giovedì 2 dicembre 2010

Regione Salento: raggiunto il quorum per il referendum istitutivo

I consigli comunali che rappresentano oltre un terzo della popolazione delle province di Lecce, Brindisi e Taranto (circa un milione 800 mila persone) si sono espressi favorevolmente all’istituzione della Regione Salento facendo raggiungere il quorum per l’indizione del referendum costitutivo. Lo annuncia il presidente del movimento omonimo, Paolo Pagliaro.

Trasferimenti di residenza

ISTAT
Anno 2008
2 dicembre 2010

Un Procuratore della Repubblica e settemila processi

Articolo di Giustizia, pubblicato giovedì 25 novembre 2010 in Olanda.
[Articolo originale "Eén officier van justitie en zevenduizend rechtszaken" di Bas Mesters]
[NRC Handelsblad]
Ad un Pubblico Ministero in Sicilia manca tutto. Codici, computer, giudici. I politici corrotti sono i primi a notare le conseguenze di una buona amministrazione della giustizia.

"Facciamo ripartire le infrastrutture"

Lombardo scrive a Berlusconi e al manager dell'Anas, Pietro Ciucci: "La nostra parebbe l'unica regione che non è riuscita a sottoscrivere con il governo l'aggiornamento dell'intesa generale". Un capitolo intero della lettera è dedicato alla Ragusa-Catania 

‘Ndrangheta/ Il ‘pentito n. 1′: Versace ucciso per i suoi debiti. La mafia calabrese “gestiva l’imprenditoria di Milano”


Roma, 2 dic. (Apcom) – Nel 1997 Gianni Versace è stato ucciso per alcuni debiti con la ‘ndrangheta: la criminalità organizzata calabrese lo aveva in pugno, forniva droga alla famiglia dello stilista e aveva rapporti un po’ con tutti gli imprenditori locali di Milano.
Sono le dichiarazioni di Giuseppe Di Bella, definito il ‘Buscetta della ‘ndrangheta’, il pentito numero uno dell’organizzazione criminale calabrese, del quale Striscia la Notizia propone l’audio di un’intervista realizzata dallo scrittore Gianluigi Nuzzi.
Secondo Di Bella la famiglia Versace aveva stretti rapporti con la criminalità organizzata calabrese, in particolare con Paolo De Stefano (il patriarca dell’organizzazione): “Rapporti di amicizia, di aiuti reciproci e finanziari, prestavano i soldi un po’ a tutti. De Stefano mi ha detto che, in sostanza, lui aveva Gianni Versace nelle mani: lo gestivano sotto il profilo economico. Loro ce l’avevano in pugno, questo lo so per certo. Avere in pugno, significa fare tutto ciò che uno vuole: questo è un dato certo che non ho mai detto perché nessuno me lo ha mai chiesto”. Sempre secondo il teste, poi, “Coco Trovato, che rappresentava la famiglia De Stefano a Milano, forniva la droga alla famiglia Versace”.
FONTE:

 

"The Regime of Emergency", il documentario sull’emergenza rifiuti in Campania


promo de “The Regime of Emergency”, il documentario a cui abbiamo lavorato per piu di un anno, è finalmente online!

Come wasteemergency.com, una squadra di giornalisti freelance e videomakers, siamo lieti di presentare il promo di questo documentario di inchiesta sul fenomeno emergenza rifiuti in Campania. Alla fine del 2007, il mondo è rimasto scioccato dalle immagini di Napoli ricoperta di rifiuti. Oggi, mentre Napoli è nuovamente ricoperta di immondizia, vogliamo esporre la vera storia del fenomeno emergenza rifiuti: 15 anni di disastro ambientale, sociale e politico di rilevanza mondiale. Mentre troviamo una televisione interessata nell’acquisto o nella co-produzione del documentario, siamo felici di mostrarvi questo promo, augurandoci che lo diffondiate tra i vostri amici.

Partendo dalle origini, ovvero dalla Riunione di Villaricca degli anni 80, il promo spiega che cos’è il fenomeno emergenza rifiuti. Un’emergenza infinita, che dura da 15 anni, non può certamente piu definirsi emergenza, piuttosto status quo. E’ situazione endemica che si protrae nel tempo, con picchi di intensità che vengono presentati al mondo come ‘emergenze’. Tramite l’uso della tecnica fiction viene ricostruita la riunione in cui la Campania venne assegnata a tavolino a diventare la discarica di rifiuti tossici d’Italia. Si passa poi ad una ricostruzione storica, grazie ad articoli di giornale, alle origini dell’emergenza di rifiuti solidi urbani, nel tempo diventata la migliore copertura ‘naturale’ al traffico di rifiuti speciali – traffico che viene mostrato in tutta la sua mostruosità in varie immagini girate sul campo.

Dai Regi Lagni alla Terra dei Fuochi, fino ad arrivare alle discariche autorizzate. Ma l’emergenza rifiuti è una torta che la Camorra ha spartito con la politica (locale e nazionale, passando anche per la Massoneria deviata) e con piccole imprese locali e grandi imprese del Nord. Si arriva così al disastro Impregilo, mostrato in tutta la sua letterale vastità con riprese di Taverna del Re e Marruzzella. Non si può certamente raccontare questa storia lasciando da parte il cardine della vicenda: il Commissariato di Governo all’Emergenza Rifiuti, in pratica un braccio dello Stato Italiano che temporaneamente agisce in maniera straordinaria – e ultimamente in deroga alle leggi nazionali e comunitarie - per risolvere la pestilenza dell’emergenza rifiuti. Peccato che, in 15 anni di Commissariato e 7 commissari diversi, il problema non sia ancora stato risolto, come dimostra l’attuale nuovo picco d’emergenza. Perché? Perché, come spiega ed investiga il documentario, risolvere l’emergenza significherebbe uccidere uno dei business sporchi più lucrativi in Italia. Lo raccontano, senza remore, gli eco-mostri di Pustarza e Sant Arcangelo Trimonte, due enormi discariche costruite nel 2008 per ‘risolvere definitivamente il problema. Due tagli netti, due mutilazioni genetiche effettuate tra olivi secolari e fertili campi di grano. Lo raccontano tutte le altre mutilazioni, che purtroppo risultano come minimi tagli su di un corpo gia orribilmente rovinato. Da Terzigno, a Chiaiano, da Giugliano a San Tammaro la Campania si snoda deforme, satura. E, a chi vive nel Regime dell’Emergenza, è impedito con la forza ogni tentativo di guarigione della Campania Felix.
FONTE:
http://www.agoravox.it/The-Regime-of-Emergency-il.html

Bisogna essere solidali, con lo stradebito padano.


