martedì 23 novembre 2010

Zanda (Pd): “Decreto rifiuti, dopo tanto ritardo che razza di urgenza è?”

“Il decreto legge sui rifiuti in Campania è da sei giorni fermo a Palazzo Chigi dove gli uffici del Governo ne stanno rimaneggiando il testo.

Berlusconi furioso con Floris: Lei un mistificatore, Rai non sua. Cavaliere al telefono: Non deve interrompere. Poi l’affondo.

La politica delle balle

di Guido Viale, da il manifesto, 23 novembre 2010
Invece di dare risposte sensate, la consorteria che controlla il Pdl campano - e non solo campano - si sta scannando per accaparrarsi i milioni che Berlusconi ha promesso, con un decreto che il presidente Napolitano dovrebbe promulgare senza averlo ancora nemmeno visto. E comunque dobbiamo sapere che la soluzione non verrà certo da lì.

Vendola vola nei sondaggi: in due settimane la sua notorietà passa dall’80 all’88%

Nichi Vendola in volata nei sondaggi.

Rifiuti, Comune Napoli: Vendere frutta e verdura solo senza foglie.

Napoli, 23 nov (Il Velino/Il Velino Campania) - Il Comune di Napoli ha deciso di adottare una ordinanza che imponga la vendita di frutta e verdura solo senza foglie.

Truffavano Ue e ministeri per dirottare fondi dal Sud al Nord Italia

Il meccanismo era semplice: chiedere soldi all’Unione Europea per finanziare progetti di ricerca e inserimento occupazionale al Sud. In realtà, però, i fondi o finivano al Nord per altri progetti o nelle tasche di docenti universitari e manager che avevano, secondo l’accusa, orchestrato la truffa.

Le 7 bugie sul federalismo fiscale

di Luca Antonini
Il processo di attuazione della legge delega sul federalismo fiscale è quasi giunto al termine: sono già stati approvati dal governo cinque decreti legislativi. Quello sul federalismo demaniale e quello su Roma capitale sono ormai definitivi; gli altri tre hanno iniziato o stanno per iniziare l’iter dei pareri in Conferenza unificata e in Parlamento.

Marcegaglia: «Ecco come puntiamo sulla Puglia»

di DOMENICO PALMIOTTI 
Emma Marcegaglia, presidente di Confindustria, sarà stamattina all’Ilva di Taranto per partecipare alla presentazione da parte del gruppo Riva del Rapporto Ambiente e sicurezza 2010.

Federalismo, Cgia: Solo 4 Regioni su 20 versano più di quanto ricevono

Roma, 23 nov (Il Velino) - Solo 4 Regioni su 20 – esordisce Giuseppe Bortolussi, segretario della CGIA di Mestre - versano imposte, tasse e contributi in quantità superiore a quanto ricevono in termini di trasferimenti e servizi dallo Stato centrale. Ed è per questo motivo che sta riemergendo la protesta tra gli imprenditori e i Sindaci del Nord delle aree di confine.

Truffe sui fondi europei, sequestri pure in Liguria

23 novembre 2010 
La guardia di Finanza ha arrestato otto persone con l’accusa di aver truffato lo Stato e l’Unione Europea per oltre 30 milioni di euro, ricevendo denaro pubblico per ricerche scientifiche «innovative», in realtà mai realizzate. 

Le mani sulla “munnezza”. Lo “stile di vita” del Pdl campano

di Lucio Fero
Le mani sulla “munnezza”, cioè la rissa e la ressa per arraffare soldi, appalti, affari. 

La ‘secessione’ dell’industria lombarda guidata da Emma Marcegaglia

La secessione parte dall’industria e la guida il leader di Confindustria Emma Marcegaglia.

Lunedì 22 novembre gli industriali del Nord si vedono a Cernobbio e dalla presidente parte l’affondo: “Sul federalismo chi è pronto parta subito, non si può più aspettare”. E chi è pronto? La Lombardia ovviamente. Così la Marcegaglia mette i puntini sulle i del discorso che, subito prima di lei, aveva fatto Alberto Barcella, presidente degli industriali lombardi, Alberto Barcella. “Basta – aveva tuonato – i limiti degli altri non possono essere un freno tirato per la Lombardia, non tutte le autonomie sono egualmente capaci”.

Chi non è pronto, invece? Non è un problema, almeno per gli operossissimi lumbard.  La Marcegaglia neppure sembra badarci granché:  ”In un Paese che ha regioni tra le più sviluppate d’Europa e regioni, invece, tra le meno sviluppate, non possiamo pensare a una soluzione uguale per tutti». Anzi: «Se i più forti vanno avanti è anche a vantaggio del Mezzogiorno, delle regioni più arretrate”.  L’alternativa, spiega battagliera, è il “suicidio”: “Se non facciamo in fretta, se il federalismo lo applichiamo nel 2013 o 2014… Beh, forse non avremo più le imprese, a cui applicarlo”. Bando quindi, ai solidarismi, non si aspetta più nessuno.

Spiega Raffaela Polato sul Corriere della Sera che la sortita della Marcegaglia è “davvero come buttare un sasso. E creare un caso. Nord e Sud. Gli industriali lombardi, non c’è bisogno di dirlo visto che sono loro i primi a schiacciare il tasto del federalismo spinto, sono ovviamente tutti con lei. I veneti, probabilmente i piemontesi, molti altri imprenditori del Nord sanno che non sono citati solo per ragioni, come dire, di «onore all’ospite»: ma fosse a Treviso, per esempio, Marcegaglia riceverebbe esattamente gli stessi applausi perché direbbe esattamente le stesse cose. E non avrebbe problemi a spiegarle — magari con toni un po’ diversi ed entrando un po’ più nei dettagli — nemmeno al Sud. Da dove però, almeno a freddo, a quelle parole segue un silenzio che un filo di imbarazzo lo tradisce”.

La numero uno della Cgil, Susanna Camusso, sullo strappo lombardo della Marcegaglia frena e invita a stare attenti a spingerci su certi terreni: “La sensazione è che si usi il federalismo come arma di dialettica politica”. Solo una sensazione?
23 novembre 2010 | 11:56
Fonte:
http://www.blitzquotidiano.it/economia/secessione-industriale-lombarda-emma-marcegaglia-650948/?utm_source=feedburner&utm_medium=feed&utm_campaign=Feed%3A+blitzquotidiano+%28Blitzquotidiano%29

Rifiuti, il piano inapplicato. Bondi denuncia “degrado civile”


Roma, 23 nov (Il Velino) - La situazione dei rifiuti in Campania è “anche il frutto di un degrado civile, sociale, morale e culturale di una parte del Mezzogiorno che una classe dirigente nazionale farebbe bene a non sottovalutare e che anzi dovrebbe cercare di affrontare secondo uno spirito di corresponsabilità nazionale, unendo tutte le forze migliori e sane presenti sul territorio”.

A fare questa analisi è il ministro dei Beni culturali Sandro Bondi, il quale ha osservato che “c'è da stropicciarsi gli occhi di fronte a ciò che accade a Napoli” dove “pare che il sindaco, Rosa Russo Jervolino, sia immune da ogni responsabilità per i rifiuti che stanno letteralmente sommergendo la città partenopea. Nessuno naturalmente – ha detto Bondi - si azzarda a chiederne le dimissioni dopo un'esperienza amministrativa che più fallimentare di così non si può immaginare. Le responsabilità del sindaco di Napoli, tuttavia, ad essere onesti e non volgari propagandisti non si possono addossare solo sulle spalle del sindaco di Napoli”. Le conclusioni del ministro dei Beni culturali si possono ricollegare all’analisi fatta dal Corriere della Sera sul problema dei rifiuti. “Il decreto 90 – ha ricordato il quotidiano di via Solferino -, poi convertito nella legge 123/08, a farla breve il piano rifiuti varato da Silvio Berlusconi e Guido Bertolaso, doveva essere la Bibbia della ‘monnezza’, con precetti ai quali era impossibile derogare. Non era solo il primo atto di un governo che ne aveva sostituito un altro travolto dai cumuli di spazzatura. Era l’ultima possibilità”.

Ma poi, secondo la ricostruzione del Corsera, “una volta finita quella fase dell’emergenza, la legge 123/2008 resta lettera morta. Gli amministratori locali si crogiolano nelle sue lacune, manca ogni istruzione su chi, e come, deve darsi da fare per raggiungere il 50 per cento della raccolta differenziata, l’obiettivo minimo fissato per decreto”. Insomma, si assiste a una continua ritirata su quelli che erano le finalità del piano rifiuti (che prevedeva anche lo scioglimento dei Comuni inadempienti, e infatti - ha scritto il quotidiano - “il 30 gennaio 2009 il Viminale rimuove i sindaci di Maddaloni, Castelvolturno e Casal di Principe” ma nulla accade in altri Comuni “come Napoli”, tanto per fare un esempio). “Alla fine - ha evidenziato il Corsera -, come in un malsano gioco dell’oca, si è tornati alla casella di partenza”. Intanto vanno registrate anche le dichiarazioni del segretario del Pd Pier Luigi Bersani ai microfoni di Radio anch’io: “Il governo - ha ribadito - esca dalla logica del 'ghe pensi mi', del miracolo, apra un tavolo con le parti interessate e l'opposizione”. E ha quindi lanciato la sua proposta concreta di collaborazione. "Io sono pronto ad andare ad una riunione per capire, tutti insieme, cosa possiamo fare seriamente”.

Inoltre, secondo il segretario democrat, a Napoli occorre riavviare “il ciclo razionale” di raccolta e smaltimento attraverso “una quota di discariche in progressiva dismissione, di una quota di raccolta differenziata, e dell'uso dei termovalorizzatori”. Per Bersani “l'unica strada per togliere questa montagna di rifiuti era ricorrere al meccanismo della solidarietà, ma questo è stato bruciato dalla teoria del miracolo. Con la promessa del miracolo Berlusconi ha bruciato i vascelli alle loro spalle, e ora nessuno vuole i rifiuti di Napoli, compresi gli altri comuni della Campania”. Infine Bersani ha difeso il sindaco di Napoli, Iervolino: “Non accetto la teoria del capro espiatorio. Il comune di Napoli fa certamente una raccolta differenziata bassa, del 18 per cento, ma non è molto distante da quella di Roma che è del 20 per cento”.
(red/mlm) 23 nov 2010 11:23
Fonte: http://ilvelino.it/articolo.php?Id=1246143

Castel Volturno e la rivolta di GOMORRA


di Maria Pirro
Pacata, meditata, ma anche netta e persino spregiudicata: è la rivolta antiracket, inattesa, che sferza i clan di Gomorra.
Accade a Castel Volturno (Caserta): otto commercianti hanno denunciato i loro vessatori e, dopo un anno di riunioni, hanno appena costituito la prima, storica associazione contro il pizzo. Spiegano Tano Grasso e Silvana Fucito, i due promotori: «L’iniziativa è un segnale concreto di riscatto e speranza. In questa terra tanto martoriata non c’era mai stata una ribellione collettiva contro la camorra».

Raccontano le inchieste giudiziarie che i residenti sembravano rassegnati a pagare. Storditi e vinti. Gli imprenditori che avevano osato opporsi alle tangenti erano stati isolati. Ed erano diventati bersaglio dei killer.

Ora è cambiato tutto. La battaglia si fonda sulla solidarietà tra commercianti, gli otto di Castel Volturno fanno quadrato, l’azione è corale, stimolata dal lavoro d’intelligence delle forze dell’ordine e della procura. Obiettivo: rompere il muro di omertà. Non a caso l’associazione è dedicata all’imprenditore del coraggio, Domenico Noviello, ucciso dai Casalesi per essersi rifiutato di pagare il pizzo.

Prima uscita pubblica dell’associazione lunedì 22 novembre, insieme con il sottosegretario all’Interno Alfredo Mantovano. Intanto Panorama ha incontrato i commercianti, li ha fotografati e ha raccolto le loro storie inedite, pubblicandole nelle pagine che seguono, proprio mentre a Castel Volturno, il 15 novembre, scattavano decine di perquisizioni. Un’inchiesta con 43 indagati e tre arrestati ha investito il sindaco Antonio Scalzone, il suo predecessore Francesco Nuzzo (noto come sostituto procuratore a Brescia), dipendenti del comune, imprenditori, boss ed esponenti dei Casalesi.

DANIELE MANZO, 33 anni, bar pasticceria Crazy Horse
Stampati sulla saracinesca del bar pasticceria ci sono sei colpi di mitra. «Sono il segno tangibile delle intimidazioni subite ma, per favore, non chiamatemi eroe. Non lo sono, ho denunciato perché c’è attorno la rete di protezione dei carabinieri» dice il titolare Daniele Manzo, una laurea in psicologia e mille sogni nel cassetto. A lui e a suo fratello i padroni di Gomorra avevano anche tentato di imporre il pizzo sul caffè. Attraverso le forniture. Ricorda il trentatreenne: «Ci avevano portato diverse confezioni da testare, tutte senza né marca né data di scadenza. Assaggiammo la miscela ma rifiutammo di acquistarla: era imbevibile, oltre che più costosa delle altre». Qualche giorno dopo, il raid a colpi di mitra.

GIANFRANCO PAOLO, 36 anni, caseificio Ponte a mare
Quando lo sequestrarono, i killer di Gomorra avevano appena ripreso a sparare. Due omicidi in 15 giorni: avevano ucciso Umberto Bidognetti e Domenico Noviello, il padre di un pentito e l’imprenditore del coraggio. «Era mezzogiorno, metà maggio 2008» racconta Gianfranco Paolo. «Due persone entrarono nel laboratorio di mozzarelle, dicendo che dovevano parlarmi in privato. Mi incappucciarono e, disteso all’interno di un’auto, mi condussero in un sottoscala». Lì c’erano due camorristi. Rivela l’imprenditore: «Oreste Spagnuolo, oggi collaboratore di giustizia, mi chiese una “mano” per la loro organizzazione: 40 mila euro. D’accordo con mio fratello, iniziai a pagare; ma poi la polizia acquisì il filmato delle telecamere nel caseificio, e la storia venne a galla».

MASSIMO NOVIELLO, 33 anni, ex autoscuola Mimmo
Ha venduto l’autoscuola di famiglia, è andato via da Gomorra. Vive sotto scorta. Ma quando torna a Castel
Volturno, sul luogo dell’agguato, i suoi ricordi si ricompongono. All’improvviso, Gomorra torna. Massimo Noviello pensa alla propria vita, a neanche tanto tempo fa. Il 16 maggio 2008 era per strada, paralizzato dal dolore. Davanti a lui il corpo del padre Domenico sfigurato dai proiettili. Ucciso perché, sette anni prima, alla camorra aveva negato 100 mila euro. «Firmai anch’io l’atto di accusa contro la banda di estorsori» reclama Noviello. «Tornassi indietro? Denuncerei di nuovo, nonostante tutto. La costituzione dell’associazione antiracket dimostra che la morte di mio padre non è stata inutile. Da oggi non mi sento più da solo nella battaglia per la legalità».

GIANLUCA D’AURIA, 41 anni, negozio Stop & Shop
Da una parte gli estorsori lo costringevano a pagare la tangente. Dall’altra i carabinieri lo mettevano sotto torchio. «Confermare le tesi degli investigatori è stato il risultato di un percorso travagliato» rivela Gianluca D’Auria.  «All’inizio io e gli altri commercianti ci sentivamo stretti tra due fuochi. Avevamo paura. La prima volta che fui chiamato in caserma mi salì la febbre a 40». D’Auria ritiene che «il merito della nostra denuncia collettiva sia dipeso anzitutto dal metodo Cagnazzo. Tra di noi così chiamiamo il pressing del maggiore dei carabinieri che ha seguito l’inchiesta». Ovvero Fabio Cagnazzo, durissimo nei modi, soprattutto al primo approccio, però attento a non lasciarli mai soli. «La notte ci convocava in caserma a gruppi di dieci. La mattina era al negozio, da me. Alla fine parlare è stata un po’ una liberazione».

MASSIMO VENZA, 43 anni, ferramenta Master
Il racket ammazza il commercio. L’esperienza di Massimo Venza, titolare di un negozio di ferramenta, è questa: «Avrei voluto ingrandire l’attività familiare. E, invece, non l’ho mai fatto, anche quando ne avevo la possibilità». Il motivo? «Ho preferito continuare a volare basso e rinunciare agli affari per non dare nell’occhio». Insomma, «evitavo anche di cambiare l’insegna per paura che potessero aumentare le pressioni della malavita. Ma questa condizione di soggezione è stata una doppia sofferenza: sono estremamente legato a Castel Volturno. Fino al terremoto dell’80, il suo lungomare era un autentico paradiso frequentato da villeggianti famosi». Pensare che «qui aveva una villa anche Nino Taranto».

LUIGI FERRUCCI, 45 anni, birreria Bambusa
La trappola è scattata davanti alla sua birreria. In manette due giovani estorsori. Gli avevano intimato: «Se non ci dai 1.000 euro, ti tagliamo la testa. Domani torniamo a riscuotere». Ma il giorno dopo, in vista dell’appuntamento, i carabinieri si erano infiltrati all’interno del pub, travestiti da clienti: pronti a intervenire per bloccare i taglieggiatori. Della sua personale odissea Luigi Ferrucci sottolinea un aspetto: «Ho scoperto da poco che le stesse minacce le avevano ricevute altri commercianti della zona. Tra di noi già allora c’era un rapporto di amicizia. Eppure, non parlavamo mai di questi argomenti. Erano un tabù, a vantaggio della camorra. Da quando è crollato il muro di omertà, ci sosteniamo l’uno con l’altro».

VITO RAIMONDO, 64 anni, Raimondo viaggi
L’ultima minaccia risale a metà del dicembre 2009: «Gli estorsori mi chiesero un “regalo” per i carcerati». Io già pagavo 800 euro, tre volte l’anno, in occasione delle festività. Fosse stato per loro, avrei dovuto indebitarmi per sostenere le rate del pizzo: con la crisi degli ultimi tempi, non era semplice far quadrare i conti» ricorda Vito Raimondo. Da allora il tour operator non ha più versato un euro nelle casse dei Casalesi. Quel Natale, infatti, avvenne un episodio destinato a scompaginare per sempre i piani dei taglieggiatori. «Nel corso di un arresto, i carabinieri sequestrarono una lista che indicava il mio nome e quello di altri commercianti». Era l’elenco dei negozi sotto scacco: una prova inappellabile.

GIOVANNI D’ANGELO, 49 anni, panetteria Doppio zero
Pagavano da generazioni. Quasi fosse una voce ordinaria di bilancio. «Mio padre non ne parlava in famiglia, ma quando io e mio fratello siamo subentrati nella gestione, abbiamo dovuto fare i conti con gli esattori del racket» svela il panettiere Giovanni D’Angelo. In un’occasione, ricorda, «uno di loro mi strappò 3 mila euro, dicendo che dopo non avrei dovuto più versare rate. Fu un investimento a perdere: a distanza di pochi giorni lessi sul giornale che il taglieggiatore era stato ucciso». D’Angelo è il presidente della nuova associazione antiracket di Castel Volturno. E attraverso Panorama lancia un appello a nome di tutti i soci: «La speranza è che anche altri commercianti denuncino perché da soli si perde. Insieme, si vince». La scommessa è cambiare il volto di Gomorra.
redazione
Martedì 23 Novembre 2010
Fonte:
http://blog.panorama.it/italia/2010/11/23/castel-volturno-e-la-rivolta-di-gomorra/

L'ultima cantonata di Cantona


Londra, 23-11-2010 "Se 20 milioni di risparmiatori ritirano contemporaneamente i loro soldi dai conti correnti, il sistema crolla... La rivoluzione si fa attraverso le banche". L'appello lanciato sul web da Eric Cantona, ex attaccante del Manchester United, oggi attore, fa proseliti.

Per parlare di rivoluzione "non bisogna prendere le armi, non bisogna uccidere nessuno. C'è solo una cosa molto semplice da fare: il sistema si base sul potere delle banche. Quindi può essere distrutto attraverso le banche", afferma Cantona in un video messo sulla rete ad ottobre, ma cliccatissimo in questi ultimi giorni. Cantona incita al boicottaggio delle banche dopo la riforma delle pensioni approvata in Francia, ma il suo appello ha guadagnato notorietà in Gran Bretagna con l'esplosione della crisi irlandese, originata proprio dai guai delle banche di Dublino.

"Ritiriamo tutti i soldi dalle banche il 7 dicembre prossimo. Sarà la rivoluzione", si legge in un gruppo creato su un social forum 'ispirato' dal video di cantona. Che con il suo video prende l'ennesima cantonata: se il sistema crolla, ritirando i soldi dalle banche, chi paga il conto alla fine sono i cittadini. Come insegna la crisi irlandese.
Meglio parlare di calcio...

«La mafia ormai è ovunque»


Inviato da redazione il Mar, 23/11/2010 - 10:30
Alessandro De Pascale
INTERVISTA. Il capo dell’Antimafia Grasso chiede alla politica «di fare pulizia», a cittadini e istituzioni «maggiore collaborazione», al governo «una norma contro l’autoriciclaggio». Altrimenti saremo «dominati dalla criminalità».

ll magistrato siciliano Piero Grasso dall’ottobre 2005 è il Procuratore nazionale antimafia. Nel 1984 è stato giudice a latere nel primo maxiprocesso a Cosa nostra.

Procuratore, esiste un allarme criminalità al Nord?
Non parlerei di allarme, perché la presenza della criminalità in tutto il Settentrione, e non solo in Lombardia, è un fenomeno che esiste da tempo. La mafia non è un problema del Sud ma dell’intero territorio nazionale. Infatti la criminalità organizzata ricava i profitti illeciti nel Meridione e li reinveste nel Settentrione. Si tratta di colletti bianchi e non più di uomini con coppola e lupara. Tanto che al Nord si vede molto meno rispetto al Sud ma si infiltra ovunque, istituzioni comprese. Il rischio futuro è di vedersi dominati dalla mafia.

Ultimamente sono stati assicurati alla giustizia pericolosi latitanti...
Il merito di questi successi è delle apposite squadre delle forze dell’ordine che si occupano della cattura dei latitanti e del sequestro dei beni dei boss. Grazie a questi uomini, clan come quello dei Casalesi sono in difficoltà.


Come sono mutate le relazioni tra criminalità e politica?
Partiamo dal presupposto che questi rapporti riguardano le singole persone. Perché la mafia non ha una sua ideologia e non ha disdegnato di avere rapporti con esponenti politici di qualsiasi colore pur di raggiungere i propri fini. Tra cui il tentativo di infiltrarsi nel sistema degli appalti e della gestione del denaro pubblico. La politica per avere futuro deve fare pulizia e riconquistare la fiducia dei cittadini. E per vincere non può sfruttare il pacchetto di voti che una persona possiede a titolo personale.

Come si può prevenire l’infiltrazione delle mafie negli appalti pubblici?
Già la tracciabilità dei flussi finanziari ha favorito la trasparenza che in passato sicuramente non era il fiore all’occhiello della pubblica amministrazione. Ma tanto altro resta da fare. Serve collaborazione tra tutte le istituzioni e anche quella del singolo cittadino. Perché il silenzio è l’ossigeno di questi poteri: gli consente di riorganizzarsi e rafforzarsi.


A livello legislativo, cosa manca per contrastare la mafia?
Da tempo chiediamo una norma contro l’autoriciclaggio. È una necessità assoluta che serve a indagare su quanti, avendo commesso un altro reato, utilizzano i proventi del denaro sporco per investirlo in attività lecite e quindi turbare l’economia.

La Direzione centrale servizi antidroga ha registrato un aumento delle denunce per associazione a delinquere a carico dei cinesi del 2.100 per cento. L’Italia è terra di conquista anche per le mafie straniere? 
La criminalità organizzata cinese da tempo è presente in Italia e si occupa di diversi ambiti: traffico di esseri umani, contraffazione, prostituzione, gioco d’azzardo, estorsioni e droga. Ma fino ad ora, tranne che per la contraffazione, operava principalmente all’interno del proprio gruppo etnico. Con le ultime inchieste, anche grazie alla collaborazione con le polizie di altri Stati, è stata inoltre destrutturata un’organizzazione balcanica, molto presente in Italia nel traffico di droga. Non si possono escludere legami tra questo cartello e la ’ndrangheta. Questa organizzazione consegnava direttamente al cliente centinaia di chili di cocaina al mese.
Fonte:
http://www.terranews.it/news/2010/11/«la-mafia-ormai-e-ovunque»

Grillo: «Rifiuti, la camorra non c’entra è colpa delle banche e dei potentati»


Lo showman a Terzigno arringa i manifestanti. E invita alla mobilitazione politica dei trentenni campani.
TERZIGNO — Vien da dire: piove sul bagnato. Ma a Terzigno non si smette mai di stare in trincea, neanche col nubifragio. Via Zabatta è il rifugio per i comitati, le famiglie e le mamme che dalla scorsa estate presidiano il territorio per non fare aprire la seconda discarica in pieno Parco del Vesuvio. Si attende l’arrivo di Beppe Grillo e nel frattempo tiene banco la notizia del giorno: il decreto, quello che il capo dello Stato ha detto di non aver mai ricevuto. «Ma allora possono ancora aprire la discarica?». Chi lavora, qui, fa i salti mortali per non mollare la protesta. Anche ieri, sotto una pioggia insistente e fredda, in tanti. Chi ha visto Grillo sul palco almeno una volta nella propria vita sa quale attesa messianica preceda ogni sua esibizione. Eppure a Terzigno c’è un’aria diversa.

Pur riconoscendolo come portatore sano di cause condivisibili, non rappresenta il verbo assoluto, ma una voce tra le tante. «Bisogna che stiate attenti, vi strumentalizzano», dice Grillo addentando una pizza. «Guardi che noi seguiamo il nostro cuore e il nostro cervello. Qui comandiamo noi», gli fa una signora senza troppe cerimonie. «Io sono qui per una testimonianza, ma perché mi avete invitato?», ancora il comico. «Perché sei un simbolo contro la politica di merda», gli risponde un ragazzo. Allora lui tira fuori diverse fotocopie del proprio 740, con su impressa la parola a caratteri cubitali: benestante. «Per i manganelli consapevoli— dice —. Quando la polizia vi carica appiccicate sulla vostra giacca questo 740 il manganello lo riconoscerà e non manganellerà». Sul palco arriva dopo Pietro Avino dei comitati storici e Ulderico Pesce detto «Asso ’e munnezza». «Signori c’aggia fa con voi. Abbiamo fatto due munnezza day a Napoli. È una questione che non si può risolvere con metodi tradizionali. Quando vedo le donne caricate dalla polizia non ce la faccio. Basta manifestazioni, basta cariche. Bisogna pensare ad altri tipi di lotta».
Per il comico genovese la responsabilità del disastro rifiuti «non è della camorra, ma di tre o quattro banche e di qualche società quotata in borsa». Smette di piovere, in compenso c'è un’umidità «pazzesca», Grillo docet. «Qui ci siamo presentati alle regionali ma non abbiamo potuto fare molto perché non c’è la rete, la banda. Qui c’è ancora il voto di scambio. Vi racconto un episodio. Stavamo a Salerno e un signore si fermò al banchetto e mi disse: ma siete tutti incensurati? Sì, gli dissi io. Allora possono iscrivermi, fa lui, perché io sono ricercato. Ogni volta a dire c’ho mio cognato qua, mio cognato là, quanti c.. di cognati avete a Napoli? Con il voto per qualcosa l’effetto poi è questo. Noi siamo entrati in 40 comuni con ragazzi di 30 anni». Qualcuno perplesso, pensa ad alta voce: «Ma è venuto a fare campagna elettorale?». «Io non sono candidato o candidabile — prosegue Grillo e uno tira un sospiro di sollievo —, ma ognuno di voi deve mettersi in gioco. Basta con le manifestazioni, con uno che grida e voi sotto. Prendetevi le vostre responsabilità, se continuiamo a fare i guardoni della politica succede questo. Ognuno di voi si scelga una battaglia: non utilizzare l’auto, l’acqua filtrata, niente imballaggi, quello che volete. Io non sono un politico e neanche più un comico. Sono uno che si sta giocando una carriera perché ha sei figli e quattro disoccupati come molti di voi. Da qui, da questi posti deve partire una rivoluzione».

Per Grillo la rivoluzione è cambiare la politica dal basso. Al Nord il movimento Cinque stelle è riuscito a portare nei consigli comunali e regionali alcuni rappresentanti, «trentenni intercambiabili», li chiama Grillo, «né destra né sinistra, solo cittadini». Difatti annuncia una lista per le comunali partenopee, «ragazzi di trent’anni che vi diranno dove andrà a finire il vostro sacchetto. Fatelo anche voi a Terzigno, alle prossime elezioni. Fate una scelta. Smettete di credere in un leader». Un’inaspettata saggezza, neanche un urlo e qualche, centellinata, battuta («Bocchino lo chiameremo Chinotto per le signore»). Finale con due torte, una «differenziata» come la spazzatura, l’altra con un epitaffio che legge proprio Grillo e recita: Terzigno dice no alla discarica. Il sindaco e i consiglieri comunali hanno deciso la nostra morte. «La loro morte, noi sopravviveremo«. Ricomincia il diluvio.
Simona Brandolini
Fonte: http://corrieredelmezzogiorno.corriere.it/napoli/notizie/cronaca/2010/23-novembre-2010/grillo-rifiuti-camorra-non-c-entra-colpa-banche-potentati-1804226209585.shtml
 

Ecco perché l'Italia non è l'Irlanda


di Francesco Forte
23 Novembre 2010
Il fatto che la comunità internazionale debba andare in soccorso dell’Irlanda, sino a poco tempo fa dipinta come un autentico modello di economia di mercato liberale che noi avremmo dovuto imitare, suscita sorpresa e sconcerto. E’ ciò una dimostrazione del fatto che il sistema di economia di mercato, ispirato a principi liberali non è un buon sistema economico? O vi è una incompatibilità fra l’euro e l’economia di mercato per gli stati di piccola dimensione come Grecia, Irlanda e Portogallo?

L’Irlanda, in effetti non è la Grecia. Il Pil pro capite Irlandese era – prima della crisi - di ben 59 mila dollari contro i 28 mila della Grecia, che sono meno della metà e contro 21 mila del Portogallo che sono il 35%. E l’Irlanda era, prima della crisi, anche lo stato dell’Unione europea e dell’area euro con il più alto Pil pro capite. Infatti la Svezia pre crisi aveva un Pil pro capite di 50 mila dollari. L’Olanda di 47 mila,il Regno Unito di 45 mila, l’Austria di 44 mila, la Francia di 42 mila, la Germania di 40 mila, l’Italia di 36 mila. E l’aiuto all’Irlanda è di 90 miliardi di euro, per uno stato di 4,5 milioni di anime, con 180 miliardi di euro di Pil, con un rapporto fra prestito internazionale e Pil pari al 50% e un aiuto pro capite di 20 mila euro. L’aiuto per la Grecia è stato di 110 miliardi di euro, per uno stato con 12 milioni di abitanti e un Pil di 230.

In rapporto al Pil l’aiuto per la Grecia è il 48%, ma pro capite di 9 mila euro. Un po’ meno della metà. Il che fa una certa impressione, dal punto di vista distributivo.

Abbiamo aiutato il povero con un prestito pro capite pari a metà di quello accordato al ricco, che ha un reddito pro capite di circa tre volte tanto. Ma la ragione c’è. E sta nel fatto che nel caso dell’Irlanda l’aiuto serve per il 55% per un intervento a favore delle banche irlandesi, che hanno bisogno di altri 50 miliardi, oltre a quelli che ha già erogato loro il governo irlandese, per evitare il dissesto.

Il governo irlandese ha un deficit di bilancio del 30% del suo Pil, che fa salire il suo debito pubblico verso il 100% del Pil, in quanto si è impegnato nelle banche in crisi, nazionalizzandone una e comprandone una e acquistando quote di minoranza di altre due ed ha garantito tutte quante. Ecco così che la sua situazione è precaria, per colpa della crisi bancaria, non per la crisi della sua finanza pubblica, sin qui basata su basse imposte, basse spese, bilanci pubblici in quasi pareggio, modesto rapporto fra debito pubblico e Pil.

Il governo di Dublino ha seguito, per la finanza pubblica, i principi macro economici liberali, ma ha lasciato mano libera alle sue banche, che hanno prestato soldi senza averli ai consumatori per mutui immobiliari, giocando sul rialzo del valore degli immobili anziché sulla capacità dei debitori di pagare i prestiti. Forse il governo irlandese è stato catturato dalle banche, forse non ha capito che non si possono fare gli investimenti senza risparmio, fatto sta che in rapporto alle banche ha violato i canoni elementari dell’economia di mercato. Esse comportano regole per il sistema bancario, che impediscono di erogare credito in modo spensierato, generando insolvenze che tradiscono la buona fede dei depositanti, degli azionisti e dei creditori delle banche medesime.

C’è anche una teoria liberista dell’economia di mercato che sostiene che essa può autoregolarsi, senza bisogno che lo stato ponga delle regole: ma tale teoria implica che chi sbaglia paga, ossia che le banche che, confidando nella ascesa dei valori immobiliari, prestano soldi senza averli a persone che non sono in grado di restituire i prestiti, debbano fallire quando si trovano CON perdite eccessive, a causa dei calcoli sbagliati. Invece le grandi banche europee  ed autorevoli economisti che sostengono di essere liberali, hanno premuto perché il governo irlandese intervenisse, statizzando queste banche. Il principio per cui le imprese si tengono i profitti e passano le perdite allo stato non ha nulla di liberalista.

Ma bisogna tenere presente che le banche del Regno Unito hanno duecento miliardi di euro di esposizioni verso quelle irlandesi, le banche tedesche sono esposte per 180 miliardi e quelle francesi per una cifra sopra i 100 miliardi. La comunità bancaria internazionale perciò ha bisogno che le banche irlandesi non falliscano e che gli stati dell’euro zona, assieme al Fondo Monetario Internazionale e al governo inglese diano un massiccio aiuto finanziario a questo stato. Occorre, a questo punto, osservare che lo sviluppo economico irlandese, negli anni passati, ha avuto l’aspetto di un grande miracolo economico, ma era basato, in parte su fattori effimeri, come l’espansione  della domanda di immobili da parte dei cittadini tramite il credito facile, che ha generato un boom dell’industria edilizia, assieme alla quintuplicazione dei prezzi per metro quadro degli edifici.

L’industria edilizia è diventata il 10 per cento del Pil irlandese, che è cresciuto di oltre il 6 per cento annuo. A un certo punto, i prezzi delle case hanno cominciato a scendere e in poco tempo si sono dimezzati. E le banche, che avevano anche largheggiato nei prestiti sulle carte di credito si sono trovate in situazione pre fallimentare. Purtroppo il ricatto del crack bancario nei confronti dei paesi dell’euro ci ha costretti a intervenire.

Ma logica vorrebbe che anche le banche si assumessero la loro parte di fardello, cosa che temo non accada perché esse sono troppo potenti nella comunità internazionale. Ciò detto, sarebbe tuttavia grossolanamente errato sostenere che l’economia irlandese ha avuto la prodigiosa crescita degli ultimi quindici anni solo con il boom edilizio. In realtà la crescita del suo Pil, quando essa è entrata nell’Unione monetaria europea nel 1998, era già dal 1990 del 6% annuo. Essa era sospinta dagli investimenti industriali esteri, attirati dalla tassazione dei profitti delle imprese al 12,5%.

Considerata la favorevole ubicazione geografica sul mare, della repubblica Irlandese, la sua vicinanza all’Inghilterra e il fatto che essa ha la stessa lingua e le stesse regole giuridiche del Regno Unito, la tassazione al 12,5 ne ha fatto una ubicazione ideale per le multinazionali. Questo livello di tassazione ha comportato una distorsione nella concorrenza a favore delle multinazionali anglo americane in quanto è difficile sostenere che i benefici delle spese pubbliche irlandesi a favore delle imprese siano appena il 12% dei loro utili. L’Irlanda ha avuto, così, un boom industriale. Ma ha anche una situazione precaria nella bilancia dei pagamenti con l’estero, in quanto le uscite dall’Irlanda per interessi e rimpatri di profitti delle imprese estere sono il 4,5 % del Pil irlandese.

L’Irlanda quindi è obbligata ad avere un surplus del commercio estero di livello corrispondente, se vuole pareggiare i suoi conti con l'estero. Ciò però non le riesce. Quindi ha un deficit strutturale di bilancia corrente dei pagamenti dello 1,5% del Pil.
L’economia di mercato comporta di avere basse imposte per le imprese. Ma il loro livello non va abbassato in modo da creare un eccesso di investimenti esteri fatti a debito. Anche qui occorre tenere presente la regola aurea che l’investimento ha bisogno di una solida base di risparmio. E le imposte, come prezzo dei servizi pubblici, debbono essere basse, ma coprire i costi di tali servizi. L’Irlanda si è cacciata nei guai perché ha trascurato alcuni principi elementari del sistema di mercato. Ma con le basse imposte sulle imprese ha comunque realizzato una crescita economica spettacolare.

L’Italia tassa le imprese con un carico fiscale che fra imposta sul reddito e Irap supera il 50%. E il Pil italiano cresce dello 1 per cento annuo. L’Irlanda con tutti gli errori che ha commesso ci insegna che basse imposte sulle imprese generano crescita economica. E possono trasformare un paese sottosviluppato, quale essa era negli anni ‘80, in un paese ricco.
Commento, di grecanico.
Ecco perché l'Italia non è l'Irlanda
Rapportare i dati pro capite tra stati di piccola dimensione come Grecia, Irlanda e Portogallo, e’ corretto. Utilizzare i pro capite di codesti stati per dipingerne il quadro prospettico, e’ altrettanto corretto. Non capisco il parallelismo tra Irlanda – e Grecia sullo sfondo – e l’Italia. Il debito pubblico italiano ha altra radice, rispetto a quello Irlandese, ed ancor di piu’, da quello greco. Altra dimensione.
Se l’articolo, come sembra, e’ una difesa del liberismo, messo in pericolo dall’avidita’ delle banche, o dalla loro inefficienza, va bene. Grazie per la lezione. Ma – scusi – lei dove lo ha visto realizzato il liberalismo. Sino ad ora.
In fondo non ho capito cosa vuol dimostrare il Prof. Forte. Mi scusi, l’inizio della storia del caso Irlanda me lo ricordo, ero nell’Europa dell’Est. Politici, economisti e gente comune rimasero, in quesi paesi, favorevolmente impressionati dall’esplosione del pil irlandese. Andavano asserendo che anche loro avevano la capacita’ e la volonta’ di fare come quelli, perche’ l’incremento del pil irlandese era superiore a quello dei beceri capitalisti americani. Insomma le cifre erano belle. Nessuno si curo’ di considerare che i valori assoluti comparati erano improponibilmente incomparabili. Sogni fiabeschi.
Per una struttura economica, come quella irlandese, era incredibilmente facile migliorare, persino con numeri sbalorditivi. Erano allo start up, per farla breve, non c’erano che mandrie e campi di patate.
Ricordo anche che in Italia qualcuno ci casco’: erano – credo – quelli che amavano l’economia digitale dei call center. Bassi costi fissi, bassissimi costi variabili, niente costi sociali. Agevolazioni a gogo’: viva l’imprenditoria facile e per tutti i furbetti. Le banche irlandesi non ci hanno capito granche’, come moltissimi nel mondo, ed hanno concesso la loro fiducia alle aspettative di chi mette – o mettera’ – da parte i soldi guadagnati: per la casa, naturalmente. Il resto e’ di un’ovvieta’ sconcertante: la bolla economica irlandese si sgonfia, lo stato ci rimette una barca di soldi in mancati introiti e servizi sociali allestiti, le banche vanno in sofferenza, gli addetti all’economia digitale sono licenziati. Licenziati e’ un termine approssimativo, perche’ non erano mai stati assunti. Totale: bancarotta. La crisi irlandese e’, prima di tutto il resto, una tragedia sociale, i cui pseudo principi sono stati importati dall’estero.
grecanico
Fonte: 
http://www.loccidentale.it/articolo/perché+l'italia+non+è+l'irlanda.0099032

Isae: Aumenta a novembre la fiducia dei consumatori


Miglioramento si consolida nel Nord Ovest e nel Centro del paese, avversità climatiche deprimono Nord Est e Mezzogiorno rimane stazionario

Roma, 23 nov (Il Velino) - La fiducia dei consumatori aumenta per il terzo mese consecutivo, passando da 107,7 a 108,5 riavvicinandosi così ai livelli di inizio d’anno. E’ quanto emerge dall’inchiesta ISAE realizzata tra il giorno 2 e il giorno 16 del mese. A novembre, gli indici relativi alla situazione personale e corrente più che recuperano le flessioni registrate lo scorso mese posizionandosi rispettivamente a 121,7 (da 119,3) e a 115,7 (da 114,7). Si stabilizza l’indicatore relativo alle attese a breve termine a 97, valore più alto dell’anno; peggiora lievemente, per contro, la fiducia sul quadro economico generale passando da 81,3 a 80,6. Riguardo ai prezzi, i giudizi circa la dinamica degli ultimi dodici mesi segnalano una moderata accelerazione contrastata tuttavia da attese di ulteriore rallentamento per il breve termine. Si accentua infine la cautela dei consumatori circa le valutazioni attuali sul mercato dei beni durevoli. A livello territoriale la fiducia migliora nettamente nel Nord ovest e nel Centro del paese, mentre è sostanzialmente stabile nel Sud e, verosimilmente a causa delle avversità meteorologiche, flette nel Nord Est. Mentre i consumatori esprimono giudizi in moderato recupero circa la situazione generale del paese, con il saldo che si attesta a -93 (era -94 in ottobre), tornano invece a essere pessimisti per quanto riguarda le attese che scendono da -38 a -41, sui valori dello scorso maggio. Rimangono infine stabili a 77, per il terzo mese consecutivo, le aspettative circa il mercato del lavoro, sui valori migliori dell’anno.

I consumatori intervistati in novembre esprimono opinioni di modesta accelerazione della dinamica inflazionistica per quanto concerne i giudizi negli ultimi dodici mesi (20 il saldo, era 18 in ottobre); prevedono invece un accentuarsi del rallentamento delle attese a breve termine (-19 il saldo, rispetto a -17 della scorsa rilevazione). Il marcato recupero di novembre del clima personale è dovuto a rinnovate valutazioni fortemente positive circa le variabili sul risparmio e in particolare sulla sua opportunità presente (il cui saldo aumenta da 128 a 147), mentre le possibilità future recuperano da -53 a -45. Queste valutazioni vanno però a scapito del mercato dei beni durevoli al cui riguardo ai consumatori esprimono giudizi attuali negativi (da -68 a -74) anche se in analogo recupero nel breve termine (da -74 a -68). Infine, il bilancio finanziario della famiglia torna a essere nettamente positivo passando da -1 a +3 e i giudizi sulla situazione presente della famiglia migliorano da -42 a -40. Le prospettive presentano però qualche incertezza: i consumatori si attendono, infatti, un moderato peggioramento della propria situazione (da -8 a -9). La crescita della fiducia dei consumatori registrata a livello nazionale non è diffusa in maniera omogenea nel territorio nazionale: è positiva nel Nord Ovest e nel Centro del paese, stazionaria nel Mezzogiorno e negativa nel Nord Est. Anche i contributi dei diversi sotto-indici non sono uniformi. L’evoluzione sfavorevole del clima economico è dovuta unicamente ai forti segnali negativi che provengono dal Nord Est, mentre il Mezzogiorno è stazionario e le rimanenti ripartizioni registrano segnali positivi. Il clima personale migliora nettamente nel Nord Ovest e nel Centro, ed anche, pur in misura proporzionalmente meno marcata, nel Nord Est e nel Mezzogiorno.

L’indice relativo alla situazione corrente è favorevole quasi ovunque, in maniera più intensa nel Nord Ovest e nel Centro; flette però nel Mezzogiorno. La stazionarietà a livello nazionale delle prospettive per i prossimi dodici mesi è sintesi di un marcato ottimismo nel Nord Ovest e nel Centro che viene annullato dal pessimismo del Mezzogiorno ma soprattutto del Nord Est. Nord Ovest: l’indice recupera da 109,2 a 112,4, valore più alto dallo scorso gennaio. Il contributo positivo è dovuto a tutte le componenti, soprattutto al clima personale e a quello corrente, in particolare alle variabili sul risparmio sia attuale che prospettico e al miglioramento del mercato del lavoro al cui riguardo gli intervistati riportano le previsioni più favorevoli dall’ottobre del 2008. Attese negative caratterizzano per contro l’evoluzione economica del paese. Segnali positivi o al più stazionari giungono infine dalle altre componenti. Nord Est: le avversità climatiche hanno depresso in novembre la fiducia dei consumatori che registra una flessione da 109,4 a 108. Il clima economico e quello futuro raccolgono il maggiore pessimismo, mentre segnali favorevoli continuano a giungere dalla fiducia personale a riflesso di un bilancio finanziario fortemente positivo e valutazioni in aumento sulla possibilità e opportunità di risparmio. Centro: la fiducia aumenta da 107,1 a 110,3 per valutazioni diffusamente positive e particolarmente favorevoli per quanto riguarda il clima personale e corrente. L’ottimismo appare diffuso e marcato soprattutto nelle valutazioni sulla situazione personale e corrente. In particolare miglioramento sono le opinioni sul bilancio familiare (che segna il massimo dal marzo 2007), sul risparmio e sul mercato dei beni durevoli (massimo dal febbraio del 2002). Mezzogiorno: in questa ripartizione la fiducia è a novembre sostanzialmente stazionaria (106,3 l’indicatore, era 106,2 in ottobre), come sintesi tuttavia di andamenti divergenti delle singole componenti. Mentre migliora la fiducia personale e rimane stabile quella sul quadro economico generale, flettono sia il clima corrente sia quello futuro. In particolare, a valutazioni positive sul risparmio si affianca il pessimismo circa il bilancio finanziario della propria famiglia e il mercato dei beni durevoli.
(red/fch) 23 nov 2010 09:29

23 Novembre 1980. L'apocalisse. Poi nulla fu come prima.


di MIMMO SAMMARTINO
La polvere densa che stagnava nell’aria, le crepe nei muri, le macerie, le pietre. I pallori nei volti e gli occhi di spavento. La gente in fuga dalle case in cerca di scampo. Di una coperta per ripararsi dal freddo. Di un posto per dormire. Magari stretti in un’automobile. Magari come profughi in un ricovero di campagna di un amico. Sotto un riparo, anche precario, purché passato indenne dai sussulti feroci della terra. Una rovina del genere nessuno poteva ricordarsela. Forse soltanto i vecchi. Ma non per un terremoto.

Una ferita del genere rimandava ai giorni dei bombardamenti. Quelli che, alle due della notte, e poi di nuovo intorno alle dieci del mattino, il 9 settembre del 1943 avevano ridotto in poltiglia un pezzo della città di Potenza. Quando rione Santa Maria venne travolta dalla furia delle bombe il giorno dopo in cui la gente aveva festeggiato la fine della guerra. Quando il direttore Concetto Valente fu visto aggirarsi sotto le travi pericolanti del «suo» museo, ridotto in poltiglia, come un fantasma. Ma alle 19.34 del 23 novembre 1980 non c’era stata la guerra. Eppure il mondo era cambiato lo stesso. Era cambiato in novanta secondi nelle città e nei paesi della Basilicata come se fossero trascorsi secoli.

Le case che si erano piegate su stesse, le crepe nei muri, i palazzi sventrati, tagliati di netto come se fossero stati attraversati dalla lama di un coltello. E, sotto quelle pietre, i morti, i sepolti vivi, le cose di ogni giorno, i ricordi, i giocattoli dei bambini, le fotografie sbiadite. Sotto quei detriti c’era chi aveva lasciato tutto.
Alle 19.34 a Balvano il parroco don Salvatore Pagliuca stava ancora celebrando la messa della domenica sera. Una domenica che era stata troppo calda per mostrarsi coerente con la stagione. E c’era chi, dopo il disastro, ha giurato di aver avvertito un inspiegabile calore salire dalle crepe della terra. Nella chiesa madre di Balvano c’era un coro di bambini che accompagnava le parole del celebrante e le preghiere dei fedeli. Avevano voci di angeli quei bambini che interruppero di colpo il loro canto quando, prima di riuscire a capire, videro cedere improvvisamente il frontone, i pezzi di controsoffittature, le navate. Udirono quel boato che somigliava a un ruggito spaventoso e che, dopo che l’hai sentito una volta, ti resta impresso nell’anima per sempre.

C’erano intere famiglie in quella chiesa e il parroco che, per un qualche miracolo uscì illeso dall’inferno, gridò il suo strazio all’Italia. Raccontò, fra i singhiozzi, il disastro al telefono della redazione giornalistica della Rai di Basilicata. Il caporedattore dell’epoca, Mario Trufelli, a poche ore dalla tragedia, si recò fra le macerie di Balvano per raccontare com’era fatta la fine del mondo. Nel posto in cui c’era stata la chiesa, vagava il padre della piccola Rosetta che cercava la bambina fra pietre e calcinacci. Almeno il corpo. Per poter cancellare ogni residua speranza di miracolo. Per poter avere la certezza che sua figlia non stesse soffrendo ancora sotto quei crolli.

Così, in versi intensi, Trufelli raccontò quel dolore: «Rosetta ha la faccia di cera / la bambina senza gloria / minuscola memoria / nell’inferno di Balvano...».

Sotto quelle pietre c’era Antonella Di Lilla che allora aveva soli 11 anni e, insieme a sua sorella Enza, di due anni più grande, cantava nel coro della chiesa. Si trovava poco distante dall’altare quando i muri tremarono. Quando vide le pietre cedere, sgretolarsi, sfarinarsi, precipitare addosso. Poi per lei tutto si fece nero. Antonella perse i sensi. Al suo risveglio si ritrovò sepolta viva: udiva tutt’intorno un gran trambusto ma, quando provò a rialzarsi per scrollarsi la polvere di dosso, per andare a respirare aria pulita, si accorse di essere intrappolata sotto i calcinacci. Accanto a lei c’erano altri bambini sepolti. Ma alcuni avevano già gli occhi spenti. Sua sorella Enza era fra loro. Poi sentì voci farsi più vicine. Si accorse di mani che spostavano le pietre e i detriti. Qualcuno la raccolse e la riportò nel mondo dei vivi. Ma quel viaggio nella morte, anche oggi che ha 41 anni e una famiglia, non ha potuto più dimenticarlo. Qualcosa è rimasto sempre lì, accanto a sua sorella Enza e ai sessantasei bambini che, sotto le pietre cadute della chiesa di Balvano, quella notte si fecero angeli.

Nulla fu più lo stesso dopo quel 23 novembre 1980. Anche per il Paese che, dopo qualche giorno di incredulità, si strinse attorno ai dolori e ai lutti. Cambiò anche la politica. Il presidente Sandro Pertini processò il governo in diretta tv accusandolo per i ritardi nei soccorsi. Enrico Berlinguer (Pci) abbandonò definitivamente la linea del compromesso storico per passare all’alternativa. Si cominciò a fare qualche conto e ne venne fuori un bilancio di guerra: fra le macerie della Basilicata e dell’Irpinia erano morte 2.735 persone, c’erano stati 8.848 feriti, oltre trecentomila avevano perduto un tetto. Intere famiglie avevano visto il terremoto prendersi, in novanta secondi, tutto quello che avevano costruito. Dopo quel sussulto, erano rimasti uomini e donne senza più nulla. Allora l’Italia intera sentì il dovere dell’abbraccio fraterno. La protezione civile, prima di essere pensata come istituzione organizzata (fu con l’allora commissario straordinario Giuseppe Zamberletti che mosse i suoi primi passi) si nutrì dello slancio di una solidarietà umana che unì uomini del Nord e uomini del Sud. Senza differenza. Era il dolore che li aveva fatti sentire vicini. Cominciarono così i giorni interminabili del freddo nell’inverno del 1980 e ‘81. Giorni che il popolo senza casa trascorse prima nelle tende, poi dentro le scatole di latta dei container, infine nei prefabbricati di legno. Una lenta sofferenza confortata dalla speranza di un riscatto. Di una rinascita. La promessa di una ricostruzione che avrebbe potuto e dovuto avvenire con celerità per far risorgere città, paesi, comunità.

Dopo trent’anni e un finanziamento statale che, in Basilicata, ha raggiunto i due miliardi e 588 milioni di euro (per i nove paesi del «cratere», i 63 «gravemente danneggiati» e i 59 «danneggiati »), la media della ricostruzione edilizia ha toccato l’85 per cento del totale. Servirebbero altri 600 milioni, dicono, per finire. E, per la reindustrializzazione (che avrebbe dovuto assicurare nuovo sviluppo e lavoro), le cose sono andate anche peggio: su circa 900 aziende programmate, dopo fughe, fallimenti e crisi, ne sopravvivono una trentina. Dei 6mila posti di lavoro promessi, ne sono rimasti 1600.

La notte del 23 novembre 1980 a Muro Lucano (Potenza), uno dei centri devastati dal sisma, nacque una bambina. Vollero chiamarla Speranza perché era la prima vita che arrivava dopo la devastazione. Oggi Speranza ha trent’anni e lavora come cameriera di sala, emigrata in Emilia Romagna.

Speranza, nata nella notte più buia
POTENZA – Lei si chiama Speranza, è l'ultima di sette figli, e per lavorare è dovuta emigrare al Nord; la sua, in questo caso, non è solo una delle tante storie del Mezzogiorno, ma il nome che porta e il suo particolare compleanno raccontano insieme uno dei momenti più drammatici della Basilicata e un sentimento collettivo di rinascita dalla tragedia: Speranza nacque nella notte che seguì il terremoto del 23 novembre 1980, a poche ore da quella terribile scossa. La sua storia la raccontano in molti, e spesso «molti – ci tiene a precisare con un pizzico di ironia la stessa Speranza - me la raccontano ogni volta che spengo le candeline».

La famiglia Pepe abita a Muro Lucano (Potenza), uno dei nove Comuni del «cratere» lucano, ossia l’area più devastata dal sisma. Mamma Lucia ha già messo al mondo sei figli (tre maschi e tre femmine), e poco dopo la terribile scossa del 23 novembre ha le prime doglie. A Muro la gente è in strada, terrorizzata e accampata nelle automobili o nelle campagne. E il freddo, quella notte, era di quelli che ti entrano nelle ossa, specie a 700 metri sul livello del mare e a un mese da Natale. Non è possibile partorire in casa, moltissime sono gravemente danneggiate. Così come non è consigliabile raggiungere l'ospedale di Potenza. Anche perchè nessuno sa quale sia la situazione nel capoluogo lucano e negli altri centri della Basilicata. La narrazione di quelle ore, ovviamente, Speranza la racconta per «sentito dire».

Ma l’attuale sindaco di Muro Lucano, Gerardo Mariani, quella notte se la ricorda benissimo. Perchè fu lui (all’epoca vicesindaco di 42 anni) a occuparsi di quella donna incinta: «Mi raggiunse un mio carissimo amico - dice Mariani con un pizzico di commozione – chiedendomi come risolvere la situazione, e allora decidemmo di portare Lucia al campo sportivo, dove sapevo che c'era già un tenda della Marina Militare».

I primi soccorsi, fortunatamente, erano già arrivati a Muro Lucano, nonostante il freddo e le strade poco praticabili. Mariani ha a disposizione un motocarro, e con quello porta la donna fino al campo sportivo. Lì trovano un maggiore della Marina, Leone Carucci, che fa partorire Lucia senza particolari problemi. È l'una e trenta del 24 novembre 1980, e quella bambina è la prima nata in una notte di tragedia. I presenti lo sentono come il primo segno di una speranza che deve andare oltre le macerie. E quello deve essere il nome da affidare alla piccola. Speranza, probabilmente non festeggerà il suo trentesimo compleanno in Basilicata. Scherzando, ammette che «difficilmente qualcuno si dimentica di farmi gli auguri a Muro Lucano».

Confessa di «non aver ancora ricevuto regali per il suo trentesimo compleanno», anche perchè quest’anno vedrà le commemorazioni in televisione, perchè attualmente si trova in Emilia-Romagna per lavoro. È una cameriera di sala, e si augura di poter trascorrere la stagione invernale negli hotel del Trentino: «Per me – spiega senza problemi la giovane lucana - significherebbe altro lavoro». E dopo 30 anni, mentre la ricostruzione in Irpinia e in Basilicata è stata quasi completata, questa è ancora la vera speranza di tanti.

3 famiglie divise dal crollo di una chiesa: una distrutta, l'altra rinata
BALVANO (POTENZA) – C'è un prima e un dopo, c'è una fine ma anche un nuovo inizio: a Balvano (Potenza) il terremoto del 23 novembre 1980 ha segnato uno spartiacque nella storia e nella vita di tutti, perchè quella sera, in questo piccolo paese del Potentino, il crollo della Chiesa madre causò la morte di 66 persone, la maggior parte bambini che erano all’ultima Messa della domenica (in totale in paese i morti furono 77). In Basilicata, la “foto” simbolo della tragedia è uno scatto della mattina dopo, quando mariti, padri, fratelli e figli disperati cercavano sotto le macerie mogli, figlie, sorelle e madri.

La vecchia chiesa di Balvano non c'è più, è stata ricostruita nello stesso luogo: all’interno, c'è uno spazio dedicato alla commemorazione. Una foto ricorda che papa Giovanni Paolo II due giorni dopo il terremoto arrivò qui per portare il suo conforto: “Voi pregate con la vostra sofferenza”, disse a chi non riusciva a spiegarsi perchè 66 persone erano morte in una Chiesa, dove erano andate proprio per pregare. E poi c'è una lapide con i nomi dei morti nella chiesa: 66 nomi, 66 storie.

Marinella Bovino era nata nel '68, aveva 12 anni, era figlia unica di genitori “adulti”, nelle sue poesie, prima del terremoto, parlava delle stelle: “Era – ricorda oggi Maria Scarfiglieri, 42 anni, insegnante di matematica in una scuola superiore di Potenza – la più brava della classe. Marinella era tanto intelligente e l’educazione che i suoi genitori le davano giorno per giorno la portava a studiare tanto. Ma lei non era solo studio e libri; ad esempio non potrò mai dimenticare i pomeriggi passati a giocare a casa di Marinella, nel suo cortile. Per caso, per semplice caso – si intristisce la sua amica Maria – quella sera io non ero in chiesa con Marinella, nel suo stesso banco: ero andata alla Messa precedente”.

Il boato, terribile, il crollo della chiesa e i sogni di Marinella svanirono sotto un’infinita nuvola di pietre e polvere. A lei fu intitolata la scuola media del paese, costruita con la raccolta fondi del settimanale “Oggi”, ma poi l’accorpamento con l'istituto di Baragiano (Potenza) e l’intitolazione a Giovanni Falcone hanno fatto sì che anche il suo nome fosse cancellato. Perchè con Marinella è morta tutta la sua famiglia, di “crepacuore”, come si dice al Sud. La madre non riuscì mai più a ritrovare lucidità, il padre, postino e persona mite, ricordano in paese, morì poco dopo; la famiglia Bovino non esiste più. Il terremoto ne ha scritto la fine.

Ha invece un dopo e un nuovo inizio la vita di Vincenzo D’Alessandro. Lui, nato nel 1941, come tanti lucani, il 23 novembre 1980, si trovava in Germania, faceva l’operaio. Due giorni dopo, richiamato a Balvano dalle angoscianti notizie, si trovò di fronte alla peggiore verità che si possa raccontare a un uomo. Nella chiesa erano morti sua moglie Antonietta, 34 anni, e i suoi quattro figli, Cecilia, undici anni, Costantino, sette, Salvatore, cinque, e Antonio, solo tre anni.

Anche quella famiglia aveva avuto una fine. Ma Vincenzo non ha mollato, ha ripreso a fare il contadino a Balvano e si è risposato una decina di anni dopo. Oggi ha 69 anni, continua a lavorare nel suo terreno, in paese gira e piedi perchè non ha mai preso la patente. Tra un pò lo faranno Patrizia e Antonella, 17 e 16 anni, le sue figlie, brave e giovani studentesse di Balvano, nuovo simbolo di un paese che non potrà mai dimenticare quella domenica sera.

«Io seguita dalla morte e salvata da una mano generosa»
BALVANO (POTENZA) – «Sentii un boato, il soffitto della chiesa venne giù, uccise decine di persone, io persi conoscenza. Quando ripresi i sensi, mi ritrovai con il corpo imprigionato tra le macerie, dalle quali emergeva solo la testa. Ero una sepolta viva. Sono rimasta così per alcune ore, sospesa tra la vita e la morte. Poi sono arrivati i soccorritori, sono riusciti a salvarmi ed ho saputo che mia sorella era morta accanto a me»: ha un ricordo indelebile di quella tragedia Antonella Di Lilla, di 41 anni, di Balvano (Potenza), moglie dell’ex sindaco del paese Ercole Trerotola, sopravvissuta (“per miracolo”, dice) al crollo parziale della Chiesa Madre del paese, causato dal disastroso terremoto del 23 novembre 1980, del nono grado della scala Mercalli all’epicentro.

Quella sera nella chiesa di Balvano si stava celebrando la messa: sotto la spinta violentissima dell’onda sismica cedettero il frontone del tempio e parte delle controsoffittature delle navate centrale e laterale; le macerie travolsero i fedeli, morirono 66 persone, la maggior parte delle quali bambini e ragazzi. Antonella, che allora aveva 11 anni, era con loro, c'era anche la sorella Enza, aveva 13 anni. «Facevo parte del coro - racconta – ed ero nei pressi dell’altare. Ricordo solo un sordo boato, poi più nulla, perchè sono svenuta. Quando mi sono riavuta, ho visto un gran trambusto, e, istintivamente, ho provato a fuggire. Ma mi sono resa conto di non riuscire a muovermi. Ero intrappollata con il corpo, e, tuttavia, lucidissima, perchè la testa emergeva dalle macerie. E’ stato allora che ho visto la morte, in diverse facce: quella che aveva già vinto, avendo preso tante persone, compresa mia sorella; e quella che mi inseguiva, che voleva anche me: come un felino che ha atterrato la preda e che aspetta solo di darle il morso letale. Sei impotente. Sono rimasta in quella condizione per alcune ore, più lunghe dell’eternità. Poi ho sentito urlare, ho visto alcune persone del paese: uno spostava delle tavole di legno, un altro dei pezzi di intonaco, un altro ancora azionava freneticamente una vanga. Mi hanno raggiunta e liberata e sono stata affidata alle cure di un medico».

Impossibile, per Alessandra, riferire cosa effettivamente pensò in quei momenti. «Non ti accorgi di nulla, sei nella mani di Dio. E’ molto di più quel che ti resta: con il tempo pensi e rifletti. E allora metti a fuoco che sei stata strappata alla morte, qualcuno ha scacciato via quel felino che ti aveva atterrato ed era sul punto di ucciderti».

L' effetto della tragedia “resta per sempre nell’animo” di un superstite, dice Alessandra. «Nei giorni successivi al terremoto – racconta – ogni rumore, anche minimo, mi gettava nel panico e nell’angoscia. Ora questa sensazione si è un po' attenuata, ma basta poco a spaventarmi. Una sepolta viva, benchè strappata alla morte, non può dimenticare».
13 Novembre 2010

Fonti: