti riconosciuti da Panorama, anche asini clowns. La torta, come dice Lei - utilizzando un’analogia frequente nelle aule delle scuole elementari lombardo-piemontesi – se la sono strafogata quelli delle Sue parti. A noi - tranne me - è spettato faticare, sudare, nelle terre e nei capannoni, al nord come all’estero, per un piatto di lenticchie ed un’interminabile sequela di ingiurie e maledizioni. E di debiti. E quelli che hanno avuto la fortuna di un posto fisso nel Mezzogiorno non hanno potuto progettare alcun miglioramento per i loro figli; solo il dovere di consumare l’importato a forza dal nord; comprese le notizie della televisione. Fabbricate dagli asini come Lei. Ma imperterrito, proprio perché asino, Lei prosegue: “Anche nel Mezzogiorno molti amministratori locali stanno facendo autocritica, e qualcuno ha persino incominciato a invertire la rotta, cercando di spendere meno e meglio. Insomma il vittimismo del Sud è in ribasso, se non altro perché per troppo tempo è stato usato come arma di ricatto morale nei confronti dello Stato centrale e sono ormai ben pochi gli italiani, anche al Sud, disposti a credere che i mali del Mezzogiorno siano imputabili al resto del Paese.”  Ma dico, non si vergogna? Dai! almeno un po’, si vergogni. Faccia uno sforzo, mi aiuti. Perché di Lei, asino ligure-piemontese, io – a questo punto – vorrei disinteressarmi. Troppo, troppo asino, ligure-piemontese. Che faccio?, mi metto ad analizzare ogni sua parola? Troppa grazia, direbbe mia madre. Quindi la faccio breve: partecipi ad un concorso per meteorologo, in padania. Sì, meteorologo padano, mi sembra giusto, e non rompa più i coglioni sugli amministratori, non suoi. La prego caldamente di capire. Loro hanno tappato, con i miseri fondi discrezionali i crateri lasciati scoperti dalla Repubblica Italiana: lavori pubblici, assistenza all’infanzia, disoccupazione, sopravvivenza per evitar l’emigrazione. Asino, s’interessi della Liguria e del Piemonte, o devo impegnarmi a spalar il letame colà sotterrato? Ce n’e’ tanto dalle Vostre parti; tanto che si mischia a quello che proviene dal lontano Friuli Venezia Giulia. Aria che stagna in val Padana. Capiamoci.
Ma il nostro asino panorama e’ in vena di esagerare: “In questa situazione, tuttavia, c’è un rischio. Ed è che anni e anni di vittimismo, di abuso della generosità collettiva, finiscano per squalificare tutte le rivendicazioni del Sud, anche quelle giuste. Già, perché è vero che su quasi tutti i punti del contenzioso Nord-Sud (evasione fiscale, sprechi, spesa per servizi e sussidi) è il Nord ad avere ragioni da vendere, ma ve n’è almeno uno, un punto importante, su cui a mio parere è il Sud ad avere sostanzialmente ragione. Questo punto è quello delle infrastrutture e degli investimenti pubblici.”
Ehi! Asino ligure-piemontese. Non crede di essersi allargato fin troppo? Noi avremmo un solo punto importante sul quale abbiamo ragione? Ma Lei, asino ligure-piemontese, vuole infinocchiarci, per l’ennesima volta? Non abbiamo bisogno delle infrastrutture e degli investimenti pubblici così come li intendete voi, dalle vostre parti. Lo conosciamo il meccanismo finanziario sovrastante: soldi del Mezzogiorno concessi, in nome dell’Italia e per motivazioni d’emergenza costruite ad arte, alle engineering del nord, che appaltano ai contractors del nord, che sub-appaltano alle grandi imprese del nord. E tutti che incamerano gran parte della torta – come direbbe un asino – concedendo i lavori esecutivi alle ditte del Mezzogiorno, a condizioni marginali e strozzine. Ed i guai in esclusiva alle ditte che sgobbano nel cantiere. Teneteveli gli investimenti italiani, e non rubate i soldi stanziati dalla U.E. per il Mezzogiorno. Investimenti ed infrastrutture, ad ognuno il suo.
 “Le regioni del Mezzogiorno (non tutte, comunque, e non solo esse: vedi le spese pazze delle regioni a statuto speciale del Nord) assorbono indubbiamente troppa spesa pubblica corrente discrezionale (grafico), ossia quella che serve a pagare servizi e sussidi, ma da diversi anni sono gravemente penalizzate sulla spesa in conto capitale, quella che serve a finanziare gli investimenti.
Ma quando la umetterà di ragliare? Bene asino, questo passaggio e’ una cazzata pericolosissima, un falso ideologico, uno spudorato tentativo di influenzare l’opinione pubblica con il vuoto pneumatico. Ed e’ il passaggio del Suo magnifico articolo che mi ha indotto a scrivere questa fetenzia di pezzo. Si da' il caso che nella Repubblica Italiana ogni sindaco, presidente di provincia, regione e chissà quanti altri, hanno un budget discrezionale da spendere per motivazioni che vengono successivamente processate dalla Corte dei Conti. Tutti sono giudicati, meno il Governo di Roma. Bene, vediamo quindi quali sono stati i provvedimenti del Governo italiano in termini di servizi e sussidi:
Fonte: Compendio Statistico Italiano 2009, SISTEMA STATISTICO NAZIONALE ISTITUTO NAZIONALE DI STATISTICA, ISTAT. Stampato nel mese di luglio 2010 per conto dell’Istat presso RTI Poligrafica Ruggiero Srl - A.C.M. SpA., Zona industriale Pianodardine – Avellino. Si autorizza la riproduzione a fini non commerciali e con citazione della fonte.
Note:
1. Si specificano le ripartizioni geografiche ISTAT dell’Italia. Nord: Piemonte, Valle d’Aosta, Lombardia, Liguria,Trentino-Alto Adige, Veneto, Friuli-Venezia Giulia, Emilia-Romagna. Centro: Toscana, Umbria, Marche, Lazio. Mezzogiorno: Abruzzo, Molise, Campania, Puglia, Basilicata, Calabria, Sicilia, Sardegna.
2. Elaborazione ed analisi a cura di grecanico.

Tavola 3.9; Prestazioni e contributi sociali degli enti di previdenza. 
Impegni/Accertamenti- Anno 2007 (in milioni di euro)  
nord
milioni di euro in Previdenza € 121.365
milioni di euro in Assistenza € 9.193
milioni di euro in Sanità € 73
Totale  milioni di euro in prestazioni € 130.631
milioni di euro in Contributi sociali € 117.258
centro
milioni di euro in Previdenza € 51.014
milioni di euro in Assistenza € 3.864
milioni di euro in Sanità € 31
Totale  milioni di euro in prestazioni € 54.909
milioni di euro in Contributi sociali € 45.523
mezzogiorno
milioni di euro in Previdenza € 67.673
milioni di euro in Assistenza € 5.126
milioni di euro in Sanità € 41
Totale  milioni di euro in prestazioni € 72.840
milioni di euro in Contributi sociali € 46.300
mezzogiorno/centro (divario in milioni di euro)
milioni di euro in Previdenza € 16.659
milioni di euro in Assistenza € 1.262
milioni di euro in Sanità € 10
Totale  milioni di euro in prestazioni € 17.931
milioni di euro in Contributi sociali € 777
variazione % mezzogiorno/centro
milioni di euro in Previdenza 32,7
milioni di euro in Assistenza 32,7
milioni di euro in Sanità 32,3
Totale  milioni di euro in prestazioni 32,7
milioni di euro in Contributi sociali 1,7
mezzogiorno/nord (divario in milioni di euro)
milioni di euro in Previdenza -€ 53.692
milioni di euro in Assistenza -€ 4.067
milioni di euro in Sanità -€ 32
Totale  milioni di euro in prestazioni -€ 57.791
milioni di euro in Contributi sociali -€ 70.958
variazione % mezzogiorno/nord
milioni di euro in Previdenza -44,2
milioni di euro in Assistenza -44,2
milioni di euro in Sanità -43,8
Totale  milioni di euro in prestazioni -44,2
milioni di euro in Contributi sociali -60,5
media del nord più il centro
milioni di euro in Previdenza € 86.190
milioni di euro in Assistenza € 6.529
milioni di euro in Sanità € 52
Totale  milioni di euro in prestazioni € 92.770
milioni di euro in Contributi sociali € 81.391
mezzogiorno/media del nord più il centro (divario in milioni di euro)
milioni di euro in Previdenza -€ 18.517
milioni di euro in Assistenza -€ 1.403
milioni di euro in Sanità -€ 11
Totale  milioni di euro in prestazioni -€ 19.930
milioni di euro in Contributi sociali -€ 35.091
variazione % mezzogiorno/media del nord più il centro
milioni di euro in Previdenza -27,4
milioni di euro in Assistenza -27,4
milioni di euro in Sanità -26,8
Totale  milioni di euro in prestazioni -27,4
milioni di euro in Contributi sociali -75,8
Questi sono dati consolidati, inoppugnabili. Asino. E dai numeri emerge chiaramente, e’ palese, la politica discriminatoria, colonialista, del Governo italiano nei confronti del Mezzogiorno. Contributi sociali? Il nord e’ assistito, punto. Il Mezzogiorno no. Asino.
“Consideriamo gli ultimi due anni per cui si hanno dati territoriali, ossia il 2007 e il 2008. Fatta 100 la spesa pubblica corrente discrezionale (per servizi e sussidi) a disposizione del cittadino del Nord, quella del cittadino del Sud è 106. A fronte di questo vantaggio sul versante della spesa corrente, tuttavia, il medesimo cittadino del Sud è alquanto penalizzato in conto capitale: fatta 100 la spesa pubblica pro capite del Nord quella del Sud è solo 87. Un divario che significa meno strade, meno collegamenti, meno impianti per il trattamento dei rifiuti, scuole e ospedali non degni di un paese civile.
Si può molto discutere su chi, lo Stato o le regioni, dovrebbe mettere mano a questo genere di investimenti, ma vi sono pochi dubbi che almeno su questo sia il Mezzogiorno a essere in credito con il resto del Paese.   
Dati per grafico
Nord Sud
Spesa corrente discrezionale    100    106
Spesa in conto capitale    100    87”
Spesa pubblica pro capite (media 2007-08, Nord = 100)
Elaborazioni su dati Istat e CPT (Ministero dello sviluppo economico)”
Ma questo lo pagano a righe? Piu’ scrive stronzate, e piu’ e’ pagato? Proprio un asino, razza Panorama. Niente da fare. Non si limita: deborda, in cazzate spudorate. Va be’; dunque, spudorato asino ligure-piemontese:
1. Citare le fonti in senso generico e’ come se io dicessi a tutto il mondo che Dio mi ha detto che Lei e’ un genio dell’analisi sociologica. Roba che fa ridere i nesci, Lei converra’. Se invece io mostrassi a tutto il mondo il telegramma speditomi dal Buon Dio, e’ diverso, capisce asino? In altri termini, dove sono i dati primari, ISTAT e CPT, che ha elaborato per produrre l’indice?
2. Te la sei voluta, asino:
Debito delle Amministrazioni locali 2008 e 2009,
analisi per aree geografiche
Fonte: Banca d'Italia – Eurosistema,
Supplementi al Bollettino statistico, 
Indicatori monetari e finanziari, 
Finanza pubblica, fabbisogno e debito. Nuova serie,
anno XX – 12 Novembre 2010
Numero 60.
Elaborazione dati: grecanico

Tavola 8 (TCCE0275)
Finanza pubblica, fabbisogno e debito 
(milioni di euro)
Anno 2008
Nord ovest
29.208
Nord est
16.426
Totale Nord:
45.634
Centro:
29.016
Sud
23.679
Isole
8.749
Totale Mezzogiorno:
32.428
Totale Debito Amministrazioni locali, 2008
107.079
==========
Anno 2009
Nord ovest
30.297
Nord est
16.482
Totale Nord:
46.779
Centro:
30.117
Sud
25.449
Isole
8.708
Totale Mezzogiorno:
34.157
Totale Debito Amministrazioni locali, 2009
111.051
Ora, anche un asino capisce quello che
Banca d’Italia certifica nei dati sopra riportati.
Non si vergogna delle puttante che ha scritto?
Asino ligure-piemontese.
3. “Spesa pubblica corrente discrezionale” . E qui siamo al neologismo. Perche’ io non capisco da dove l’asino ha tirato fuori questa definizione. Forse e’ una modernizzazione intellettualoide della vecchia “spese impreviste”. Comunque sia, i dati sopra certificati da ISTAT e Banca d’Italia (non ho riportato quelli della Ragioneria di Stato perche’ ho voglia di andare al mare, subito) sono chiari, incontestabili. Persino ad un’asino ligure-piemontese. Ciao.

lunedì 15 novembre 2010
Piano per il Sud una strategia sempre in ritardo
15 novembre 2010 - trigilia@unifi.it
Ironia della sorte: il Piano Sud dovrebbe approdare al Consiglio dei ministri questa settimana, in piena crisi politica. È difficile dire se arriverà davvero al traguardo, ma certo la responsabilità dell'ennesimo rinvio non si potrebbe attribuire solo alla crisi. È da oltre un anno, infatti, che Silvio Berlusconi ha promesso un "nuovo" e decisivo Piano per il Sud. Difficile dire perché finora non sia accaduto nulla, ma è innegabile che il problema dello sviluppo delle regioni meridionali non sia stato una priorità.
Alcuni esponenti della maggioranza - non solo della Lega - hanno fatto intendere che di fronte all'inefficienza di regioni e governi locali del Sud è meglio non alimentare dei flussi di spesa che rischiano di generare effetti perversi, favorendo anche corruzione e criminalità. Che ci siano seri problemi nell'utilizzo di risorse pubbliche a fini di sviluppo nel Mezzogiorno è indubitabile. Che ci siano responsabilità gravi delle classi dirigenti meridionali è altrettanto chiaro.
Ma non ci si può però fermare qui. Occorre riconoscere le responsabilità non minori dei governi centrali. Nel passato, il centro ha distribuito risorse senza preoccuparsi di valutare l'efficacia della loro allocazione. In pratica, ha a lungo funzionato uno scambio tra centro e periferia: risorse senza controlli e vincoli dati ai governi del Sud, in cambio di consenso per le maggioranze di governo (si pensi, di recente, alle elargizioni graziosamente concesse ad alcuni Comuni "amici" in difficoltà).
La responsabilità principale dell'attuale governo va però cercata in un altro aspetto. Limitarsi a restringere i flussi di spesa verso il Sud, anche in concomitanza con l'aggravio dei problemi di finanza pubblica, finisce per essere una strategia miope, che indebolisce non solo le chance di sviluppo del Sud, ma le prospettive complessive del Paese. Difficilmente l'Italia potrà uscire dalle difficoltà in cui versa senza un allargamento complessivo della base produttiva, una crescita di efficienza delle istituzioni, una riqualificazione dei territori. Restare fermi per non fare peggio porta in realtà a stare comunque sempre peggio; e penalizza seriamente anche il Nord, non solo perché si restringe la domanda complessiva di consumi e di investimenti, ma perché diventa ancora più oneroso il mantenimento di alcune prestazioni in termini di diritti sociali (istruzione, sanità, assistenza) per tutti i cittadini italiani.
In definitiva, la responsabilità maggiore della politica è di aver perso il filo di una politica di sviluppo per tutto il Paese, di cui il Mezzogiorno è componente essenziale.
Arriverà al traguardo il Piano Sud? C'è da augurarselo, sapendo però che il nodo cruciale non è l'ennesima rimodulazione contabile e la promessa di una riapertura dei rubinetti di spesa. Né l'impegno, pure positivo, a concentrare le risorse su obiettivi strategici come infrastrutture, sicurezza, ricerca e innovazione. La sfida è mettere in cantiere nuovi strumenti capaci di trasformare risorse e obiettivi in risultati efficaci in tempi ragionevoli. È sul terreno di una strategia di sviluppo credibile che ci sarebbe bisogno di un'innovazione forte. Diversamente, tutto diventerà ancora più difficile, non solo per il Sud, ma per tutto il Paese.
Fonte:

lunedì 15 novembre 2010
Figli disoccupati e padri impiegati
Il welfare dei giovani è la famiglia
Studio della Banca d'Italia: "C'è una rete di protezione differenziata a seconda del livello dei genitori". La debolezza del nucleo familiare come unico ammortizzatore sociale: "Quanto a lungo potrà attutire gli shock negativi?"
di MARCO PATUCCHI - (15 novembre 2010)
ROMA - Dove hanno fallito governi, parlamenti e summit internazionali, ha potuto la famiglia. L'unico, vero ammortizzatore sociale che ha difeso come uno scudo gli italiani dai colpi della crisi economica globale. Soprattutto sul fronte del lavoro, come certifica uno studio della Banca d'Italia che, dati alla mano, fotografa un modello sociale efficace ma nello stesso tempo ricco di controindicazioni. "Quanto a lungo la famiglia avrà la capacità di attutire gli shock negativi? - si chiede l'istituto centrale - In secondo luogo, è equo questo modello sociale? Affidare alla famiglia un ruolo vicario rispetto alle politiche pubbliche significa ammettere che vi è una rete di protezione differenziata a seconda della famiglia d'origine". E poi quella ipoteca sul futuro del nostro Paese che fa della famiglia una sorta di gabbia, di freno generazionale: "La maggior dipendenza dalla famiglia d'origine limita la capacità dei giovani di proseguire progetti di vita autonomi, la loro partecipazione economia e sociale, la loro propensione ad abbandonare la condizione di "figlio" e assumere il ruolo di genitore. Questi sono costi per i singoli e per la collettività che nessuno ha ammortizzato". Insomma, l'ennesima constatazione che questo non è un paese per giovani e che, di fronte alla crisi, sono i padri ad aiutare i figli.
La ricerca dell'ufficio studi di Bankitalia calcola il cosiddetto jobless households rate, vale a dire la quota di
famiglie nelle quali tutti i componenti sono senza lavoro, rispetto al totale delle famiglie. "Dai nostri risultati emerge che in Italia la quota di jobless households è più contenuta rispetto agli altri principali paesi europei. Ciò dipende dalla minore presenza di famiglie con un solo componente in età di lavoro (la tipologia a maggior rischio non-occupazione) e potrebbe segnalare una più accentuata tendenza degli italiani a vivere in famiglie "allargate" (con più adulti oltre al capofamiglia e al coniuge) e a costruire un nucleo familiare solo se occupati". Nel 2009 le jobless households erano oltre 2,5 milioni, circa il 15% della popolazione di riferimento e i minori che vivevano in tali famiglie erano oltre 750mila. Per effetto della crisi, il numero dei nuclei completamente privi di lavoro è cresciuto di quasi il 10% rispetto all'anno precedente con un aumento dell'incidenza sulla popolazione di riferimento di oltre mezzo punto percentuale. All'aumento del numero di jobless households si è affiancato quello delle famiglie con un solo adulto occupato (+2,2%), mentre si è ridotto il numero di quelle con almeno due adulti occupati (-3,3%). "Questi risultati - spiega Bankitalia - indicano che gli effetti della crisi sul mercato del lavoro sono stati parzialmente ammortizzati dalla famiglia".
In tale contesto, inoltre, si ribadisce il fenomeno tristemente inedito di un Paese dove i figli non possono guardare a prospettive socio-economiche migliori rispetto a quelle dei genitori: tra il 2008 e il 2009 il tasso di occupazione della popolazione tra i 15 e i 64 anni è calato di 1,2 punti percentuali e questa flessione è ascrivibile ai figli per 0,9 punti e ai capifamiglia per solo 0,3. "In altri termini, nonostante i figli rappresentino circa un quinto del totale degli occupati, hanno contribuito per quasi il 70% alla variazione negativa del tasso di occupazione complessivo". Secondo Bankitalia, dunque, la crisi ha colpito prevalentemente i giovani che vivono in famiglia, "mentre l'occupazione dei capofamiglia ha mostrato segnali di maggiore tenuta. Tali risultati riflettono non solo la maggiore incidenza dei contratti di tipo precario tra i giovani, ma anche un sistema di protezione del lavoro che favorisce chi ha contratti di lavoro più stabile, prevalentemente del settore industriale, e che di fatto risulta fortemente segmentato su base generazionale".

E infine due tendenze che rappresentano ormai la cifra del nostro Paese: i ritardi del Sud e la diffusione del precariato. Nel Mezzogiorno l'indicatore delle famiglie a zero lavoro è superiore di dieci punti percentuali rispetto al Centro Nord: "Ciò riflette anche le diverse strutture familiari tra le due aree. Nelle regioni meridionali è, infatti, significativamente inferiore la quota di famiglie con almeno due occupati e, pertanto, è maggiore la probabilità di diventare una jobless household in conseguenza di uno shock negativo". E ancora: "La caduta dell'occupazione - sottolinea Bankitalia - ha riguardato prevalentemente i lavoratori atipici (contratti a termine e collaboratori) e si è manifestata soprattutto attraverso una contrazione delle assunzioni piuttosto che in un aumento dei licenziamenti. Di conseguenza, ne hanno risentito maggiormente i giovani che si sono affacciati sul mercato del lavoro in una situazione in cui la domanda è bruscamente crollata e quelli che erano occupati con contratti di lavoro atipici".
Fonte:

CARBURANTI: NUOVA RAFFICA DI RINCARI, AL SUD I PREZZI PIU' ALTI
12 novembre 2010
ROMA (ITALPRESS) – Nuova raffica di rincari sulla rete carburanti. Per la terza volta in una settimana Eni ha mosso i prezzi raccomandati, salendo da questa mattina di 1 centesimo su benzina e diesel. Stesso passo in avanti su entrambi i prodotti anche per Esso e Shell, mentre Tamoil ha ritoccato all’insu’ di 0,3 centesimi il solo gasolio. I rialzi non son stati ancora del tutto recepiti sul territorio, dove tuttavia i prezzi praticati si confermano in forte ascesa. Nel dettaglio, oggi la media nazionale per la verde (in modalita’ servito) va dall’1,408 euro/litro riscontrata nelle stazioni di servizio TotalErg all’1,419 euro/litro di quelle Tamoil (no-logo a 1,332 euro/litro), mentre per il diesel si passa dall’1,280 degli impianti Q8 all’1,288 euro/litro di quelli Tamoil (no-logo a 1,200 euro/litro). Il prezzo medio praticato del Gpl si posiziona tra 0,672 euro/litro dei punti vendita TotalErg e 0,683 euro/litro di quelle Q8 e Shell (0,650 euro/litro le no-logo). È quanto emerge dal monitoraggio di quotidianoenergia.it in un campione di stazioni di servizio rappresentativo della situazione nazionale per la rubrica Check-Up Prezzi QE. Accedendo al servizio sul sito di QE e’ possibile vedere lo spaccato dei prezzi medi praticati nelle macro aree Nord-Ovest, Nord-Est, Centro e Sud. Spaccato che vede una fuga in avanti dei prezzi al Sud. In questa area del Paese, infatti, la benzina ha gia’ toccato quota 1,43 euro/litro e arriva a superare gli 1,45 euro/litro se si considerano le punte massime. Quanto al diesel, nella stessa zona i prezzi infrangono la soglia di 1,3 euro/litro e, in alcuni casi, sfiorano gli 1,32 euro/litro. (ITALPRESS).
Fonte:

lunedì 15 novembre 2010
Migliaia di euro risparmiati: ecco i regali della finanziaria ai ricchi
15 novembre 2010 | 11:35
L’Italia come campione di risparmio per i cittadini più ricchi, a discapito di quelli meno benestanti, e a differenza di tutti gli altri Paesi europei e non solo. E’ quanto emerge da un articolo pubblicato da Repubblica il 14 novembre, che ricorda le misure varate dal governo Berlusconi nel solo ultimo anno che hanno favorito esclusivamente i più ricchi.
Maggio 2009: il quarto governo Berlusconi, appena insediatosi vara il decreto che abolisce del tutto l’Ici. Cancellata al 40 per cento dal governo Prodi per chi ha un reddito medio-basso, l’imposta sulla casa viene abolita anche a tutti gli altri dall’esecutivo Berlusconi.
Ottobre 2009: il parlamento approva il decreto sullo scudo fiscale: si pagherà solo il 5% delle attività detenute all’estero e tutto sarà regolarizzato. Niente imposte pregresse, niente sanzioni, niente interessi, e soprattutto pieno anonimato.

Primavera 2010: con la crisi dell’euro i Paesi Ue preparano feroci finanziarie tagliadeficit. Londra alza dal 40 al 50% l’aliquota massima,quella che si applica ai superbenestanti. Portogallo e Spagna prendono misure simili. Persino Sarkozy, accusato di favorire i ricchi, annuncia l’aumento della loro aliquota dal 40 al 41%. In Italia, invece, le tasse sulle rendite finanziarie restano ferme al 12,50%,

Agosto 2010: il governo approva uno dei decreti sul federalismo fiscale, introducendo la cedolare secca sugli affitti. In altre parole, chi dà in affitto una casa, invece di pagare l’aliquota Irpef, che per i redditi medio-alti arriva fino al 43%, pagherà solo il 20%. Quasi nullo, invece, il risparmio per chi ha redditi bassi: dal 23 al 20%”.

Grazie a queste quattro misure, gli italiani benestanti si sono ritrovati a risparmiare nell’ultimo anno migliaia di euro.
Fonte:

lunedì 15 novembre 2010
Conti pubblici: Eurostat conferma, debito Italia 116%, solo Grecia peggio
Bruxelles, 15 nov. (Adnkronos/Aki) - Nel 2009 il debito pubblico italiano è arrivato al 116%, mentre il deficit italiano ha raggiunto quota 5,3%. Sono i dati diffusi oggi da Eurostat, l'ufficio statistico dell'Unione europea, che riprendono quelli resi noti lo scorso 22 ottobre.
Per quanto riguarda il debito, l'Italia risulta essere così seconda solo alla Grecia (126,8%), mentre è seguita da Belgio (96,2%) e Ungheria (78,4%).

In particolare, il debito pubblico italiano ammonta per il 2009 a 1.763.559 milioni di euro, mentre il pil a 1.520.870. Nel 2008, invece, il debito, calcolato al 106,3% del pil, era pari a 1.666.461 milioni di euro con un pil di 1.567.851. Il deficit italiano, dunque, nel 2009 ha fatto segnare -763.559 milioni di euro (-5,3% del pil) rispetto ai -42.694 del 2008 (-2,7% del pil). Lo scorso anno la spesa pubblica è stata calcolata al 51,9% del pil e le entrate al 46,6%, contro rispettivamente il 48,8% e il 46,2% del 2008.

Per quanto riguarda i dati aggregati, nel 2009 il deficit è stato pari al 6,3% per i paesi dell'eurozona e al 6,8% per l'Ue a 27, mentre il debito è stato rispettivamente del 79,2% e del 74%. Rispetto al 2008, quindi, si è registrato un aumento sia di deficit che di debito e una diminuzione del prodotto interno lordo. Nell'eurozona il rapporto deficit/pil è aumentato in un anno dal 2,0% al 6,3%, e il debito dal 69,8% di fine 2008 al 79,2% di fine 2009. Nell'Ue a 27 stati membri, invece, nello stesso periodo il rapporto deficit-pil è passato dal 2,3% al 6,8% e il debito dal 61,8% al 74,0%.
Fonte:

lunedì 15 novembre 2010
Federalismo e energia. Il paradosso della Basilicata, che può diventare più ricca della Lombardia
Se passa il federalismo, la Basilicata può diventare più ricca della Lombardia. Poche righe e il paradosso lucano vi sarà chiarissimo.
di Fedora Quattrocchi - 15 novembre 2010 | 20:12
Articolo completo nella rubrica Indicibile@Potere.

martedì 16 novembre 2010
La nostra gioventù? disperata e senza lavoro
di PASQUALE DORIA - 15 Novembre 2010
Matera. Due faldoni panciuti e dentro altrettanto zeppe cartelle contengono una marea di domande di lavoro. Ne arrivano ogni giorno, in tutto, forse sono poco meno di un migliaio e solo una parte di questi disperati messaggi nella bottiglia occupano già l’intero piano della scrivania. Le mostra con la tristezza stampa sul volto Nunzio Olivieri, alla guida del centralissimo Hotel San Domenico, ma anche impegnato su molti altri fronti imprenditoriali.
L’invito a sfogliare i curriculum non ha nulla di curiosamente morboso e avviene nel suo ufficio, nella massima riservatezza, lontano da occhi indiscreti. Dentro quelle cartelle c’è la desolante storia di un giovane popolo d’invisibili a caccia di lavoro. Uno qualunque, purchè regolarmente retribuito. «Ecco come, mio malgrado - spiega Olivieri - vado registrando un lento, ma inesorabile abbassamento di u n’asticella virtuale. Più angusti diventano gli spazi del mercato e maggiore è la propensione a mettere da parte il titolo di studio, a cominciare dal laureato. Un traguardo sudato, che ha coinvolto sicuramente a livello di non pochi sacrifici e non solo la persona che viene qui a chiedere aiuto, ma anche i suoi genitori che sul quel titolo di studio chissà quanto hanno sperato per consentire l’agognato salto di qualità per i propri figli, ora professionisti solo sulla carta, ma ancora a carico del magro stipendio impiegatizio di un ceto medio sempre più povero». Sulla tavolozza della scrivania dominano i colori plumbei di una realtà cruda.
«Sono più che certo di non essere l’unico a misurarsi con questa situazione drammatica», continua Olivieri. «E a volte non basta neppure l’esperienza, quel minimo di cinismo che ogni imprenditore deve per forza di cose imparare ad indossare come una sorta di abito corazzato. Si tratta di una divisa sempre più stretta e scomoda. Basta osservare alcuni di questi curriculum. Molti sono laureati e alcuni mi chiedono di fare il lavapiatti. La mia coscienza si rifiuta, non lo farei neanche se potessi. Sceglierei sempre un ragazzo senza titolo di studio, al massimo un diplomato. Non è moralmente accettabile. Un laureato in legge mi chiede ormai da qualche tempo di potere fare almeno il portiere di notte. Anche in questo caso non potrei mai. Al cospetto di un errore potrei rimproverarlo? Non me la sentirei e rischierei di rendere un cattivo servizio a lui e ai clienti. Anche in questo caso, punterie su un diplomato, magari proveniente dall’istituto alberghiero che almeno una certa infarinatura del lavoro la possiede. Insomma, se si vuol evitare di farsi male con le proprie mani è vietato improvvisare. La situazione dei laureati, purtroppo, è la più esposta perchè si presume abbiano maturato altro tipo di competenze».

Sfogliando le cartelle, molte corredate anche di fotografie e referenze, ecco cosa vorrebbero fare i nostri giovani in un albergo: addetto ai piani, portiere di notte, cameriere di sala, cuoco, aiuto cuoco, addetto alla segreteria, receptionist, addetto al ricevimento, barman e aiuto barman. «Il turn over più spinto - riprende Olivieri - lo registriamo tra i camerieri di sala. Se uno di loro si ammala, o incappa in un qualunque infortunio, va sostituito con la massima sollecitudine. Inizialmente ne convocavo tre alla volta. Uno lo prendevo e però registravo la profonda delusione degli atri due. Non è che si può sempre sorvolare sulle altrui aspettative deluse. Se fosse per me io li assumerei tutti. Allora, ho escogitato una sorta di rimedio empirico e chiamo per telefono. Chiedo come va la vita e se capisco che chi parla dall’altra parte è a spasso, allora gli dico che ho immediatamente bisogno di vederlo. Se è già impegnato vado avanti nella ricerca, ho solo l’imbarazzo della scelta. Un’accortezza che non mi costa molto e che risparmia cocenti momenti di sconforto a giovani che si sentono costantemente traditi nelle loro aspettative».

Di tanto in tanto, sulle domande personali spicca un’annotazione. Segnalato da tizio e caio, si legge. Molti i nomi di politici, di tutti i partiti. Olivieri allarga le braccia. «Quelle annotazioni le faccio io - spiega - perchè mi è capitata gente che non aveva molta voglia d’impegnarsi. A quel punto ho saputo a chi rivolgermi e a restituire il grazioso dono al mittente. Ma si può sapere chi mi hai mandato? Esordisco solitamente con questa domanda ed ora, quale monito preventivo a futura memoria, devo dire assolutamente la verità: che non è mai la raccomandazione a fare la differenza, ma il merito, la capacità di sapersi guadagnare la stima del datore di lavoro e dei colleghi. Tutto il resto sono solamente inutili chiacchiere».

È stata rispettata rigorosamente la privacy dei ragazzi e delle ragazze che hanno inviato i loro curriculum, non mancano anche nominativi di fuori provincia, o di fuori regione, come pure quelli di cittadini extracomunitari. La sensazione è che spulciando attentamente tante informazioni si possa svolgere un’indagine sociologica con i fiocchi. In quelle pagine vengono risposte le aspirazioni di una generazione che a differenza di quella che l’ha preceduta guarda al futuro con preoccupazione crescente. Lo sanno già che per loro sarà dura, almeno questo sembra un dato maturo, ma spesso questa consapevolezza si scontra con una rassegnazione che ha il volto di chi non spera più in niente e ha il sapore aspro della disperazione sedimentata in una domanda di lavoro che per forza di cose forse non avrà mai risposta.
Fonte:

mercoledì 17 novembre 2010
Tremonti adesso allenta la borsa
Tutti in fila: trasporto locale, disabili, Regioni, Comuni
 di Franco Adriano  - 17/11/2010
Il cambio di passo era nell'aria: il ministro dell'Economia Giulio Tremonti sta allentando i cordoni della borsa per rispondere «ai bisogni minimi» cui vorrebbe andare in contro la manovra finanziaria in discussione in parlamento. Il «La» è stato dato dallo stesso Tremonti nel primo pomeriggio quando una nota del ministero dell'Economia annuniciava che il governo presenterà un emendamento al ddl stabilità per dare sostegno ai malati di Sla guadagnandosi il plauso di Cgil, Cisl e Uil.

Non bruscolini. «Per ora accettiamo quanto ribadito di uno stanziamento di 100 milioni di euro di fondi per le famiglie», replicava l'associazione dei malati Sla. Il secondo segnale è venuto dal consigliere politico di Tremonti, Marco Milanese, quando ha affermato che il governo stava ancora valutando se inserire il bonus energia per la riqualificazione degli edifici nel ddl stabilità e se riproporre la proroga tout court dello sgravio oppure «privilegiare l'ipotesi formulata dal ministero dello Sviluppo economico, che avrebbe un impatto sui conti pubblici di soli 150 milioni di euro». La proposta sarebbe stata perfezionata dal viceministro Giuseppe Vegas per il quale inserire nel ddl stabilità il bonus del 55% per la riqualificazione energetica degli edifici significherà introdurre una modifica rispetto al passato attraverso uan spalmatura in dieci anni. Comunque si tratta di musica per le orecchie di tanti che intravvedono in questa finanziaria l'ultimo treno su cui salire prima di una possibile crisi di governo dai risvolti incerti. Così tutti quanti sono tornati a bussare alla porta del governo: dai Comuni che minacciano «un rischio paralisi» alle Regioni, passando per le associazioni dei disabili. L'Anci ha inviato una lettera a tutti i deputati, sottolineando che l'allarme dell'associazione dei Comuni deriva da una norma del ddl stabilità (l'ex Finanziaria) che porta all'8% il limite di spesa corrente utilizzabile per investimenti. L'Anci, «pur comprendendo la ratio della norma, sottolinea la necessità di una sua graduale applicazione in quanto l'immediata riduzione all'8% dal 15% porterebbe a una paralisi pressochè totale». Cosa chiede di concreto l'associazione dei Comuni? Pur salvaguardando il monitoraggio della spesa degli enti chiede che gli enti che sono in grado di farli possano fare investimenti. Un capitolo a sé lo merita il trasporto pubblico locale. Ieri è scesa in campo la Cgil a bussare al governo. Il maxiemendamento al ddl stabilità presentato dal governo, infatti, «non modifica la sostanza dei tagli previsti dalla manovra correttiva di luglio a carico del trasporto locale», sostiene la Cgil, secondo cui «questa scelta mette a rischio il già insufficiente livello qualitativo e quantitativo del trasporto locale, non aiuta lo sviluppo e crea ulteriori tensioni sul fronte dell'occupazione». «È assurdo», ha sottolineato il segretario confederale della Cgil, Fabrizio Solari, «ricacciare l'intero settore in una situazione non dissimile a quella vissuta nell'intorno del Natale di alcuni anni fa, e chi ha la responsabilità e l'onere di provvedere è bene che lo faccia rapidamente. Il governo», ha concluso, ha concluso, «convochi immediatamente un incontro con Regioni, enti locali, aziende e sindacato per scongiurare inutili tensioni e individuare una soluzione che assicuri la sopravvivenza del settore». Un altro argomento su cui il governo dovrà intervenire. Ieri è giunta anche una nota dell'Agesc (Associazione genitori scuole cattoliche) che spiega quanto avvenuto sui fondi per le scuole paritarie che «restano, ma scendono ad una percentuale pari al 2%, circa 10 milioni di euro». Parlare di aumento dei finanziamenti alle scuole paritarie (da 130 a 245 milioni di euro) mentre si tagliano quelli delle scuole statali, perché anche in questo caso il governo dopo la stretta ha riallentato i cordoni della borsa. «Dopo aver inserito nella legge di stabilità (la finanziaria per il 2011) un taglio di circa 255 milioni di euro, pari quasi al 48% di tutti i finanziamenti per le scuole paritarie», spiega la nota, «il Governo ha presentato nel maxi emendamento correttivo alla commissione Bilancio della Camera un incremento di 130 milioni, poi riformulato portandolo a 245 milioni di euro».
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mercoledì 17 novembre 2010
Fratelli di debito.
A settembre il debito pubblico ha raggiunto quota 1.844,817 miliardi, di euro. Lo Stato Italiano detiene il record del più alto in Europa, pari al 116% del prodotto interno lordo annuo. Poco tempo fa, circa due mesi, il Governo Italiano e’ riuscito, in sede UE, a far passare un criterio più elastico per pesare il livello di indebitamento di un paese, inserendo - accanto a quello pubblico - anche la valutazione del debito delle famiglie, sommato a quello delle imprese. Sempre il Governo, dice che in Italia esso e’ contenuto, percio’ il nuovo dato statistico contribuisce ad alleggerire il quadro complessivo dell’indebitamento italiano, visto che le famiglie e le imprese degli altri paesi UE stanno mediamente un po’ inguaiati. Sulla carta la cosa funziona, il peso statistico complessivo si alleggerisce. Si da’ il caso – pero’ – che gli investitori istituzionali, esogeni ed endogeni, del quadro statistico se ne impippano. Giusto, lo farebbe anche io, come si dice tra noi. Intanto che ci si crogiola della genialita’ partorita dal Tremonti, che l’accredita al Berlusconi, il debito - come gli investitori - se ne frega, e continua a salire. La collocazione, di ieri l’altro, dello stock di cambiali del Tesoro, e’ stata resa possibile ad un costo superiore, rispetto alla precedente, di decimi. Il che vuol dire che per finanziare la spesa corrente e pagare gli interessi sul debito, si e’ ricorsi ad aumentare il tasso d’interesse. Insomma un’offerta piu’ lucrosa per gli investitori. Altrimenti quelli non compravano. Comunque sia, il capitale da rimborsare continua ad aumentare, anche in questo momento. Il montante pure. Ciucciatevi il calzino.
Intanto le entrate dell’Erario sono diminuite dell’1,7%, perche’ la crescita del periodo luglio-settembre è stata inferiore alle aspettative. Vuol dire che la stagione turistica e’ stata una schifezza. E la Cgil afferma che è stato gia’ superato il miliardo di ore di lavoro in cassa integrazione. In circa otto mesi. Mitico, direbbe Burt Simpson, il quale aggiungerebbe: “Cari Italians, di questo passo sfonderete il Break Event Point, altrimenti detto dei coglioni; cioe’ il punto oltre il quale si e’ pure cornuti. Tranquilli, tra qualche mesetto, non vi preoccupate, direbbe Burt, tra qualche mesetto sarete, finalmente, nella Hall of the Fame of Break Event Point”. Che non e’ il famoso break even point. Tanto per non confonderci.
I giornali italiani dicono che la Grecia sta un po’ peggio, ma lo affermano per avere il cuscino sotto i piedi. Son balle, il debito pubblico greco e’ in - termini assoluti - circa nove volte inferiore, e bisogna tener conto che loro, i greci, sono una comunita’ nazionale, anarchici compresi. Se gli salta la mosca al naso, quelli dicono: “Che volete? Chi vi ha imposto di prenderci nella U.E.? Amen, grazie ed arrivederci alla prossima.” Tu che fai? Li isoli? Li espelli? Fammi ridere. Equivale a fargli un piacere. Hanno gia’ venduto il porto del Pireo ai cinesi; i quali vanno in giro per il mondo a comprare debiti dai paesi porci, quelli a rischio d’insolvenza. Cosi’ i porci non potranno dire no al Made in China. Alla faccia di tutti quelli che la pensavano diversamente, i cinesi possono riversare nei circuiti internazionali montagne di dollari, e comprare spot, un po’ di tutto ed anche i bisognosi. Ciucciatevi il calzino.
Questo per affermare, senza alcun dubbio, che in tema di virtu’ finanziaria pubblica, i Cittadini della Repubblica Italiana non sono penultimi a nessuno. In Europa sono gli ultimi. In termini anglosassoni, i primi, tra i porci. Il che e’ vero solo per definizione generica, perche’ se vogliamo stare alla legge delle proporzioni, Portogallo, Irlanda e Grecia sono porcellini, rispetto all’Italia. Punto.
Questo per stabilire un sacrosanto presupposto sul debito del verro (per gli intellettuali, il maschio della scrofa): i cittadini del Mezzogiorno non sono porci, sono innocenti. O deficienti. Ma per buona parte, non c’entrano una beata mazza con il verro ingrassato dallo Stato nelle altre regioni. Nord e compagnia cantante: padania, regioni autonome, province autonome, regioni sviluppate in non so bene cosa; quelli del Mezzogiorno c’entrano poco con le civilissime montagne di cambiali, protesti, giardinetti ecc. Per lo piu’, cavoletti nordici. Compresi quelli coltivati in Val Sugana. Si mettessero nei capannoni a gettare il sangue e faticare per pagare i fottutissimi debiti dello Stato. Il quale paga per la Sanita’ d’eccellenza – che e’ al Nord, giu’ si muore dopo lunga malattia; la Scuola – che nel Mezzogiorno son tutti asini; gli Asili infantili da primato del mondo per qualita’ – che giu’ molti bambini stanno a casa, o per strada; il Sistema delle Comunicazioni – che nel Mezzogiorno non sanno neanche di che cavolo si tratta; e vai avanti con la Messa cantata.
Al nord si difendono attaccando; ottima tattica. Dicono che nel Mezzogiorno ci sono i posti pubblici, troppi, e che loro mandano giu’ i soldi per pagare gli stipendi a questi nullafacenti sfaticati. Balle, se i costi del settore pubblico locale fossero calcolati redistribuendoli sul potenziale accertato e verificabile delle economie di area, il Mezzogiorno se la cava, il centro chiede aiuto al Papa ed il nord va con i porci. La’, la cosa non e’ sana. E’ piu’ sano ed intrinsecamente solida l’economia – i numeri – del Mezzogiorno: da Olbia all’Aquila, via Sicilia. Il fatto e’ che chi puo’ saperlo, lo sa.

Quelli affermano sul Mezzogiorno cose che conoscono meglio del piu’ impastato, mariuolo e scaltro assessore di una qualsiasi delle regioni del Mezzogiorno. E’ il loro modus pensandi, e’ la cultura dell’uomo medio padano, alpino, veneto o carsolino. Corrotto nel midollo, e coperto dal silenzio stampa locale, ed ancor piu’ dal duopolio televisivo. Questi ultimi foraggiati dai finanziamenti delle Leggi Finanziarie. Anche di quest’anno 2010. Ma a Roma va bene cosi’, anche il debito – in fin dei conti – produce PIL: paradossale.
Intanto il Ministero dell’Economia ha espletato la funzione di eiettare la Finanziaria 2010. Quest’anno l’hanno battezzata: infatti si chiama Legge di Stabilità. Uno pensa alla fisica dei solidi. No, clikki su Google, escono circa 381.000 risultati (0,33 secondi): e’ la Legge di Stabilità, quella che hanno pure maxiemendata. Del tipo: dopo il Battesimo ci si Cresima. Un Maxiemendamento cresimato e Star d’Internet. Mitico. Il Ministro Tremonti ha detto che la Legge di Stabilità vale per un triennio, ma è vincolante solo per il primo anno e non per gli altri due, in quanto la Costituzione stabilisce il principio dell’annualità del bilancio. Tremonti, Lei ci e’ o ci piglia per il deretano? Ma che fa? Inventa una bella roba che dovrebbe funzionare per un triennio ma purtroppo non sara’ cosi’. E allora che la tira fuori a fare? Se si puo’, si puo’; se non si puo’, non si puo’.
Il Signor Ministro dell’Economia, Prof. Giulio Tremonti, ha inventato due cose che non servono ad un piffero di niente: il debito privato in quello pubblico, ed il patto di stabilta’. Due robe che servono a niente, se non a riempire le pagine dei compiacenti giornali con elogi per la Sua competenza ed autorevolezza. Oggi, 17 novembre 2010, alle ore 14:17 ne ha inventata un’altra: ”l'Italia è un paese serio, non è vista come un problema ma come parte della soluzione.” Lo ha detto al termine della riunione dell’Ecofin. Non e’ un Mito Moderno? Di quelli che guadagnano l’immortalita’ dissimulando con arte immaginifica la realta’. Mi scusi, Egregio Signor Ministro, ma se quelli della UE vedono l’Italia come “parte della soluzione” e’ solo perche’ bussano a soldi. Vogliono un contributo finanziario per sanare i piccoli porci.
Il Ministro Tremonti riesce ad iperbolizzare la realta’ come palleggiava Maradona. Peccato che con il pallone quello segnava i gol, mentre il Ministro non segna un bel niente perche’ il 15 novembre, l’altro ieri, il prezzo del costo dell’assicurazione contro l’insolvenza per i titoli di Stato, è costato l’1,88%, era l’1,50 il 25 ottobre. Meno di un mese fa. Quello della Germania e’ del 0,05%.
Ma, chiediamoci, anche se son stufo, quale puo’ essere lo spazio di autonomia del Ministro Tremonti con un debito cosi’ alto sulle spalle.
E poi chiediamoci cosa potra’ apportare il Parlamento al testo della Finanziaria – sia pure maxiemendata - da Lui presentata in Aula, e – posto che qualcuno dei suoi componenti ci capisca qualcosa – cosa si puo’ cambiare in meglio. Risposta: niente, e’ da votarla cosi’ com’e’. Non ci sono spazi, il debito incombe. Per cui tutti zitti, parla il SuperMinistro Tremonti. E dopo che Lui ha parlato, fare finta di essere, o non essere. Tutto qui.
Stando cosi’ le cose, la politica economica del Governo è, e sara’, decisa mediante decreti legge, con la scusa della natura dell’urgenza, priva del contributo parlamentare. In realta’ la copertina decreto legge serve per l’incombente inverno siberiano: si pagano gli stipendi e gli interessi montanti sul debito. Finito qui. Fate sacrifici. L’alternativa è incrementare le tasse o inventarne delle nuove. O un mix delle due. Anche perche’ non si puo’ svalutare. E devi pagare i debiti. E allora? Allora lo spazio di autonomia del Ministro Tremonti, con un debito cosi’ alto sulle spalle, non c’e’, nisba, non esiste se non nelle Sue immaginifiche iperboli. L’unica cosa concreta che puo’ fare il Ministro e’ tagliare. Tagliare il prosciutto sino all’osso. Per fare il panino ai creditori. All’interno di questa logica, si pone il quesito di chi debba pagarlo, il panino. Per questo il Nord vuole il federalismo, vuole sia realizzato il suo concetto di federalismo, e intorno a questo suo concetto deve, secondo il grande partito del nord, orbitare l’equilibrio politico ed economico governativo.
Grecanico

giovedì 18 novembre 2010
Napoli la provincia piu' "giovane" d'Italia
18 novembre, 10:44
ROMA - Sono Roma, Napoli, Milano e Torino le province "forzieri" d'Italia: questi territori infatti contengono una parte consistente del "tesoro" rappresentato dagli oltre 10 milioni di under 18 che vivono nel nostro paese. Il dato è contenuto in una delle "mappe" dell'Atlante dell' infanzia in Italia, presentato stamani da Save the Children nella sede della Banca d'Italia. A Roma vivono 697.387 minori, a Napoli quasi 671.000, a Milano 636.610 e a Torino 351.566. Le province più giovani - quelle cioè con le percentuali più elevate di minori - sono prevalentemente al Sud, dove storicamente si fanno più figli: Napoli è in pole position con quasi il 22% di minori sul totale della sua popolazione, seguita da Caserta (21,3%), Caltanissetta, Crotone e Catania (tutte oltre il 20%). Unica eccezione fra le province del Nord è Bolzano, con il 20% di under 18 sul totale dei suoi abitanti. Invece è al Nord il primato in negativo, con Ferrara che ha la quota percentuale più bassa di bambini (12,6%).
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giovedì 18 novembre 2010
Cipe: sostegno 100 mln agricoltura, pesca
Sono 64 mln copertura erogazione aiuto quota zucchero
18 novembre, 13:18
(ANSA) - ROMA, 18 NOV - Il Cipe ha approvato la proposta di riparto del ministro Galan per destinare 100 mln al settore agroalimentare nell'ambito del Fondo Infrastrutture. Le risorse sono dirette per 64 mln a copertura del fabbisogno per l'erogazione dell'aiuto nazionale alla quota zucchero. Altri 4 milioni sono per interventi di rilancio della filiera ovicaprina. Gli interventi a favore della ristrutturazione del settore della pesca avranno una dotazione di 15 milioni di euro.
Commento, di grecanico.
E' una fregatura.
I 64 milioni andranno tutti, se non qualche insignificante spiccioletto, agli stabilimenti di Genova, Ferrara e Padova.
I 4 milioni per la filiera ovicaprina sono insufficienti.
Cos'e' la „ristrutturazione del settore pesca?“
Fonte:

giovedì 18 novembre 2010
INFRASTRUTTURE: MATTEOLI "CON CIPE SI APRONO CANTIERI PER 21 MILIARDI"
18 novembre 2010
ROMA (ITALPRESS) – “Con le delibere approvate oggi dal Cipe si aprono i cantieri di opere pubbliche per 21 miliardi di euro. Sono soddisfatto perche’ in questa fase economica le infrastrutture daranno un contributo per lo sviluppo e per l’occupazione. Peraltro, si definiscono gli iter approvativi di tre opere strategiche che interessano l’Italia e l’Ue (il Terzo Valico dei Giovi, la Torino-Lione e il Brennero), mantenendo cosi’ gli impegni. In tal modo abbiamo dimostrato all’Europa che l’Italia ha mantenuto i suoi impegni”. Lo dichiara il ministro delle Infrastrutture e dei Trasporti, Altero Matteoli, al termine della riunione del Comitato interministeriale per la programmazione economica. “Il Cipe – aggiunge Matteoli – ha affrontato in modo organico e conclusivo il tema dei lotti costruttivi attraverso cui il governo autorizza l’avvio di interventi immediatamente cantierabili garantendo nel tempo la copertura finanziaria globale delle opere”. Le opere che potranno essere immediatamente avviate sono: il Terzo Valico de Giovi sull’asse Alta velocita’ Milano-Genova (6,2 mld); l’Av Milano-Verona tratto Brescia-Treviglio (3,8 mld); il Valico del Brennero (4,6 mld) e l’accesso alla galleria di base del Brennero nel tratto Fortezza-Verona (1,6 mld); la Torino-Lione – cunicolo esplorativo della Maddalena (143 milioni); la settima tranche del Mose di Venezia (230 milioni di euro) in tal modo si raggiungera’ il 75% della realizzazione dell’intera opera; l’autostrada Pontina Roma-Latina (2,7 mld); la viabilita’ secondaria del primo lotto dell’autostrada Tirrenica da Rosignano a San Pietro in Palazzi (costo complessivo della Tirrenica 1,8 mld). Approvati anche alcuni interventi nel Mezzogiorno quali la piastra logistica di Taranto (33 milioni) e l’adeguamento ferroviario nell’ambito dell’area metropolitana di Bari ( 29 milioni di euro). Approvate le prescrizioni alla Convenzione unica tra Anas e la societa’ autostrade Brescia-Verona-Vicenza-Padova. Nella prossima seduta il Cipe esaminera’, tra l’altro, un piano organico di opere per il Mezzogiorno coerente con le risorse effettivamente disponibili dei Fas. Il Cipe ha infine approvato l’Allegato Infrastrutture alla DFP gia’ esaminato con favore dal Parlamento e dalla Conferenza unificata Stato-Regioni, nel quale si conferma la validita’ dell’operato del Governo: 68 miliardi di opere cantierate di cui 45 nel biennio, 145 miliardi di progetti approvati dal Cipe di cui 119 indicati come prioritari nel prossimo triennio.
(ITALPRESS).
Commento, di grecanico.
Il Ministro Matteoli e' un'anima linda, non riesce a coprire con le parole la fregatura ai danni del Mezzogiorno. La lista e' stata stilata dal grande partito del nord. Ed il governo ha ubbidito, a se stesso. Il pil del nord si rimette in marcia, i tagli saranno a carico dei fessi di giu'.
Fonte:

giovedì 18 novembre 2010
Sbloccati fondi Cipe miliardi al Centro-Nord, briciole alla Puglia
ROMA – «Con le delibere approvate oggi dal Cipe si aprono i cantieri di opere pubbliche per 21 miliardi di euro. Sono soddisfatto perchè in questa fase economica le infrastrutture daranno un contributo per lo sviluppo e per l'occupazione. Peraltro, si definiscono gli iter approvativi di tre opere strategiche che interessano l’Italia e l’Ue (il Terzo Valico dei Giovi, la Torino-Lione e il Brennero), mantenendo così gli impegni. In tal modo abbiamo dimostrato all’Europa che l'Italia ha mantenuto i suoi impegni». Lo dichiara il ministro delle Infrastrutture e dei Trasporti, Altero Matteoli, al termine della riunione del Comitato interministeriale per la programmazione economica.

«Il Cipe – aggiunge Matteoli – ha affrontato in modo organico e conclusivo il tema dei lotti costruttivi attraverso cui il governo autorizza l’avvio di interventi immediatamente cantierabili garantendo nel tempo la copertura finanziaria globale delle opere».

Le opere che potranno essere immediatamente avviate sono: il Terzo Valico de Giovi sull'asse Alta velocità Milano-Genova (6,2 mld); l’Av Milano-Verona tratto Brescia-Treviglio (3,8 mld); il Valico del Brennero (4,6 mld) e l’accesso alla galleria di base del Brennero nel tratto Fortezza-Verona (1,6 mld); la Torino-Lione – cunicolo esplorativo della Maddalena (143 milioni); la settima tranche del Mose di Venezia (230 milioni di euro) in tal modo si raggiungerà il 75% della realizzazione dell’intera opera; l'autostrada Pontina Roma-Latina (2,7 mld); la viabilità secondaria del primo lotto dell’autostrada Tirrenica da Rosignano a San Pietro in Palazzi (costo complessivo della Tirrenica 1,8 mld).
Approvati, si legge nella nota, anche alcuni interventi nel Mezzogiorno quali la piastra logistica di Taranto (33 milioni) e l’adeguamento ferroviario nell’ambito dell’area metropolitana di Bari ( 29 milioni di euro).
Approvate le prescrizioni alla Convenzione unica tra Anas e la società autostrade Brescia-Verona-Vicenza-Padova. Nella prossima seduta il Cipe esaminerà, tra l’altro, un piano organico di opere per il Mezzogiorno coerente con le risorse effettivamente disponibili dei Fas.
Il Cipe ha infine approvato l’Allegato Infrastrutture alla DFP già esaminato con favore dal Parlamento e dalla Conferenza unificata Stato-Regioni, nel quale si conferma la validità dell’operato del Governo: 68 miliardi di opere cantierate di cui 45 nel biennio, 145 miliardi di progetti approvati dal Cipe di cui 119 indicati come prioritari nel prossimo triennio.

FITTO: SBLOCCO FONDI DA CIPE DIMOSTRA CHE ATTIVITA' GOVERNO PROCEDE CON EFFICACIA
“Le decisioni assunte oggi dal Cipe sbloccano la realizzazione di importanti opere che interessano tutto il Paese e finanziano l’avanzamento dei lavori di interventi infrastrutturali di grande rilevanza per lo sviluppo. E’ questo il segno concreto che l’attività del Governo procede con efficacia, rivolta ai problemi del Paese”. Lo dichiara il ministro per i Rapporti con le Regioni e per la Coesione territoriale, Raffaele Fitto.

“Molto importanti - aggiunge - sono le decisioni assunte per il Mezzogiorno, il piano irriguo, gli interventi sulle ferrovie locali della Puglia, la piastra logistica di Taranto per un totale di circa 240 milioni di euro che anticipano di pochi giorni il varo del piano per il Sud e costituiscono una risposta alle esigenze dei territori”.

FLORIDO: COSI' RILANCEREMO IL PORTO DI TARANTO
Il Cipe (Comitato interministeriale per l’economia) ha sbloccato i fondi per la piastra logistica del porto di Taranto: l’investimento complessivo ammonta a 218 milioni di euro. A darne notizia è il presidente della Provincia di Taranto, Gianni Florido. La piastra logistica integrata del porto jonico fa parte del sistema intermodale della rete trasportistica del Corridoio Adriatico.

Il via libera del Cipe, osserva in una nota Florido, “è una notizia che la terra jonica attendeva ormai da tanto, troppo tempo. Finalmente possiamo dire che qualcosa di concreto si sta mettendo in moto per rilanciare le ambizioni dello scalo tarantino”. “Da presidente della Provincia – conclude – prendo atto con soddisfazione dell’impegno profuso dai parlamentari locali e dalla Regione Puglia, in particolare dal governatore Nichi Vendola e dall’assessore regionale Guglielmo Minervini”.
18 Novembre 2010

venerdì 19 novembre 2010
Milano-Genova, Passo dei Giovi, Brennero. Il Cipe mette soldi soltanto per il Nord
di Edoardo Petti
21 miliardi. Il 90% dello stanziamento finisce al Settentrione. Esulta la Lega. D’Antoni: «Sud cancellato».
Un massiccio investimento in opere pubbliche e infrastrutture, equivalente a 21 miliardi di euro. È questo il contenuto delle delibere approvate ieri dal Comitato interministeriale per la programmazione economica. Ma il documento presenta un taglio nettamente nordista, che emerge in modo evidente se si considera l’entità e la proporzione delle risorse stanziate. Destinatarie privilegiate di circa il 90 per cento delle somme previste sono infatti le aree settentrionali, mentre appare irrisoria la percentuale relativa al Mezzogiorno. Il governo smentisce così ancora una volta l’impegno di puntare sulla creazione delle grandi reti infrastrutturali per promuovere il riscatto economico e civile del Sud. E appare sempre più egemonizzato dalla politica del Carroccio, vero arbitro delle scelte economiche della maggioranza.
I dati del Cipe non lasciano dubbi. Le opere che potranno essere avviate riguardano il Passo dei Giovi, un tratto appenninico della Liguria che attraversa l’Alta velocità Milano-Genova; la linea da Brescia a Treviglio sulla Tav Milano-Verona; la modernizzazione del Valico del Brennero e l’accesso al traforo nel tratto Fortezza-Verona. Altri interventi di rilievo interesseranno la ferrovia Torino-Lione e la settima tranche del Mose di Venezia. Quanto all’Italia centrale, spicca la realizzazione dell’autostrada Roma-Latina e il consolidamento della viabilità sull’autostrada Tirrenica. Il costo complessivo di questi progetti ammonta a ben 19,5 miliardi di euro, quasi la totalità dei 21 miliardi stanziati. E 16,2 miliardi saranno destinati al Nord, come rileva con soddisfazione il viceministro per le infrastrutture, il leghista Roberto Castelli. Il resto sarà destinato alle regioni meridionali, soprattutto alla rete ferroviaria pugliese.
Sul fronte politico, il titolare delle infrastrutture Altero Matteoli esprime la propria soddisfazione per la realizzazione di «alcune opere strategiche come il Brennero e la Torino-Lione, che interessano l’Italia e l’Unione europea: una dimostrazione che il paese ha mantenuto i suoi impegni». Gli fanno eco i ministri veneti Maurizio Sacconi, Renato Brunetta e Giancarlo Galan, fortemente interessati dal pacchetto di investimenti previsto dal Cipe. Se il responsabile del Welfare parla di «opere nevralgiche attraverso cui saranno utilizzate risorse comunitarie altrimenti destinate ad essere perdute», l’ex candidato sindaco di Venezia saluta con entusiasmo «la prosecuzione di una struttura vitale» per la città lagunare.
Lapidario invece il giudizio del Partito democratico, che con il responsabile delle politiche del territorio Sergio D’Antoni denuncia la «cancellazione del Mezzogiorno dal programma di opere pubbliche». Osservando che «i 21 miliardi annunciati dal governo somigliano tanto ai carri armati di Mussolini», l’ex segretario della Cisl denuncia «il vero e proprio sfregio che nessun piano sul Sud riuscirà a nascondere». E la ragione di una simile politica è per D’Antoni tutta «nell’asse di ferro fra il Carroccio e Giulio Tremonti, che spezza l’Italia e danneggia l’intero paese a cominciare dal Nord, come denunciato dall’Ocse, che parla di ripresa incerta e diseguale».
Parole, quelle del rappresentante del Pd, che trovano una conferma, almeno sul piano tecnico se non su quello politico. Nella prossima seduta il Cipe esaminerà infatti un piano organico di opere per il Mezzogiorno, utilizzando a questo scopo le risorse dei Fas, quelle relative alle aree più disagiate.
giovedì, 18 novembre 2010
Commento, di grecanico.
Il piano salva padania procede speditamente. Soldi per nutrire il moribondo pil del nord, giovani del Mezzogiorno a presidiare le vie e le piazza in cui sono cresciuti. Soldati a casa propria. Tanto di cappello al governo brianzolo.
Fonte:

venerdì 19 novembre 2010
Da Cipe boccata ossigeno per Pesca, Irriguo, Ovicaprino e Bieticolo
Roma, 19 nov (Il Velino) - I soldi sono arrivati.
Una vera e propria boccata di ossigeno per il settore irriguo, bieticolo, ovicaprino e della pesca. Su proposta del ministro delle Politiche agricole Giancarlo Galan è stato approvato nella seduta del Comitato interministeriale di programmazione economica del 18 novembre un pacchetto di 177 milioni di euro per il sistema irriguo del Sud, 64 milioni per il bieticolo-saccarifero, quattro milioni per la pesca. Gli interventi coniugano obiettivi di risparmio e uso razionale della risorsa idrica e saranno realizzati dai Consorzi di bonifica, da sempre protagonisti nelle azioni per la difesa del suolo, per il risanamento delle acque, per la gestione del patrimonio idrico e per la tutela degli assetti ambientali connessi. Ma chi tarda paga: il ministero ha proposto infatti l’approvazione di una disposizione che scoraggia ritardi nella realizzazione delle opere, prevedendo la revoca dei finanziamenti nel caso in cui le procedure per l’appalto dei lavori non siano concluse entro 18 mesi dalla concessione. La previsione, già contenuta nella Delibera con la quale il CIPE, nella seduta del 22 luglio scorso, ha approvato l’analogo Programma di opere del Centro e Nord d’Italia, per un ammontare complessivo di 418,5 milioni di euro, risponde a criteri di efficienza della spesa pubblica, particolarmente pregnanti in un momento di così scarse risorse economiche; i fondi liberati saranno destinati a nuovi progetti di rilevanza strategica, non solo per il territorio regionale di riferimento, ma anche nazionale. Con l’avvio del Piano del Sud e del Programma del Centro Nord d’Italia, 695 milioni di euro di nuovi cantieri verranno aperti in tutta la Nazione, con rilevanti effetti moltiplicatori del reddito, sviluppati dall’indotto conseguente, particolarmente importanti in un grave periodo di crisi economica.

Per quanto riguarda i “preziosissimi”, così definiti da Galan, fondi per la pesca, secondo Federcoopesca, AgciAgrital Pesca e Lega Pesca, è necessaria una ristrutturazione del comparto attraverso una maggior concentrazione dell’offerta, meno intermediari, migliorare infrastrutture e servizi, fornire al comparto strumenti adeguati per dialogare con la Gdo. Questi sono gli obiettivi a cui - secondo le tre organizzazioni – devono servire i 15 milioni di euro stanziati dal Mipaaf nell’ambito del Fondo Infrastrutture -e che hanno avuto oggi il placet del Cipe. “Siamo pronti – sottolineano i presidenti Buonfiglio, Coccia e Ianì - a metterci a lavoro da subito affinché le risorse stanziate possano cogliere al meglio quelle che sono le necessità del settore. Visto che da tempo dobbiamo fare i conti con risorse sempre più esigue è fondamentale impiegare al meglio quelle che si hanno. Abbiamo sostenuto il ministro Galan in queste scelte di indirizzo, daremo il nostro contributo anche quando si tratterrà di impiegare i fondi in iniziative concrete”. Iniziative che da sole non possono essere, però, risolutive. Le associazioni, infatti, sono amareggiate per la scarsa attenzione riservata al settore nella Legge di stabilità. “Confidiamo – concludono i presidenti - in una ripresa dei temi pesca nel provvedimento di proroga termini a cui sta lavorando il governo”.

Poi i 64 milioni per coprire il 2009 e il 2010 il fondo saccarifero, che di regola dovrebbe ricevere 43 milioni di euro l’anno per la ristrutturazione del comparto che ha visto ridimensionare gli stabilimenti attivi da 19 a quattro. Settore, quello bieticolo, che aspettava da tempo il dovuto. “L’intervento – spiega in una nota Unionzucchero - conforquot;; font-size: 12pt;ta tutti gli operatori del settore impegnati a garantire la continuità della produzione di zucchero in Italia che impegna diecimila aziende agricole e occupa duemila occupati nei quattro zuccherifici in attività, capaci ancora di produrre il 30 per cento del consumo nazionale di zucchero. E' importante che questa risposta arrivi in coincidenza con la assunzione degli impegni di coltivazione per il 2011, così da ridare fiducia e vitalità ad un settore che sta compiendo tutti gli sforzi professionali e finanziari per programmare le prossime campagne”. Infine i quattro milioni di euro per il comparto ovicaprino che non sono però sufficienti a placare gli animi dei pastori sardi. Che oggi sono scesi ancora una volta in piazza per manifestare contro le deluse aspettative della cosiddetta legge "Salvagricoltura" approvata in Consiglio regionale che stanzia circa 150 milioni per il comparto primario ma che non soddisfa le loro richieste. Stavolta è lo stabilimento Saras, una delle amggiori raffinerie del Mediteraneo ad essere teatro del presidio.
(Edoardo Spera) 19 nov 2010 11:1
Commento, di grecanico.
Galan e’ un servitore, messo al posto giusto nel momento idoneo. Le sue chiacchiere sono buone per i nesci. Per capire come stanno veramente le cose bisognera’ aspettare qualcuno che parli l’italiano articolando il soggeto, il predicato ed il complemento oggetto. Comunque, da quanto si puo’ intuire, piu’ che capire, la realta’ e’ quella dei quattro zuccherifici cooperativi in attività, tre al nord, passivi da sempre. E del gruppo Eridania, a Genova. Dei 64 milioni per il bieticolo-saccarifero, il Mezzogiorno non vedra’ niente. Insomma un magna magna infiocchettato da provvedimento per l’industria nazionale.
I 177 milioni di euro per il sistema irriguo del Sud sono il tentativo di mettere una pezza ad uno dei problemi storici dell’economia agricola del Mezzogiorno. Ma bisognerebbe produrre un piano d’intervento articolato e mirato alle esigenze localizzate, con metodi scientifici e statistici, ascoltando le associazioni delle numerose zone agricole che aspettano da sempre. Saranno i Consorzi di bonifica?, si vedra’. Termini come difesa del suolo, per il risanamento delle acque, per la gestione del patrimonio idrico e per la tutela degli assetti ambientali connessi, non ci impressionano.
Quattro milioni di euro per il comparto ovicaprino sono una miseria che potevano risparmiarsi, e’ un’offesa al buon senso.
Insomma, solo ossa, che fanno da scheletro alla polpa: il Programma di opere del Centro e Nord d’Italia, per un ammontare complessivo di 418,5 milioni di euro, che – secondo l’Utile Servo, risponde a criteri di efficienza della spesa pubblica. Il resto di quanto scritto sopra non lo capisco.
Fonte:

venerdì 19 novembre 2010
Caldoro: niente soldi al Sud, le Regioni disertino il Cipe
NAPOLI. «La riunione di ieri del Comitato interministeriale per la programmazione economica poteva svolgersi solo con le Regioni del Nord». È il commento del presidente della Regione Campania, Stefano Caldoro, sollecitato dalla lettera che i deputati del Mezzogiorno hanno firmato dopo la riunione del Cipe ed inviato anche alla Regione. «Le cifre riportate parlano chiaro: 21 miliardi per il Nord del Paese e soli 200 milioni per il Sud. La prossima volta - conclude Caldoro - sarà opportuno che le Regioni del Sud disertino il Cipe».
Fonte:

sabato 20 novembre 2010
Quelle Regioni troppo speciali
Escluse dai tagli, troppo snob perfino per il federalismo
di Franco Adriano  
L'ultimo decreto legislativo attuativo del federalismo approvato dal Consiglio dei ministri ha rappresentato l'ennesima conferma di una realtà troppo speciale. I Comuni e le Province situate nelle Regioni a statuto speciale e nelle Province autonome di Trento e Bolzano, infatti, saranno esclusi dall'applicazione del decreto che regola i fabbisogni standard per le funzioni fondamentali.
Parametri che andranno a regime nel 2017 e sulla base dei quali i Comuni e le Province che spenderanno di meno tratterranno la differenza. Questa volta poteva trattarsi perfino di incassare, altre volte erano in ballo tagli e sacrifici. Ma per loro è lo stesso: non c'entrano. E, allora, viene da chiedersi: perché Sardegna, Sicilia, Trentino-Alto Adige, con le due Province autonome di Bolzano e Trento, il Friuli Venezia Giulia, la Valle d'Aosta sono sempre avvantaggiate rispetto agli altri? Qual è il loro merito (nel 2010)? Si, va bene, c'è la giustificazione costituzionale; ma come tenere a bada le domande che sorgono dalla base, per esempio, in Veneto, sulle disparità di trattamento finanziario rispetto al Trentino Alto Adige (verso il quale infatti molti Comuni veneti vogliono convergere)? «I nodi verranno al pettine», ha spiegato a Italia Oggi, Osvaldo Napoli, deputato Pdl e vice-presidente dell'Anci (Associazione nazionale Comuni italiani). «Il punto è che finora c'è stato il timore di toccare un tasto delicato», ha continuato Napoli, «ma la carenza di risorse e l'attuazione del federalismo hanno portato questo argomento all'attenzione di tutti». Si tratta di uno scandalo? «No», mette le mani avanti Napoli, «più che uno scandalo è un problema da analizzare approfonditamente per giungere ad una soluzione». Il punto è che per ora il modo di uscirne non c'è «perché lo Stato non può di certo affrontare questo problema in autonomia, ma deve aprire una trattativa». Tuttavia, la crisi economica e la sempre maggiore carenza di risorse, da trasferire a livello locale, stanno funzionando da catalizzatore di un processo che appare ineludibile. Sì, perchè, per restare all'esempio del decreto legislativo sui fabbisogni standard, i sindaci ed i presidenti delle Province delle Regioni a statuto ordinario saranno spinti a fare le formiche quando a pochi chilometri di distanza i loro colleghi potranno continuare a fare le cicale. Si capisce che una situazione così non potrà reggere a lungo. Anche perché la tabella di marcia della riforma sarà piuttosto pressante. Senza contare che quando si entrerà nel vivo con i decreti attuativi sul fisco le diversità risulteranno ancora più evidenti.
Commento, di grecanico.
Il sig. Napoli ha ragione, sono convinto da decenni che la condizione di sfacciato privilegio non puo' andare avanti per sempre. Nelle regioni autonome del nord si raggiunge il benessere con una facilita' che mi ha stupito, qualche decennio fa. Ma il Sig. Napoli dovrebbe specificare, non fare di tutta l0erba un fascio. Per via del sistema di cui e' Presidente. In altri termini, anche tra gli Statuti Speciali ci sono quelli piu' speciali degli altri. Basta guardare i dati Banca d'Italia ed ISTAT, al riguardo degli indicatori di benessere, del pil di quelle regioni, del numero di attivi ecc. ecc. La Sicilia e la Sardegna sono un'altra storia demografica, geografica, politica. Ed hanno un'economia comparata piu' solida di quelle del nord.
Fonte: 

sabato 20 novembre 2010
Debito pubblico oltre 30mila euro l'uno
Adusbef 'rilegge' i dati pubblici dall'ottica del cittadino
20 novembre, 14:10
(ANSA) - ROMA, 20 NOV - Sale sopra la soglia dei 30.000 euro la quota di debito pubblico che ogni italiano porta con se. E, se attribuito 'virtualmente' a ciascuno dei 60 mln di cittadini italiani, l'accelerazione segnata nella crescita si traduce in un aumento del debito di 116 euro mensili a testa. A fare i conti 'in tasca' agli italiani e' l'Adusbef che ha 'spacchettato' il debito italiano, cambiando la visuale su uno degli indicatori dei conti che a livello europeo viene valutato solo in rapporto col Pil.
Commento, di grecanico.
I conti maccheronici, le divisioni di comodo, utilizzando il totale dei residenti nella Repubblica Italiana e' un vecchio vizietto lombardo-veneto. Quelli son vecchi. Cercano qualcuno che gli paghi il panino. I bambini non centrano niente con il debito pubblico, addossate la loro quota alla popolazione della padania. Tanto qui non pagheremo una beata mazza di niente, anche perche' niente abbiamo avuto.
Fonte:

domenica 21 novembre 2010
Il ricco imbroglio. Napoli Palermo Salerno. E forse Roma.
Pochi minuti fa, arriva:
Infrastrutture, non farle costa caro
Da acqua a rifiuti, da energia ad autostrade 'conto' da 331 mld
21 novembre, 14:40
(ANSA) - ROMA, 21 NOV - Il 'non fare' nei prossimi tredici anni ci costera' circa 331 miliardi di euro. Tanto dovra' pagare la collettivita' per la mancata realizzazione di qui al 2024 di opere nei settori dell'energia, dei rifiuti, della viabilita' stradale e ferroviarie e dell'idrico. Lo calcola il Rapporto 2010 su 'I costi del non fare' di Agici Finanza d'Impresa. La spesa maggiore sara' quella dovuta alla mancata realizzazione di opere nel settore ferroviario (135 miliardi) e delle autostrade (121 miliardi).
Come potete notare c'e' anche la monnezza. Ma cosa c'entra la monnezza con la collettivita', che paga una tassa annuale per il servizio di smaltimento dei rifiuti solid urbani? Per capire il nesso giustificazione-provvedimento d'urgenza bisogna andare sul sito dell'Agici. Un'entita' di cui non ho sentito parlare, ne' scrivere, sino ad oggi:
http://www.costidelnonfare.it/index.html
Dopo l'affabulatoria, in home page, ho cliccato sulla riga „Settore Rifiuti
risultati 2009“ e compare la seguente filastrocca:
„I CNF (vuol dire Costi del non fare) totali del settore  rifiuti, nel periodo 2009-2024, ammontano a 24,7 miliardi di €.
Circa la classe dei termovalorizzatori, con un CNF pari a circa 21,4 miliardi di €, sono state distinte le situazioni di gestione ordinaria (Locale e Provinciale) da quelle in emergenza (Lazio, Campania, Calabria e Sicilia). Per le gestioni ordinarie (Locale e Provinciale), attraverso l’ACB (vuol dire Cost-Benefit Analysis), abbiamo calcolato i CNF di due casi-tipo e assunto un CNF unitario medio di 63 €/ton. Per gli impianti in area in emergenza abbiamo stimato il CNF unitario in 84 €/ton. Abbiamo quindi moltiplicato il CNF unitario nelle situazioni con e senza emergenza per il fabbisogno impiantistico relativo. Si noti che nel 2009 le Regioni in emergenza sono Lazio, Campania, Calabria e Sicilia, per un totale del 30% dei RU (vuol dire rifiuti urbani, monnezza, ma RU fa piu' ganzo) prodotti in Italia; tale percentuale è stata utilizzata per ponderare il gap tra situazioni in emergenza e non. Per raggiungere gli obiettivi fissati dalla legge sono necessari circa 100 termovalorizzatori di medie dimensioni in grado di trattare quasi 21 milioni di tonnellate di rifiuti all’anno.
Il Costo del Non Fare gli impianti di è pari a 3,3 miliardi di € è. Tale risultato deriva dal prodotto del CNF unitario di 67 €/ton per il gap complessivo del periodo 2009-2024 pari a circa 50.000 k/ton.
I nuovi CNF calcolati evidenziano la staticità del settore, non a caso sostanzialmente invariati rispetto agli studi precedenti; infatti, nel quadriennio 2005-2008 poco è stato fatto, soprattutto nel comparto dei termovalorizzatori. Il settore soffre, più di altri, le opposizioni locali alla realizzazione delle infrastrutture.
Torno alla Homa page, e rileggo la presentazione:
„Gli obiettivi di sviluppo del Paese al 2020 rendono necessaria la realizzazione di una seriedi infrastrutture fondamentali per la sua modernizzazione. Una serie di lungaggini, opposizioni, problematiche amministrative, incertezze giuridiche, ritardano o bloccano la realizzazione di tali opere. Ai fini di una corretta governance del Paese è necessario che siano ben chiari i costi che si accompagnano alle ritardate o mancate realizzazioni, costi che ricadono sull'intera collettività.
Valorizzare economicamente, oltre che dal punto di vista ambientale e sociale, gli effetti degli ostacoli ad impianti ed infrastrutture in Italia.
Il progetto si basa sull’approccio della Cost-Benefit Analysis applicato agli effetti diretti e indiretti della mancata/ritardata realizzazione di predefinite classi omogenee di infrastrutture: termovalorizzatori, TAV, autostrade, centrali e altro. Per ogni gruppo di infrastrutture si individueranno, di concerto coi partner, alcuni case studies su cui realizzare un’articolata Analisi Costi Benefici basata su scenari alternativi di ritardo/mancata realizzazione per le contestazioni.
Una puntuale valutazione quantitativa dei costi per l’intero Paese delle difficoltà di realizzazione dei progetti infrastrutturali costituisce un potente strumento di comunicazione e negoziazione con gli stakeholders.
Il risultato finale messo a punto e condiviso coi partner del progetto consisterà in:
1. Report finale dei costi-benefici per il nostro Paese del non fare da presentare nelle idonee sedi Istituzionali ed ai media;
2. Base dati quantitativa da utilizzare per il confronto coi diversi stakeholders;
3. Metodologia di riferimento per ulteriori analisi su specifici progetti;
4. Attività divulgativa per rimuovere o attenuare gli effetti della sindrome Nimby.“
Faccio una rapida sintesi, senza pensarci troppo, e' domenica:
1. I cittadini del Mezzogiorno devono pagare la tassa dello smalitimento rifiuti.
2. I rifiuti non saranno raccolti, quindi non saranno smaltiti.
3. le discariche andranno in overdose.
4. Gli attuali inceneritori non inceneriranno gran che'.
5. Questi della AGICI Finanza d'Impresa, con sede a Milano -
Via Brentano, 2, dicono che questa condizione arreca un notevole danno economico alla collettivita'.
5. Quindi bisogna investire e fare 100 termovalorizzatori.
Scusate, ma c'e' qualcosa che non torna. La camorra? No, troppo semplice. La camorra, la mafia e compagnia bella vanno bene per i giornali, non per la realta'. In questa storia centra ben altro, l'Indicibile@Potere: il partito del nord. Ed i suoi yesman, a Napoli, ovvio. Ma tra poco, se va bene, anche a Salerno e Palermo. A Roma, non ci credo.
Gia', se va bene; se va bene l'urgenza sara' cosi' grave da richiedere i giusti ed immediati provvedimenti – finanziari – del caso. E Tremonti non potra' dire di no, gli bastera' far fare un giro di giostra al cash flow. Biglietto a carico dei cittadini del Mezzogiorno.
Grecanico
lunedì 22 novembre 2010


GALAN: NESSUN PROGETTO DEL SUD MERITA I SOLDI CIPE
L`intervista. Paolo Mainiero.
Da quattro mesi è ministro dell`Agricoltura rma per quindici anni è stato presidente del Veneto. Insomma, Giancarlo Galan (Pdl) è un uomo del «profondo Nord». Il ministro definisce «squallida» la contrapposizione tra «polentoni e terroni». ma intanto la ripartizione dei fondi Cipe, 21 miliardi al Nord e 200 milioni al Sud, ha fatto arrabbiare il presidente della Campania Stefano Caldoro che invita le regioni meridionali a disertare le prossime riunioni del Comitato interministeriale per laprogrammazione economica.

Ministro, i conti non tornano: tra 21 miliardi e 200 milioni c`è una bella differenza.
«E una polemica sbagliata. Il Cipe approva, dopo esami molto severi, progetti che hanno superato un lungo iter procedurale. E spesso si tratta di opere in fase di realizzazione. È il caso, per esempio, del Mose di Venezia. Faccio una riflessione: non so se al Sud ci sono opere così importanti e già avviate in grado di attirare i fondi del Cipe».

In verità ci sarebbe l`autostrada Salerno-Reggio Calabria.
«E' vero. Ma è un`opera che ingoia soldi a quantità e i cui tempi di realizzazione sono biblici».

Che fa, parla da ministro del Nord?
«Ma no... Mi sono sempre. presentato come ministro della Repubblica italiana, senza mai fare differenze tra Nord e Sud. Vorrei ricordare che quando c`è stata l`alluvione sono stato criticato dai politici veneti per avergli detto che non mi piacciono i piagnistei. Piangere non serve. Quella veneta è gente che si rimbocca le maniche e si dà da fare».

C`è stata un`alluvione anche a Salerno, lo sa?
«C`è stata un`alluvione in Toscana, in Calabria e anche in Campania. Martedì verrò a Salerno. Sarò in prefettura e poi con il presidente della Provincia visiterò le zone alluvionate».

Caldoro ha precisato che i 150 milioni stanziati per la Campania non sono altro che fondi Fas che spettano alla sua Regione. Piuttosto Caldoro vuole sapere se i 300 milioni dati al Veneto per l`alluvione sono dei fondi Fas o dei fondi statali. Lei cosa sa?
«Credo che i fondi siano stati reperiti presso la presidenza del Consiglio. Mi auguro che non si tratti di risorse tolte ad altri. Se la preoccupazione di Caldoro è questa, è anche la mia».

Però una disparità di trattamento tra Nord e Sud è evidente. Del resto, la spinta della Lega va solo verso una direzione.
«Mi sono sempre mosso per gli interessi complessivi del Paese. Anche sulla faccenda delle quote latte, agli irriducibili che non vogliono pagare ho detto che devono farlo. Tra luglio e l`altro giorno, nella ripartizione delle risorse non ho mai guardato alle differenze geografiche e territoriali. Le porto un esempio: abbiamo stanziato 419 milioni per i consorzi di bonifica del Centro Nord e 177 per i consorzi del solo Sud».

La Campania vive una grave emergenza rifiuti e chiede aiuto alle altre Regioni. Ma tranne Molise e Toscana nessuno vuole collaborare. È una prova di federalismo?
«Quando anni fa ci fu un`altra emergenza non dissi come altri, improvvidamente, che la spazzatura di Napoli se la dovevano tenere i napoletani. C`è però una questione politica».

E quale sarebbe?
«Il Veneto è la prima regione in fatto di raccolta differenziata, si differenzia tutto, anche i detriti dell`alluvione. È merito di una cultura».

Quindi questa cultura prevede che il Veneto non può prendersi i rifiuti?
«A me non piace la squallida contrapposizione tra Nord e Sud, tra polentone e terrone. Nessun dispetto ma non credo che il Veneto sia nell e condizioni di prendersi i rifiuti di Napoli e penso che abbiano difficoltà a farlo anche le altre Regioni».

Insomma in Campania non c`è cultura.
«Vedo e leggo di cittadini che a Terzigno o a Chiaiano passano il loro tempo a bloccare i camion, a occupare le strade, a contestare le forze dell`ordine. Non è una bella immagine, l`impressione che si ricava è che ci siano molte persone che non lavorano mai. Mica sono tutti disoccupati quelli che protestano?»

Chiaiano e Terzigno
Quando vedo i manifestanti che bloccano i camion mi chiedo: ma sono persone che non lavorano mai?
Fonte: Da "IL MATTINO" di lunedì 22 novembre 2010. Il testo non e' reperibile sul sito, alle ore 8,00.
lunedì 22 novembre 2010
Monnezza, termovalorizzatori, sindaci e camorra. Mitico!

Il ricco imbroglio.2
Il Sindaco di Salerno, Sig. De Luca (vedi post delle ore  09:35:00: Rifiuti, De Luca: “A Salerno un termovalorizzatore da un milardo di euro, e la Camorra vuole entrare nella partita”) blandisce i Suoi concittadini ammonendoli: Sui rifiuti a Salerno bisogna ”stare attenti” al ”gruppo affaristico-camorristico pronto a entrare nella partita” dei termovalorizzatori che vale ”un miliardo di euro”. Sicuro della sua capacita’ di influenzare l’opinione pubblica salernitana, ha preceduto codeste ammonizioni con l’individuazione dell’area ove costruire uno dei due impianti che si farà ”ma solo alle condizioni del Comune”. Questo tizio e’ tosto. Sicuro di quello che potra’ succedere. Una visione – diciamo nel nostro gergo – strategica. E devo dire che anche in tattica non se la cava male. Peccato per la gaffe sull’area individuata prima dei fatti che la precedono. Comunque, e’ illuminante. La gaffe, dico. Ma lo vedremo dopo perche’, andiamo avanti.
”C’e’ una forte pressione – afferma – e dimostreremo nei prossimi giorni quanto sia motivata e vera la presenza affaristica”. Presto ”denunceremo tutto sul bando della Provincia di Salerno. L’inceneritore si farà alle nostre condizioni, non a quelle di quel bando”. E’ bravo, niente da dire, riuscirebbe ad ammansire, con il boccone in bocca, una ciurma di naufraghi rinsecchiti. Peccato che la pratica delle figure retoriche non e’ evidentemente il suo forte: gridare al lupo al lupo per ammonire e’ una captazione del consenso popolare, di quello distratto dai problemi quotidiani, predisposto a delegare qualcuno, magari con il vocione profondo, fermo, ma bonario, circa le questioni grandi, ed astruse. Lontane dallo scorrere ordinato del quotidiano familiare. Forse il tizio le sa, queste cose, ed aggiunge: ”c’è  uno scontro tra gruppi di poteri affaristici e un ministro che tenta di affermare la dignità della politica. Uno scontro che viene da lontano e che si incrocia con la mia posizione sui termovalorizzatori”. A ridaglie, allora e’ una fissa, la sua. La lingua batte dove il dente duole, per usare una similitudine popolare. Per il Sig. De Luca, in Campania, c’è ”un groviglio di competenze che moltiplica i costi e le inefficienze” del servizio rifiuti. E conclude con un “E mi fermo qui”. Non so quale sia la percezione esatta che ha del suo ego, a me sembra ipertrofico, forse perche’ e’ sicuro che quanto dice diverra’ realta’. I termovalorizzatori si faranno: dove dice lui, come dice lui, e lavorera’ chi dice lui. Bravo, sei forte, tizio. Ma voi che volete? Quello ha previsto tutto, prima che Roma metta nero su bianco, prima che il MEF faccia la sua parte, prima che qualcuno - uno chiunque - possa leggere che cavolata stanno per fare, con i soldi che – mi gioco la gatta - saranno stornati dal budget del Mezzogiorno. E’ forte il tizio, mentre il Capo dello Stato, tramite Segreteria, afferma che non ha letto, sino ad oggi, un piffero di niente sul Grande Rimedio alla Monnezza; mentre il Sindaco di Napoli conferma che, anche Lei, non ha letto neanche i titoli di testa di questo Kolossal del cinema fantozziano. Lui, il Di Luca, non solo ha previsto tutto quello che sara’, ma ne detta anche le condizioni: a tutti. Capito mi hai, dice un mio caro amico. Ma come fa? Ha le palle di vetro? Se le guarda seduto sul water? No, lui sa perche’ e’ tutto nero su bianco. Torniamo alla gaffe sull’area del termovalorizzatore. Era solo ieri: Infrastrutture, non farle costa caro
Da acqua a rifiuti, da energia ad autostrade 'conto' da 331 mld
21 novembre, 14:40
(ANSA) - ROMA, 21 NOV - Il 'non fare' nei prossimi tredici anni ci costera' circa 331 miliardi di euro. Tanto dovra' pagare la collettivita' per la mancata realizzazione di qui al 2024 di opere nei settori dell'energia, dei rifiuti, della viabilita' stradale e ferroviarie e dell'idrico. Lo calcola il Rapporto 2010 su 'I costi del non fare' di Agici Finanza d'Impresa. La spesa maggiore sara' quella dovuta alla mancata realizzazione di opere nel settore ferroviario (135 miliardi) e delle autostrade (121 miliardi).
Come potete notare c'e' anche la monnezza. Ma cosa c'entra la monnezza con la collettivita', che paga una tassa annuale per il servizio di smaltimento dei rifiuti solid urbani? Per capire il nesso giustificazione-provvedimento d'urgenza bisogna andare sul sito dell'Agici. Un'entita' di cui non ho sentito parlare, ne' scrivere, sino ad oggi:
http://www.costidelnonfare.it/index.html
Dopo l'affabulatoria, in home page, ho cliccato sulla riga „Settore Rifiuti risultati 2009“ e compare la seguente filastrocca:
„I CNF (vuol dire Costi del non fare) totali del settore  rifiuti, nel periodo 2009-2024, ammontano a 24,7 miliardi di €.
Circa la classe dei termovalorizzatori, con un CNF pari a circa 21,4 miliardi di €, sono state distinte le situazioni di gestione ordinaria (Locale e Provinciale) da quelle in emergenza (Lazio, Campania, Calabria e Sicilia). Per le gestioni ordinarie (Locale e Provinciale), attraverso l’ACB (vuol dire Cost-Benefit Analysis), abbiamo calcolato i CNF di due casi-tipo e assunto un CNF unitario medio di 63 €/ton. Per gli impianti in area in emergenza abbiamo stimato il CNF unitario in 84 €/ton. Abbiamo quindi moltiplicato il CNF unitario nelle situazioni con e senza emergenza per il fabbisogno impiantistico relativo. Si noti che nel 2009 le Regioni in emergenza sono Lazio, Campania, Calabria e Sicilia, per un totale del 30% dei RU (vuol dire rifiuti urbani, monnezza, ma RU fa piu' ganzo) prodotti in Italia; tale percentuale è stata utilizzata per ponderare il gap tra situazioni in emergenza e non. Per raggiungere gli obiettivi fissati dalla legge sono necessari circa 100 termovalorizzatori di medie dimensioni in grado di trattare quasi 21 milioni di tonnellate di rifiuti all’anno.
Il Costo del Non Fare gli impianti di è pari a 3,3 miliardi di € è. Tale risultato deriva dal prodotto del CNF unitario di 67 €/ton per il gap complessivo del periodo 2009-2024 pari a circa 50.000 k/ton.
I nuovi CNF calcolati evidenziano la staticità del settore, non a caso sostanzialmente invariati rispetto agli studi precedenti; infatti, nel quadriennio 2005-2008 poco è stato fatto, soprattutto nel comparto dei termovalorizzatori. Il settore soffre, più di altri, le opposizioni locali alla realizzazione delle infrastrutture.
Torno alla Homa page, e rileggo la presentazione:
„Gli obiettivi di sviluppo del Paese al 2020 rendono necessaria la realizzazione di una seriedi infrastrutture fondamentali per la sua modernizzazione. Una serie di lungaggini, opposizioni, problematiche amministrative, incertezze giuridiche, ritardano o bloccano la realizzazione di tali opere. Ai fini di una corretta governance del Paese è necessario che siano ben chiari i costi che si accompagnano alle ritardate o mancate realizzazioni, costi che ricadono sull'intera collettività.
Valorizzare economicamente, oltre che dal punto di vista ambientale e sociale, gli effetti degli ostacoli ad impianti ed infrastrutture in Italia.
Il progetto si basa sull’approccio della Cost-Benefit Analysis applicato agli effetti diretti e indiretti della mancata/ritardata realizzazione di predefinite classi omogenee di infrastrutture: termovalorizzatori, TAV, autostrade, centrali e altro. Per ogni gruppo di infrastrutture si individueranno, di concerto coi partner, alcuni case studies su cui realizzare un’articolata Analisi Costi Benefici basata su scenari alternativi di ritardo/mancata realizzazione per le contestazioni.
Una puntuale valutazione quantitativa dei costi per l’intero Paese delle difficoltà di realizzazione dei progetti infrastrutturali costituisce un potente strumento di comunicazione e negoziazione con gli stakeholders.
Il risultato finale messo a punto e condiviso coi partner del progetto consisterà in:
1. Report finale dei costi-benefici per il nostro Paese del non fare da presentare nelle idonee sedi Istituzionali ed ai media;
2. Base dati quantitativa da utilizzare per il confronto coi diversi stakeholders;
3. Metodologia di riferimento per ulteriori analisi su specifici progetti;
4. Attività divulgativa per rimuovere o attenuare gli effetti della sindrome Nimby.“
Facciamo una rapida sintesi:
1. I cittadini del Mezzogiorno devono pagare la tassa dello smalitimento rifiuti.
2. I rifiuti non sono raccolti. Perche'?
3. Una causa qualsiasi, scegliete voi: perche' le discariche si esauriscono, oppure gli inceneritori non sono a regime, o perche' le popolazioni limitrofe alle discariche si oppongono. Non cambia niente. I camion non si svuotano, ne’ presso gli inceneritori che nelle discariche. Questo e’ il ganglo debole del sistema. E qui ha colpito chi vuole arricchirsi con i soldi del Mezzogiorno.
3. Qualunque sia la causa, il sistema di smaltimento si ingolfa.
4. La monnezza si accumula in strada. A lungo andare, il sistema va in stallo perche’ si viene a creare un collo di bottiglia, che non puo’ essere piu’ sturato, perche’ il rapporto tra risorse tecniche ed umane disponibili, ed il processo d’accumulo, risulta con valori quotidianamente negativi. La curva dei valori cumulati sembra seguire l’andamento del debito pubblico italiano. Niente da ridere, please.
5. Questi della AGICI Finanza d'Impresa, con sede a Milano -
Via Brentano, 2, dicono che questa condizione arreca un notevole danno economico alla collettivita'. Quindi bisogna investire e fare 100 termovalorizzatori.
6. I medici affermano che c'e' pericolo di epidemie, e’ notizia di oggi.
7. Fra qualche giorno, Consiglio dei Ministri straordinario. Sulla crisi di Napoli. Decreto d’urgenza. Ovvio. E se gli dice bene, l'urgenza sara' cosi' grave, epidemiologica, di ordine pubblico, in tilt i servizi di base, scuole chiuse, ospedali, trasporti nel caos, da richiedere i giusti ed immediati provvedimenti – finanziari – del caso. E Tremonti non potra' dire di no, gli bastera' far fare un giro di giostra al cash flow. Biglietto a carico dei cittadini del Mezzogiorno. Che ne sa il Sindaco di Salerno dei giostrai? Di appalti e subappalti che saranno affidati in regime d'urgenza? Sembra il remake del terremoto dell'Aquila.
8. Domanda, chi gestira' la crisi? Chi gestira’ gli appalti?
Scusate, ma c'e' qualcosa che non torna. La camorra? No, troppo semplice, o meglio troppo politica la storia. La camorra, la mafia e compagnia bella vanno bene per i giornali, non per la realta'. Certo, hanno collaborato a far andare in crisi ed in stallo il sistema, non hanno capacita' sistemica. Condizionare una storia complessa come questa? Fammi ridere.
9. Cui prodest? Quante sono le imprese che costruiscono incentori in Italia? Chi sono i proprietari e dove sono site? Chi finanziano gli stockholders al fine di creare questo megabusiness?
10. Che filiera di appalti si verra’ a creare? Chi paghera’ per la crisi di Napoli, Salerno e Palermo; le prime, della lista dei cento termovalorizzatori?
11. Chi si arricchisce con le royalties? E poi, siamo certi che il termovalorizzatore e’ la soluzione definitiva?
In questa storia centra ben altro: il partito del nord. Ed i suoi yesman, ovvio. A Napoli Salerno e Palermo. Anche a Roma? non ci credo. E' citta’ intoccabile, chiaro il perche’.
Dunque, cento inceneritori ad un milione di euro cadauno fanno il miliardo. Una somma che puo’ mettere in moto il pil di quasi mezzo mondo. Molti paesi congolerebbero con questa cifra in circolo nel sistema aziendale nazionale. Nella Repubblica Italiana, a parte qualche briciola - sulle quali si scanneranno camorra n’drangheta, mafia, sacra corona unita o disunita, e qualche imprenditore locale - il pil che si rimettera’ in moto, ed alla grande, e’ quello padano. I soldi andranno al nord, e non e’ una metafora popolare e grossolana. La posta in gioco, puo’ contribuire a finanziare la rivitalizzazione dell’apparato industriale di una regione. E non e’ finita con il miliarduccio, perche’ bisogna accorpargli anche i costi di manutenzione ordinaria e straordinaria degli impianti, e quelli – periodici – di ammodernamento. Questi sono altrettanto succulenti, perche’ stabili, e poi lievitano.
12. A proposito di lievitazione, di quanto lievitera’ la bolletta sui rifiuti urbani della mia vicina di casa? Io non paghero’.
Grecanico

mercoledì 24 novembre 2010
Il rubicone dei barbari
Parte prima.
Federalismo: Marcegaglia, regioni pronte partano prima
Calderoli, quello fiscale in contemporanea per tutti
22 novembre, 19:12
CERNOBBIO (COMO) - "Chi ha la possibilità, la capacità è giusto che parta prima" nell'applicazione del federalismo. Lo afferma il presidente di Confindustria, Emma Marcegaglia, specificando che "la Lombardia è pronta" e "stare fermi ad aspettare chi è indietro è una politica suicida per tutti".
"In un paese come l'Italia che ha regioni tra le più sviluppate e le meno sviluppate d'Europa - spiega Marcegaglia intervenendo agli Stati generali di Confindustria Lombardia a Cernobbio (Como) - non possiamo pensare a una soluzione uguale per tutti: federalismo deve significare che chi è pronto parta prima degli altri". Secondo il presidente di Confindustria "non si può aspettare chi è troppo indietro, chi va avanti si trascina anche gli altri, se i più forti vanno avanti è anche a vantaggio delle regioni del mezzogiorno, delle regioni più arretrate". "Se applichiamo il federalismo nel 2013 o nel 2014, forse non ci saranno più le aziende alle quali applicarlo", conclude Marcegaglia tra gli applausi della platea di imprenditori.

CALDEROLI, FEDERALISMO FISCALE IN CONTEMPORANEA PER TUTTI  - "Spesso quando si parla di federalismo si fa una certa confusione tra federalismo e federalismo fiscale. Quello che abbiamo scelto è un federalismo solidale e competitivo che entrerà in vigore per tutte le Regioni nello stesso momento e che è a vantaggio sia del Nord che del Sud". Lo afferma il ministro per la Semplificazione amministrativa, Roberto Calderoli, interpellato telefonicamente dall'ANSA, a proposito dell'intervento della presidente di Confindustria, Emma Marcegaglia, sul federalismo. "L'altro federalismo a velocità variabile, a cui penso faccia riferimento il presidente Marcegaglia - aggiunge Calderoli - è quello previsto dal terzo comma dell'articolo 116 della Costituzione, secondo il quale 'ulteriori forme e condizioni particolari di autonomia' possono essere attribuite con legge dello Stato su iniziativa delle singole Regioni". "Evidentemente queste ulteriori forme di autonomia - conclude il ministro - a ragione, possono essere attribuite a quelle Regioni che hanno maggiori possibilità e capacità mentre il federalismo fiscale va applicato a tutti: non solo alle Regioni ma anche ai Comuni e alle Province. Al momento, le richieste relative a maggiori forme di autonomia sono giunte da Piemonte, Lombardia e Veneto, ed è giusto dargliele".

Parte seconda.
VOGLIA DI SECESSIONE ?
SOLO 4 REGIONI VERSANO PIU’ DI QUANTO RICEVONO DALLO STATO
Secondo la CGIA le sperequazioni ingiustificate tra le Regioni a Statuto ordinario e quelle a Statuto Speciale del Nord
“Solo 4 Regioni su 20 – esordisce Giuseppe Bortolussi, segretario della CGIA di Mestre - versano imposte, tasse e contributi in quantità superiore a quanto ricevono in termini di trasferimenti e servizi dallo Stato centrale. Ed è per questo motivo che sta riemergendo la protesta tra gli imprenditori e i Sindaci del Nord delle aree di confine. I primi, come è successo lunedì scorso a  Cernobbio, premono perchè la Lombardia parta subito con il federalismo fiscale; i secondi, invece, chiedono a gran voce di trasferirsi nelle Regioni a Statuto Speciale”.
I numeri, secondo la CGIA di Mestre, sono inequivocabili: nel 2008, solo la Lombardia (+ 28,10 mld di €), il Veneto (+4,70 mld di €), l’Emilia Romagna (+3,14 mld di €) e il Piemonte (+568 milioni di €) hanno segnato un residuo fiscale positivo, ovvero hanno versato molto di più di quanto hanno ricevuto in termini di trasferimenti e servizi dallo Stato. Tutte le altre realtà regionali, invece, hanno presentato valori negativi, con punte preoccupanti  per la Campania (-15,30 mld di €) e la Sicilia (-18,73 mld di €). Il dato medio nazionale, fanno notare dalla CGIA di Mestre, è stato pari a –42,57 mld di € e corrisponde al deficit registrato dalla nostra Pubblica Amministrazione.
In termini pro capite, invece, ogni cittadino lombardo ha dato in solidarietà al resto del Paese 2.915 € . Ciascun veneto 974 €, ogni emiliano-romagnolo 736 € e ciascun piemontese 129 €.  Ad avere i maggiori benefici tra quanto hanno versato e quanto hanno ricevuto sono stati i cittadini valdostani. Ciascun residente in Valle d’Aosta ha registrato un saldo pro capite negativo pari a 6.216 €.
“Dalla lettura di questi dati – conclude Bortolussi – non balza agli occhi solo la grande differenza esistente tra Nord e Sud del Paese, in parte giustificata dai forti squilibri economici esistenti,  ma, soprattutto, dalle sperequazioni esistenti tra le Regioni a Statuto ordinario e quelle a Statuto Speciale del Nord. Una diversità di trattamento che sta spingendo molti Sindaci delle aree di confine a chiedere di trasferirsi verso le Regioni autonome che, rispetto alle altre,  pagano meno, trattengono più risorse sul proprio territorio e, spesso,  ricevono maggiori trasferimenti dallo Stato”.
RESIDUO FISCALE (*)(anno 2008)      
        
        
        
        
        


        
        
        
        
        
        

Valori in milioni di euro a prezzi correnti    
ENTRATE P.A.   Entrate      Spese        Saldo        
         Euro procapite 

Piemonte  61.034       60.465       +568
         +129

Valle d'Aosta     1.994         2.777         -783 
         -6.216       

Lombardia         161.379     133.271     +28.108    
         +2.915      

Trentino Alto Adige    14.916       17.000       -2.084       
         -2.069       

Veneto      60.482       55.776       +4.706      
         +974

Friuli Venezia Giulia   17.279       20.206       -2.927       
         -2.395       

Liguria       21.217       24.856       -3.638       
         -2.260       

Emilia Romagna         61.677       58.531       +3.146      
         +736

Toscana   46.812       48.133       -1.321       
         -359 

Umbria      10.252       12.396       -2.144       
         -2.424       

Marche      17.426       18.703       -1.277       
         -822 

Lazio         87.564       89.623       -2.059       
         -370 

Abruzzo     13.214       16.057       -2.843       
         -2.148       

Molise       2.845         4.078         -1.233       
         -3.843       

Campania 45.431       60.731       -15.300     
         -2.633       

Puglia        33.579       42.641       -9.062       
         -2.223       

Basilicata 4.662         6.876         -2.214       
         -3.747       

Calabria    16.199       24.030       -7.831       
         -3.901       

Sicilia        38.959       57.696       -18.736     
         -3.725       

Sardegna  15.140       20.791       -5.650       
         -3.392       

ITALIA       732.061     774.636     -42.575     
         -714 

(*) differenza tra quanto una Regione versa allo Stato in termini di imposte, tasse, tributi 
e contributi e quanto riceve in termini di trasferimenti e servizi. 
Elaborazione Ufficio Studi CGIA di Mestre su dati Dipartimento per le Politiche di Sviluppo

Parte terza.
VOGLIA DI SECESSIONE ? SOLO 4 REGIONI VERSANO PIU' DI QUANTO RICEVONO DALLO STATO
“Solo 4 Regioni su 20 – esordisce Giuseppe Bortolussi, segretario della CGIA di Mestre - versano imposte, tasse e contributi in quantità superiore a quanto ricevono in termini di trasferimenti e servizi dallo Stato centrale. Ed è per questo motivo che sta riemergendo la protesta tra gli imprenditori e i Sindaci del Nord delle aree di confine. I primi, come è successo lunedì scorso a Cernobbio, premono perchè la Lombardia parta subito con il federalismo fiscale; i secondi, invece, chiedono a gran voce di trasferirsi nelle Regioni a Statuto Speciale”.

I numeri, secondo la CGIA di Mestre, sono inequivocabili: nel 2008, solo la Lombardia (+ 28,10 mld di €), il Veneto (+4,70 mld di €), l’Emilia Romagna (+3,14 mld di €) e il Piemonte (+568 milioni di €) hanno segnato un residuo fiscale positivo, ovvero hanno versato molto di più di quanto hanno ricevuto in termini di trasferimenti e servizi dallo Stato. Tutte le altre realtà regionali, invece, hanno presentato valori negativi, con punte preoccupanti per la Campania (-15,30 mld di €) e la Sicilia (-18,73 mld di €). Il dato medio nazionale, fanno notare dalla CGIA di Mestre, è stato pari a –42,57 mld di € e corrisponde al deficit registrato dalla nostra Pubblica Amministrazione.

In termini pro capite, invece, ogni cittadino lombardo ha dato in solidarietà al resto del Paese 2.915 € . Ciascun veneto 974 €, ogni emiliano-romagnolo 736 € e ciascun piemontese 129 €. Ad avere i maggiori benefici tra quanto hanno versato e quanto hanno ricevuto sono stati i cittadini valdostani. Ciascun residente in Valle d’Aosta ha registrato un saldo pro capite negativo pari a 6.216 €.

“Dalla lettura di questi dati – conclude Bortolussi – non balza agli occhi solo la grande differenza esistente tra Nord e Sud del Paese, in parte giustificata dai forti squilibri economici esistenti, ma, soprattutto, dalle sperequazioni esistenti tra le Regioni a Statuto ordinario e quelle a Statuto Speciale del Nord. Una diversità di trattamento che sta spingendo molti Sindaci delle aree di confine a chiedere di trasferirsi verso le Regioni autonome che, rispetto alle altre, pagano meno, trattengono più risorse sul proprio territorio e, spesso, ricevono maggiori trasferimenti dallo Stato”.

Parte quarta.
Il Rubicone dei barbari.
Al sentirlo nominare dieci cento mille volte al giorno, del federalismo padano mi e' sopraggiunto il conato condizionato. Intendiamoci, non quello delle aule universitarie, bensi' quello cotto in salsa padana - che col Diritto Costituzionale non ha alcunche' da spartire – mi e' venuto a fastidio fisico, davvero. Che poi, mi chiedo: che me ne fotte a me del federalismo padano? Niente. Se uno sa fare i conti che dicono qualcosa, non se ne fotte niente. Figuriamoci della cgia di Mestre, di cui ho avuto il grande onore – si fa per dire – di occuparmi gia' due volte, ma solo perche' sparano immense, diarrotiche cazzate numeriche: vedi post 'E dire che la CGIL non è la cgia', del 15 Set 2010, ed 'Il minestrone di Mestre', del 29 Set 2010. Si dice non c'e' due senza tre. Col cavolo, son stufo, non c'e' sfizio a sparare agli ubriachi. Vorrei solo brevemente metaforizzare, e poi vado oltre: e' un po' come la massaia che torna dalla spesa. Si lamenta dei soldi che ci vogliono, ogni giorno di piu', che i commercianti sono ladri, tutti meno gigino il salumiere, che lei lo conosce da vent'anni, ma non se ne puo' piu', ecc. ecc. Poi prepara il pranzo, la famiglia mangia e gusta, ma nessuno dei commensali si chiede quanto valore aggiunto - trasformato in vitamine proteine grassi e gusto, si il gusto e' il piu' importante dei valori aggiunti - ha prodotto il denaro speso per la spesa. Insomma, per dirla direttamente, se la massaia ha speso bene il budget del giorno, ha fatto tanti piccoli affari, se invece non e' capace, ha buttato via i soldi, la famiglia mangia una schifezza e le conseguenze non si fanno attendere. Non c'e' niente da sorridere, e' scontato per chi conosce la teoria del marketing. Per chiudere il concetto: secondo me i padani si dividono in due categorie: pochi sanno fare la spesa, e comandano in Italia, molti no, e non lo sanno.
Adesso minacciano la secessione, come da venti anni a questa parte. La tengono come strumento di ricatnbsp;to, e' come la ricetta della nonna: ma il condimento principale di codesta ricetta non e' il contenuto principale, ossia l'economia, bensi' le minacce. Sono tanti anni che ascolto minacce. Come se codeste facessero parte del bagaglio normale della politica economica. Benito Mussolini, uno che – se gli fosse saltato la mosca al naso – avrebbe potuto tranquillamente fare tabula rasa dei nemici interni, molto probabilmente direbbe che questi non hanno le palle. Sono daccordo, mi permetto di aggiungere che, secondo me, non hanno neanche il fiato. Urlano a fiato corto, sempre che l'uditorio muto e'. Se di converso si informa, studia e tira fuori i denti, l'uditorio schiaccia facilmente – per via della legge dell'evidenza dei fatti – questi quattro nullafacenti, falliti della vita, asini scolastici, analfabeti nella corteccia cerebrale, padani. Barbari, cosi' come li definiva il loro massimo ideologo. Che, forse per questo, fu preso a calci dal trotone (il padre della trota). Non voleva trascorre una vita immerso nel miglio.
Per concludere: barbari, prendete le vostre cosette, sempre che ve le lascino portar via, trapassate l'Abruzzo e chiudete la porta. Mi raccomando, chiudetela bene, che vengono gli spifferi. Grazie.
grecanico
Fonti:
http://www.ansa.it/web/notizie/rubriche/economia/2010/11/22/visualizza_new.html_1697649440.html

giovedì 25 novembre 2010
SCENARIO/ Antonini: il sud è come la Germania Est, serve il federalismo "a punti"
Luca Antonini
giovedì 25 novembre 2010
Il tema del federalismo differenziato recentemente rilanciato da Emma Mercegaglia è una soluzione opportuna per l’Italia, dove il divario tra Nord e Sud ormai non ha alcun equivalente all’interno dei Paesi Ocse. Oggi, a distanza di dieci anni dalla sua approvazione, si può concludere che uno dei fattori che ha concorso ad aggravare l’enorme divario sia stata la riforma del Titolo V della Costituzione, che ha decentrato in modo imponente competenze legislative ed abolito controlli secondo un criterio di piana uniformità e senza gli strumenti necessari a gestire adeguatamente il processo (in primis il federalismo fiscale e inoltre il Senato federale).
Volendo tirare un bilancio di quella riforma costituzionale si deve arrivare ad una duplice conclusione. La prima è che quel federalismo incompiuto ha fornito una pessima prova in quasi tutto il Mezzogiorno. I fatti di Terzigno e il persistere del caso sui rifiuti di Napoli, gli ultimi dati sulle case fantasma (per cui nella Provincia di Salerno queste ammontano a 93.389 unità mentre a Belluno sono 3.616), le recenti denunce degli ispettori del Tesoro sui conti della sanità campana (gestione Bassolino), alcuni dati sull’utilizzo dei fondi Fas, dimostrano quanto ormai l’Italia viaggi di fatto a due velocità. Le radici storiche di questi fenomeni sono certo complesse, ma è altrettanto certo che, appunto, in tutta Europa (e non solo) non esiste una situazione equivalente.
La seconda conclusione è uguale e contraria alla prima: il federalismo, sebbene incompiuto, ha fornito una buona prova in diverse regioni del Nord, al punto di farne un modello europeo. Basti pensare a certe innovazioni regionali relative al modello di welfare, improntate al principio di sussidiarietà (ad esempio in Lombardia). Questo dualismo, a mio avviso, può essere trasformato in un’opportunità proprio attraverso il federalismo differenziato. Occorre quindi abbandonare e capovolgere quella logica dell’uniformità che per decenni ha guidato in modo fallimentare l’attuazione del nostro regionalismo. In forza di quella logica al Veneto è stato accordato solo il livello di autonomia ipotizzabile per la Calabria. La prospettiva, altamente ideologica, era quella di realizzare servizi uguali in tutto il Paese. Alla prova dei fatti l’eguaglianza non è stata minimamente raggiunta e ciò che si è concretamente ottenuto è stato di bloccare, a danno di tutti, le possibilità di sviluppo di alcune regioni virtuose.

È utile precisare che in Germania, al momento della riunificazione, non si diede subito un identico federalismo ai Länder orientali - che non sarebbero stati in grado di gestirlo - ma venne creata un agenzia centrale che riportò nel tempo l’Est ai livelli attuali (oggi è proprio l’Est a tirare la ripresa della Germania). L’ideologia dell’uniformità (che Paesi come Francia, Germania e altri hanno quindi sostituito da tempo con forme di decentramento/federalismo differenziato) è oggi sicuramente un costo: mantenere in regioni virtuose strutture e controlli statali, spesso ad alto tasso di burocrazia, ne rallenta il sistema economico e sociale, produce un inutile costo diretto e un perverso costo indiretto. Si tratta di funzioni e controlli che possono essere regionalizzati, come sta avvenendo in alcune regioni speciali. Al contrario la presenza e i controlli statali vanno decisamente potenziati in altre Regioni, dove proprio la loro mancanza produce costi indiretti enormi.

In quest’ottica si tratta di introdurre un federalismo differenziato in senso meritocratico (o se vogliamo “a punti”), legato alla dimostrazione di alcuni indici di efficienza. Si tratta di applicare alle Regioni quel principio del premio per i “capaci e meritevoli” che la Costituzione prevede per il diritto allo studio. Le Regioni capaci e meritevoli hanno titolo a partire per prime, potendo diventare un modello per le altre. Non è trasposizione solo apparentemente indebita: la logica della differenziazione in base ad indici di adeguatezza è l’essenza specifica del principio di sussidiarietà dell’articolo 118 per le funzioni amministrative e dello stesso articolo 116 della Costituzione per quelle legislative. Ad esempio, il Veneto sta lavorando proprio sull’attuazione di questi due principi.
Commentino.
federalismo differenziato
federalismo "a punti"
federalismo fiscale
quel federalismo incompiuto ha fornito una pessima prova in quasi tutto il Mezzogiorno
federalismo, sebbene incompiuto, ha fornito una buona prova in diverse regioni del Nord
federalismo differenziato.2
identico federalismo
decentramento/federalismo differenziato
federalismo differenziato in senso meritocratico.
Avete letto l'articolazione del lemma secondo il vocabolario nomenclatore del sig. Luca Antonini.
grecanico
Fonte:


giovedì 25 novembre 2010
IL CASO LOMBARDIA, L’EURO E LE IMPRESE
Secessione silenziosa
Il copyright è dell’ex governatore Riccardo Illy che per primo parlò di «secessione dolce», di un processo lento e graduale di separazione, prima psicologica e poi politica.
Illy si riferiva al sentimento delle popolazioni del Nord verso i destini del Paese, ma il suo ossimoro calza a pennello oggi per descrivere lo stato d’animo degli imprenditori italiani di fronte all’incancrenirsi della crisi politica. L’anticipo di federalismo richiesto da Emma Marcegaglia, al di là della valutazione tecnica sulla bontà e lo stato di avanzamento della legge 42, ha questa valenza. È la presa d’atto della divaricazione tra gli interessi e le aspettative del mondo delle imprese e le preoccupazioni/ priorità coltivate dai professionisti della politica. Sarà un caso, ma oggi il tavolo della concertazione non si riunisce nel palazzo del governo bensì nella sede dell’Associazione bancaria. Nessun politologo avrebbe mai immaginato un’analoga forma di secessione indolore.
Imprenditori e politici hanno, dunque, due agende qualitativamente diverse. In quella di chi si sforza di produrre ricchezza e occasioni di lavoro spiccano le inquietudini sul futuro di Eurolandia. Con tutti i faticosi adattamenti che la moneta unica ha richiesto — non ultimo compensare il rapporto squilibrato con il dollaro debole — le imprese sono coscienti che senza euro resteremmo disancorati, saremmo in balia delle nostre contraddizioni e pigrizie. C’è nel milieu politico sufficiente consapevolezza di questi rischi? Oppure prevale il batticuore per la scelta definitiva che farà in Parlamento uno dei rappresentanti degli italiani all’estero? È chiaro che l’export resta la carta più importante che possiamo giocarci per uscire dalla crisi, per entrare nei mercati emergenti, quelli che promettono di crescere di più. Ma nell’agenda politica di questa priorità non v’è traccia. Nei giorni scorsi il ministro Giulio Tremonti ha definito «folkloristiche» le nostre strutture di promozione all’estero. È da maleducati chiedere ai partiti della maggioranza di sospendere per un momento la compravendita di deputati e/o senatori e decidere cosa vogliamo fare dell’Ice e delle sue sette sorelle? O aspettiamo che tutti, proprio tutti, i nostri concorrenti abbiano nel frattempo conquistato le loro brave quote di mercato in India, Cina, Brasile e Sudafrica?
Parliamo, infine, della domanda interna. La maggior parte delle piccole imprese, che non hanno massa critica e muscoli per andare all’estero, opera sul mercato nazionale e non intravede alcuna prospettiva di crescita. Qualche calcolo, pur approssimativo, ci porta a dire che avremo uno stock di circa 13 milioni di famiglie con un reddito disponibile attorno ai 1.500 euro o poco più. I riflessi in termini di politiche sociali sono più che evidenti, mentre per le aziende italiane il rischio è chiudere per mancanza di clienti o essere stroncate dalla concorrenza sleale che si nutre di contraffazione e illegalità. Anche questo tema, purtroppo, resta fuori dall’agenda della politica e così il sentimento di estraneità si fa più forte. La secessione, a questo punto, può anche cambiar sapore, diventare più aspra. Non ci vuole molto, si chiude in Italia e si riapre al di là del confine. Nel Canton Ticino, in Carinzia o in Slovenia.
Dario Di Vico
Commento.
Che il sig. Riccardo Illy sia capace di un ossimoro, e' scontato. Il caffe' di papa' si prende dolce, da quando una legge sulle accise lo ha fatto ricco. Grazie alla penalizzazione cronica e furbastra delle menti della sua citta'. I competitors del mezzogiorno a pagare cash e subito le tasse sull'importazione del caffe', papa' no, solo dopo tre mesi. Vuoi mettere gli interessi bancari che ci fai sopra? Tre mesi di vantaggio competitivo sui fornitori, e sul prezzo a breve.
Comunque questa e' storiella nota, sul ponte che unisce Trieste a Trento: una metafora perfetta, per delineare l'humus antropologico di quelle terre. Ma il ragazzino, rimasto tale, non si accontenta della lauta paghetta, cosi' come la ragazzina con svariate attivita' di papa', in divenire. Anche a Taranto, dove devono aspettarsi uno di quei bidoni che solo la storia coloniale annovera. Sarebbe interessante elencare le imprese aziendali e partitiche dei due prodigi. Padana lei, ungarico lui. Ma non e' questo il punto, ora ed adesso. Il punto e' che minacciano – al solito – per penna del sig. Dario Di Vico la secessione, che potrebbe cambiar sapore, diventare più aspra. Non ci vuole molto – ci ammonisce la penna ispirata - si chiude in Italia e si riapre al di là del confine. Nel Canton Ticino, in Carinzia o in Slovenia.
Bene, si da il caso che grecanico conosce quelle zone, come la popolazione residente sulle falde del lato nord-est delle Alpi. Egregia penna ispirata chissa' da chi, lei deve sapere che i grandiosi imprenditori padano-ungarici, non sono molto compatibili con quelli oltre il nord-est. Quelli saranno un po' arcaici, ma non sono fessi, anzi, hanno un forte senso di appartenenza comunitaria. Della loro comunita'. La cronaca di ieri ci dice qualcosa in merito: pseud-grandi-imprenditori padani giunti in quelle zone e ritornati con le pezze al culo, con le quali erano partiti dal Veneto e dal Friuli-Venezia Giulia.
Lasci perdere le minacce implicite, qui giu' siamo un po' arcaici, ma pochi sono fessi.
grecanico.
Fonte:

giovedì 25 novembre 2010
Debito pubblico italiano, meno il Mezzogiorno.
Gentile Sig.ra Cannata,
La prego.
Ho appena letto la Sua intervista al Sig. Adriano Bonafede – in nomen est homen – e faccio fatica a capire. Mi aiuti, per favore. Che l'euro imploda, Lei: «E' un`ipotesi fantascientifica». «E comunque, se l`euro crollasse davvero, non esisterebbe un "piano B" per nessuno. Non per noi ma neppure per la Germania. Per questo sono convinta che non ci sia spazio nella realtà per uno scenario apocalittico». Vediamo di intuire: Lei fa affidamento a non so quale paura – conscia o incoscia – che dovrebbe attanagliare i tedeschi nella prospettiva della precoce dipartita della moneta unica europea?
Cara Signora, mi dispiace, non e' cosi' come pensa, o forse auspica. Magari lo fosse.
Ricorda il periodo dell'introduzione dell'euro e quanto – in quel momento fosse solido – il Marco?
La prego, rimembri la levata di scudi che si levo' dal basso, dal ventre borghese della Nazione; quanti opinionisti ed economisti tedeschi erano certi che il Marco fosse insostituibile, anche per la stabilita' economica - e politica - di alcune aree geografiche in Europa. E come questa posizione facesse il paio con il tradizionale orgoglio dei ceti popolari delle citta'. Per non citare la netta opposizione delle campagne.
Comunque sia, la prospettiva si e' oggi rovesciata: gli euroscettici di allora sono – oggi – i piu' severi e rigorosi difensori della stabilita' dell'euro. Mentre quelli che mastravano entusiasmo sono oggi definiti pig. Chi piu', chi meno, ma sempre di suini si parla.
Lei dice: «All`Italia, dunque, non rimane che andare avanti con il programma in atto da anni per l`allungamento della durata del debito e l`affinamento dei metodi che ci consentono di risparmiare sui costi».
Dottoressa Cannata, se la montagna di monnezza accumulata a Napoli – dice Saviano – e' alta quanto l'Everest, quanto sara' alta quella del debito consolidato italiano fra qualche mese? Lei ci dice che - voi italiani – pensate che coloro i quali finanziano lo Stato italiano sono golosi di un leggero aumento di una frazione di percentuale, per cedere davanti all'allungamento della durata.
Che „l'affinamento dei metodi consente di risparmiare sui costi“. Mi scusi ma quanto possono incidere sul montante codesti metodi? Immagino non molto. Ma spero – per voi – che escogitiate un'equazione risolutiva, degna di Leonardo da Vinci. E serve proprio una sua geniale invenzione, perche' a vedere l'Italia sull'orlo dell'abisso è la Frankfurter Allgemeine Zeitung, in un lungo editoriale dal titolo "L'Italia si avvicina all'abisso", nel quale la maggiore responsabilità della situazione viene assegnata alla classe politica.
Dopo aver rilevato che anche in tempi di ripresa economica la crescita italiana è solo dell'1%, mentre il deficit pubblico aumenta, il giornale osserva che è "solo una questione di tempo su quando gli investitori tireranno le conseguenze con una fuga dai titoli di Stato".
Il giornale di Francoforte ricorda che a settembre il deficit italiano è stato di 1.845 miliardi di euro, "oltre 150 miliardi di euro in più di quello della Germania", con la conseguenza che "una crisi del debito italiano, se affrontata in modo dilettantesco, potrebbe scatenare un'enorme carica esplosiva per l'unione monetaria europea e per la stessa Ue, ma purtroppo l'Italia si avvicina a questa crisi, senza che i politici italiani se ne interessino".
E invece, anche se "il mondo politico italiano continua a cullarsi in una sensazione di sicurezza", "se si verificassero turbolenze a causa della montagna del debito italiano, le crisi della Grecia e dell'Irlanda sarebbero uno scherzetto al confronto".
Ma Lei, giustamente, ci deve credere, nella possibilita' di rinviare sine die la resa dei conti, e dice, in sintesi:
«È il mercato a darci continuamente delle rassicurazioni.
(….) Data la reputazione storica dell`Italia sul fronte dei conti pubblici, con questo enorme fardello dí un debito pubblico superiore al Pil, all`inizio c`era un po` di scetticismo, ma poi il mercato ha constatato che il rigore di questa scelta non è mai venuto meno (…..).
(…..) fa premio lo stile di comportamento dei cittadini, complessivamente più virtuosi di quelli di altri paesi, perché meno propensi a indebitarsi».
(….) il mercato ha anche compreso che l`Italia, pur avendo un debito pubblico indubbiamente alto, ha tuttavia la capacità di tenerlo sotto controllo. E anche la situazione della disoccupazione non è drammatica rispetto ad altri paesi. A preoccupare di più è forse la bassa crescita del Pil; ma su questo punto meritiamo al massimo un 5, non un 3. Insomma, potremmo andar meglio, ma un po` cresciamo lo stesso»
Cara Signora, me lo auguro, per voi, ma non ci scommetterei neanche un copeco. Il copeco e' la prossima divisa degli italiani meno il Mezzogiorno. Tutti col copeco. In testa ed in tasca. A Cortina.
La pregherei di una cortesia, dica al Ministro Tremonti che noi del Mezzogiorno non ne sappiamo, e non ne volgiamo sapere, niente dei debiti accumulati per il pil della padania. Se qualcuno pensa il contrario avra' problemi. I migliori saluti a Lei.
grecanico
Fonti:
da "LA REPUBBLICA - INSERTO AFFARI&FINANZA" di lunedì 22 novembre 2010;

venerdì 26 novembre 2010
Passa il Piano per il Sud
26 novembre 2010
Il consiglio dei ministri ha dato il via libera al Piano nazionale per il Sud.
Il piano dovrebbe prevedere una ricognizione degli interventi infrastrutturali da realizzare e riguardanti le strutture sanitarie, assistenziali, scolastiche nonché la rete stradale e ferroviaria, la rete fognaria, la rete idrica, elettrica, di trasporto e di distribuzione del gas. Le strutture portuali e aeroportuali.
Il Piano conterà su risorse per 80 miliardi di euro . Il Sud è “un problema nazionale”, ha detto il presidente del Consiglio Berlusconi, annunciando “provvedimenti sostanziosi” e la “concentrazione di fondi su iniziative strategiche per non disperdere le risorse in mille rivoli”.
Questo Piano è “una parte qualificante, la base del Piano che l’Italia presenterà all’Europa”, ha sottolineato ieri il ministro dell’Economia Giulio Tremonti. Il ministro per i Rapporti con le Regioni, Raffaele Fitto, ha annunciato “la costituzione della cabina di regia per il Sud” e ha assicurato che “il Piano verrà condiviso con le Regioni”.
I governatori si dividono: quelli vicini alla maggioranza plaudono al piano; critici i presidenti del Pd. Tra gli “elementi chiave” del Piano, come emerge dalla bozza del documento, figura la Banca del Mezzogiorno, progetto fortemente voluto da Tremonti, e il via ad un Fondo specifico per le Pmi (Jeremie), come previsto dalla bozza di documento. “Sono importanti gli aiuti automatici per le imprese”, ha rilevato il presidente di Confindustria Emma Marcegaglia aggiungendo parole di “apprezzamento” per il lavoro del governo e per la decisione di una cabina di regia per monitorare gli interventi.

Il neo segretario della Cgil, Susanna Camusso, lascia “il giudizio sospeso perché le risorse annunciate sono molte, 75-80 miliardi di euro, ma bisognerà capire che cosa concretamente ci sarà nel programma”. “Da tempo chiediamo una svolta per il Sud - ha detto il segretario generale della Cisl Raffaele Bonanni - perché la non spesa peggiora le cose. Speriamo che ora possa partire una nuova stagione”. “Chiederemo l’attivazione di strumenti che inducano la pubblica amministrazione nel Mezzogiorno - ha sottolineato il segretario generale della Uil Luigi Angeletti - a funzionare meglio”. Il Piano per il Sud sarà utile se ci sarà anche “un graduale abbandono dell’assistenza”, ha evidenziato il segretario generale Ugl Giovanni Centrella. Ivan Malavasi della Cna chiede “trasparenza nella gestione delle risorse” e Francesco Sgherza della Confartigianato chiede “la concentrazione dei fondi in pochi grandi obiettivi”.

Il Pd boccia il Piano del governo senza mezzi termini: “Se il piano di cui si parla da oltre un anno e mezzo dovesse fermarsi qui - ha commentato Sergio D’Antoni - saremmo davanti alla montagna che ha partorito il topolino”. Per Stefano Fassina non è altro che “uno spot da campagna elettorale”. A chiudere il tavolo con le parti sociali è stato il sottosegretario alla presidenza del Consiglio, Gianni Letta, che scherzando ha citato ‘Benvenuti al Sud: ‘’Ci prepariamo tutti a partire per il Sud...come nel film”.
Fonte:

venerdì 26 novembre 2010
Sud: Vendola, piano governo assomiglia a mucche Mussolini
ultimo aggiornamento: 26 novembre, ore 12:17
Bologna, 26 nov. - (Adnkronos) - Il piano per il Sud e' "un pezzo di propaganda che torna ciclicamente sulla scena politica.
Il piano per il Sud assomiglia molto alle mucche di Mussolini: sono risorse che continuano a girare in una specie di danza macabra perche' la verita' e' che, mentre si parla di piano per il Sud, il Sud sud viene spogliato sistematicamente di risorse, viene derubato della finanze straordinarie di derivazione comunitaria e vede i trasferimenti ordinari in un permanente dimagrimento". E' quanto afferma il presidente della Regione Puglia e leader di Sel, Nichi Vendola, a margine di un incontro sul welfare a Bologna.
Fonte: 

venerdì 26 novembre 2010
100 miliardi di investimenti al sud. Va in scena la “moltiplicazione delle vacche”, dirige Berlusconi
Il Sole 24 Ore parla di 32 miliardi, la Stampa di 80, Berlusconi dice 200 miliardi delle vecchie lire: sul piano per il Sud appena licenziato dal Consiglio dei ministri è complicatissimo fornire un giudizio e cifre certe. Berlusconi annuncia  il maxi investimento fino al 2013, destinato a scuole, ferrovie e infrastrutture.

Su insistenza dei cronisti il ministro Fitto ha aggiunto: “Intanto prosegue il lavoro di ricognizione sui 16 miliardi della delibera di luglio. Poi, con lo sblocco dei programmi Fas, si va su una cifra intorno ai 24 miliardi. A questi si aggiungono i fondi Ue”, ha detto Fitto.
Il premier Berlusconi ha sottolineato che “il piano realizza il programma elettorale con cui ci siamo presentati agli italiani e farà da controfaccia al federalismo fiscale”.
Un fiume di danaro, cui si aggiunge la “cabina di regia per il Sud”, e la costituzione della banca del mezzogiorno. E la manovra tutta tagli di Tremonti, l’allarme sul debito, la scure della Ue? Non vorremmo assistere alla moltiplicaziuone delle vacche di Mussolini. Anche Nichi Vendola non esita a citare il duce per denunciare il sapore propagandistico dell’operazione. “Il Sud viene derubato delle finanze straordinarie di derivazione comunitaria e vede trasferimenti ordinari in un permanente dimagrimento”
I soldi sono sempre gli stessi, pochi, o già stanziati. Un maquillage di bilancio che assomiglia al gioco delle tre carte.
Berlusconi, si sa, offre il meglio di sè in campagna elettorale: allora via alla politica degli annunci roboanti. Prima Scajola, poi Fitto, la messinscena ha un copione stabilito: ma i soldi non ci sono. Così Berlusconi (“Sto facendo di tutto per tenere unito il Paese”) può presentarsi agli elettori del sud come loro salvatore. Tanto quelli del nord si fidano solo di Tremonti, che non intende scucire un euro.
Le risorse messe sul tavolo sono sempre le stesse, 40 miliardi di finanziamenti già stanziati da precedenti bilanci, mentre  sono spariti 28 miliardi destinati dal governo Prodi al Sud e che il governo ha utilizzato per tappare i buchi del bilancio ordinario.
Un ruolo centrale, secondo la bozza del documento, è affidato alla Banca del Mezzogiorno, voluta da Tremonti, e il via ad un Fondo specifico per le Pmi. E’ ciò che piace al  presidente di Confindustria Emma Marcegaglia. Non si dice però che per la banca per il Sud non ci sono ancora i fondi di garanzia e si punta all’azionariato delle piccole banche. Ipotesi, dunque, al massimo speranze.
26 novembre 2010 | 13:19
Fonte:


Sud, Tremonti: "Basta aiuti a pioggia"
26/11/2010 13:45
13.45 E' prevista per il piano-Sud "la sostituzione degli attuali trasferimenti a pioggia con meccanismi di sostegno al credito di imposta fiscale", fa presente il ministro dell'Economia Tremonti, dicendosi "orgoglioso" del lavoro fatto.
Spiega che la banca del Sud "farà credito di garanzia con la Bei e sotto le banche collegate faranno credito a livello territoriale",sottolineando che è "una cosa mai fatta;la banca del Mezzogiorno è un passaggio importante per lo sviluppo del Sud che è l'unica regione europea che non ha una banca propria".
Fonte:

venerdì 26 novembre 2010
Lombardo ed il Piano per il Sud. "Senza soldi, soltanto chiacchiere"
Il governatore siciliano commenta il piano approvato questa mattina in Consiglio dei Ministri ed attacca il premier Berlusconi: "Occorre concretezza attraverso la disponibilità delle risorse"
PALERMO - "La preoccupazione principale è quella di comprendere se le risorse ci sono. Senza soldi si tratterebbe solo di chiacchiere". Lo ha detto il presidente della Regione, Raffaele Lombardo, commentando a caldo il "piano per il sud" approvato questa mattina in Consiglio dei Ministri.
"Sicuramente - ha aggiunto - potrà trattarsi di un bel piano, come belle erano le cose dette dal presidente Berlusconi il 29 settembre scorso o quelle contenute nel progetto prima delle elezioni del 2008. Occorre concretezza soprattutto attraverso la disponibilità delle risorse. Per parte nostra, stiamo già operando in modo concreto. Abbiamo proposto, ad esempio, una rimodulazione del Po Fesr per evitare la polverizzazione dei bandi di gara e concentrare le risorse di cui disponiamo, in questo caso quelle europee, su poche grandi infrastrutture".
Parlando dei fondi Fas, Lombardo ha poi precisato che "buona parte di fondi della vecchia programmazione ancora non spesi sono nei cassetti di Anas e Ferrovie. Si tratta di società a totale capitale statale, dunque sarebbe opportuno che il governo le pressi perchè accelerino sui progetti. I nuovi Fas indubbiamente servono.
Altre regioni hanno perso una parte importante di questi fondi per coprire il debito della sanità, noi abbiamo coperto il settore senza sottrarre un euro agli investimenti, adesso occorre potere investire per intero questi fondi per lo sviluppo.
Se, invece, l'intento - ha concluso - è quello di risucchiare questi fondi Fas per politiche varie, si tratterebbe di una violazione di regole fondamentali".
26/11/2010

venerdì 26 novembre 2010
Il Cdm dice sì. Ecco il Piano per il Sud
di Pietro Moroni
26 Novembre 2010
Il Consiglio dei ministri ha dato il via libera definitivo ai due decreti che costituiscono il Piano per il Sud, illustrato giovedì alle parti sociali e agli enti locali.
Ecco una sintesi del testo:
INFRASTRUTTURE: Obiettivo prioritario è la realizzazione, entro il prossimo decennio, di un sistema ferroviario moderno. Perno di questa strategia è la realizzazione dell'Alta Capacità su tre linee: Napoli - Bari - Lecce - Taranto; Salerno - Reggio Calabria; Catania - Palermo. Con il completamento di queste tre tratte e la realizzazione del Ponte sullo Stretto il Sud potrà contare su un moderno sistema di collegamento verso il Nord Italia e il Centro e Nord Europa essendo garantita l'interconnessione e l'interoperabilità fra i Corridoi transeuropei TEN, collegando il Corridoio I (Berlino - Palermo) con il Corridoio VIII (Bari - Sofia). Questi interventi verranno realizzati ponendo attenzione alla loro integrazione con il rafforzamento del sistema portuale. Nell'ambito del trasporto stradale, il Piano prende a riferimento le opere ricomprese tra le priorità strategiche indicate nell'allegato infrastrutture alla Dfp quali ad esempio la Olbia - Sassari, il completamento della Salerno - Reggio Calabria ed il sistema autostradale Catania - Siracusa - Gela - Trapani.

BANDA LARGA: Il Piano prevede la realizzazione di un piano di intervento per portare la banda larga a tutti i cittadini delle 8 regioni del Sud e garantire l'accesso a banda ultralarga ad almeno il 50 per cento della popolazione residente nel Mezzogiorno intervenendo in tutti i 33 capoluoghi di provincia delle 8 regioni meridionali.

SCUOLA: Piano di razionalizzazione e ammodernamento dei plessi scolastici con particolare attenzione a quelli del I e del II ciclo. A tale piano si affiancherà il completamento dell'infrastrutturazione informatica dei laboratori didattici.

AMBIENTE: L'immediato avvio del piano straordinario di azione per la riduzione del dissesto idrogeologico in tutto il Mezzogiorno. Per la prima volta lo strumento dell'accordo di programma consentirà in tale settore di unire e concentrare le risorse nazionali destinate (FAS nazionale e risorse del Ministero dell'Ambiente e della Tutela del Territorio e del Mare) con quelle regionali (FAS regionale e fondi di bilancio autonomo delle Regioni) in modo da garantire un piano di interventi finalmente coordinato e condiviso da tutti gli attori istituzionali.

BANCA DEL MEZZOGIORNO: Opererà come istituzione finanziaria di secondo livello, attraverso una rete di banche sul territorio che diverranno socie utilizzando la rete degli sportelli di Poste Italiane. A tal fine l'azione del governo mira a coinvolgere nell'azionariato un'ampia rete di banche con un forte radicamento territoriale, quali le banche di credito cooperativo e le banche popolari. La Banca del Mezzogiorno, che ha come missione lo sviluppo del credito a medio-lungo termine per favorire la nascita e l'espansione delle pmi, potrà anche ambire a gestire, secondo gli attuali indirizzi comunitari, il Fondo rotativo europeo JEREMIE per il Mezzogiorno, volto a sostenere credito agevolato, capitale di rischio e garanzie.

PMI: L'obiettivo del Piano nazionale per il Sud è di attivare un sistema di incentivi che favorisca la crescita dimensionale delle imprese meridionali. Il riordino degli incentivi persegue i seguenti indirizzi generali: una drastica riduzione delle leggi di incentivazione vigenti (ce ne sono circa 100 a livello nazionale e circa 1400 a livello regionale); la semplificazione delle procedure attraverso l'utilizzo di modalità telematiche; la flessibilità nella definizione degli strumenti d'intervento; il raccordo con le Regioni; l'introduzione, in particolare per le piccole e medie imprese, di modalita' semplificate di presentazione delle domande per l'accesso alle agevolazioni e di fruizione degli aiuti. La riforma riordina gli incentivi in tre categorie: gli incentivi automatici (con preferenza per l'utilizzo di strumenti di fruizione quali bonus fiscale voucher); bandi per il finanziamento di programmi organici e complessi; procedure negoziali per il finanziamento di grandi progetti d'investimento (oltre i 20 milioni di euro).

RIFIUTI: La realizzazione di un corretto ciclo di gestione integrata dei rifiuti nelle Regioni del Mezzogiorno è indispensabile. Per questo il piano punta ad avviare un'azione mirata per incrementare la raccolta differenziata e per realizzare l'effettivo coordinamento delle amministrazioni locali responsabili della pianificazione e realizzazione degli interventi, al fine di consentire una rapida implementazione di un corretto ciclo industriale di gestione dei rifiuti. Il piano si propone di garantire l'immediato avvio della realizzazione degli impianti di depurazione anche attraverso l'implementazione dei modelli contrattuali di gestione nell'ottica di una redditività trasparente ed utile all'incremento degli investimenti.
asterisco.
INFRASTRUTTURE: dieci anni per realizzare cosa? Un sistema ferroviario che non funzionera' mai a livello di decenza, come tutti gli altri interventi da cinquanta anni a questa parte, ma che ingrassera' i contractors del nord: Fiat, Marcegaglia, Ansaldo e fornitori, sempre del nord. E se un giorno, chissa' quando, sara' operativo -  ci si accorgera' della sua inutilita'?
Il problema sistemico del Mezzogiorno è uno solo: la deliberazione di una semplice Legge che legalizzi il trasporto di merci e persone via mare. Non altro. Una Legge che liberi il Mezzogiorno dalla dittaura del consumo di beni e prodotti realizzati al nord. Tutto il resto e' esclusivamente ingrassare il portafoglio del nord. Il pil della padania. Il trasporto di merci e persone col cabotaggio sarebbe un forte impulso per gli armatori del Mezzogiorno, dei loro fornitori ed ampierebbe l'occupazione, come l'indotto. Di tutto il Mezzogiorno. Nonche' si rivelerebbe in breve tempo un servizio eccellente per le imprese che esportano verso nord ed i Europa. Le persone e le merci sarebbero imbarcate in uno dei tanti porti del Mezzogiorno ed in poche ore sbarcherebbero a Genova, Venezia, Trieste, Livorno, Ancona. Gran parte del movimento merci dal sud verso nord troverebbe grande giovamento. In termini di velocita' e quindi freschezza e qualita'. Il resto son chiacchiere.
Il Ponte sullo Stretto il Sud e' uno scontrino perenne, che pagheranno i consumatori, i viaggiatori ed i prodotti della Sicilia. Sia in entrata che in uscita dalla Regione.
L'Olbia – Sassari? Chiedetelo all'oca giuliva (Fitto), che fine ha fatto l'autostrada per i prossimi anni. Il completamento della Salerno - Reggio Calabria? Adesso e' gratis, domani ci mangeranno sopra loro, e cosi', finalmente, i residente nel Mezzogiorno riscopriranno le meraviglie che offrono loro – gratis - le strade statali, con i meravigliosi paesini che si attraversano. Le merci importate? Costeranno di piu'. Arrangiatevi.
BANDA LARGA: cos'e'? si mangia? Ci si costruisce la casa? Si puo' vendere? Serve per qualcosa di concreto? Oppure son chiacchiere virtuali? Son chiacchiere virtuali.
SCUOLA: cosa vorra' dire plesso scolastico? Cos'e' l'infrastrutturazione informatica dei laboratori didattici? Io lo so, ho fatto il Liceo, sono intelligente. Son commesse per merci – inutili – padane. La solita fregatura, al Direttore Didattico arrivano dieci chilometri di cavi coassiali e nenche un computer. Classico, del governo italiota.
AMBIENTE: Questa e' degna di essere inserita nella Mitologia Classica. Dico, uno deve essere deficente al cubo per inventarsi un piano straordinario di azione per la riduzione del dissesto idrogeologico in tutto il Mezzogiorno. O forse ci vuole uno davvero furbo? Leggete: „Per la prima volta lo strumento dell'accordo di programma consentirà in tale settore di unire e concentrare le risorse nazionali destinate (FAS nazionale e risorse del Ministero dell'Ambiente e della Tutela del Territorio e del Mare) con quelle regionali (FAS regionale e fondi di bilancio autonomo delle Regioni) in modo da garantire un piano di interventi finalmente coordinato e condiviso da tutti gli attori istituzionali“. In altri termini tutti i soldi che spettano di diritto al Mezzogiorno entrano in un calderone, ovviamente elettorale. E chi gestira' le prebende? E come le gestira'? col contagocce, ovvio, in funzione della bisogna. E' la versione peggiore, ma peggiore, dell'ultima faccia del regime democristiano. Almeno quelli avevano rispetto umano, ti ignoravano, ed avevano ragione. Questi pretendono di sputarti in faccia e tu devi berla la sputazza, e – possibilmente – con il sorriso demente sulle labbra.
BANCA DEL MEZZOGIORNO: Basta. Basta con le banche che si prendono cura del Mezzogiorno. Tanto la storia della Cassa depositi e Prestiti la conoscono anche i sassi, ormai. Basta, con i paraventi che servono a formalizzare, a mascherare gli autori delle rapine ai danni della gente del Mezzogiorno. Il fatto storico e' che le Poste Italiane hanno drenato, per una vita, i risparmi del Mezzogiorno per finanziare la Cassa depositi e Prestiti, che ha finanziato – a tassi agevolati – molte grandi opere pubbliche nelle aree del nord inglobate alla sfera di competenza della Cassa per il Mezzogiorno. Questo e' quanto, o dobbiamo andare nel dettaglio? Adesso cambia la storia. Macche', perche' dovrebbero cambiarla, il grande partito del nord e' forte, puo' questo e ben altro. Fa quello che vuole, basta che salvi le apparenze. I deficenti del Mezzogiorno ci tengono alla buona creanza insita nelle apparenze. O viceversa?
PMI. In sintesi: drastica riduzione delle leggi di incentivazione vigenti (ce ne sono circa 100 a livello nazionale e circa 1400 a livello regionale); la semplificazione delle procedure attraverso l'utilizzo di modalità telematiche; la flessibilità nella definizione degli strumenti d'intervento; il raccordo con le Regioni bla bla bla bla bla. Parole al vento, inutili, per i deficenti meridionali. E siete imprenditori pagherete le tasse, se non lo siete le pagherete altrimenti, magari emigrando in padania, a fare gli schiavi pagatori.
RIFIUTI: „La realizzazione di un corretto ciclo di gestione integrata dei rifiuti nelle Regioni del Mezzogiorno è indispensabile“.
Ha ragione il Primo Ministro, Sua Eccellenza Berlusconi, ma come avete fatto, voi meridionali, ad essere cosi' sporchi, insomma napoletani, sino ad oggi?
Segue un lungo bla bla blabla. Cioe': i soldi dei contribuenti napoletani, campani, siciliani e pugliesi saranno presi dai padroni delle societa' che gestiranno gli inceneritori. La tassazione per lo smaltimento dei rifiuti urbani aumentera', e pure gli utili degli azionisti padani, e pure gli emolumenti dei managers padani, e pure le mazzette locali, ai politici locali ed alla manovalanza cammorrista. Comunque se succede qualcosa, la colpa sara' del Grande Sistema della Camorra cche investe nell'alta finanza e si e' messa il colletto bianco pulito con il Dash.
FontI:
http://www.loccidentale.it/articolo/ecco+il+piano+per+il+sud.0099210

venerdì 26 novembre 2010
Piano per il Sud: Governo punta su Turismo
26 Novembre 2010
Ampio spazio al turismo nel piano per il Sud che è stato approvato questa mattina dal Consiglio dei ministri.
Tre le priorità individuate, su proposta del ministro del Turismo, on. Michela Vittoria Brambilla: iniziative per la promozione dell’apprendistato e della formazione sul lavoro e la realizzazione di una Scuola di alta formazione turistica che costituisca un punto di riferimento per l’Europa e l’intero bacino del Mediterraneo, facendo leva sulla tradizione e sul valore aggiunto dell'esperienza italiana in fatto di accoglienza; la creazione di una rete di destinazioni d’eccellenza sul modello comunitario delle “European destinations of excellence” e l’elaborazione di progetti-pilota in aree con alto potenziale ancora inespresso, che rappresentino modelli di sviluppo turistico integrato; l'adozione di una strategia unitaria di comunicazione, promozione e commercializzazione del sistema turistico del Mezzogiorno. Il piano, inoltre, prevede interventi per la valorizzazione "anche a fini turistici" del patrimonio museale e archeologico.

“Il Sud – ricorda il ministro Brambilla – è un giacimento inesauribile di bellezze artistiche e paesaggistiche, in grado di attirare un numero di turisti molto maggiore. Ci sono amplissimi margini per migliorare e in particolare per favorire l’integrazione tra la fascia costiera, dove si concentrano le presenze, e il territorio retrostante, ricchissimo di attrattive, ma spesso penalizzato dalla mancanza o dall’inadeguatezza delle infrastrutture e dalle carenze qualitative dell'offerta turistica nel suo complesso. Perciò puntiamo sulle eccellenze del territorio, sulla qualificazione delle risorse umane e su un'intensa azione di promozione".

sabato 27 novembre 2010
Il piano Sud? Più o meno forte
Carlo Trigilia
Il Piano nazionale per il Sud è stato approvato dal Consiglio dei ministri ed è una buona notizia che arrivi finalmente al traguardo.
Che cosa cambia ora? È una svolta? Quali possibilità ci sono che il principale nodo irrisolto dello sviluppo del paese, a 150 anni dall'Unità, venga infine sciolto positivamente?
Chiediamoci anzitutto che cos'è il Piano per il Sud. È un documento programmatico in cui si fissano alcuni obiettivi sui quali convogliare le risorse europee e quelle nazionali. Due le novità rilevanti e positive. La prima riguarda il proposito di concentrare gli interventi su alcuni obiettivi in termini di beni e servizi collettivi: grandi infrastrutture, istruzione, ricerca e innovazione. Ad esse se ne accompagnano altre, volte a creare un ambiente più favorevole per lo sviluppo economico e sociale: sicurezza e legalità, giustizia, efficienza della pubblica amministrazione, credito e sostegno alle imprese e al lavoro. La seconda novità è costituita dal tentativo di perseguire tali obiettivi con strumenti che anticipano la riforma in discussione dei fondi regionali dell'Unione Europea: ricorso più stringente a valutazione preventiva e successiva degli interventi; definizione con tutte le amministrazioni coinvolte nella realizzazione – anche attraverso "contratti istituzionali" - degli impegni rispettivi; condizionalità nell'uso dei fondi legata al raggiungimento di obiettivi predeterminati; individuazione di meccanismi sostitutivi fino alla possibilità di "commissariamento" in caso d'inadempienza.
La specificazione degli obiettivi prioritari può essere considerata soddisfacente? Ci sono luci e ombre. Un solo esempio: nel caso della sicurezza bisognerebbe non solo spendere molto di più, ma soprattutto concentrare maggiormente l'intervento nella formazione di un'intelligence specializzata, a livello di forze dell'ordine e della magistratura, per far fronte alla vera e propria emergenza costituita dal diffondersi di forme di compenetrazione tra mafie ed economie locali. Lo stesso obiettivo della realizzazione di grandi infrastrutture è a rischio se non si combina con un più efficace monitoraggio del sistema degli appalti e delle attività economiche in genere. Naturalmente, molte linee d'intervento sono legate alla necessità di concertare con le regioni i progetti operativi e di valutarli, da cui dipende la concentrazione su vere priorità. Da questo punto di vista si è però accumulato un ritardo che stride con gli effetti della crisi economica e con le sue ripercussioni ancora più gravi nelle aree deboli del paese. La programmazione precedente delle risorse europee e nazionali lasciava a desiderare e i piani predisposti dalle regioni erano spesso dispersivi e insoddisfacenti. Il governo è però in carica dal maggio 2008 e in questo lasso di tempo non si sono fatti passi avanti significativi con le regioni. Intanto, a metà del ciclo di programmazione 2007/2013, gli impegni delle risorse comunitarie (obiettivo convergenza) sono al 17% e i pagamenti al 7% - valori peraltro gravemente inferiori a quelli registrati nel ciclo precedente dopo lo stesso numero di anni. I rischi di disimpegno automatico, in base alla normativa comunitaria, sono elevatissimi.
Che possibilità ci sono di colmare questi ritardi e imprimere una svolta? Occorre essere ben consapevoli che sul processo finalmente avviato ieri gravano due incognite rilevanti. La prima è costituita dall'impianto istituzionale. Uno schema di decreto legislativo, legato alla riforma federalista, è stato approvato contestualmente al Piano. Rafforza il ruolo del ministro delegato per la politica di coesione e pone le basi per la messa in opera degli strumenti nuovi di coordinamento, concentrazione, valutazione, determinazione stringente di tempi e procedure, responsabilizzazione delle diverse amministrazioni, fino a eventuali commissariamenti. Questo decreto deve ora passare dalle commissioni parlamentari e dalla conferenza unificata. Sarà decisiva la posizione delle regioni e delle forze politiche in parlamento. Una rapida assunzione di responsabilità condivisa da tutte le parti in causa sarebbe auspicabile, ma contrasta – evidentemente – con la situazione di crisi politica. La seconda incognita riguarda le basi finanziarie per dare gambe concrete al Piano. Le risorse previste non sono nuove, fanno parte di quelle già da tempo allocate insieme ai fondi comunitari. Procedere alla realizzazione del Piano richiede una rinegoziazione dei fondi comunitari (in parte non spesi nel ciclo precedente e per la maggior parte ancora non utilizzati nel ciclo in corso) e un'integrazione efficace con quel che è rimasto dei Fas (i fondi nazionali per la politica di sviluppo). Una delibera del Cipe, presa sempre ieri, avvia la riprogrammazione, ma questa procedura - che coinvolge la Ue e le regioni - richiede normalmente qualche mese. Che cosa accadrà se la situazione politica dovesse aggravarsi ulteriormente fino a una crisi di governo? Si riuscirà a trovare un'intesa efficace tra governo e regioni?
Ancora una volta i tempi della politica e delle istituzioni rischiano di non coincidere con quelli delle imprese, dei lavoratori, dei cittadini. Non ne paga le conseguenze solo il Sud ma tutto il paese.
fonte:

sabato 27 novembre 2010
Ottanta miliardi pronti per il Sud
di Alessandra Flavetta
ROMA - Il Piano per il Sud è stato presentato ieri dal premier Silvio Berlusconi e da quasi l’intero governo alle parti sociali.
Il Sud è «un problema nazionale», ha detto il presidente del Consiglio, annunciando «provvedimenti sostanziosi» e la «concentrazione di fondi su iniziative strategiche per non disperdere le risorse in mille rivoli». Questo Piano è «una parte qualificante, la base del Piano che l’Italia presenterà all’Europa», ha sottolineato il ministro dell’Economia Giulio Tremonti.

L’attuazione del Piano per il Sud «sarà tempestiva e rapida: entro trenta giorni ci sarà l’approvazione di ogni singolo punto», ha afferma il ministro per i Rapporti con le Regioni, Raffaele Fitto, che ieri ha illustrato le linee generali del provvedimento a parti sociali, Regioni del Centro-Sud, Province e Comuni, in quattro diversi incontri. Oggi il Piano riceverà il primo via libera dal Consiglio dei Ministri, seguito dall’approvazione della delibera Cipe necessaria alla sua copertura finanziaria, attraverso la riprogrammazione dei fondi strutturali europei e il Fas non spesi o bloccati. In totale, per finanziare gli interventi per il Mezzogiorno, la segretaria della Cgil Susanna Camusso afferma che sono «nominalmente» disponibili 75-80 miliardi di euro, mentre alle Regioni e agli enti locali non sono state date cifre.

Il ministro Fitto, al termine della riunione con i governatori, fa solo riferimento alla delibera Cipe del luglio scorso per verificare l’utilizzo dei fondi Ue da parte delle Regioni. E infatti «una parte della copertura del Piano – spiega – proverrà dal fondo Fas, ingenti risorse non spese, non programmate, non impegnate, che rischiano di essere perse. Nella vecchia programmazione (200-2006 ndr) le risorse non spese – prosegue il ministro – sono state superiori al 50%, c’è poi lo sblocco del Fas della nuova programmazione», quella 2007-2013. Fitto, che aveva finora indicato solo gli otto punti del Piano – infrastrutture, ricerca, scuola, giustizia, sicurezza, pubblica amministrazione e servizi pubblici locali, incentivi alle imprese e Banca per il Sud – entra nel merito dei provvedimenti per attuarlo: un decreto ministeriale sulla perequazione infrastrutturale ed un decreto legislativo sulla riforma della governance dei fondi strutturali, in attuazione degli articoli 22 e 16 della legge 42 sul federalismo fiscale.

Un modo per «concentrare le risorse su interventi strategici», in linea con la strategia Ue e «il V rapporto sulle politiche di coesione». Ma ci sarà anche una riforma degli incentivi alle Pmi che «riguarderà l’automatismo del meccanismo», cioè il decreto che rilancia il credito d’imposta, che il Ministro Romani sta definendo.

Al presidente della Basilicata Vito De Filippo non sembra ci sia da parte del governo «uno sforzo finanziario per il Mezzogiorno, vengono solo spostati soldi da una parte all’altra e alla fine per il Sud non c’è un euro in più». Il governatore si chiede come mai lo Stato, per realizzare interventi infrastrutturali «ordinari al Nord, come caserme, strade o ferrovie, al Sud necessita di un piano straordinario». E trova «paradossale» che si rastrellino «nuovi fondi da impegnare per la Salerno- Reggio-Calabria» dando la colpa alle amministrazioni meridionali, quando «la partita è da sempre nelle mani di una grande agenzia statale, l’Anas».
L’assessore pugliese al Mezzogiorno e al Federalismo, Marida Dentamaro, parla di «un impegno per il Sud solo annunciato» e denuncia la centralizzazione della gestione dei fondi Ue «su cui l’ultima parola spetterà al governo, cosa che preoccupa le Regioni del Centro-Sud governate dal centrosinistra».

Ma come è stato, secondo il ministro pugliese, l’accoglienza del Piano? «Mi sembra che sostanzialmente il giudizio dei presidenti delle Regioni sia fortemente positivo, anche se differenziato, e nell’incontro con le parti sociali solo il segretario della Cgil si è riservata di sospendere il giudizio». E le posizioni di Puglia e Basilicata? «Mi sembra che il loro – conclude - sia un dissenso preventivo».
26 Novembre 2010
fonte:

sabato 27 novembre 2010
Il Piano per il Sud nasce zoppo. Dubbi sull'impianto istituzionale e sulle risorse finanziarie
di Carlo Trigilia
27 novembre 201
Il Piano nazionale per il Sud è stato approvato dal Consiglio dei ministri ed è una buona notizia che arrivi finalmente al traguardo. Che cosa cambia ora? È una svolta? Quali possibilità ci sono che il principale nodo irrisolto dello sviluppo del paese, a 150 anni dall'Unità, venga infine sciolto positivamente?

Chiediamoci anzitutto che cos'è il Piano per il Sud. È un documento programmatico in cui si fissano alcuni obiettivi sui quali convogliare le risorse europee e quelle nazionali. Due le novità rilevanti e positive. Anzitutto, vi è la scelta di concentrare gli interventi su alcune priorità in termini di beni e servizi collettivi: grandi infrastrutture, istruzione, ricerca e innovazione. Ad esse se ne accompagnano altre, volte a creare un ambiente più favorevole per lo sviluppo economico e sociale: sicurezza e legalità, giustizia, efficienza della pubblica amministrazione, credito e sostegno alle imprese e al lavoro. La seconda novità è costituita dal tentativo di perseguire tali obiettivi con strumenti che anticipano la riforma in discussione dei fondi regionali dell'Unione Europea: ricorso più stringente a valutazione preventiva e successiva degli interventi; definizione con tutte le amministrazioni coinvolte nella realizzazione – anche attraverso "contratti istituzionali" - degli impegni rispettivi; condizionalità nell'uso dei fondi legata al raggiungimento di obiettivi predeterminati; individuazione di meccanismi sostitutivi fino alla possibilità di "commissariamento" in caso di inadempienza.

La specificazione degli obiettivi prioritari può essere considerata soddisfacente? Ci sono luci e ombre. Un solo esempio: nel caso della sicurezza bisognerebbe non solo spendere molto di più, ma soprattutto concentrare maggiormente l'intervento nella formazione di un'intelligence specializzata, a livello di forze dell'ordine e della magistratura, per far fronte alla vera e propria emergenza costituita dal diffondersi di forme di compenetrazione tra mafie ed economie locali. Lo stesso obiettivo della realizzazione di grandi infrastrutture è a rischio se non si combina con un più efficace monitoraggio del sistema degli appalti e delle attività economiche in genere. Naturalmente, molte linee d'intervento sono legate alla necessità di concertare con le regioni i progetti operativi e di valutarli. Da questo punto di vista si è però accumulato un ritardo che stride con gli effetti della crisi economica e con le sue ripercussioni ancora più gravi nelle aree deboli del paese. La programmazione precedente delle risorse europee e nazionali lasciava a desiderare, e i piani predisposti dalle regioni erano spesso dispersivi e insoddisfacenti. Il governo è però in carica dal maggio 2008 e in questo lasso di tempo non si sono fatti passi avanti significativi con le regioni. Intanto, a metà del ciclo di programmazione 2007/2013, gli impegni delle risorse comunitarie sono al 20% e i pagamenti al 9% - valori peraltro gravemente inferiori a quelli registrati nel ciclo precedente dopo lo stesso numero di anni. I rischi di disimpegno automatico, in base alla normativa comunitaria, sono elevatissimi.

Che possibilità ci sono di colmare questi ritardi e imprimere una svolta? Occorre essere ben consapevoli che sul processo finalmente avviato ieri gravano due incognite rilevanti. La prima è costituita dall'impianto istituzionale. Uno schema di decreto legislativo, legato alla riforma federalista, è stato approvato contestualmente al Piano. Rafforza il ruolo del ministro delegato per la politica di coesione, e pone le basi per la messa in opera degli strumenti nuovi di coordinamento, concentrazione, valutazione, determinazione stringente di tempi e procedure, responsabilizzazione delle diverse amministrazioni, fino a eventuali commissariamenti. Questo decreto deve ora passare dalle commissioni parlamentari e dalla conferenza unificata.

Sarà decisiva la posizione assunta dalle regioni e dalle forze politiche in parlamento. Una rapida assunzione di responsabilità condivisa da tutte le parti in causa sarebbe auspicabile, ma contrasta – evidentemente – con la situazione di crisi politica. La seconda incognita riguarda le basi finanziarie per dare gambe concrete al Piano. Le risorse previste non sono nuove, fanno parte di quelle già da tempo allocate insieme ai fondi comunitari. Procedere alla realizzazione del Piano richiede una rinegoziazione dei fondi comunitari (in parte non spesi nel ciclo precedente e per la maggior parte ancora non utilizzati nel ciclo in corso) e un'integrazione efficace con quel che è rimasto dei Fas (i fondi nazionali per la politica di sviluppo). Una delibera del Cipe, presa sempre ieri, avvia la riprogrammazione, ma questa procedura - che coinvolge la Ue e le regioni - richiede normalmente qualche mese. Che cosa accadrà se la situazione politica dovesse aggravarsi ulteriormente fino a una crisi di governo? Si riuscirà a trovare un'intesa efficace tra governo e regioni?
Ancora una volta i tempi della politica e delle istituzioni rischiano di non coincidere con quelli delle imprese, dei lavoratori, dei cittadini. Non ne paga le conseguenze solo il Sud ma tutto il paese.
27 novembre 2010
Fonte:


sabato 27 novembre 2010
L'ITALIA RESTA UNA PIATTAFORMA STRATEGICA
di Raffaele Bonanni
INTERVENTO. L`Italia resta una piattaforma strategica.
Diventato segretario della Cisl, il problema della salvezza e del rilancio della Fiat è diventato questione a cui non potevo sottrarmi. La prima difficoltà con cui ho dovuto fare i conti è stata quella dello stabilimento di Termini Imerese, realtà produttiva che raccoglie lavoratori di ottimo livello professionale ma che, dovendo usare componenti che arrivano da Melfi o da Torino, non ha possibilità di essere gestita in modo puramente economico: fino agli anni Duemila era vissuta solo grazie alla politica di sostegno dello Stato, ma tale "politica" era arrivata al capolinea a causa del disavanzo pubblico accumulato. Proprio questo Marchionne spiegò alle tre confederazioni in un incontro sull`argomento nel 2007: l`alternativa alla chiusura consisteva solo nel costruire uno stabilimento di produzione di componentistica a fianco della produzione di auto e i costi di questo progetto variavano tra il miliardo e novecento milioni di euro e i due. Di questa cifra il Lingotto poteva farsi carico al massimo per circa un miliardo e duecento milioni. Senza questo investimento lo stabilimento non aveva futuro. Ci mettemmo al lavoro per cercare quei seicentoseicentocinquanta milioni di euro che servivano a completare l`intervento.
L`allora presidente della Regione Sicilia sostenne che poteva trovare nei suoi bilanci trecentotrecentocinquanta milioni.
Ne parlai con il presidente del Senato Franco Marini e con Sergio D`Antoni, che era viceministro dello Sviluppo, ed entrambi erano convinti sostenitori dell`operazione Termini, che avrebbe comportato la stabilizzazione di quel sito e il raddoppio dei livelli occupazionali esistenti. E successivamente ne parlammo anche con Tommaso Padoa-Schioppa, ministro dell`Economia, ma dalle stanche finanze dello Stato già da allora non si recuperavano che centocentocinquanta milioni di euro.
Troppo poco per un rilancio dell`investimento Fiat in Sicilia.
L`alternativa per la Fiat divenne dunque potenziare lo stabilimento di Pomigliano,, d`Arco (mentre per Termini Imerese vi sono, dal 2010, meno di due anni di tempo per organizzare una vera soluzione produttiva alternativa per cui vi sono diverse carte da giocare, grazie all`ottima professionalità dei lavoratori e alla posizione strategica dello stabilimento rispetto al Sud del Mediterraneo).
E evidente come la strategia industriale della Fiat abbia bisogno di un grande stabilimento nel Mezzogiorno collegato a un porto per essere presente sul mercato nordafricano, che nel prossimo periodo non è prevedibile si doti di propri impianti di produzione automobilistica. Su Pomigliano Marchionne aveva espresso le sue preoccupazioni, impegnandosi anche a chiudere gli stabilimenti per tre mesi pur mantenendo il vantaggio della paga piena per riconvertire con la formazione gli operai e prepararli alla fase di rilancio. Quando l`amministratore delegato del Lingotto fece questa proposta, la Fiom sollevò qualche obiezione, successivamente superata, ma questo mi fece capire subito quanto sarebbe stato difficile il rilancio di quello stabilimento. Ma come, dissi, pagano interamente il riaddestramento e ci lamentiamo? Questo è il quadro che caratterizza l`ultimo accordo di Pomigliano, che va valutato nel suo contesto.
È evidente come la Fiat non si muova per pura generosità: sviluppare la produzione nel nostro Paese secondo il progetto Fabbrica Italia che dovrebbe prevedere l`investimento di venti miliardi di euro risponde a diversi obiettivi strategici. Mantenere una produzione di grande qualità che ha consentito alla Fiat di essere competitiva nell`operazione Chrysler, consolidare un mercato tricolore che pur molto diminuito (oggi è il mercato brasiliano quello che, considerandole vendite di auto percentualmente rispetto alla popolazione, vede primeggiare i prodotti Fiat) resta comunque ricco e invitante, e infine usare una penisola che - come si diceva un tempo costituisce una naturale piattaforma per arrivare in tutto il Mediterraneo.
Vi è dunque una base oggettiva per costruire accordi con il management Fiat, naturalmente senza dimenticare come sia finita l`era dell`assistenzialismo e come, se messo alle strette, inchiodato a diseconomicità ingovernabili, l`attuale gruppo Fiat abbia diverse vie di ritirata nel mondo: a partire da Serbia e Polonia per arrivare a Detroit e Belo Horizonte.
asterisco.
Questo tizio le spara grosse, ed infine minaccia pure.
Rileggete le frasi cardini, attentamente:
-      La prima difficoltà con cui ho dovuto fare i conti è stata quella dello stabilimento di Termini Imerese, realtà produttiva che raccoglie lavoratori di ottimo livello professionale ma che, dovendo usare componenti che arrivano da Melfi o da Torino, non ha possibilità di essere gestita in modo puramente economico…..
Mi scusi, emerito sindacalista, ma perche' giustifica il fallimento manageriale degli uomini Fiat? Perche' di questo – in fondo – si tratta. Perche' quelli di Torino hanno investito a Termini Imerese, forse per via della ricetta medica? O perche' volevano guadagnarci? Se lo hanno fatto per motivi diversi dai profitti, son fatti loro, hanno sbagliato. La storiella della componenstistica la vada a vendere ai nesci, non regge, nenche con le stampelle. Gli sbagli interni alla Fiat sono errori interni della Fiat, non della comunita'.
-       ….fino agli anni Duemila era vissuta solo grazie alla politica di sostegno dello Stato, ma tale "politica" era arrivata al capolinea a causa del disavanzo pubblico accumulato.
Ma a chi vuole prendere per i fondelli? Ci vuol dar da bere che quello stabilimento e' il frutto – esclusivamente – di una elemosina assistenziale. Da parte di chi, della Fiat? Per favore, lasci perdere.
-      Di questa cifra il Lingotto poteva farsi carico al massimo per circa un miliardo e duecento milioni. Senza questo investimento lo stabilimento non aveva futuro.
Perfetto, degna chiosa di un'affabulazione per scimmiette ammaestrate.
-      Ci mettemmo al lavoro per cercare quei seicentoseicentocinquanta milioni di euro che servivano a completare l`intervento.
Si, certo, soldi pubblici. Da stornare dal capitolo Mezzogiorno.
-      Ma come, dissi, pagano interamente il riaddestramento e ci lamentiamo?
Ma si, Lei e' proprio un buon pater familias, comprensivo, come si fa a non riconoscere gli indubbi meriti sociali della sorella Fiat?
-      se messo alle strette, inchiodato a diseconomicità ingovernabili, l`attuale gruppo Fiat abbia diverse vie di ritirata nel mondo: a partire da Serbia e Polonia per arrivare a Detroit e Belo Horizonte.
Be', Lei, in quanto a mafiosita', fa proprio pena. Stia attento, Lei sbraga. Fiat lux.

Da "IL SOLE 24 ORE" di sabato 27 novembre 2010
sabato 27 novembre 2010
Lavoro: rischio giovani, pochi e in fuga all'estero
Rapporto Manageritalia, rischio è 'degiovanimento' anche sociale
27 novembre, 14:26
Di Lucia Manca
ROMA - Gli elettori over 50 tra dieci anni supereranno gli under 50: i giovani sono pochi e lo saranno sempre meno, hanno difficolta' a trovare lavoro e a fare carriera e su di loro non si investe.

E' il quadro desolante che emerge da un Rapporto di Manageritalia, nel quale si sottolinea il rischio che le nuove generazioni ''non solo siano sempre meno per effetto del declino delle nascite, ma anche che sempre piu' giovani ad alto potenziale lascino l'Italia per le carenze di opportunita'''. Non solo: il rischio di disoccupazione tra i giovani nel biennio della crisi 2008-2009 e' aumentato del 20% e di piu' che in tutti gli altri Paesi europei. ''Riusciamo - lamenta il presidente della federazione, Lorenzo Guerriero - ad attrarre pochi giovani dall'estero, impoverendo sempre piu' quel capitale umano di qualita' che rappresenta la risorsa piu' importante per dare un futuro al nostro Paese''.

BYE BYE GIOVANI - I nostri giovani sono gia' oggi quasi 4 milioni in meno rispetto ai coetanei francesi. Piu' in generale siamo il Paese in Europa con la piu' bassa percentuale di giovani under 25 (meno del 25% della popolazione, stranieri esclusi). Circa 20 milioni a meta' anni ottanta, sono ora meno di 15 milioni. Nel 2020 contera' quantitativamente di piu' chi ha oltre mezzo secolo di vita alle spalle rispetto alle forze piu' giovani e dinamiche della societa'. La fascia elettorale 18-49 anni passera' da 26,5 milioni attuali a meno di 24 milioni nel 2020. Viceversa gli over 50 aumenteranno nello stesso periodo da 23,6 a 27,5 milioni. I giovani - denuncia Manageritalia - diventeranno una minoranza tra la popolazione. In particolare, secondo una elaborazione da stime Istat le persone tra i 20 e i 39 anni caleranno da 15,6 milioni a 13,5 milioni (di cui 11,3% stranieri), con una perdita netta di 2,1 milioni di persone; quelle tra i 50 e i 69 anni aumenteranno da 14,6 a 16,9 milioni (di cui 2,8% stranieri), con un incremento pari a 2,3 milioni.

NON ATTIRIAMO GIOVANI DALL'ESTERO - Secondo il Rapporto, non e' vera la fuga dei cervelli all'etero. I nostri giovani piu' istruiti fuggono dall'Italia nelle stesse proporzioni degli altri giovani europei. Su cento studenti che si laureano, quasi sei decidono di lasciare l'Italia: numeri non molto diversi da quelli di altri Paesi visto che lo stesso indice e' pari a al 4,5% in Francia, al 5,5% in Germania, all'8% in Grecia, al 2,5% in Spagna, al 12,2% in Gran Bretagna e allo 0,7% negli Stati Uniti. E' invece vero che non sappiamo attirare giovani dall'estero e quindi il saldo tra giovani che escono ed entrano in Italia e' negativo: -1,2% contro 5,5% della Germania e del 20% degli Usa.

CLASSE DIRIGENTE VECCHIA - Manageritalia punta l'indice contro lo scarso rinnovamento nella classe dirigente italiana. Il rischio, sostiene, e' che al 'degiovanimento demografico' corrisponda anche un 'degiovanimento sociale': una perdita generalizzata di peso, importanza, valore dei giovani nella societa' italiana. Nel 1990 l'eta' media dell'élite era di 51 anni, nel 2005 di circa 62. Un aumento di 11 anni a fronte di una crescita della speranza di vita di circa 4 anni. I dirigenti privati e pubblici hanno in Italia un'eta' media di 47,7 anni contro una media europea del 44,7%.

SCARSA MOBILITA' SOCIALE - Avere un padre laureato permette al figlio di guadagnare in media il 50% in piu' rispetto a chi ha un genitore con titolo piu' basso a parita' delle caratteristiche individuali del giovane stesso.
Fonte:

sabato 27 novembre 2010
Al Nord opere cantierabili, al Sud annunci
di Antonio Casa
Il Governo ha presentato un piano da 80 miliardi di euro per le regioni del Mezzogiorno. Armao gela: “Per l’Isola 1 mld in meno”. Il sogno: in Sicilia prevista l’alta velocità Palermo-Catania e il completamento dell’anello autostradale
ROMA - Una lista delle cose da fare. Visto com’è finita in precedenza, è un altro annuncio atteso alla prova dei fatti. Ieri, il Consiglio dei ministri ha dato il via libera definitivo ai due decreti he costituiscono il cosiddetto Piano per il Sud, del valore di 80 miliardi. Mentre per il Nord sono state sbloccate opere per 21 miliardi di euro, per il Mezzogiorno d’Italia si assiste a una replica del Fas, il Fondo per le aree sottosviluppate, mai entrato nella fase pratica. Il presidente della Regione, Raffaele Lombardo, avverte: "La preoccupazione principale e' quella di comprendere se ci sono le risorse. Senza soldi si tratterebbe solo di chiacchiere”. Secondo i primi calcoli dell’assessore regionale all’Economia, Gaetano Armao, "il piano per il Sud comporta un taglio del 10% ai fondi Fas, cosa che per la Sicilia determina 1 mld di euro in meno".
La bozza del documento del Piano per il Sud individua una serie di interventi. Per le infrastrutture l’obiettivo prioritario “è la realizzazione, entro il prossimo decennio, di un sistema ferroviario moderno”. Perno di questa strategia e’ la realizzazione dell’Alta Capacità su tre linee: Napoli - Bari - Lecce - Taranto; Salerno - Reggio Calabria; Catania - Palermo. “Con il completamento di queste tre tratte e la realizzazione del Ponte sullo Stretto il Sud potrà contare su un moderno sistema di collegamento verso il Nord Italia e il Centro e Nord Europa essendo garantita l’interconnessione e l’interoperabilità fra i Corridoi transeuropei TEN, collegando il Corridoio I (Berlino - Palermo) con il Corridoio VIII (Bari - Sofia). Questi interventi verranno realizzati ponendo attenzione alla loro integrazione con il rafforzamento del sistema portuale. Nell’ambito del trasporto stradale, il Piano prende a riferimento le opere ricomprese tra le priorità strategiche indicate nell’allegato infrastrutture alla Dfp quali ad esempio la Olbia - Sassari, il completamento della Salerno - Reggio Calabria ed il sistema autostradale Catania - Siracusa - Gela - Trapani”.
Per quanto riguarda il settore informatico, il Piano prevede “la realizzazione di un piano di intervento per portare la banda larga a tutti i cittadini delle 8 regioni del Sud e garantire l’accesso a banda ultralarga ad almeno il 50 per cento della popolazione residente nel Mezzogiorno intervenendo in tutti i 33 capoluoghi di provincia delle 8 regioni meridionali”.
Per la scuola è stato annunciato un piano “di razionalizzazione e ammodernamento dei plessi scolastici con particolare attenzione a quelli del I e del II ciclo. A tale piano si affiancherà il completamento dell’infrastrutturazione informatica dei laboratori didattici”. Previsto, poi, “l’immediato avvio del piano straordinario di azione per la riduzione del dissesto idrogeologico in tutto il Mezzogiorno. Per la prima volta lo strumento dell’accordo di programma consentirà in tale settore di unire e concentrare le risorse nazionali destinate (FAS nazionale e risorse del Ministero dell´Ambiente e della Tutela del Territorio e del Mare) con quelle regionali (Fas regionale e fondi di bilancio autonomo delle Regioni)”.
Capitolo Banca del Mezzogiorno:  secondo il piano del governo “opererà come istituzione finanziaria di secondo livello, attraverso una rete di banche sul territorio che diverranno socie utilizzando la rete degli sportelli di Poste Italiane. A tal fine l’azione del governo mira a coinvolgere nell’azionariato un’ampia rete di banche con un forte radicamento territoriale, quali le banche di credito cooperativo e le banche popolari”. La Banca del Mezzogiorno potrà anche ambire a gestire, secondo gli attuali indirizzi comunitari, il Fondo rotativo europeo Jeremie per il Mezzogiorno, volto a sostenere credito agevolato, capitale di rischio e garanzie”.
Articolo pubblicato il 27 novembre 2010

sabato 27 novembre 2010
Una crisi contro il Sud
Venerdì 12 Novembre 2010 16:49
Di pitagorico.
Se, come tutto lascia prevedere, la crisi di Governo e di legislatura andrà a compimento, Taranto verrà probabilmente penalizzata, perché non verranno finalizzate le scelte di investimenti e progettualità compiute negli anni passati. Verrà certamente penalizzato l’intero Mezzogiorno, perché resterà bloccato l’intero sistema allocazione di risorse, finanziamento di progetti, avvio di infrastrutture, che avrebbero dovuto dare respiro ad un Sud in forti difficoltà. Merita, però, una riflessione più generale, la condizione di inferiorità ormai strutturale che il Mezzogiorno ( e quindi Taranto), ha assunto rispetto al resto del Paese.
La geografia politica dell’Italia ed i rapporti di forza emersi dalle urne nella seconda Repubblica, vedono un Mezzogiorno che esprime il proprio consenso in maniera instabile e mutevole, secondo la logica del votarecontro, che ha favorito alternativamente le diverse coalizioni, senza alcun ritorno in termini di influenza sulle scelte nazionali.
Il Mezzogiorno si presenta perdente di fronte ad un Nord forte, sostenuto e trainato da PdL e Lega; ad un Centro tutelato dal Pd, consolidata forza di Governo nelle Regioni centrali e principale forza di opposizione nel Paese. Il sistema bipolare, artificiale e con tentati sprazzi bipartitici, ha creato, di fatto, una marginalizzazione proprio del Mezzogiorno.
Dopo quasi un ventennio, esso non ha rappresentanza politica adeguata e reale; né tantomeno può colmare tale vuoto il tentativo di improbabili ed improponibili Partiti del Sud, eredi di un meridionalismo fallimentare, fatto di sterili rivendicazioni, di richieste di trasferimenti di risorse finanziarie, senza progetti strategici di crescita e di sviluppo, e senza alcun onere di rendicontazione.
Anche il livello del confronto istituzionale, vede il Mezzogiorno debole e assente. Il Mezzogiorno è escluso dalle sedi decisionali, per logica di sistema; con la forza della volontà e della ragione, ci si può sempre opporre, ma esso risulta subalterno e passivo anche in virtù del fatto che le Regioni Meridionali non hanno la legittimazione virtuosa, per opporsi a provvedimenti che pure mettono in serio predicato l’unità sostanziale del Paese.
I fallimenti delle politiche per il Mezzogiorno, quand’anche ci siano state, negli anni in cui si sono alternati alla guida dei governi locali e nazionali maggioranze e coalizioni di segno opposto, hanno lasciato alcune Regioni del Sud esposte all’influenza nefasta dei poteri mafiosi, creando un’emergenza di ordine legalitario e democratico. In questo contesto si pone il problema di come si seleziona la classe dirigente e di come si costruisce il consenso elettorale, che è l’elemento reale per incidere e modificare gli assetti costituiti. Se è vero, infatti, che il federalismo, specie quello fiscale, può rappresentare uno strumento valido per la responsabilizzazione degli amministratori locali, è altresì illusorio pensare, che efficienza e responsabilità, si affermino solo con la minaccia della punizione dell’elettorato, che non sempre penalizza i “cattivi” (soventemente avviene il contrario); ma ricorrendo a meccanismi e sanzioni effettive, a nuovi strumenti legislativi che prevedano una netta separazione tra controllore e controllato e finanche ineleggibilità e decadenza nei casi di gestioni irresponsabili. L’attuale sistema politico– istituzionale non ha portato bene al Mezzogiorno d’Italia; ne ha aggravato le condizioni privandolo di quel contrappeso politico rappresentato da grandi forze nazionali, con forti radici nel Mezzogiorno, rispetto ad un potere economico e finanziario concentrato nel Centro - Nord. La domanda che nasce dall’esperienza delle cose, è se vi è la possibilità di una modifica significativa degli assetti politici ed istituzionali, con una nuova legislatura; ma soprattutto il problema è in che modo e chi riuscirà a far diventare il Mezzogiorno un protagonista attivo della politica e non soltanto un passivo ricevitore di ipotetici, quanto inesistenti benefici.
Avevamo chiesto alla comunità tarantina un impegno diretto e visibile, capace di sostenere le scelte di sviluppo per il porto di Taranto che dovevano essere prese a livello di governo e di Parlamento.
Avevamo sollecitato, al di là delle collocazioni politiche e di schieramento, i soggetti responsabili nelle istituzioni, ad esprimere la loro volontà di contribuire agli interessi del territorio ed esercitare tutta l’influenza possibile nelle sedi decisionali. Avevamo chiamato alla pubblica rappresentanza di interessi economici e sociali legati al superamento della crisi di Taranto, coloro che erano stati nominati ed eletti in questa funzione. Da molto tempo non avevamo assistito ad una così convinta e diffusa partecipazione, nella comunità tarantina. Molti di coloro che hanno responsabilità dirette o mediate, si sono espressi con chiarezza sull’importanza della svolta che la realizzazione delle attività commerciali e logistiche nel porto di Taranto può avere sull’intero territorio. Politici e sindacalisti, operatori economici e figure istituzionali, esponenti del mondo culturale e dei servizi, si sono pronunciati, quasi a riprova di un vento nuovo che sembra si stia levando nella terra jonica. Probabilmente sta cambiando l’antropologia del tarantino: da un comportamento polemico o indifferente, attento piuttosto alle difficoltà del vicino che alle proprie opportunità, si comincia a delineare un tarantino impegnato nel fare, perché ottimista sulle prospettive e convinto di poter crescere sul proprio lavoro e sulle opportunità e risorse. Siamo eccessivamente benevoli? Per una volta ci fa piacere esserlo, anche perché riteniamo che il fondo sia stato ormai raggiunto e risalire sarà possibile soltanto se ne saremo tutti convinti e, soprattutto, ne saremo attori consapevoli.
“Le parole sono pietre”, scriveva Carlo Levi negli anni del meridionalismo protagonista di una nuova stagione di democrazia nel Sud. Possono essere pietre da lanciare contro qualcuno o qualcosa; ovvero pietre con le quali costruire le basi di strutture civili stabili ed importanti, nelle quali vivere. Le parole di questi giorni, potrebbero essere del secondo genere, perché rappresentano piuttosto la convergenza su un obiettivo e la condivisione di una battaglia. Per una volta non abbiamo letto insulti fini a sé stessi; e le polemiche, sono servite soprattutto a chiarire le posizioni ed a sollecitare gli impegni.
Nei prossimi giorni vedremo come andranno le cose; speriamo bene. Ma in ogni caso, vogliamo sottolineare questo passaggio positivo, nel modo di essere cittadini della comunità jonica.
Nei prossimi giorni si deciderà se il Porto di Taranto resterà una entità fisica, divisa in tante autonomie funzionali (Marina Militare, Siderurgia, Raffineria, Container); ovvero al suo interno si inserirà una componente dinamica capace di innestare dei processi innovativi e creativi che ne sviluppino la capacità commerciale e l’offerta logistica.

Oltre sette anni fa, l’Autorità Portuale ed un gruppo di imprenditori privati, dettero vita ad un progetto di finanza finalizzato alla realizzazione di una Piattaforma Portuale logistica che consentisse al terminal container di essere qualcosa di più di una semplice stazione di smistamento, senza ritorni economici e commerciali sulla città.
Il progetto era tecnicamente ed economicamente ineccepibile; la qualità e la affidabilità degli imprenditori privati, di assoluta certezza; le disponibilità finanziarie furono reperite ed accantonate per l’utilizzo. Il Cipe approvò il progetto; il bando internazionale venne espletato in piena trasparenza  e regolarità; tutti gli stadi di progettazione vennero portati a compimento. Poi avvennero strani avvenimenti che riguardarono le nomine all’Autorità Portuale, contestate fino al commissariamento della stessa; rallentamenti e ritardi ad opera di una burocrazia incapace di cogliere il valore economico dei tempi di realizzazione di questa opera; resistenze da parte di chi aveva, all’interno del demanio portuale, nicchie di privilegio che ostacolavano obiettivamente ogni possibilità di sviluppo. Come abbiamo già ricordato, questi ritardi (non dimentichiamo che si tratta di sette anni) hanno determinato un incremento dei costi che deve essere coperto, anche per evitare contenziosi ed ulteriori ritardi. Gli accordi tecnici ed economici sono stati raggiunti, anche grazie alla attiva iniziativa del Commissario all’Autorità Portuale di Taranto. Si tratta ormai di una ratifica formale da parte del Cipe, che approvando questi accordi, attiverebbe un investimento di oltre duecento milioni, destinato a provocare in incremento di attività economica e commerciale di grande rilevanza.
Ci siamo, dunque. Ma, come sempre nel nostro Paese, non esistono certezze, anche quando tutto sembra corrispondere ad una logica economica ed all’interesse generale e di una Comunità. Pensiamo sia giunto il momento che questa Comunità si faccia sentire. Vogliamo ascoltare la voce delle Istituzioni elettive, che non hanno diretta responsabilità decisionale in questa faccenda, ma dovrebbero rappresentare gli interessi essenziali del territorio che amministrano; e quindi di questi interessi debbono farsi carico con forza e determinazione.
Vogliamo ascoltare la voce degli operatori economici, che da questa iniziativa possono ottenere riferimenti importanti, nell’immediato e nel futuro, per impostare la loro attività di impresa ed i progetti di sviluppo. Vogliamo sentire la voce dei sindacati, che hanno bisogno di più interlocutori sui quali poggiare le prospettive di crescita dell’occupazione e del reddito delle famiglie. In sostanza vogliamo vedere come l’orgoglio della città, sia capace di essere protagonista del suo avvenire, in un passaggio cruciale dal quale nessuno dovrà tirasi indietro.
Non vale, quindi, il costante richiamo agli aiuti di Stato che hanno sostenuto la fabbrica torinese per oltre 50 anni. La seconda è che la ricostruzione della Fiat avviene nel contesto del mercato globale, con tutte le sue opportunità ed i suoi rischi; non c’è quindi nessuna intenzione da parte della nuova società e dei suoi amministratori, di chiedere interventi di sostegno allo Stato italiano, ma piuttosto una politica industriale compatibile con gli obiettivi multinazionali dell’azienda. La terza, ed è la più importante dal nostro punto di vista, che il vero interlocutore di Marchionne sono i lavoratori, e quindi i sindacati che li rappresentano. Infatti, nell’intervento dell’italo-canadese, la richiesta che viene costantemente ribadita è quella di una maggiore produttività del lavoro, una migliore efficienza del sistema delle relazioni industriali, ed una più forte competitività. Se anziché ripetere i logori schemi che fanno della nostra classe politica uno dei peggiori interlocutori possibili per un processo di sviluppo, ammantandosi virtuosamente del ruolo dei difensori dei contribuenti, in questi giorni si fosse meglio riflettuto sui problemi posti da Marchionne, probabilmente si sarebbero meglio comprese alcune cose. Cioè che da questa presa di coscienza della crisi industriale ed economica del nostro Paese, emerge il ruolo del sindacato nella sua importanza innovatrice. Risulta visibile, infatti, quanto stia tornando essenziale la componente del lavoro nel processo produttivo, rilanciando la figura del nuovo lavoratore, non subalterno o marginale ma prioritario nella crescita dell’economia reale. Che queste cose ce le debba dire un manager del capitalismo industriale, è il segno dei tempi e della debolezza culturale ed intellettuale della nostra classe politica. Anziché ascoltare le stupidaggini di Calderoli, o le banalità di Fini, in risposta a Marchionne, vorremmo ascoltare i sindacati; perché aspettiamo da essi le risposte adeguate alla domanda di produttività e competitività; il rinnovamento nella cultura del lavoro e nelle sue proposte operative; l’assunzione morale di un ruolo primario nella rinascita e nello sviluppo della nostra industria e della nostra economia. Applichiamo a Taranto il linguaggio di Marchionne: sollecitiamo le forze del lavoro ad essere parte attiva di una riorganizzazione dei sistemi produttivi e delle relazioni industriali; usciamo dalla difesa dei privilegi e delle nicchie protette; rilanciamo, nella realtà jonica, una nuova cultura del lavoro, che assuma la guida del risanamento e del ri-sviluppo nella nostra comunità. Abbiamo l’occasione, nella città jonica, di partire da una base industriale importante e strutturata; abbiamo generazioni di tecnici ed operai che si sono formati nella capacità e nella coscienza in una realtà industriale che ha assunto, nel passato, livelli di eccellenza; finalmente si sta cominciando a capire che dalla crisi si esce facendo crescere l’economia reale, non dando fiato alle chiacchiere. Per questo qualcuno prenda l’iniziativa.

domenica 28 novembre 2010
Governo approva "Piano per il Sud"
Soddisfatto Scopelliti
Il presidente della Regione ha espresso la propria soddisfazione per l'approvazione del 'Piano per il Sud’ da parte del Governo Berlusconi
27/11/2010 «L'approvazione del "Piano per il Sud" dimostra l’attenzione del Governo Berlusconi nei confronti del Mezzogiorno».
E' quanto afferma il presidente della Regione Calabria, Giuseppe Scopelliti: «All’interno del provvedimento – aggiunge - uno dei punti fondamentali del programma elettorale del centro-destra, riscontriamo una strategia ben definita da parte dell’esecutivo ed un modo concreto di affrontare problemi e criticità delle regioni meridionali. Sono convinto che adesso - prosegue Scopelliti – il Governo Berlusconi non farà passare altro tempo.
Le stesse regioni dovranno adesso rimostrare, finalmente, di saper utilizzare con intelligenza tutte le risorse disponibili, in grado di poter realizzare ricchezza, sviluppo e nuove opportunità lavorative, programmando interventi necessari affinchè il Sud possa attenuare il gap con il resto del Paese. La riproposizione dei fondi Fas, per le Regioni con i nuovi Governatori – ha concluso il Presidente Scopelliti – rappresenta un’altra opportunità strategica, che mette fine alle logiche assistenzialistiche, tipiche della sinistra, dando maggiore slancio, nonostante il periodo di crisi, ad un percorso di rilancio che avvii una stagione di rinascita del nuovo Sud».
Asterisco.
Delle due l’una, e’ un coglione, o un servo.

domenica 28 novembre 2010
Il valore dell’Unità
Di pitagorico – Taranto sera
La massa critica, in politica, si raggiunge quando è impossibile essere ignorati, scavalcati, considerati irrilevanti. Nella vicenda della Piattaforma Logistica portuale, Taranto ha raggiunto la massa critica al termine di un lungo e difficile percorso che merita di essere ricordato, proprio oggi che raggiunge il suo punto decisivo e finale.

Nella fase tecnica, i promotori del progetto, hanno sempre tenuto presente il territorio come riferimento dell’iniziativa, e le istituzioni che lo governano come interlocu-tori permanenti. Tutto il percorso autorizzativo è le approvazioni degli organi di governo e del Cipe, sono avvenute nel pieno coinvolgimento di tutte le parti politiche e sociali. La crisi che ha attraversato l’Autorità portuale di Taranto, con il succedersi di contestazioni e commissariamenti, ha rallentato il percorso di realizzazione della Piattaforma Logistica, ma non lo ha interrotto. Anche la crisi economica ha provocato una contrazione nell’attivazione delle risorse pubbliche, facendo temere una possibile cancellazione del progetto tarantino dal contesto delle scelte strategiche di investimenti. A questo punto era necessario attivare un percorso politico, non nel senso partigiano e settario, ma nella sollecitazione ad una convergenza dei diversi attori della scena politica ed istituzionale, per far diventare questo progetto un valore della comunità. In questo si è distinta la determinazione e la ferma volontà dei soggetti promotori, ad andare avanti, sollecitando con senso di responsabilità ad un comune sentire e, soprattutto ad una costante azione, Parlamento e Regione, Camera di Commercio e Sindacati, imprenditori ed enti locali. Grazie anche alla forte iniziativa di TarantoSera, la risposta è stata convinta ed impegnata, e Taranto, questa volta, ha dato mostra di essere un’entità solidale e incisiva. La massa critica è stata raggiunta così; era impossibile ignorarla, e ne sono testimoni coloro che direttamente hanno partecipato all’ultima battaglia. Il commissario all’Autorità Portuale, la cui presenza fisica nelle riunioni del Cipe, è stata testimonianza, con l’Assessore Regionale ai Trasporti, dell’attenzione e dell’impegno della comunità tarantina sull’esito favorevole di questo progetto. Ma anche quella parte del Governo (Fitto, Micci-ché), che hanno mantenute ferme le posizioni, quando, improvvisamente, all’interno del Cipe, si erano nuovamente levate azioni di sbarramento che miravano a rinviare ancora. Ed infine il ruolo dei parlamentari tarantini, di maggioranza ed opposizione, che hanno sostenuto nelle sedi proprie il buon esito finale di questa iniziativa.
Naturalmente il vero lavoro comincia ora; dopo tante critiche, invettive, auspici, aspirazioni, velleitari desideri, potete immaginare con quanto piacere possiamo parlare in termini concreti di un progetto che deve essere realizzato nel territorio, in tempi certi, e senza ulteriori attese. E con quanta soddisfazione possiamo indicare nell’unità raggiunta dalla comunità di Taranto, un fattore decisivo al successo di questo progetto ed alle sue prospettive.

lunedì 29 novembre 2010
Viadotti e ponti per 90 milioni: via alla Bradanica
POTENZA – Il consiglio di amministrazione dell’Anas, ha approvato il progetto esecutivo per appalto integrato dell’itinerario “Bradanico”, tra Matera e l'autostrada A16 Napoli-Bari, che costerà 90 milioni di euro (19 a carico della Regione Basilicata e 71 milioni a carico dell’Anas, “con fondi ordinari”).
Lo ha annunciato il presidente dell’Anas, Pietro Ciucci, con un comunicato, sottolineando che la strada, che raggiungerà la Napoli-Bari a Candela (Foggia) “costituirà il principale collegamento dei comuni dell’alta valle del Bradano con la rete autostradale nazionale”.
L’opera comprende “tre viadotti, un cavalcaferrovia e quattro ponti tra cui il 'Ponte Gravina', per il superamento dell’omonimo torrente, che rappresenta l’opera principale del progetto. Il ponte Gravina è una struttura in acciaio, del tipo ad arco, progettato nel rispetto delle prescrizioni indicate nel decreto di compatibilità ambientale rilasciato dalla Regione Basilicata; è costituito da un’unica campata di circa 140 metri sospesa mediante tiranti a due archi ribassati in tubolari di acciaio e consente di superare il forte dislivello della valle senza interessare le pareti del torrente, sul quale sorgono alcuni edifici rupestri tutelati per la loro valenza paesaggistica ed ambientale”.
Ciucci ha ricordato che “l'opera è inserita nell’Accordo di Programma Quadro sottoscritto tra il Ministero del Tesoro, del Bilancio e della Programmazione Economica, il Ministero dei Lavori Pubblici, la Regione Basilicata e l’Anas”.
25 Novembre 2010
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