Bagnasco su voto di fiducia: Fare il bene del Paese. “Dobbiamo avere molta fiducia nel futuro”
Apre al federalismo e auspica una nuova generazione di politica cattolici che abbiano a cuore l’interesse del Paese.
Il presidente della Conferenza episcopale italiana  Angelo Bagnasco parla al Forum Cei sui 150 anni dell’unità d’Italia e spiega che quest’ultima resta una ”conquista preziosa e ancoraggio irrinunciabile”.
Secondo Bagnasco, che riprende in parte le parole di Napolitano, ”nessuna ombra” su questa unità viene ”dai rapporti tra laici e cattolici, tra istituzioni dello Stato repubblicano e istituzioni della Chiesa cattolica”. Bagnasco chiede un ”federalismo veramente solidale” che non sia ”trovarsi accanto selezionando gli uni o gli altri in modo interessato, ma che è  fatto di stima e rispetto, di simpatia, di giustizia, di attenzione operosa e solidale verso tutti, in particolare per chi è  povero, debole, indifeso”.
”Quando in una società si mantiene la gioia diffusa dell’aiutarsi senza calcoli utilitaristici – ha osservato il presidente dei vescovi – allora lo Stato percepisce se stesso in modo non mercantile, e si costruisce aperto nel segno della solidarietà e della sussidiarietà”. Il porporato ha quindi ricordato il contributo dato alla società italiana dal volontariato cattolico e laico, e ”l’humus di base che innerva i rapporti nei mondi vitali – famiglia, lavoro, tempo libero, fragilità, cittadinanza”, ”che – ha detto – fa respirare in grande e che è condizione di ogni sforzo comune, e di operosa speranza”.
Il presidente della Cei Angelo Bagnasco auspica che nasca ”una generazione nuova di italiani e di cattolici che sentono la cosa pubblica come fattore importante e decisivo, che credono fermamente nella politica come forma di carita’ autentica perché volta a segnare il destino di tutti”. Si tratta di un ”sogno a occhi aperti” che non vuole ”disconoscere quanto di positivo c’è già” e si può nutrire della ”cooperazione scaturente da esperienze già presenti sul campo”.
‘All’interno di questa stagione di rinnovato impegno educativo, – ha chiarito il cardinale – si colloca pure quello che mi ero permesso di confidare come ‘un sogno’, di quelli che si fanno ad occhi aperti” (il riferimento è  a quanto detto durante il Consiglio permanente della Cei del gennaio scorso, ndr). ”Infatti, – ha proseguito – senza voler affatto disconoscere quanto di positivo c’è già e anzi con la cooperazione scaturente dalle esperienze già presenti sul campo, formulavo l’auspicio che possa sorgere una generazione nuova di italiani e di cattolici che sentono la cosa pubblica come fatto importante e decisivo, che credono fermamente nella politica come forma di carità autentica perché volta a segnare il destino di tutti. Alla luce di quanto determinante sia stato il contributo dei cattolici nella storia del nostro Paese – ha rimarcato – torno a sottolineare questa necessità”.
”Non vi è ragione di temere una prevaricazione ai danni della libertà da parte della Chiesa e dei suoi membri, i quali peraltro si attendono che venga loro riconosciuta la libertà di non tradire la propria coscienza illuminata dal Vangelo” ha poi concluso Bagnasco.
2 dicembre 2010 | 16:03
asterisco.
Alleluia, si e' aperta la fase pre-elettorale, quella nella quale i preti – di qualsiasi livello gerarchico e colore di tonaca - sono mobilitati ed attivi. Si e' aperta la campagna d'influenza per il soglio laico.
Berlusconi ha mantenuto le promesse, il Vaticano e' contento, l'alleato del nord e' forte, Confindustria solida, tutti gli altri che si mettano in riga. E silenzio, i Servizi di Sicurezza interni, che non sono i celerini, hanno ricevuto 650milioni, pochi giorni fa. Una barca di soldi, mai visti, sino a Berlusconi il vecchio. Vuoi vedere che lo schieramento padano e' troppo potente per sfidarlo in campo elettorale?
Fonti:

Restare, perche'? Son loro a dare le carte.


ALIMENTARE: NASCE L'ASSOCIAZIONE DELLE INDUSTRIE DEL DOLCE E DELLA PASTA
(ASCA) - Roma, 2 dic - L'Associazione delle Industrie Dolciarie Italiane e l'Unione Industriali Pastai Italiani hanno firmato oggi, presso la sede di Confindustria, una storica fusione: e' nata AIDEPI, l'Associazione delle Industrie del Dolce e della Pasta Italiane.
Paolo Barilla, nominato con voto unanime Presidente dell'associazione, si e' detto certo dei vantaggi che portera' l'aver riunito industrie dolciarie e pastai sotto un unico tetto associativo: ''Il ruolo delle Associazioni si inserisce nel difficile contesto attuale - ha sottolineato Barilla - con il preciso intento di aiutare le imprese nella tutela dell'interesse collettivo, creando le condizioni per una nuova crescita economica, forte e duratura, nel rispetto di una concorrenza sana e leale tra le imprese e nel dialogo con i consumatori e con le istituzioni''.
Questo passo rappresenta, ha sottolineato la Presidente di Confindustria, Emma Marcegaglia, in una lettera di auguri alla neonata Associazione, ''un passaggio importante e strategico nel percorso di razionalizzazione e semplificazione dell'assetto del sistema confederale'', auspicando che ''il positivo esempio di Aidi ed Unipi potra' trovare repliche anche in altri settori, non solo del comparto alimentare''.
''Questa fusione - si legge in una nota - apre la strada ad una nuova Associazione rappresentativa di due grandi rami dell'industria alimentare italiana, costituita storicamente da aziende grandi e piccole, tutte ugualmente indispensabili a comporre il mosaico delle eccellenze alimentari che caratterizzano il nostro Paese''.
Nasce cosi' il primo polo dell'industria alimentare italiana, con un fatturato di oltre 16 miliardi di euro (13,5% del totale) e una leadership sull'export: con oltre 4 miliardi di euro, pari a circa un quarto (22%) del totale nazionale.
Punta di diamante del Made in Italy alimentare, la nuova A.I.D.E.P.I contera' 36.000 addetti e circa 130 societa'.
Questa scelta portera' anche ad una rappresentativita' piu' forte nelle sedi istituzionali europee ed italiane: infatti l'AIDEPI rappresentera' oltre l'80% del mercato del dolce e della pasta, consolidando la gia' ampia rappresentanza delle due preesistenti associazioni. Le aree merceologiche saranno cinque: pasta, cioccolato, gelati, forno, confetteria.
La fusione mira principalmente ad una razionalizzazione delle strutture, soprattutto ad una proficua sinergia del lavoro di due associazioni i cui associati hanno sempre piu' interessi in comune.
A.I.D.I., Associazione Industrie Dolciarie Italiane, e' l'organizzazione che, dal 1967, a completamento del processo di riunificazione delle strutture associative esistenti, U.N.I.D.I. e A.N.I.A.D., rappresenta e tutela le aziende italiane produttrici di confetteria, cioccolato e prodotti a base di cacao, biscotti e prodotti dolci da forno, gelati, dessert e pasticceria industriale. L'UN.I.P.I. invece e' l'Associazione nata nel 1968 dalla preesistente associazione Pastindustria, come associazione di categoria del settore dell'industria italiana della pastificazione.
Oltre alla Presidenza di Paolo Barilla, sono state definite tutte le cariche della nuova AIDEPI: i Vice Presidenti saranno Alessandro Ambrosoli (AMBROSOLI) a capo del Gruppo Merceologico Confetteria, Nunzio Pulvirenti (FERRERO) per il Gruppo Cioccolato, Riccardo Felicetti (PASTIFICIO FELICETTI) per il Gruppo Pasta, Gastone Caprini (BAULI) per il Gruppo Forno, Paolo Radi (UNILEVER) per il Gruppo Gelati; la direzione sara' affidata a Mario Piccialuti, gia' direttore AIDI dal 2001.
com-luq/sam/lv

Futuro a rischio per le raffinerie italiane
L'Unione petrolifera lancia l'allarme: la concorrenza extra-Ue avrà effetti dirompenti sulla struttura industriale nazionale ed europea
30 Novembre 2010
L'attuale crisi della raffinazione mette a rischio il futuro di un settore strategico per il Paese. Ne è convinta l'Unione Petrolifera (Up), secondo cui il sensibile calo dei consumi petroliferi, destinato ad aumentare nei prossimi anni, unito alla forte concorrenza delle nuove raffinerie dei paesi extra-Ue, sostanzialmente prive di obblighi e vincoli ambientali e spesso sussidiate direttamente dallo Stato, avranno effetti dirompenti sulla struttura industriale italiana ed europea senza interventi volti a tutelare questo settore.
Lo stato di difficoltà del comparto è stato sostanzialmente confermato dal sottosegretario allo Sviluppo economico, Stefano Saglia, intervenuto a un convegno della Up. «Nei prossimi anni si prevede in Italia un eccesso di capacità di raffinazione di 15-20 milioni di tonnellate, ossia l'equivalente di tre o quattro raffinerie di medie dimensioni. - ha ammesso Saglia -. Attualmente la capacità è di 106 milioni di tonnellate su 16 impianti, con un utilizzo degli impianti intorno all'80% (nel periodo 2005-2008 era al 92%), considerato che i consumi (scesi di 18 milioni di tonnellate in 6 anni) sono calati nel 2010 di altre 2 milioni di tonnellate. Già alcune raffinerie italiane stanno considerando la loro trasformazione in deposito, con conseguenti problemi anche occupazionali». Il sottosegretario, nel suo intervento, si è impegnato a promuovere una «politica pubblica nel solco dell'iniziativa europea e finalizzata alla ristrutturazione del settore. Bisogna agire in un'ottica di sistema e non rincorrere una crisi dopo l'altra».
L'industria della raffinazione italiana ha perciò avanzato alcune proposte per una soluzione razionale del problema. In particolare le aziende hanno confermato la propria disponibilità a investimenti per rispondere alle nuove esigenze di mercato. Sulle questioni ambientali, l'Up chiede un'accelerazione del completamento delle istruttorie Aia (Autorizzazione integrata ambientale) nonché una omogeneità di comportamento nelle procedure autorizzative a livello territoriale. Proposta anche l'istituzione di un organismo super partes (nell'ambito di quelli già esistenti sul modello dell'Epa americana) che possa razionalizzare i rapporti tra norme regionali e nazionali, riconducendo al centro le competenze legislative sulle attività industriali petrolifere. In materia fiscale, si è chiesto un intervento normativo di revisione della Robin Tax, ritenuta ingiustificata e penalizzante, e una semplificazione delle procedure di controllo del divieto di traslazione.
Nell'ambito dell'emission trading per il periodo 2013-2020, i petrolieri italiani hanno chiesto di individuare meccanismi in grado di riequilibrare i vantaggi di cui beneficiano i paesi extra-Ue, facendo leva sul concetto di green label per i prodotti petroliferi italiani ed europei. Richiesto anche un intervento del Governo presso l'Unione europea per evitare le penalizzazioni previste dalle proposte in discussione che determinerebbero per le raffinerie italiane oneri aggiuntivi stimati in 500-600 milioni di euro (3 miliardi per l'intera Europa). Infine, i petrolieri auspicano che per “invertire la tendenza negli attuali trend di consumo” (ovvero che si torni a consumare più benzina, ndr), si arrivi a un riequilibrio del sistema di tassazione dei carburanti.

Banche, ci manca solo il federalismo creditizio
Le banche sono uno dei piatti preferiti di Umberto Bossi. Il denaro è potere, e il potere passa per l'intreccio perverso tra credito, affari e politica.  
Per un partito come la Lega Nord, che rispecchia gli umori del territorio,  gli istituti di credito rappresentano quindi una tentazione sempre più irrefrenabile. E non da ora.
Ricordiamo tutti la disastrosa avventura della Credieuronord, la banchetta leghista creata con il denaro dei militanti "padani" e salvata dalla bancarotta, dopo appena qualche anno di operatività, grazie a un provvidenziale intervento della Popolare di Lodi di Gianpiero Fiorani. Ma senza andare tanto lontano ci ronzano ancora negli orecchi le parole del "senatur" all'indomani della vittoria della Lega alle elezioni regionali. Era il mese di aprile del 2010 quanto Bossi dichiarò, urbi et orbi, che dopo aver vinto nelle grandi Regioni del Nord "ora ci prenderemo anche le banche". E aggiunse: "La gente dice prendetevi le banche e noi lo faremo". Una dichiarazione che fece subito venire in mente la Dc dei tempi migliori, o peggiori, che dir si voglia.  Senza parlare del recente "dimissionamento" da UniCredit dell'ex amministratore delegato Alessandro Profumo, per i quali i leghisti hanno addirittura brindato, mentre non risulta si siano mai lamentati che al vertice di note istituzioni bancarie-assicurative siedano personaggi inquisiti e condannati per bancarotta. Sarebbe questo il partito delle riforme, del cambiamento, del federalismo?
Ed ecco adesso la novità. Mentre il governo Berlusconi è agonizzante dopo neanche tre anni di legislatura, il partito che si prefigge la nascita del libero stato della Padania (art. 1° dello statuto della Lega) ha presentato un sorprendente disegno di legge quadro che favorisca la nascita di nuove banche sul territorio. La proposta, scrive Dario di Vico sul "Corriere della sera", proviene dai deputati leghisti Marco Regazzoni, Massimo Bitonci, Alessandro Montagnoli e Marco Maggioni in attuazione dell'articolo 117 della Costituzione che dà alle Regioni facoltà di intervento nella politica del credito. "L'intinerario prefigurato  da Regazzoni - spiega Di Vico nell'articolo - ha come primo step un test approvato dal parlamento nazionale (che preveda incentivi fiscali) per poi passare la palla alle Regioni alle quali 'spetterà il compito di legiferare'".
In parole povere, se l'Italia diventa federalista, se il potere si sposta dal centro alla periferia, dallo Stato nazionale allo Stato locale, si dia modo a Regioni, Province e Comuni di promuovere istituti di credito che siano vicini agli interessi del territorio: famiglie e piccole e medie imprese, queste ultime tradizionale terreno di caccia della Lega. Qualcosa di simile alle Landensbanken tedesche, di cui sono azionisti, appunto, i Lander, l'equivalente delle nostre Regioni. Al progetto sembra peraltro interessata anche la Compagnia delle opere, l'associazione imprenditoriale che riunisce oltre 34mila imprese e mille organizzazioni non profit, legata a Comunione e liberazione. Ma siamo sicuri che il territorio, per crescere, abbia bisogno di nuove banche? E tutti i discorsi fatti in questi anni sulla necessità della concentrazione, della grande dimensione per competere con i colossi internazionali del credito? Ci siamo già dimenticati delle vicende della Popolare di Lodi e della Popolare di Intra o del Credito Cooperativo Fiorentino presieduto da Denis Verdini? E sono solo esempi. Facciamo funzionare meglio le banche che abbiamo,  piuttosto che farne proliferare di nuove. La Banca d'Italia sia più rigorosa nella vigilanza creditizia e finanziaria, impedisca alle banche a vocazione territoriale di avventurarsi in operazioni spericolate, di finanziare le campagne elettorali del notabilato locale. Le banche escano dall'azionariato di Bankitalia. Si trovi una soluzione perché le  Fondazioni escano dall'azionariato delle banche. Si impedisca agli istituti di credito di raggirare i piccoli investitori e le piccole imprese con prodotti redditizi solo per la banca venditrice. Si vigili sul credito al consumo e sulle carte di debito, che in certi casi si configurano come una vera e  propria forma di strozzinaggio. Si mandino a casa gli amministratori e i manager bancari indagati e condannati. Di questo ha bisogno il territorio. Che poi è il nostro paese.
Fonti:
http://oddo.blog.ilsole24ore.com/finanza_e_potere/2010/11/banche-ci-manca-solo-il-federalismo-creditizio.html



Restare? Non c'e' motivo.


Intevista a Luca Zaia - "A Napoli parlano qui ci diamo da fare"
di M.ALF.
«A Napoli parlano qui ci diamo da fare» 3 domande a Luca Zaia presidente del Veneto «I veneti sono stati-eccezionali. In pochi giorni hanno ripulito e recuperato tutto in modo sublime. Mentre a Napoli si discute da annidi monnezza, qui da noi abbiamo fatto la raccolta differenziata della alluvione».
Governatore Zaia, a un mese dal disastro a che punto è la ricostruzione? «Stiamo chiudendo l'inventario dei danni. ll termine è fissato per il 6 dicembre. Faremo subito una controperizia per verificare che non ci siano abusi. Dopodiché se c'è disponibilità di cassa, pensiamo di erogare i primi acconti nell'ordine de110-15% già entro Natale. Per il resto saranno i comuni a fissare i criteri in base alle esigenze delle rispettive comunità. Ferma restando la competenza del Commissario (lo stesso Zaia, ndr) sugli interventi di carattere pubblico. Se ha un primato questa alluvione, è quello della velocità nei finanziamenti».
Trecento milioni stanziati dal governo sembrano però pochini... «Sono una goccia nel mare, servono per le prime emergenze. L'alluvione ha fatto danni impressionanti. Oltre un miliardo a imprese e famiglie a cui vanno aggiunti altri 2 miliardi da stanziare per la messa in sicurezza del nostro territorio. Altrimenti la prossima volta che piovesse come un mese fa, tutti i comuni tornerebbero sott'acqua. Presenterò personalmente al governo un piano dettagliato. Spero si rendano conto 'che preservare il Veneto significa salvaguardare una bella fetta di Pil nazionale».

Ci sono polemiche sulle proroghe dei pagamenti Irpef e lnps. Quindici giorni di rinvio sembrano una beffa... «Non ho motivo di pensare che a Roma non rispettino la parola data. L'attuale periodo di slittamento serve sostanzialmente a sistemare le carte e i dati necessari alla proroga vera e propria. Non lo si facesse, sarebbe una figuraccia. In ogni caso, la settimana prossima sarò a Roma a illustrare l'elenco completo dei danni e delle richieste». [MAIS.]

I libici sequestrano un altro peschereccio italiano
Tripoli,
Un peschereccio italiano, iscritto nei registri della Capitaneria di porto di Mazara del Vallo e' stato sequestrato ieri intorno alle 21 dai libici .
A bordo del natante che si chiama Daniela L., si trovano sei marittimi, tre mazaresi e tre tunisini. Il comandante e' Giuseppe Perniciaro, 58 anni.

"Solo con una manovra draconiana si può incidere su un debito stellare"
Intervista ad A. Carpinella di Emanuela Zoncu
2 Dicembre 2010
Si allentano le tensioni sulle difficoltà di bilancio di alcuni paesi della zona euro. E la riduzione dello spread tra il Bund tedesco e il Btp decennale italiano a 190 punti dai 219 toccati appena due giorni fa sta lì a dimostrarlo. Qual è la causa delle oscillazioni che abbiamo visto in questi giorni? Pesa l'instabilità politica intesa come fonte di preoccupazione dei mercati o le cause sono da ricercarsi altrove?
Per Alessandro Carpinella, partner Kpmg Corporate Finance "l'instabilità politica c'entra davvero poco".
Perché?
Questi dati sono tendenzialmente virtuali nel senso che questi spread non sono quelli pagati dal Mercato a un'Asta, non è il cartellino col prezzo che il Ministero dell'Economia deve mettere sopra il proprio strumento quando lo emette: è il prezzo che viene pagato tra operatori che si scambiano questi titoli su un mercato secondario, avendoceli già in proprietà. La massima parte di queste transazioni viene fatta tra operatori molto specializzati quindi parliamo di un mercato che è una piccola parte del mercato del debito pubblico.
Quindi la lente di ingrandimento attraverso cui guardare lo stato di salute dell’Italia è l’Asta?
Certamente. Quando il Ministero del Tesoro emette dei titoli e fa un'Asta per collocarli offre allo stesso prezzo a tutti gli operatori del mercato uno strumento avendo fatto un ragionamento su quali sono le condizioni per venderlo, quindi tende a fare il prezzo più basso cercando di avere la certezza di portare a casa la vendita di tutti gli strumenti portati all'Asta (quindi il prezzo non potrà mai essere troppo basso). Ed è quella la sede propria nella quale il rischio di Un paese viene valutato dal mercato perché è il Paese stesso nel suo Ministero dell'economia a mettere in gioco attraverso un'Asta pubblica i propri titoli di debito. Quando parliamo invece di scambi di titoli tra soggetti molto specializzati, che sono in genere banche, a formare il prezzo non è soltanto il rischio dello strumento ma anche lo stato di chi glielo vende: se la banca che vende ha necessità di farlo, chi compra può chiedere condizioni più convenienti e questo si traduce in uno spread maggiore sullo strumento che non dipende solo dal fatto se l'Italia o la Spagna siano più o meno rischiose ma anche dalla lettura che il compratore dà della necessità dell'altro di vendere.
Le ultime Aste sono andate molto bene. Cosa significa?
Che non stiamo male. Se in quelle circostanze lo spread si alzasse sistematicamente ci sarebbe da preoccuparsi, ma abbiamo visto che così non è stato. E comunque c'è da dire che siccome abbiamo una politica di scadenze del debito molto lunghe (che abbiamo opportunamente fatto quando i tassi erano molto bassi), anche nel caso che questi differenziali aumentassero sistematicamente obbligando il Tesoro a proporre dei prezzi più alti al mercato, la media del costo del debito continuerebbe a rimanere abbastanza governata.
L'allarme per un possibile "contagio" è motivato quando si deteriorano il sistema bancario e lo stato dell'economia e quando la capacità del governo di ristrutturare i conti viene meno. Partiamo dal primo punto: come stanno le nostre banche rispetto a quelle degli altri paesi?
Il sistema bancario italiano è meno esposto rispetto agli altri perché i bilanci delle banche sono pieni di crediti: nella banca italiana c'è poca finanza e molto credito. Questo non significa necessariamente che i nostri istituti di credito stiano meglio perché il credito in un momento di difficoltà economica ha subito un deterioramento importante.
In che senso?
Nel senso che oggi c'è un problema di qualità dei bilanci delle banche. All'estero c'è almeno un 40% di attivi delle banche che è fatto di finanza (in alcuni paesi supera il 50%) quindi il rischio che ci siano dei titoli di cattiva qualità dentro il bilancio delle banche è molto più elevato rispetto all’Italia dove la componente di finanza dell’attivo di una banca è del 20, massimo 30% laddove il 70% rappresenta crediti nei confronti dell’economia reale. Le banche italiane rischiano di più delle altre se l’economia reale del paese di riferimento va male, rischiano di meno delle altre se qualche grande emittente internazionale di titoli va in default. Detto in altri termini, se salviamo qualche paese che ha emesso titoli che riempiono i bilanci delle banche di fatto stiamo facendo una politica che potrebbe essere antiselettiva nei confronti degli interessi italiani perché in via proporzionale stiamo dando una mano di più a banche internazionali.
La nostra economia è talmente debole da destare forti preoccupazioni?
Il nostro problema oggi è la dimensione del debito. Quello è il solo fattore di preoccupazione. Gli altri due fondamentali fattori sono sotto controllo: la situazione del deficit (che è abbastanza buona) e la dinamica dell’economia reale con i suoi impatti sulla banca. Oggi l’Italia come sistema avrebbe dei problemi se persistesse una forte crisi di adempienze creditizie proprio perché abbiamo le banche molto esposte con i crediti. Il problema del paese quindi, dal punto di vista dei suoi effetti finanziari  è rappresentato dalle eventuali difficoltà delle imprese a ripagare i crediti con le banche perché abbiamo un’economia che molto di più, rispetto ad altri paesi, passa dal credito bancario. La situazione vede qualche miglioramento.
Sicuro?
Certamente. Siamo in una fase di miglioramento per tutta la parte del manufacturing. I flussi di nuove sofferenze si stanno calmando e alcune ristrutturazioni stanno andando bene. Siamo nel pieno della tempesta però per quanto riguarda l’edilizia e l’immobiliare, che hanno un ciclo ritardato. Anche il credito alle famiglie è stato rimesso sotto controllo.
Abbiamo ristrutturato i conti, siamo al riparo? Crede ci sia bisogno di una manovra correttiva?
Se parliamo di una manovra correttiva per correggere il deficit, no! Abbiamo il rapporto deficit-pil migliore d’Europa. Se guardiamo al debito, allora sì! C’è bisogno di una manovra draconiana esattamente come ce ne era bisogno tre o quattro anni fa. Non sono affatto convinto che possiamo dormire tranquilli con il 120% del debito/pil. Non sono affatto convinto che possiamo dormire tranquilli con 1800 miliardi di debito.
E quali sono le strade per ridurre il debito in maniera immediata e significativa?
Sono tre. Un piano molto aggressivo di privatizzazioni, un consolidamento parziale del debito, una forte inflazione. L’euro ci impedisce quest’ultima strada (dovremmo svalutare la nostra moneta ma siccome noi non abbiamo una moneta nostra…). Idem per il consolidamento del debito, che non può certamente essere deciso nell’ambito dell’area euro da ogni singolo paese. Sulle privatizzazioni invece c’è da ragionare.
Di privatizzazioni si parla molto ma nel concreto si fa poco…     
Già, purtroppo. E in questo senso il tema della forza e della stabilità del Governo è decisivo, tanto che credo che in questo momento non ci siano le condizioni politiche per dare vita a un piano davvero strategico come quello. Si dovrebbe ipotizzare un percorso di tipo straordinario con strumenti straordinari, con leggi obiettivo, con percorsi che partano proprio dall’obiettivo da raggiungere e subordinino tutto il resto.
Come si fa a coniugare rigore e crescita?
Bisogna tornare a un vecchio adagio liberale: il rigore lo fa la politica, la crescita la fanno gli attori economici. Io trovo figlio di una concezione non realistica di cosa è la politica il chiedere più sviluppo nella Finanziaria.
Si sta riferendo ai finiani di Fli?
A loro ma anche alle opposizioni in genere. Chiedere lo sviluppo per decreto è un controsenso logico. La politica fa già tanto se si occupa del rigore, farebbe tantissimo se garantisse condizioni di assoluta tenuta almeno per la parte deficit perché per la parte debito non può fare nulla senza una di quelle iniziative straordinarie di cui abbiamo parlato. I problemi dell’Italia di oggi, delle speculazioni finanziarie, non possono essere affrontati chiedendo allo Stato di farsi carico dello sviluppo perché queste richieste si trasformano in una somma di piccoli incentivi o piccoli aiuti che possono incidere su circostanze specifiche ma che nulla hanno a che fare con lo sviluppo. Io ricordo che il Mezzogiorno ha avuto i tassi di crescita più significati in quel quinquennio successivo alla drastica fine del sistema della cassa del Mezzogiorno dal quale si sono liberate una serie di energie.
Ma lei crede davvero che gli attori economici oggi siano nelle condizioni di fare sviluppo?
Alcune condizioni ci sono. Dopodiché vedo anche io con preoccupazione l’assenza dell’Italia da alcuni scenari internazionali, la scarsa internazionalizzazione di alcuni attori che in Italia sono protagonisti del proprio business, il fatto che su due o tre settori produttivi negli anni ’70 eravamo leader nel mondo (penso alle grandi costruzioni, alla meccanica strumentale) e ora non lo sono più. I problemi ci sono eccome ma da qui a chiedere un protagonismo fuori tempo massimo dello Stato ce ne passa davvero tanto…
L’Italia è uno stato liberale?
E’ una grande questione. Come diceva Guido Carli lo è più per l’incapacità di fare lo Stato burocratico che pure l’Italia ha avuto l’ambizione di fare che non per avere strategicamente pianificato di esserlo.

Emigrati italiani, 50mila nuove partenze
02/12/2010 13:08
13.08 Sono di più gli emigrati italiani che gli stranieri che arrivano in Italia. Ogni anno, 50mila connazionali partono per andare a vivere fuori patria.
Sono quattro milioni i residenti all'estero. E' quanto rivela la quinta edizione del Rapporto italiani nel mondo della Fondazione Migrantes. Sempre più numerosi i "cervelli" in fuga. I ricercatori italiani all'estero sarebbero 2mila. Gli iscritti all'Aire, l'anagrafe italiani all'estero, sono 113mila in più rispetto al 2009.

Quelli che se ne vanno: il milione di connazionali che non sopporta l’Italia
L’Italia, nel 2010 ”è ancora un Paese di emigrazione”. E’ quanto si evince dal rapporto annuale stilato dalla Fondazione Migrantes sugli italiani nel mondo. Secondo il documento oggi i cittadini italiani iscritti all’anagrafe dei residenti all’estero sono 4.028.370, il 6,7% della popolazione totale residente nella penisola.
Cifre che dimostrano un aumento dell’emigrazione italiana all’estero dato che solo nel 2009 i residenti fuori dall’Italia erano 113 mila in meno. E quattro anni fa erano addirittura un milione in meno rispetto ai dati registrati nell’aprile di quest’anno dalla Fondazione Migrantes.
”Il rapporto testimonia che l’Italia, oltre ad essere un Paese di immigrazione, è ancora un Paese di emigrazione”, ha sottolineato monsignor Giancarlo Perego, direttore di Migrantes, ricordando che si tratta, oggi, ”soprattutto di una emigrazione giovanile e questo fa pensare alla necessità di politiche giovanili, universitarie, di rafforzare tutti i programmi di ricerca in maniera significativa nell’università ma anche nelle imprese”.
Ai cittadini iscritti all’anagrafe si aggiungono poi gli oriundi italiani, che secondo il rapporto rappresentano ormai ”un’altra Italia” essendo circa 80 milioni residenti soprattutto in Brasile, Argentina e Stati Uniti.
Migrantes sottolinea poi come a dispetto della riduzione della mobilità a carattere interno è aumentata la popolazione di pendolari all’estero e di persone che si spostano momentaneamente fuori dal Paese mantenendo la residenza in Italia.
”Circa 3 milioni di italiani all’anno si spostano per brevi periodi all’estero”, ha spiegato Franco Pittau, responsabile del rapporto precisando come per esempio in una città ad altra flusso immigratorio come Londra gli italiani ufficialmente residenti siano 60 mila, ma, in realtà, sono circa 100 mila i connazionali che vivono nella capitale inglese.
2 dicembre 2010 | 13:16

Fonti:
http://www.loccidentale.it/articolo/manu.0099431




Io sono Totem ed Impregilo. Padrone a casa tua.


Il taglio ai trasporti e l’imbroglio del ponte
02/12/2010
di OSVALDO PIERONI e ALBERTO ZIPARO
Il bluff del “Piano per il Sud” fatto di risorse già spese, o altrove impegnate, oppure inesistenti è l'ultima, offensiva, beffa che il Governo opera ai danni del Sud, della Calabria e della Sicilia.
Tra i fatti gravi degli ultimi mesi - autentici disastri per le nostre regioni, particolarmente colpite di recente - ci sono i tagli per la difesa del suolo (490 milioni di euro già programmati e finalizzati in Calabria e 330 in Sicilia, bloccati e destinati ad altri capitali) nonché l'autentico depauperamento del settore infrastrutture e trasporti, goffamente coperti dall'agitarsi della - purtroppo costosissima - figurina del Ponte sullo Stretto. Tutto ciò raggiungerà il parossismo il prossimo 12 dicembre, allorché - con il nuovo orario ferroviario - si taglieranno tutti gli intercity da Reggio, quasi tutti i treni a lunga percorrenza, la metropolitana Melito-Reggio-Gioia, più della metà dei treni regionali siciliani e calabresi. Cui si aggiunge, la sostanziale chiusura dell'aeroporto di Reggio nei weekend, cui fa da contraltare il contemporaneo semiazzeramento dei trasporti sullo Stretto. La crisi di Governo esaspera le contraddizioni di tale situazione - e quindi i disagi dei cittadini - indebolendo ulteriormente un sistema decisionale già succube di grandi interessi, monopolistici e speculativi, evidentemente estranei alle domande di abitare, e di mobilità e in generale di vivere civile che viene espressa dalle nostre parti. Per quanto riguarda la difesa del suolo è certo positivo che le due regioni, Calabria e Sicilia, cerchino di recuperare dall'esecutivo nazionale una parte delle risorse sottratte con la distrazione di fondi già programmati e la mancata rifinalizzazione dei Fas. Tuttavia non si capisce perché la Regione Calabria tardi ad approvare definitivamente lo strumento principe di coordinamento e indirizzo delle strategie e dei progetti di tutela dell'ambiente - compresi dettagli e aggiornamenti del Pai -, cioè il Quadro territoriale regionale paesaggistico, già approvato dalla vecchia amministrazione, e poi bloccato, prima dell'approvazione definitiva, da quella attuale. Nelle condizioni odierne del territorio calabrese il Piano territoriale e paesaggistico regionale è necessità urgentissima: ormai ogni temporale di una qualche intensità diventa una tragedia. Se abbiamo gli strumenti e non li rendiamo operativi, dopo è inutile che ci stracciamo le vesti. Per quanto riguarda trasporti e infrastrutture va salutato che in questi giorni in tanti, cittadini, sindacati, partiti, esponenti politici, associazioni, comitati, stiano protestando contro i tagli. Ed è possibile - anche se non probabile - che gli effetti di qualche cancellazione vengano annullati o mitigati. Tuttavia è bene denunciare anche l'inaccettabile assurdità per cui, a fronte della “macelleria sociale” fatta di gravissime riduzioni alle strutture e ai servizi della difesa del suolo, ai collegamenti e alle infrastrutture fondamentali, a settori essenziali come sanità, scuola, università, che si aggiungono ai drammatici ulteriori problemi di lavoro e reddito, calabresi e siciliani debbano assistere alla perpetuazione dell'imbroglio del Ponte, “inutile, dannoso e, tra l'altro, infattibile”. Molti osservatori ed esperti di programmazione dei trasporti avevano detto da tempo che il rilancio del “Programma-Ponte” (oltre 400 milioni di euro spesi in quarant'anni, senza arrivare nemmeno a un progetto fattibile, a parte i pesantissimi impatti) era in sostanza una “figurina”, destinata a coprire le scelte reali; fatte dai citati tagli a territorio e trasporti. Non a caso tale fase fu inaugurata dalle decisioni del Governo Berlusconi dell'ottobre 2008, in cui si sottraevano a Calabria e Sicilia 1,3 miliardi di euro di fondi veri, già mirati alle infrastrutture urgenti e alle attrezzature territoriali, e sostituite con 1,3 miliardi di fondi finti per il Ponte: tutte le delibere Cipe destinavano infatti risorse di competenza, non di cassa, “legate alle verifiche di compatibilità di bilancio”. Finché di recente Tremonti stesso ha chiarito che “i flussi finanziari destinati alla realizzazione del Ponte potranno avviarsi dopo il primo gennaio 2013” ma ancora una volta “fatte salve le compatibilità di bilancio”. Nonostante questo, la partita-Ponte è passata dalla propaganda celebrativa, fatta di annunci mediatici, alla propaganda concreta, fatta di indagini geognostiche, vistose, invasive e ingombranti, ma inutili e discutibili nell'attuale fase di progettazione non esecutiva, e dell'attività “propedeutica” - annunciata nel dicembre 2009 e avviata nell'ottobre 2010 - per lo spostamento del binario di Cannitello (non si sa per cosa, visto che ancora non c'è progetto definitivo). Nonostante i blocchi finanziari del Tesoro, si raschia il barile e si accendono prestiti, sostanzialmente per un programma destinato a interrompersi, ma che intanto è utile a trasferire risorse pubbliche al General Contractor: che in realtà - al di là della denominazione del Consorzio - è l'eterna Impregilo, che sta già imperversando da lustri sugli infiniti cantieri dell'autostrada. E che è scoperta verso le banche di alcuni miliardi di euro, dovuti alla fallimentare gestione dell'inceneritore di Acerra: quello che avrebbe dovuto risolvere il problema dei rifiuti a Napoli, con i risultati sotto gli occhi di tutti. Impregilo aveva, in quel caso, dato in garanzia alle banche i milioni di ecoballe accatastati nell'Acerrano e dintorni e che sarebbero stati pagati dallo Stato all'incenerimento. Ma non si possono più bruciare, perché fuorilegge in quanto troppo inquinanti. Per sovrammercato si annuncia per fine anno il progetto definitivo del ponte, (con ulteriore fattura di decine di milioni di euro) anche se non esecutivo. Ma le notizie che trapelano dal Ministero fanno pensare all'ennesimo bluff: sono stati infatti allontanati i progettisti e consulenti che conoscevano realmente la questione, avendola studiata per anni (v. Calzona). Raccomandavano, infatti prudenza con molte ulteriori verifiche, e soprattutto di cambiare la configurazione del manufatto, essendo quella presente non realizzabile per problemi sismici, ambientali, di costruibilità. Invece si sta disegnando un elaborato “definitivo” costituito da un semplice “approfondimento” del preliminare, con tutte le contraddizioni tecniche irrisolte e i nodi critici già rilevati dagli stessi consulenti del progetto. Un progetto per l'esecuzione? Macché. Una nuova figurina utile alla prossima campagna elettorale e anche a continuare a trasferire fondi pubblici, già sottratti alla Calabria e alla Sicilia, alla “più grande impresa di costruzioni del Paese”. Dobbiamo pagare noi gli errori di Napoli, o no? Se ne discuterà oggi alle 17.30 in un’assemblea al centro Baden Powell a Villa San Giovanni, vicino all’imbarco dei traghetti privati.
L’imbroglio di Digilio
02/12/2010 La Basilicata al centro delle traiettorie strategiche dell’oro blu, una regione pivot tra Mediterraneo, Est ed Ovest, un anello di quella catena geopolitica che lega la Russia all’Italia e l’Italia alla Libia e alla Turchia, forse persino il vertice di un triangolo geopolitico oppure anche solo un segmento di quel corridoio commerciale grazie al quale vengono disegnate, almeno in questa fase storica, le traiettorie di una politica estera non conforme all’approccio atlantico.
La Basilicata hub di quell’intreccio di pipelines che assicureranno al Belpaese un’indipendenza energetica fondamentale per rilanciare lo sviluppo e la modernizzazione della penisola, ma soprattutto delle Regioni meridionali. La Basilicata perno di relazioni economico-politiche tra stati sullo scacchiere europeo. Nonostante questa sia la realtà dei fatti, nonostante siamo di fronte a positive potenzialità della nostra terra che le rivelazioni del sito Wikileaks hanno involontariamente confermato, i principali quotidiani locali del Sud e della Lucania di ieri sembravano cadere dalle nuvole con il loro sgomento ingenuo. Detti organi d’informazione hanno adombrato situazioni virtualmente criminogene, trascinate dal poco trasparente business del gas che non sarebbe condiviso pubblicamente dall’amministrazione territoriale e dagli organi centrali di Roma. Così il Quotidiano della Basilicata: “L’Affare sporco del gas russo in Val Basento”. Così rimbalzava la Gazzetta del Mezzogiorno: “Gas russo nella Val Basento, spunta l’affare top secret”. Ed ancora altre articolesse sui silenzi del governo e sulla mancanza di chiarezza rispetto a questi contratti. Se non ci fosse da piangere mi verrebbe da ridere. Siamo diventati la patria delle anime belle, degli uomini che credono a tutto ciò che gli viene raccontato dai media e dal politically correct degli apparati ideologici anglobalizzati. Mettiamo i puntini sulle i una volta per tutte. Ci sono legami, alleanze, intese, scambi economici che non potranno mai essere disbrigati alla luce del sole, non perché siano contornati da intenzioni malvagie o illegali ma in quanto si rischia di far saltare tutto per la rivalità e per la contrapposizione di interessi ostili, soprattutto stranieri, che non ammettono concorrenti in determinati campi fortemente redditizi o collegati alla stessa sicurezza nazionale. In quest’ottica meno infantile e più prosaica andrebbero riletti anche gli ultimi eventi che hanno toccato la Finmeccanica, umiliata da magistrati impazienti di mettere in pratica un principio astratto di legalità che danneggia il Paese e favorisce i competitors esteri del nostro gigante del settore aerospaziale.

Anche le comunità locali non stiano a preoccuparsi, nessuno le vuole gabbare, nessuno vuol far pagare ad esse le esternalità negative di certi investimenti che pure sono ad alto impatto ambientale. Se così dovesse essere, se effettivamente i loro rappresentanti politici si dimostrassero completamente insensibili al loro benessere, allora avrebbero tutto il diritto di bussare alla porta della direzione politica regionale (almeno ora che ne sono a conoscenza) e pretendere che le ricadute economiche di questi progetti siano equamente distribuite tra la popolazione. Ma non si agisca come i muli dicendo no a qualsiasi cosa solo perché le associazioni ambientaliste (o chiunque altro abbia interesse a che il sud resti sottosviluppato) diffondono, immancabilmente in questi frangenti, notizie tendenziose e senza prove su disastri ecologici ed epidemiologici. I politici lucani dovranno migliorare in questo senso ed in altri, visto che la regione sta arrancando paurosamente sotto il peso della crisi economica e la gente comincia ad infastidirsi e a protestare. Le rivelazioni di Wikileaks attestano che da noi ci sono le potenzialità per crescere e portare ricchezza in ogni angolo del territorio. I leader lucani hanno allora l'obbligo morale di lavorare in questa direzione, unanimemente e senza barriere ideologiche, da destra e da sinistra. In tutta questa vicenda c’è un elemento che in particolare vorrei rimarcare. Chi più di tutti sta cercando di fermare questa alleanza tra Gazprom ed Eni, tra l’Italia e la Russia, sono i corifei e i gregari di FLI, la nuova formazione politica di Fini. Il sen. lucano Digilio è stato quello più attivo nel tentare di stoppare o quanto meno ritardare (con interrogazioni pretestuose) il progetto di stoccaggio del gas russo in Val Basento. La cosa non deve sorprendere perché il suo capo e i dioscuri che lo fiancheggiano (Bocchino e Granata) fanno lo stesso a livello nazionale. Le ragioni non sono difficili da capire. Fini, come riportavano ancora ieri le principali testate italiane, ha ricevuto da tempo l’endorsement americano contro Berlusconi che per le teste d'uovo di Washington risulta un alleato infido ed incontrollabile. Più di tutto, gli statunitensi non gradiscono il consolidamento dell’asse Mosca-Roma e l’avanzamento del progetto di dotti Southstream (di cui sono partner Eni e Gazprom) che taglia fuori il loro Nabucco, sistema di condutture che prenderebbe materia prima dal Caucaso aggirando la Russia. Va da sé che gli uomini di Fini si gettino all'arrembaggio quando emergono informazioni di tale portata che agiscono nelle loro teste come un richiamo per uccelli addomesticati. Questi fanno di tutto per dimostrare ai loro sodali stellestrisce di essere in grado di svolgere a dovere il compito assegnatogli, quello cioè di mettere i bastoni tra le ruote all'economia e alla politica estera italiana che si proietta nel mondo con margini di autonomia decisionale, andando oltre i vecchi equilibri egemonici. E' quest'ultimo l'unico affare losco del quale dovremmo veramente preoccuparci.
di Gianni Petrosillo
Ambigui intrighi
02/12/2010 La questione energetica "gas-petrolio" in Basilicata si arricchisce di nuovi "baratti" e di nuove scottanti pubblicazioni.
Non abbiamo mai fatto mancare l'onesta e precisa denuncia del Presidente CSAIL Massaro, di Controsenso e dei parlamentari del PDL , dell'IDV e PD lucani.
Il wiki - Lucania ci confonde e ci rasserena. Ci confonde perchè siamo al centro di ambigui rapporti internazionali e di trasversali triangoli (Russia -Turchia- Germania)mai chiariti. Ci rasserena perchè fino a ieri il nostro greggio non era considerato tra... i "migliori". Ci si nascondeva dietro il dito delle cosiddette "riserve ergetiche nazionali".
Oggi le denunce sui contatori (contatori in grado di misurare le migliaia di barili estratti quotidianamente) mai attivati, e cadute nell'oblìo da secoli ... acquistano un sapore particolare. La Basilicata, mera espressione geografica, non ha mai conosciuto l'elementare correttezza di rapporti tra istituzioni regionali e di governo nazionale di centro-destra e centro-sinistra. Il Centro-sinistra ha sempre glissato sull'argomento. Poche informative e pochi approfondimenti seri.
Scajola, già ministro dello sviluppo economico, si è guardato bene dal rispondere alle interrogazioni a Lui rivolte dai parlamentari PDL. Berlusconi che conosce bene il Progetto South Streem non mai proferito un timido grazie alla Basilicata e alla sua popolazione disagiata da tanti "fumi". Eppure la notra regione ha conosciuto momenti iniziali di euforia e di esaltazione con relativa e "desueta" sudditanza.
Poi ha prevalso la legge del "Totem nero", come definito dal Prof Allegro dell'Università di Napoli sul Quotidiano di qualche settimana fa.Il Totem nero si è insediato indisturbato tra faggi e cerri, tra pascoli e sorgenti, tra campi coltivati e nuovi insediamenti artigianali, industriali e produttivi, in genere, senza pagare alcun fio e senza innalzare quel tenore e qualità di vita da tutti agognato. Oggi ci ritroviamo con momenti di gravissimo "sconforto sociale".
Dalle poche maestranze non specializzate e occupate nella prima fase ci siamo ritrovati, oggi, con le ultime 150 assunzioni tutte rigidamente ...fuori dalla Val d'Agri. La popolazione ha preso consapevolezza e sono nati tanti comitati civici spontanei che denunciano l'attuale status quo , caratterizzato da ..."Meno lavoro e più tumori", meno terre da coltivare e più espropriazioni...
Con la legge del totem nero e dei suoi incommensurabili difensori "ineggianti le meraviglie paradisiache della nuova stagione dell'economia petrolifera" si è completato un processo di un Texas lucano privo di una vera filiera. Oggi wikileaks ci fa ancora più GIUSTIZIA.
Lo sviluppo della Val d'Agri è una mera chimera. Gli ultimi dati sono disarmanti. Interi nuclei familiari hanno ripreso l'odiata valigia. Le royalties hanno fatto prevalere azioni municipali di piccolo cabotaggio e di interventi di basso profilo, senza alcun " respiro " e senza alcun effetto moltiplicatore. Sono nate piccole cattedrali nel deserto... con tanti impianti sportivi, senza il necessario bussiness plan e senza aver programmato i conseguenti alti costi di gestione. Le royalties quelle indirizzate economicamente all'innovazione e agli investimenti produttivi languono da tempo. A tal proposito bisogna far rilevare che oltre 300 milioni di euro giacciono inutilazzati nelle casse interessate. Completa questo quadro desolante la mancanza di una legge regionale al riguardo.
La Basilicata, la regione europea con maggiore concentrazione di attività petrolifera su terra ferma, non si è ancora dotata di alcuna strumentazione legislativa specifica. Lo denunciava il Prof Alliegro sul nostro Quotidiano della Basilicata. La "sbornia" iniziale, dopo le attese dei primi insediamenti faceva molto affidamento sulla Fondazione Mattei, sulla formazione dei quadri e del management locale e su un indotto capace di far crescere l'imprenditoria locale.
Tutto ciò non si è verificato, oggi wiki lucania, ci fa riflettere sulle parole del dirigente ENI Cristiano RE. Il management della Fondazione Mattei si è ben guardato dal coinvolgere l'Università lucana e i tanti ingegneri sfornati dalle nostre Facoltà (ingeneri meccanici, chimici, ambientali, elettro - strumentali ecc.). Il dr. Re pur auspicando il decollo della formazione specialistica con quadri locali non ha rassicurato nessuno come la geostock come l'ENI e come la Total. E' prevalsa un po' di disgustosa demagogia, sempre presente in queste dirigenze "nordiste" pronte a vanificare progetti e proposte rivenienti dal nostro SUD.
Il tutto senza una dovuta e giusta verifica politica sugli atti e sui fatti prodotti. Il già sindaco di Viggiano Vittorio Prinzi, anche lui, terribilmente deluso dalla Fondazione Mattei ha denunciato sempre sul nostro Quotidiano il fermo delle attività formative e le mancate promesse rivolte alla disoccupazione intellettuale della Val d'Agri.
A tutto ciò fa da contraltare una immotivata "gelosia" tra i territori e Sindaci interessati e territori contermini. Per rispondere a questa annosa questione devo far ricorso ad Alessandro Baricco e i suoi "Barbari". Lo slogan "Padrone a casa mia" e le già menzionate azioni municipali di basso cabotaggio non sono certamente forieri di progetti di ampio respiro.In un simile contesto i vari Re, Geostock, ENI e Total avranno... sempre Buon gioco.
I marciapiedi continueranno ad essere rinnovati e lucidi...i giovani intellettuali preferiranno il disgustoso e mai amato esodo. Un Patto e una sinergia condivisa tra territori cozzeranno con il modus operandi delle Amministrazioni Comunali interessate. Amministrazioni che,forse, ancora oggi, nonostante wiki lucania, intensificheranno i rapporti con le aziende estrattrici con accordi sempre più stretti e sempre più chiusi a discapito dei buoni propositi auspicati dal sindacato e delle "forze sane" lucane
In questa oggettiva situazione incresciosa resta il solo dato della ripresa dell'esodo e del miracolo che non si è verificato e non si è mai tradotto in Sviluppo Economico e Sociale. Il Totem nero del petrolio e del gas che non porta lavoro ha solo creato ..."La guerra tra i poveri", un' aria irrespirabile, qualche sospettoso aumento di malattie tumorali e tanti ambigui intrighi internazionali, poco chiari e poco comprensibili...alla maggioranza silenziosa dei lucani . Che amara consolazione...
di Mauro Armando Tita
Fonti: