Energia del Mezzogiorno.2


I padani hanno cambiato camicia, via la verde, la nuova e’ color idrocarburo. La missione e’ sempre quella: rubare e depredare il Sud




Petrolio, il ministro Clini «gela» il popolo «No triv» (15.9.2012)
di Giuseppe Armenise
E com’è che i parlamentari si svegliano solo adesso sulla questione delle trivellazioni petrolifere in mare? C’era un modo per fermarle, ed era non votare l’articolo 35 del decreto Sviluppo. È la sintesi estrema del Clini-pensiero. Il ministro dell’Ambiente, ieri a Bari e Taranto per la questione Ilva, non chiude le porte a chi chiede più rispetto sulla vocazione turistica dei territori come i sindaci del Gargano. Ma fa anche professione di realismo.
«Sono a disposizione - ha detto - per entrare nel merito. Il tema di fondo è quello degli usi energetici e non quello del rispetto di una procedura, stabilita dalla legge per esplorazioni petrolifere più severa al mondo. C'è il problema delle trivellazioni, dei porti petroliferi, dei gassificatori, del traffico petrolifero in Adriatico. Non è insomma una questione singola che va affrontata. Faremo una conferenza organizzata dal presidente del Consiglio regionale della Puglia, Onofrio Introna, con le regioni dell’Adriatico. Parteciperò con un contributo. Andrò anche a trovare l’on. Angelo Cera (Udc) per incontrare i sindaci del Gargano. La discussione deve essere però chiara perchè non sono disponibile a semplificazioni e, siccome non vendo le cravatte di mestiere, non sono neanche disponibile alla demagogia».
La via della legge era in effetti quella lanciata a gennaio dallo stesso presidente del Consiglio regionale, Introna, quando per la prima volta aveva proposto a Clini la conferenza internazionale con le regioni adriatiche italiane e i paesi dell’area dei Balcani. La conferenza si farà il 9 novembre e «dovrà valutare - ha spiegato Introna - se l’Adriatico debba essere chiuso a ogni forma di sfruttamento di giacimenti petroliferi o se la qualità e quantità di petrolio che si possono estrarre valgano l'impresa». Una richiesta a più voci, che, dunque, rafforzerà la richiesta di una legge salva-Adriatico.
Questo rifarsi alle regole attuali, tuttavia, non è piaciuto al presidente della Regione, Nichi Vendola, che accusa il presidente del Consiglio, Mario Monti, e lo stesso ministro Clini di aver assunto un atteggiamento «agnostico, di indifferenza al fatto che l'Adriatico possa essere ferito a morte con le trivelle. Ho anche scritto ai principali leader politici in Parlamento perchè le norme le cambino». L’assessore alla Qualità dell’Ambiente, Lorenzo Nicastro, ricorda che già il ledaer Idv, Antonio Di Pietro aveva dato la sua disponibilità a sostenere un’iniziativa parlamentare.
«Se - ha detto - l'unica via per tutelare il nostro mare è quello di costruire un fronte a sostegno diuna legge nazionale che tuteli l'Adriatico e l'indotto economico in termini di turismo e pesca, allora è la via che percorreremo». Seguono interventi sulla stessa lunghezza d’onda. Dall’Udc, Peppino Longo, si augura che «così come abbiamo fatto noi dell'Udc, anche gli altri partiti interessino i loro parlamentari». E da Sel, concorda su un appello ai parlamentari anche il consigliere regionale Pino Lonigro.
Sulla perversa logica economica (molti investimenti, poco petrolio e di scarsa qualità) che guida la ricerca petrolifera in mare si è invece intrattenuto con il ministro il presidente di Legambiente regionale, Francesco Tarantini. «Secondo le stime non di Legambiente - ha detto - ma del ministero dello Sviluppo Economico, le risorse sottomarine ammontano a 10,3 milioni di tonnellate di petrolio. Le disponibilità sarebbero sufficienti per il fabbisogno nazionale per sole 7 settimane».
Delusi della posizione assunta da Clini presidente e vicepresidente del Wwf Puglia, Leonardo Lorusso e Mauro Sasso. «L’ultima autorizzazione alle prospezioni sismiche al largo delle Tremiti - dicono - è la dimostrazione che il principio di precauzione è stato completamente disatteso».



Petrolio, centrosinistra diviso. In Puglia alza le barriere, in Basilicata alza il prezzo
De Filippo chiede fondi per infrastrutture e ricerca
Potenza punta a 5 miliardi nei prossimi 10 anni
Separate dal fiume Ofanto, Puglia e Basilicata sembrano divise da un oceano sulla questione petrolio. Seppur governate entrambe dal centrosinistra, la Puglia ha deciso — prima ancora di sapere se c’è petrolio — di alzare le barriere contro la ricerca in Adriatico; la Basilicata, che con la ricerca petrolifera convive di fatto dal ’98, vuole alzare il prezzo del suo ruolo di «Libia d’Italia». E punta a ottenere almeno 5 miliardi di euro, nei prossimi 10 anni, dallo Stato, dopo aver capito che la vera partita è con il governo centrale e non con le compagnie che distribuiscono, in Italia, le «royalty — spiega il governatore lucano Vito De Filippo — più basse al mondo: variano in base a volumi estratti e quotazioni del petrolio, ma su base annua si aggirano, per la Basilicata, tra i 60 e i 90 milioni. Che potranno sembrare tanti, ma non è così». E allora bisogna alzare il prezzo con lo Stato centrale. Si spiega così il fermento lucano degli ultimi mesi sulla questione petrolio. Che ieri è stata al centro di un incontro del gruppo consiliare regionale del Pd, al quale hanno partecipato anche i dirigenti del partito, compreso il segretario, Roberto Speranza, e i parlamentari lucani. Si sarebbe dovuto parlare anche del taglio della province, ma alla fine ci si è dilungati soprattutto sul greggio. «Le posizioni emerse — sottolinea De Filippo — aiuteranno a interagire in modo autorevole e forte con il governo per tentare di ottenere risultati positivi sul memorandum firmato il 29 aprile 2011 e per tutelare altri interessi vitali della Basilicata, come il turismo, l’agricoltura, la ricerca e l’innovazione».

Ancora più esplicito, De Filippo, è stato lo scorso 6 settembre quando in una conferenza stampa sottolineò a chiare lettere che l’ipotesi di un aumento delle estrazioni fino a 25 mila barili al giorno in più è percorribile «solo a patto che la Basilicata riceva fondi per infrastrutture, per la ricerca e per l’innovazione». Le richieste lucane si basano sul memorandum firmato nell’aprile 2011 con il governo (all’epoca guidato da Silvio Berlusconi) «e che è stato recepito dall’articolo 16 del decreto Salva Italia di Monti», spiega De Filippo riferendosi al decreto sulle liberalizzazioni (legge 24 marzo 2012 n. 27) in materia di compensazione ambientale. In relazione al quale è prossima una scadenza importante: «Entro il 24 settembre — spiega De Filippo — è atteso un decreto interministeriale, di iniziativa del ministero dello Sviluppo economico, per definire la quota del gettito dell’attività estrattiva da girare alle Regioni». De Filippo non lo dice, ma dai calcoli fatti negli uffici regionali di Potenza la Regione si aspetta non meno di 5 miliardi nei prossimi 10 anni. Il conto è presto fatto: il giacimento petrolifero dell’Eni nella Val d’Agri — il più grande d’Europa su terraferma — produce attualmente 85 mila barili al giorno: a regime dovrebbe arrivare a 104 mila barili e potrebbe raggiungere circa 130 mila con il nuovo Piano di sviluppo in corso di negoziazione. Nel secondo giacimento, quello di Tempa Rossa, la Regione Basilicata ha rilasciato nel luglio scorso a Total e Shell le autorizzazioni (le ultime di 400) per produrre da 8 pozzi, dall’inizio del 2016, 50 mila barili di petrolio al giorno: i primi lavori sono stati affidati nei giorni scorsi.

L’investimento, approvato dal Cipe nel maggio 2012, sarà di 1,6 miliardi di euro e il progetto prevede la costruzione di un centro di produzione e trattamento d’idrocarburi, un centro di stoccaggio Gpl e il collegamento all’oleodotto Val d’Agri-Taranto che trasporterà il greggio fino alla raffineria dell’Eni. Allo stato attuale, quindi, circa 155 mila barili al giorno potranno essere estratti dalle terre lucane e altri 25 mila sono in ballo, per un totale di 180 mila complessivi, poco meno dei 200 mila barili al giorno assicurati fino a poco tempo fa dalla Libia all’Italia. Se si considera che da ogni barile si ricavano 50 litri di benzina e 50 di gasolio, secondo i calcoli dei tecnici della Regione dai 180 mila barili al giorno il governo ricaverebbe, soltanto dalle accise, 4 miliardi all’anno, 40 in dieci anni. Che diventerebbero circa 50, per lo Stato, considerando le tasse pagate dalle compagnie petrolifere e i dividendi dell’Eni. Da qui l’aspettativa della Basilicata di vedersi riconoscere almeno 5 miliardi in dieci anni, il 10% del totale. Per far capire che d’ora in poi la Regione non è più disponibile a «dilazioni» nel tempo, una settimana dopo l’ok a Total/Shell che di fatto ha reso la Basilicata una piccola Libia, all’inizio di agosto il Consiglio regionale lucano ha approvato, all’unanimità, l’articolo 19 della manovra di assestamento di bilancio che ha bloccato nuove ricerche ed estrazioni di petrolio. Posizione ribadita da De Filippo nella conferenza stampa dello scorso 6 settembre, dopo che Il Sole 24 Ore ha rivelato gli obiettivi del piano energetico del governo Monti di aumentare la produzione di idrocarburi passando dall’8 al 16% del fabbisogno energetico nazionale per liberare l’Italia dalla dipendenza dall’estero, che ad oggi si attesta intorno al 90%.

«Quello attualmente raggiungibile — conclude De Filippo — è il punto massimo a cui possiamo arrivare, ovvero 2.100 chilometri quadrati perforabili e non un millimetro oltre, rispetto anche ad altri 15 permessi di richiesta pendenti che porterebbero le trivelle su altri 2.324 chilometri quadrati su diecimila totali della Basilicata». Come dire: il governo vuole più petrolio? Dovrà prima pagare al prezzo che vogliamo quello che già diamo. Del resto, De Filippo e il centrosinistra lucano sanno quanto vale la risorsa: «Posso dire, senza enfasi, — ebbe modo di illustrare il governatore al Consiglio regionale della Basilicata nella seduta del 28 marzo 2012 in una sua relazione — che il petrolio ha consentito alla nostra Università di poter resistere e crescere ulteriormente in un contesto non facile per gli Atenei italiani e ha garantito risorse nonostante i tagli ai servizi per gli anziani, per i bambini, per l’handicap, per le tossicodipendenze. Considero queste scelte chiare e lineari e io provo a difenderle allo stesso modo in qualsiasi punto della Basilicata. L’ho fatto a Viggiano nel caldo di un acceso Consiglio comunale. L’ho fatto altrove, dove le amministrazioni pubbliche hanno rigettato richieste anche per la sola attività di ricerca». In Puglia, invece, non si tratta sul prezzo: al ministro Corrado Clini che spiega come nel caso dell’ok a Petroceltic sia stata «semplicemente applicata la legge vigente» e che l’ok non sia «alla coltivazione di idrocarburi in Adriatico ma alle sole prospezioni, a 12 miglia dalle Tremiti, per capire cosa c’è nel sottosuolo» si risponde semplicemente con un «no». A rischio, così come è avvenuto all’inaugurazione della 76esima Fiera del Levante, che all’ennesima richiesta di Nichi Vendola a Mario Monti — dopo che Clini ha spiegato che, al limite, la domanda dovrebbe essere girata al parlamento perché si tratterebbe di cambiare una legge vigente — il premier glissi sulla domanda in diretta nazionale. Forse ha ragione la Puglia, che alza le barriere a difesa del suo mare. Forse la Basilicata, che alza il prezzo per dare più valore alla sua terra. Di certo, le due regioni divise dall’Ofanto, sul tema del petrolio non sembrano guidate da una stessa coalizione.
Michelangelo Borrillo







Tempa Rossa parte. Firmato l’accordo appalto da 70 milioni
di LUIGIA IERACE
Mentre ferve il dibattito sulla moratoria arriva la notizia che a Tempa Rossa, il secondo giacimento lucano dopo quello della Val d’Agri, partono i lavori. Proprio ieri, come confermato dalla stessa Total, la compagnia petrolifera ha firmato il contratto per l’affidamento dei lavori di preparazione del sito dove sarà realizzato il Centro Olio del giacimento lucano della valle del Sauro. L’offerta presentata dal raggruppamento temporaneo di imprese Aleandri spa (mandataria) e Impresa Bacchi srl (mandante), risultata prima classificata, è stata accettata e con la firma del contratto, possono partire le opere di sbancamento, per la preparazione delle aree e delle strade dove sarà costruito il Centro Olio che permetterà la messa in produzione di 50mila barili di petrolio al giorno, che si aggiungeranno ai quelli del giacimento dell’Eni in Val d’Agri. L’associazione di imprese si è aggiudicata i lavori per un importo a base d’asta di circa 70 milioni di euro e concluderà le opere a metà 2014. L’assegnazione dei lavori, dopo l’annullamento dei bandi precedenti relativi alla preparazioni del sito, alla Costruzione del Centro Oli e alle condotte, rappresenta il primo caso di applicazione delle norme dettate in materia di appalto dalla Commissione ne Europea nel 2011 per l’attività estrattiva in Italia consentendo alle compagnie petrolifere di avvalersi di una procedura di gara privata con vantaggi in termini di snellezza dei procedimenti, ma anche con la possibilità di attingere alle imprese locali, in possesso dei requisiti e delle caratteristiche richieste dalle norme interne alle compagnie.
E in questo caso è legittimo chiedersi quali sono stati i criteri di assegnazione scelti dalla Total? Forse la migliore offerta? Un forte ribasso? La Total (operatore in joint venture con la Shell, rispettivamente 75% e 25%) si limita a dire che con il via libera ai lavori civili si produrranno effetti sull’indotto locale ma non si sbilancia sui numeri. Certo è che questo è il primo dell’enorme investimento per il rilancio della produzione nazionale di idrocarburi del «Piano Passera» che materialmente parte dopo l’approvazione del Cipe: 1,6 miliardi di euro per la costruzione del Centro Olio, del Centro di stoccaggio del Gpl e del collegamento all’oleodotto «Val d’Agri-Taranto» per il trasporto del greggio fino alla raffineria. I pozzi per ottenere la produzione di 50mila barili al giorno sono 6, ma per assicurare un efficace sfruttamento del giacimento, il progetto ne prevede 8. I due nuovi pozzi Tempa Rossa Nord (TRN) e Gorgoglione Est (GGE), già previsti dal Cipe, «stralciati dalla Regione», potranno essere realizzati definita la nuova localizzazione, ma in accordo con la Regione. È quanto sottolinea la delibera del Cipe, rilevando che «i pozzi stralciati, a differenza dei pozzi autorizzati, sono pozzi di tipo esplorativo e non di sviluppo, e che per tanto tendono alla ricerca di nuove riserve non certe e non allo sfruttamento di riserve già accertate. Pertanto, vista la natura delle opere, oltre che la struttura dei ricavi legata a condizioni di mercato e oscillazioni della domanda internazionale e non alla mera disponibilità e numerosità dei pozzi in utilizzo, lo stralcio non incide sulla sulla sostenibilità economico finanziaria e sulla redditività complessiva dell’opera».
In sostanza, cosa vuol dire? Lo spiegano fonti ministeriali. «Il diniego della Regione a pozzi esplorativi non è un danno alle compagnie petrolifere, per le quali i pozzi esplorativi rappresentano un costo non remunerato, ma alla conoscenza del territorio e del giacimento e al suo miglior sfruttamento. All’estero la realizzazione dei pozzi esplorativi è condizione senza la quale non si procede all’estrazione. In Italia, le cose vanno diversamente. Insomma, è come quando da una botte viene tirato tutto il vino buono, sotto rimane quello meno “nobile”. È così con il petrolio, per questo si parla di “coltivazione” del giacimento e quando questa non avviene in modo corretto il rischio è di compromettere riserve importanti per il futuro del Paese». Allora sorge il dubbio: è stato un «no» della Regione a nuovi pozzi, anticipando la moratoria? «Fanno parte della vecchia concessione», dicono tranquilli dalla Total e confermano: «comunque quei pozzi non incidono sulla produzione».

Il pianto dei Comuni lucani ricchi di petrolio e royalty
di Luigia Ierace
POTENZA - Se anche «i ricchi piangono», il pensiero va parallelamente a un altro detto che in dialetto recita: «chiagn’n e fott’n». Insomma, mentre il dibattito sulla moratoria incalza, la Gazzetta prova a fare un po’ i conti in tasca alla regione in tema di royalty. Poche? Tante? Discutibili le cifre, perché tutto sommato anche il poco gestito male, in tempi di crisi è davvero uno spreco. E così quel 7% che arriva in Basilicata diviso tra Regione e Comune dove ci sono attività estrattive non si percepisce per la difficile identificazione con un progetto. Cosa più facile per quel 3% che alimenta il Fondo idrocarburi e suscita tante polemiche.
Cosa succede da Viggiano, a Calvello, da Grumento, a Marsico Nuovo: i ricchi comuni del petrolio, che hanno la «fortuna» (a seconda dei punti di vista) di avere sui loro territori i pozzi o Centro olio e pozzi (come Viggiano) e beneficiano di royalty dirette oltre a quelle che la Regione gli elargisce attraverso il Programma operativo Val d’Agri, Melandro, Sauro, Camastra. E anche qui ci si divide tra chi lo considera il più avanzato strumento di pianificazione e chi lo critica duramente osservando i dati di spesa, che al 31 dicembre del 2011, erano pari al 45% delle risorse programmate per le opere infrastrutturali (46,8 milioni di euro su 103,6 milioni) con picchi dell’81% di spesa a Sant’Arcangelo e del 19% a Paterno. Ma guardando la situazione dei Comuni più ricchi che beneficiano delle royalty, si vede che Grumento Nova ha speso solo il 25% del programmato, Viggiano il 29% del programmato, Calvello il 40% e Marsico Nuovo il 45%. E la spesa per sostenere le imprese è stata di 45,8 milioni di euro su oltre 121 milioni programmati. Soldi non spesi mentre le royalty quest’anno sono lievitate ancora portando nelle casse della Regione Basilicata dai 65,6 milioni di euro nel 2010 ai 100,2 milioni nel 2011, con un aumento di circa il 40% quest’anno grazie all’aumento della produzione e del costo del greggio. Ma quando l’attenzione si sposta a Comuni piccoli e gli introiti si vedono raddoppiare, i dubbi sorgono. Soprattutto se in molti casi sono proprio questi piccoli comuni che per loro stessa ammissione «non sanno come spendere le royalty» e «più che badare al risparmio di spesa vorrebbero trovare il modo di spendere quelle risorse» e creano ostacoli alle attività, nonostante le intese già raggiunte con la Regione, per alzare la posta in gioco avvalendosi di piccoli espedienti: primo fra tutti, il ritardo nelle pratiche più semplici, come il rilascio di un permesso a costruire che è di esclusiva competenza dei comuni.
Viggiano da 8,2 milioni di euro è passato a 11,2 milioni, ma salirà ancora. Soldi che andranno a gonfiare il suo già ricchissimo bilancio in attivo. Un comune di poco più di 3.000 abitanti, il cui numero è ormai stabilizzato, 1.198 famiglie, età media 41,4 anni, ma un reddito medio nel 2010 di 18.594 euro in crescita rispetto alle dichiarazioni presentate (nel 2005 era di 15.561). Il più ricco e invidiato Comune d’Italia con un piano triennale di opere pubbliche di oltre 40 milioni di euro. Ma per fare cosa? Impianti sportivi, un parco natatorio (non basta la piscina?), riqualificazione urbana (strade, marciapiedi, scorci di palazzi, ma quanto è grande il Comune di Viggiano, con tutte queste opere dovrebbe essere un gioiello, il più bello d’Italia), box interrati e parcheggi multipiano (ma non basta il mega parcheggio a più livelli vuoto sotto il santuario della Madonna Nera?). Ma i cittadini non possono lamentarsi: hanno buoni sport, contributi per gli studenti universitari, borse di studio, libri gratuiti o semigratuiti, non pagano la fornitura di gas (un beneficio raddoppiato per chi ha attività di impresa). Per la scuola di estetista una ragazza di Viggiano non paga nulla, una di un paese vicino paga tutta la rata. E poi i paradossi, nell’area industriale di Viggiano ancora non è completata la metanizzazione e l’area non è cablata, anzi lo è nella parte di competenza di Grumento Nova. Ma il Comune di Viggiano ha la sua rete web sul sito degno di una metropoli per la mole di informazioni. E tanti soldi in arrivo, troppi nei 4 comuni più ricchi del petrolio. Come i posti di lavoro legati allo sviluppo del giacimento della Val d’Agri e ai lavori al Centro Olio, ostaggio di autorizzazioni locali che non arrivano. Altri soldi da gestire, mentre le opportunità si creano per chi guarda al settore petrolifero in maniera globale e si apre a nuovi mercati, portando la propria esperienza in Mozambico e cerca di formarsi per fronteggiare le nuove esigenze del mercato.
Calvello, 2.000 abitanti, con una leggerissima flessione, un reddito medio di 15.800 euro, dopo il lungo tira e molla con l’Eni e la battaglia per l’area picnic, ha visto più che triplicare le sue royalty (da 654mila a oltre 2 milioni di euro) grazie al collegamento dei pozzi. Un ritardo di oltre 5 anni costato, però, alla Basilicata un declino non più recuperabile della produzione. Da circa 900 mila a circa 1,4 milioni di euro le royalty di Marsico Nuovo (circa 4.600 abitanti) con il suo Osservatorio ambientale e la sede del Parco; da 1,3 milioni a 1,8 le royalty di Grumento Nova (1.700 abitanti). Lieviteranno ancora con una popolazione che non sta subendo grandi flessioni e un reddito medio che sale. E il pianto dei ricchi continua mentre cercano di consolarsi sulle note di Gigi D’Alessio, l’unica tappa a Viggiano pagata ovviamente con quelle royalty (che strano!) facilmente spendibili nei comuni del petrolio per concerti, iniziative culturali, mostre varie, maarciapiedi e box auto e non per creare durature occasioni di sviluppo. Chissà cosa penserebbe il sindaco di Potenza che aveva fatto tanto per avere quei 28 milioni di euro necessari alla realizzazione del nodo complesso, che per ora rimane bloccato. Una somma, invece, alla portata di quei quattro ricchi comuni che piangono.

Petrolio, il fine del gioco
08/09/2012 di PARIDE LEPORACE
Vito De Filippo è un appassionato lettore dell'opera di Borges. Assistendo
 alla sua conferenza stampa in diretta web di giovedì (uno dei maggiori
 eventi di comunicazione pubblica mai visti in Basilicata ) mentre il tenore
 della posizione "personale" del governatore di Basilicata saliva sempre più
 di tono, mi veniva da pensare che la performance fosse stata ispirata dal
 racconto dello scrittore argentino noto come "Tema del traditore e
 dell'eroe", racconto che presenta una struttura romanzesca difficile da
 sintetizzare ma che posso banalizzare come la narrazione della fine tragica
 e gloriosa di un eroe nazionale irlandese. La fine eroica nasconda in realtà
 l'esecuzione di un traditore, scoperto dai propri compagni, il quale solo
 con la morte riscatta il proprio tradimento e anzi si fa, appunto, eroe. La
 complessa vicenda ai più può essere nota avendo visto il celebre film di
 Sergio Leone, "Giù la testa" che attinge allo stesso racconto irlandese che
 ha ispirato Borges.
 La metafora che adopero, è evidente, non ha i toni drammatici della vita e
 della morte, ma cerca di interpretare le molte ambiguità politiche che
 circondano un tema centrale dell'economia lucana come il petrolio.
 Evitando le dietrologie e stando ai fatti enucleo alcune questioni.
 Nell'immaginario collettivo lucano, su questa vicenda, a torto o a ragione,
 a Vito De Filippo è stato assegnato fino a poche settimane fa il ruolo del
 traditore della sua terra. Nella piazza di Viggiano ( ma l'esempio può
 valere per tutti i paesi lucani) l¹anonimo cittadino alle prese con la sua
 acedia, incurante del fatto che nel suo Comune il petrolio ha fatto
 aumentare comunque il reddito medio, alla telecamera di passaggio ha sempre
 rivolto frasi grilline dense di rabbia contro il politico piu¹ visibile di
 Lucania: ³Abbiamo tanto petrolio, i giovani vanno via e non abbiamo lavoro².
 Quel luogo comune giovedì è caduto, crollato, cambiato con parole simili a
 quelle adoperate dal cittadino in preda agli insulti al Potere. Lo stesso
 luogo comune era già stato incrinato da quella che chiamiamo moratoria, ma
 moratoria in effetti non è, essendo il blocco limitato alla concessioni di
 ricerca, e nei suoi propositi quindi dovrebbe fermare le estrazioni future
 permettendo invece lo sfruttamento in Val D¹Agri e Tempa Rossa. Ma il colpo
 decisivo è arrivato in presa diretta giovedì. Quel tre volte ³no² di De
 Filippo è stato come il ³Ne piu¹ mai² di Ugo Foscolo che nel celebre incipit
 di una poesia canta la disperazione dell¹ esule che non vedrà la natia isola
 di Zacinto. Alle compagnie e al governo il governatore di Basilicata fa
 sapere che è per la paesologia ecologica e sentimentale di Franco Arminio,
 che non intende svendere la sua terra al migliore offerente, che non
 accetterà diktat governativi. E cosi¹ Vito De Filippo da traditore è
 diventato l¹eroe del giorno. Da Bolognetti alla Sel, dalla Cgil
 tambureggiante di protesta ai sostenitori della marcia su Roma, dal sindaco
 De Maria pronube renziano per antonomasia ai bar dove si leggono i giornali
 improvvisamente i declinisti lucani sono diventati convinti sostenitori
 defilippiani. La mossa è stata astuta. Comprensibile a tutti ascoltando e
 leggendo l¹evocazione del mito popolare di Mattei (colui che muore per
 difendere l¹Eni, cioe¹ il suo Paese contro le sette sorelle americane)
 nell¹equazione rovesciata del governatore che dice ai suoi amministrati
 ³Contro gli interessi (sporchi) delle compagnie, di tutte le compagnie,
 difendo gli interessi lucani². De Filippo in quelle due ore di conferenza ha
 fatto cadere anche la supposizione che sia mossiere di interessi
 consociativi con il Pdl, infatti i parlamentari di quella parte nel loro
 comunicato hanno parlato di propaganda senza citare il fatto che il
 governatore non aveva in primo momento inteso polemizzare in conferenza con
 Viceconte, probabilmente in un patto tra gentiluomini per le comuni sorti
 sostenute assieme fino alla primavera scorsa. Invece ieri, in serata, non è
 mancata la presa di posizione del consigliere Robortella, una voce
 ventriloqua del governatore, che a quegli stessi parlamentari e a Pagliuca
 elencati per nome ha risposto in questo modo: ³La Basilicata è di Orazio,
 di Pagano, la terra dei formaggi e dei salumi, dei fagioli e dei Peperoni,
 delle spiagge dorate joniche e di quelle tirreniche, dei vini doc e delle
 acque minerali, di eccellenze tecnologiche, dell¹agricoltura e delle
 automobili, in un elenco che include anche il petrolio, ma non solo il
 petrolio².
 I tempi e la Storia ci diranno la fermezza di posizione del governatore. Io
 al momento devo fare autocritica avendo spesso definito De Filippo un
 puntello di Monti e Passera, complice Enrico Letta e il ministro Barca. Un
 puntello che si sbriciola come un biscotto a leggere le dichiarazioni sui
 poteri forti che tutto spiano, controllano, e persino minacciano a sentire
 l¹assessore Mazzocco che fedele al suo nome ha imbracciato la clava contro
 chi vuole il nostro petrolio.
 Ma De Filippo è andato molto oltre, conoscendo i suoi toni moderati. Ha
 parlato di lobby legate al suo partito, il Pd, ed ha anche detto che non
 teme di andare in minoranza. Frase che ha schiantato sulle sedie generali e
 caporali, correnti e apprendisti stregoni del Partito-regione . Possiamo
 scrivere che i principali protagonisti della partita non riescono a capire
 il gioco di De Filippo.
 Il governatore ha deciso di tenere la conferenza stampa probabilmente dopo
 aver visto l¹apertura del nostro giornale che pubblicava in esclusiva, dopo
 le prime frammentarie anticipazioni del Sole 24 ore, i contenuti del dossier
 energia di Passera sulla Basilicata. Evidentemente il redde rationem del
 ³carta canta² lo ha indotto, in assoluta solitudine, a questo meditato
 passo. Nel corso di una telefonata a conferenza stampa indetta, sarebbe
 avvenuta una telefonata tra il governatore e il presidente del Consiglio,
 Vincenzo Folino. Dal colloquio sarebbe emersa la novità di aggiungere al
 tavolo anche la presenza dell¹assessore regionale, Marcello Pittella. La
 delega dell¹industria ha permesso di aggiungere un uomo della sinistra al
 tavolo. Ma chi pensava di aver raggiunto un risultato forse aveva sbagliato
 i suoi calcoli. Tutto lo stato maggiore nel Pd è trincerato ora in un chiuso
 e molto preoccupato silenzio.
 Solo il gruppo regionale attraverso Luca Braia ha espresso consenso alla
 mossa del cavallo decisa da De Filippo e, considerato quello che si è
 ascoltato in conferenza, non è risultato da poco.
 L¹agenda per dirimere le questioni è presto data: lunedi¹ la riunione sulla
 governance convocata dal segretario Speranza non parlerà solo di Matera e
 Potenza, se sarà chiarimento politico o un¹apertura di conflitto solo da
 quella stanza potrà arrivare un¹indicazione certa per il partito-regione in
 vista della definizione del memorandum con Monti e Passera. Senza
 dimenticare il sostegno alla moratoria che moratoria non è, quella moratoria
 votata da tutte le forze politiche dietro richiesta di De Filippo, è votata
 criticamente per spirito di appartenenza solo da Vincenzo Folino che ne
 aveva il cavallo di battaglia per affrontare la tempesta nel bicchiere del
 dibattito d¹agosto. Ora De Filippo scippa la posizione al suo storico
 antagonista e riprende in mano lo strano gioco del petrolio. Un gioco che ha
 il fine del potere in Basilicata ma che tiene in mano i destini della sua
 comunità che con il voto, il consenso, la partecipazione deciderà chi l¹ha
 meglio condotta: non è nota, invece, la fine di questo intrigante gioco. Per
 tornare a Borges, non c¹è al momento l¹Aleph, altro celebre labirinto dello
 scrittore, dove si conosce l¹inizio di una storia e non si approda mai al
 finale. Vedremo se De Filippo resterà eroe o tornerà ad essere traditore.




Basilicata, nuova card  per «bonus benzina» ma è senza un euro
di Luigia Ierace
POTENZA - «Mi è arrivata la card idrocarburi, ma quando arriveranno i soldi?» Difficile rispondere. L’estate sta finendo e con essa, anche la stagione degli «scontoni» che le grandi compagnie petrolifere hanno effettuato nei weekend estivi. Allora ai lucani non resta ora che affidarsi alla card idrocarburi, che proprio in questi giorni sta arrivando nelle case nei nuovi patentati e dei vecchi. Tutti quelli che non avevano fatto domanda, perché «scettici» e che poi si sono ricreduti quando hanno visto prendere consistenza quel «pieno» di 100 euro e 70 centesimi.
Un bonus pronto a lievitare fino a 140 euro per la seconda annualità, grazie all’aumento della produzione e al costo del greggio. Soldi che sarebbero stati accreditati, tra l’8 ottobre e in 27 ottobre, ai circa 319 mila beneficiari della seconda erogazione, ben 32 mila in più rispetto alla prima. Praticamente tutti i patentati residenti in Basilicata, oltre il 95 per cento, tra vecchi e nuovi aventi diritto. Completato, infatti, il recapito delle carte ai nuovi beneficiari (solo per le richieste accettate) previsto il 15 settembre, si sarebbe potuto procedere all’accredito di tali somme.
Un «ricco pieno» che in questo periodo di forte ascesa dei prezzi di benzina e gasolio avrebbe davvero fatto comodo, ma il condizionale è d’obbligo dopo il tiro mancino sferzato dalla Regione Veneto e la sentenza del Tar del Lazio che ha dato loro ragione equiparando l’attività di produzione di idrocarburi a quella di rigassificazione e portando di fatto a una diversa ridistribuzione del Fondo a danno della Basilicata.
Tutto è insomma legato alle decisioni del Consiglio di Stato che dovrebbero arrivare tra fine settembre e ottobre. Se dovesse confermare le decisioni del Tar del Lazio, il rischio, nella peggiore delle ipotesi per i lucani, sarebbe quello di vedersi ridotto a 50 euro il bonus, che sarebbe letteralmente «scippato» da Veneti e Liguri. Nella migliore delle ipotesi, invece, con una sentenza favorevole del Consiglio di Stato e il riconoscimento delle ragioni della Basilicata, si potrebbe procedere con l’attribuzione dei 140 euro sulla card, ma con uno slittamento dei tempi. Bisognerà comunque attendere la pronuncia dei giudici e poi poter procedere con l’erogazione, operazione per la quale, però, essendo già tutto predisposto, richiederà circa tre settimane. Insomma, per ben che vada, il «pienone» di benzina o gasolio, dovrebbe arrivare a fine dell’anno.
Il Ministero dello Sviluppo Economico ha presentato i primi di luglio memoria all'Avvocatura di Stato che ha presentato ricorso al Consiglio di Stato contro la sentenza del Tar del Lazio, al termine del periodo di presentazione delle richieste della seconda erogazione relativa all’anno 2012. Il Consiglio di Stato dovrà prima pronunciarsi sulla richiesta di sospensiva e poi nel merito. Anche se il giudizio sulla sospensiva potrebbe già essere determinante.
Ma cosa succederà se si dovesse ripartire il Fondo idrocarburi in maniera diversa dall’attuale, secondo le indicazioni della sentenza del Tar del Lazio, e quindi inserendo i rigassificatori di Panigaglia su terraferma in Liguria e quello di Porto Viro, antistante la costa del Veneto in offshore.
L'importo della seconda erogazione per l’anno di riferimento 2012, pari a un totale di 55,3 milioni, 48,7 dei quali della Basilicata verrebbe così ripartito (tralasciando le altre regioni): alla Basilicata invece dei 48,7 milioni, ne andrebbero 20 milioni, per cui ogni beneficiario, invece, dei circa 140 euro, ora previsti, avrebbe circa 50 euro; al Veneto andrebbero circa 24,5 milioni che in ogni caso non verrebbero ripartiti tra i residenti in quanto, in considerazione dell’elevato numero di patentati veneti, ognuno di loro dovrebbe avere un importo pro capite di soli 8 euro (l’intera somma, quindi, ai sensi del DI 12/11/2010, che andrebbe direttamente alla Regione, perché inferiore ai 30 euro a patentato tetto fissato per l’assegnazione diretta ai cittadini ); alla Liguria andrebbero circa 6,5 milioni che, anche in questo caso, non sarebbero ripartiti tra i residenti in quanto, in considerazione del numero dei patentati, si avrebbe un importo pro capite di soli 7 euro (quindi l’importo totale anche in questo caso andrebbe direttamente alla Regione).
Si comprende il danno che ne avrebbero i lucani e qualche perplessità desta la mancata costituzione in giudizio della Regione, al fianco dei Ministeri dell’Economia e delle Finanze e dello Sviluppo Economico, a difesa di un bonus che, seppur discutibile, ormai è una legge dello Stato e il beneficio verrà erogato anche negli anni successivi per un importo che varierà in funzione della produzione di idrocarburi che in Basilicata potrà aumentare con la messa a regime del giacimento dell’Eni in Val d’Agri e l’avvio di quello della Total a Tempa Rossa.


Il Governo vuole far fuori le regioni
Da accentrare le competenze per le “infrastrutture strategiche” Torna la norma “sblocca trivelle” con qualcosina in più
01/09/2012  POTENZA - Il ministro l’aveva già annunciato a giugno alla Commissione
 ambiente della Camera: «E’ allo studio la possibilità di proporre
 l’inserimento nell’ordinamento giuridico di norme di carattere
 costituzionale che attribuiscano alla competenza esclusiva dello Stato le
 infrastrutture strategiche di interesse nazionale e sovranazionale». I più
 avevano pensato alle grandi opere come la Tav. Ma due mesi dopo, secondo il
 Sole24Ore, il concetto andrebbe allargato un bel po’, fino a ricomprendere
 tutto quanto attiene alla produzione, la trasmissione e la distribuzione
 dell’energia. Petrolio lucano incluso.
 Sono 100 le pagine della bozza del piano energetico annunciato dal capo
 del dicastero dello Sviluppo economico che tra qualche giorno dovrebbe
 arrivare in Consiglio dei ministri. Lo ha reso noto ieri dalle colonne del
 quotidiano di Confindustria Carmine Fotina, della redazione capitolina, in
 un articolo concentrato sui 180 miliardi di euro di investimenti che
 dovrebbero scattare di qui al 2020.
 Meno gas serra immessi nell’atmosfera e meno dipendenza dall’estero per
 l’approvvigionamento di energia. Più 25mila posti di lavoro solo nel
 settore “idrocarburi”, con 15 miliardi di euro di investimenti e un
 incremento di quasi 6.500 tonnellate all’anno di greggio “made in Italy”
 rispetto alle 5.400 attuali. Questi i numeri per sommi capi della “nuova
 strategia energetica nazionele».
 Quale sia il ruolo in tutto questo della Basilicata Fotina non lo spiega,
 ma le zone d’interesse per i nuovi progetti di estrazione sarebbero cinque:
 Val Padana, Alto Adriatico, Abruzzo, off shore Ibleo (quindi Sicilia), e
 ovviamente Basilicata.
 «Si agirà sulla burocrazia - recita la bozza pubblicata in anteprima dal
 Sole24Ore - introducendo il titolo abilitativo unico, verranno rimodulati
 i titoli di tutela offshore e si valuterà l’opportunità di modifica
 dell’articolo 117 della Costituzione per riportare allo Stato la competenza
 in maniera di energia almeno per quanto riguarda le infrastrutture
 strategiche».
 In sostanza tornerebbe all’ordine del giorno del Governo la cosiddetta
 norma “sblocca trivelle” già apparsa a gennaio in una bozza dell’ex decreto
 sulle liberalizzazioni e poi cassata a furor di popolo in Consiglio dei
 ministri, prima ancora dell’approdo in Parlamento per la conversione in
 legge. Al suo posto si sarebbe materializzato il tanto celebrato articolo
 16, con cui l’esecutivo si è impegnato a emanare entro sei mesi un decreto
 - di cui si sono perse le tracce - «per individuare le maggiori entrate
 effettivamente realizzate e le modalita’ di destinazione di una quota di
 tali maggiori entrate per lo sviluppo di progetti infrastrutturali e
 occupazionali di crescita dei territori di insediamento degli impianti
 produttivi e dei territori limitrofi». Il tutto con un bel cappello per
 ribadire rispetto del dettato dell’articolo 117 della Costituzione, che
 individua le materie di competenza legislativa e amministrativa di Stato e
 Regioni stabilendo che in tema di «produzione, trasporto e distribuzione
 nazionale dell’energia» le autonomie facciano i conti con le scelte del
 Parlamento.
 Stessa norma quindi con qualcosa in più, e non di poco conto. Anche se dal
 Ministero si affrettano a dire che la bozza pubblicata dal quotidiano di
 Confindustria non sarebbe quella «vera» allo studio ancora in queste ore,
 ma una «roba vecchia, superata».
 Sarà, ma rileggendo il testo di quella vecchia bozza di decreto legge e il
 virgolettato ripreso da Carmine Fottina ieri mattina dal “nuovo” piano
 energetico alla luce della moratoria approvata nel frattempo dal consiglio
 regionale lucano, e soprattutto dell’intervista del ministro Passera in
 persona a Repubblica dello scorso 14 agosto, qualche assonanza si avverte
 senza troppi sforzi. Come quando parla di il capo del dicastero dello
 sviluppo parla di «adeguare agli standard internazionali la nostra
 normativa di autorizzazione e concessione che oggi richiede passaggi
 autorizzativi lunghissimi ed è per molti aspetti molto più restrittiva dei
 quanto previsto dalle normative europee». Oppure quando dice di voler
 «alzare la produzione petrolifera nazionale fino a raggiungere il 20% della
 domanda». Come non notare, poi, che il “no” alle nuove trivellazioni in
 Basilicata passa attraverso il diniego preventivo a nuove «intese», e
 proprio di un’«intesa» onnicomprensiva con le Regioni parlava la bozza
 cassata in Consiglio dei ministri con la proposta di sostituire le vecchie
 autorizzazioni con un «titolo abilitativo unico». Sarà davvero «roba
 vecchia» quella pubblicata dal Sole? Qualche giorno ancora poi da Roma
 dovranno scoprire per forza le carte.
Leo Amato



Petrolio in Adriatico «Giù le mani dalle isole Tremiti»
Sfruttare o no l’eventuale petrolio che potrebbe essere in fondo all’Adriatico è una decisione che va presa dopo aver valutato vantaggi e svantaggi. Insomma, «vediamo se ne vale la pena e poi decideremo». Così il ministro dell’Ambiente si pone sulle prospezioni petrolifere da parte della Petrolceltic al largo delle isole Tremiti, all’indomani delle proteste che la nuova autorizzazione del governo sta creando in Puglia. L’assessore all’Ambiente, Lorenzo Nicastro, ha fatto sapere di voler ricorrere «contro i pareri dei ministeri», che sostiene siano stati dati lo scorso 7 agosto in una sorta di «blitz» romano, senza interpellare la Puglia.
Clini spiega però che il via libera da parte del suo dicastero e da quello dei Beni culturali è giunto a maggio e riguarda soltanto la fase che precede le esplorazioni (quella che serve per capire «cosa c'è nel sottosuolo») e che l’autorizzazione finale spetta al ministero dello Sviluppo economico. «Non ne vale assolutamente la pena» scoprire se c’è petrolio, replica il capogruppo Pd alla Regione Antonio Decaro, ricordando che «il nostro ambiente ha già conosciuto molte pene che, oltretutto, il ministro Clini in questi giorni sta vedendo molto da vicino». Intanto il presidente del parco nazionale del Gargano, Stefano Pecorella, ha convocato per il 4 settembre i 18 sindaci dell’area protetta per discutere delle prospezioni (che comunque sono al di fuori dei limiti interdetti); un incontro a cui è stato invitato anche il governatore della Puglia Nichi Vendola. Mentre due giorni dopo, il 6 settembre, sarà la volta dei sindaci. È infatti previsto un incontro a Termoli a cui saranno invitati a partecipare tutti i comuni costieri di Molise, Abruzzo e Puglia, per organizzare «una nuova grande manifestazione come quella dello scorso anno, cui partecipò anche Lucio Dalla».
Alle proteste di sindaci e istituzioni locali si uniscono quelle di Legambiente ma anche di forze politiche. «Invito tutti i colleghi parlamentari pugliesi senza distinzione alcuna - dice il deputato Udc Salvatore Ruggeri - a fare fronte comune per difendere in tutte le sedi istituzionali il nostro territorio, chiedendo innanzitutto un incontro urgente al Ministro Clini». «Ci siamo opposti con forza, coraggio e grande senso di responsabilità ad iniziative di tal genere che si ventilavano nel periodo del precedente governo - rimarca il deputato Pdl Ugo Lisi - figurarsi ora». «Ogni iniziativa - avverte il consigliere regionale Pdl Erio Congedo- è necessaria perché tale scempio non si compia, tanto più ad opera di un governo privo di legittimazione popolare». [b. mart.]



Clini e il sì al petrolio: «Tutto secondo legge»
Il ministro: «Se ci sarà greggio, bisogna pesare vantaggi e svantaggi e decidere insieme a Croazia e Slovenia»
«Abbiamo semplicemente applicato la legge vigente. E l’ok non è alla coltivazione di idrocarburi in Adriatico ma alle sole prospezioni con tecnica air-gun per capire cosa c’è nel sottosuolo: la richiesta, con la normativa attuale, non poteva non essere presa in considerazione, visto che esclude le aree interdette (fino a 5 miglia dalle coste italiane e fino a 12 miglia dal limite esterno delle aree marine protette e di tutte le altre zone sottoposte a tutela, ndr). Anche le amministrazioni locali devono avere consapevolezza del contesto in cui ci si muove: tutti esercitino la loro responsabilità nell’ambito delle leggi, perché non vince chi strilla di più». Il ministro dell’Ambiente Corrado Clini risponde così «all’insurrezione di Puglia» successiva alla divulgazione da parte dell’assessore regionale all’Ambiente Lorenzo Nicastro dell’ok del ministero alle prospezioni alle Isole Tremiti. E si meraviglia della meraviglia dall’assessore.
Ministro, l’assessore è rimasto sorpreso del suo ok alle prospezioni alle Tremiti alla vigilia di Ferragosto, nel periodo in cui la sua presenza in Puglia è stata frequente in relazione alla vicenda Ilva. Insomma, si chiedono in Puglia, poteva dirlo prima che scriverlo...
«Facciamo chiarezza sull’argomento, perché il primo a meravigliarsi della meraviglia sono io. In primo luogo, il ministero ha applicato semplicemente la legge: originariamente i permessi richiesti riguardavano anche aree che in base al decreto legislativo 128 del 2010 dovevano essere escluse. Successivamente, nel gennaio 2011, la società Petroceltic ha ripresentato al ministero dello Sviluppo economico una nuova istanza che esclude le aree interdette: a quel punto la richiesta doveva essere presa in considerazione».
Prendere in considerazione non significa dare l’ok.
«Sicuramente. E infatti l’iter è andato avanti. L’11 aprile del 2011 il ministero ha comunicato a tutte le amministrazioni interessate l’esistenza della richiesta e che ai sensi delle leggi vigenti poteva essere presa in esame. Successivamente, il 10 giugno 2011, la commissione di valutazione di impatto ambientale ha comunicato che le attività potevano essere ammesse esclusivamente per quanto attiene alla ricerca sismica con tecnica air-gun. Che, si badi, non è un ok alla coltivazione di idrocarburi».
Stiamo parlando di una vicenda dello scorso anno.
«Per questo mi meraviglio della meraviglia. In seguito alla decisione della commissione, la Regione Molise ha messo nero su bianco di non essere d’accordo con la valutazione della commissione. Che ha risposto nel novembre 2011 precisando che l’obiezione non era condivisibile perché non inerente al merito: si contestava la coltivazione degli idrocarburi ma l’autorizzazione riguarda solo le ricerche preliminari. Successivamente l’iter si è ripetuto con la Regione Puglia: parere contrario espresso a dicembre 2011, risposta negativa della commissione a marzo con le stesse motivazioni date al Molise».
E come si arriva all’ok di Ferragosto?
«Per me si arriva a maggio, non so perché l’assessore parli di Ferragosto: esaminate e respinte le obiezioni di Molise e Puglia, infatti, anche il ministero dei Beni culturali il 2 maggio scorso ha dato parere favorevole, dopo che il ministero dell’Ambiente lo aveva fatto nel giugno 2011. E quindi a maggio scorso io e il collega Lorenzo Ornaghi abbiamo firmato il parere di compatibilità ambientale che riguarda la sola prospezione geofisica con tecnica air-gun al di fuori delle aree di divieto. Come vede, non capisco la sorpresa dell’assessore: abbiamo mandato il nostro parere, abbiamo risposto formalmente, addirittura a marzo, e la procedura è stata gestita in maniera trasparente e pubblica».
Chiarita la forma, torniamo al contenuto: adesso si può procedere?
«L’autorizzazione finale, dopo il nostro parere di compatibilità, è di competenza del ministero dello Sviluppo economico».
A questo punto sembra evidente che si procederà.
«Dobbiamo rispettare la legge: se ci fosse una legge che vieta le prospezioni comunque e dovunque, bloccheremmo tutto. Ma non c’è. Io ho molto rispetto per le manifestazioni di 10 mila persone, come quella che c’è stata in Puglia nel gennaio scorso, ma questo governo rispetta la legge e quella italiana in materia è molto cautelativa: il limite di 12 miglia, nel Mediterraneo, c’è solo in Italia. Se poi questa legge non va bene, eventualmente si può cambiare. Ma non è compito del governo».
Insomma, tocca al Parlamento. Ma possibile che non si possa fare nient’altro che cambiare le leggi per evitare che si cerchi il petrolio al largo delle Tremiti, e poi a Monopoli e quindi a Otranto?
«Detto che non si poteva non dare l’ok alle prospezioni, dico anche che sull’uso energetico del Mare Adriatico è opportuna una valutazione comune, da Trieste a Otranto coinvolgendo anche Slovenia e Croazia. Se esiste una qualche potenzialità di valorizzazione energetica, questa deve essere oggetto di pianificazione. Perché la valutazione deve essere complessiva e non caso per caso. E la Regione Puglia conosce questa mia posizione».
In che senso?
«Nel senso che quando il presidente del Consiglio regionale pugliese mi ha chiesto la disponibilità per una conferenza internazionale delle regioni adriatiche, ho risposto — lo scorso 11 luglio — che sono assolutamente d’accordo: bisogna capire se ne vale la pena».
Come lo si capisce?
«Fermo restando che le imprese possono investire i loro soldi per esplorare le potenzialità dell’Adriatico, è doveroso che il governo con le Regioni interessate e gli altri Paesi adriatici valutino insieme un eventuale programma di sfruttamento: se c’è il petrolio, occorre capire se la prospettiva dello sfruttamento è di breve durata e se c’è il rischio che i costi superino la valorizzazione della risorsa. Bisogna pesare vantaggi e svantaggi e decidere».
A proposito di decisioni, e cambiando argomento, ieri è stato il quarto giorno di lavoro a Taranto per la commissione ministeriale che si occupa del riesame dell’Autorizzazione integrata ambientale (Aia) per l’Ilva. Ci può anticipare qualcosa sull’esito dei lavori?
«Stiamo lavorando e prima della fine del lavoro non faremo considerazioni: a metà settembre sarò di nuovo a Taranto per incontrare anche le associazioni ambientaliste».
Sui parchi minerali, però, l’Arpa si è già espressa: vorrebbe che fossero coperti. Mentre l’Ilva ha fatto capire che paradossalmente sarebbe più facile spostarli che coprirli. Come se ne esce?
«Ho già fatto presente alla Regione che in questa fase in cui l’Arpa è coinvolta nel gruppo di lavoro per la nuova Aia, non è il caso che la stessa Arpa assuma iniziative individuali: è opportuno che faccia il suo lavoro all’interno della procedura. Non si può giocare su due tavoli: dichiarare all’esterno le soluzioni migliori e lavorare all’interno su altre. Se l’Arpa fa parte del gruppo di lavoro partecipa con gli altri. Se ognuno si mette a parlare della situazione che piace di più, abbiamo smesso di lavorare in gruppo».
Michelangelo Borrillo

Trivelle alle Tremiti interviene la politica
BARI – Una serie di 'nò alla decisione del ministro dell’Ambiente, Corrado Clini, che ha autorizzato le prospezioni richieste da 'Petroceltic' nei pressi delle Isole Tremiti viene espressa in note distinte da politici pugliesi, comitati e associazioni.
“L'improvvisa ed improvvida decisione del Ministro Clini di autorizzare le trivellazioni al largo del parco naturale delle isole Tremiti – afferma l’europarlamentare di Fli, Salvatore Tatarella – va combattuta in ogni sede, dal Parlamento alle aule giudiziarie, ma non mancheranno di farsi sentire i cittadini pugliesi e tutti gli amanti dell’incantevole mare di Tremiti”.
“Ribadiamo il nostro no già espresso all’unanimità da tutto il Consiglio regionale”, afferma il capogruppo del Pdl alla Regione, Rocco Palese. “Ribadiamo – aggiunge – il nostro deciso e secco 'nò ad ogni ipotesi di trivellazione per la ricerca di petrolio alle Tremiti o in qualsiasi altro tratto di costa e di mare pugliese. Su questo abbiamo sottoscritto e votato all’unanimità un ordine del giorno in Consiglio regionale, esprimendo con forza la volontà di tutte le forze politiche di preservare il nostro territorio. Volontà della quale il Ministro Clini e l’intero Governo Monti non potranno non tener conto”.
Sull'argomento interviene anche il vicecapogruppo Pdl alla Regione Puglia, Massimo Cassano: “La Puglia compatta – afferma – rimandi al mittente il progetto Petroceltic da 'svilupparè nei pressi del tesoro più prezioso, le isole Tremiti, e sottolinei ancora una volta il no alle trivelle”.
“L'attenzione che la società scientifica ha sulle problematiche legate alla valutazione del danno sanitario (Vds) ci stimola ad introdurre nelle procedure operative il massimo della scientificità possibile anche riguardo le capacità di verifica”.
Lo ha spiegato il direttore generale dell’Arpa Puglia, Giorgio Assennato, intervenendo oggi Bari, con il presidente della Società italiana di medicina del lavoro e igiene industriale, Pietro Apostoli, e l’assessore regionale all’ambiente, Lorenzo Nicastro, ad un incontro sugli aspetti tecnici della legge regionale n. 21/2012 sulla Vds delle emissioni industriali.
“Introdurremo questi aspetti a partire dal regolamento e successivamente nei protocolli attuativi. Questa legge – ha aggiunto Assennato – trova molti scettici all’interno del mondo ambientale e sanitario. C'è l’impegno della Puglia a realizzare operativamente quanto previsto della legge regionale e garantiamo che la raccomandazione che la società scientifica ci fa, di introdurre ed incardinare nelle procedure operative elementi di grande rigore per ottenere consenso dagli esperti a livello internazionale, sarà tenuta nella massima considerazione. E’ una normativa unica e per questo bisogna mettersi nelle condizioni operative migliori per certificare i risultati rendendoli solidamente difendibili”. Anche secondo Apostoli, “è una legge assolutamente unica”.
“Credo – ha concluso – sia la via giusta: si unificano gli aspetti ambientali con la valutazione degli effetti sulla salute. Sarebbe l’ideale se questa proposta interessasse l’intero livello nazionale”.
“Approfondiremo – ha sottolineato l’assessore Nicastro - anche la connotazione del danno sanitario in termini di danno sociale”.

Trivelle alle Tremiti il ministro Clini dice sì. Regione: sarà battaglia
La decisione del ministro dell’Ambiente, Corrado Clini, di autorizzare alla vigilia di Ferragosto le prospezioni chieste dalla Petroceltic nei pressi delle Isole Tremiti è “una offesa alla dignità della nostra Regione e degli altri enti locali che si erano espressi negativamente rispetto alla prospettiva di vedere il nostro mare violentato dalla corsa all’oro nero”. Lo dichiara l’assessore regionale della Puglia alla Qualità dell’Ambiente, Lorenzo Nicastro, che oggi ha ricevuto comunicazione ufficiale.
La decisione del governo “è una ulteriore conferma – prosegue Nicastro – della sensazione di marginalizzazione della Puglia. Speravamo che questo atteggiamento, in considerazione dell’attenzione e della collaborazione avviate sulla vicenda Taranto, fosse ormai consegnato al passato. Ma evidentemente non è così”.
Secondo l’assessore, la Puglia “la cui economia è fortemente legata al mare, al turismo ed ai prodotti enogastronomici, subisce oggi una minaccia che speravamo scongiurata: nonostante il corale 'nò gridato a gran voce lo scorso 21 gennaio a Monopoli da istituzioni e cittadini pugliesi, il rischio di un 'embargò sulle nostre coste ad opera delle multinazionali del petrolio prende sempre più corpo”.
Per Nicastro il parere del ministro “conferma la direzione ostinata del Governo nazionale verso lo sfruttamento massivo delle fonti energetiche fossili e, riteniamo, crea un pericoloso precedente per il destino del nostro mare”. L’assessore rciorda che giacciono al ministero altre richieste di autorizzazione per prospezioni geosismiche.
“Se fino ad ora nutrivamo qualche speranza di ravvedimento nelle scelte di politica energetica nazionale che servisse a scongiurare la corsa al petrolio nel basso Adriatico – afferma l’assessore pugliese – adesso abbiamo l'amara certezza che anche le altre richieste di prospezione, verosimilmente, saranno autorizzate. In prospettiva si concretizza uno scenario allarmante per il nostro mare e per la vocazione turistica della nostra regione”.
“Fin da ora dico che non ci daremo per vinti e che - conclude l’assessore – oltre a ricorrere in tutte le sedi giurisdizionali, proseguiremo con le modalità civili proprie dei pugliesi a manifestare il nostro dissenso e la nostra protesta nella battaglia per affermare il diritto della Puglia a progettare un futuro diverso rispetto a quello che altri pensano di disegnare. Invito i pugliesi tutti, oltre che i rappresentanti delle istituzioni e coloro che siedono in parlamento eletti nella nostra regione, ad aiutarci a sostenere questa battaglia”.



Antico forno Tempa Rossa.
Il sottobosco lucano del petrolio.
I retroscena della trattativa sull’affaire Total. Il ruolo dell’ex braccio destro di Prodi. I report parigini del lobbista della multinazionale. Una «pagnotta» per Pecci dopo la firma dell’accordo
24/08/2012  POTENZA - «Caro Patrick, volevo informarti che venerdì finalmente è stato firmato l’accordo Total/Tempa Rossa. Oggi qualcuno di Total ha portato una pagnotta nel mio ufficio come regalo per il signor Pecci, che verrà domani a ritirarla».
 Claudio Gatti e Ferruccio Sansa, autori del libro inchiesta “Il sottobosco” (Chiarelettere), ne sono convinti: il signor Pecci in realtà è un dottore. La data e l’indizzo del fax sequestrato tra le carte del lobbista romano Lionello Clementi fanno fede del resto. A Parigi il 26 settembre del 2006 quelli di Eurotradia, un tempo società statale impegnata nella tutela degli interessi delle imprese transalpine poi passata in mano a privati, vengono informati del successo di un’operazione che avevano seguito con molta attenzione. L’ingresso di Pecci nella trattativa avrebbe funzionato. Altrimenti proprio non si capisce il motivo per cui Total avrebbe deciso di ricompensarlo con «un regalo».
 C’è anche l’ex braccio destro di Romano Prodi nel capitolo lucano dell’inchiesta meneghina che ha scoperchiato gli affari di Clementi e soci, poi finita con l’archiviazione di tutte le accuse. Gianni Pecci, economista allievo e concittadino del professore di Bologna, è l’ideatore del pullman che divenne il simbolo della vittoria dell’Unione nel 1996. E’ stato anche direttore di Nomisma “think tank” di riferimento, ma negli anni successivi non ha disdegnato collaborazioni anche con l’altra parte dello schieramento politico, diventando membro della consulta dei saggi dell’ultimo sindaco di centrodestra di Bologna, Giorgio Guazzaloca, e poi amministratore delegato dell’istituto di ricerche Cirm, non appena scalato dal gruppo Hdp guidato dal sondaggista di Berlusconi Luigi Crespi poi finito in sventura. Per non parlare della liaison più recente con l’ex ministro Tremonti.
 Perché sia entrato nella partita tra Regione Basilicata e Total più soci, lo spiega sempre Clementi in una delle mail con cui relazionava i suoi clienti francesi delle evoluzioni sul negoziato di poco precedente alle elezioni che porteranno Romano Prodi a Palazzo Chigi per la seconda volta nel 2006. Alla base ci sarebbero state ragioni di «opportunità politica». Non a livello locale, ma addirittura nazionale «in vista dei prossimi risultati elettorali».
 Pensare che in tanti, notandolo un po’ fuori dal giro dell’ex premier, avevano pensato che dopo il tour di dieci anni prima fosse stato lasciato a terra per colpa di quel suo tradimento col centrodestra. In effetti, dopo aver recuperato lo stesso vecchio Iveco del ‘79 per una riedizione in piccolo di quella trionfale campagna elettorale, se n’era rimasto in disparte. Forse ancora marchiato dalle accuse del patron di Parmalat Callisto Tanzi, che nel 2004 aveva raccontato di avergli dato 300 milioni delle vecchie lire per sostenere la candidatura del professore, mentre quest’ultimo ha ammesso di averne ricevuti soltanto 9 prendendo le distanze dal suo ex pupillo «con i quale da diversi anni non ho più alcun rapporto politico e professionale». Pecci si sarebbe difeso dicendo che quei soldi «sono serviti a pagare il carburante del pullmann».
 Ed eccolo lì, a distanza di anni, ancora indaffarato con petrolio e affini. Almeno stando a quanto scrive il lobbista Clementi, a sua volta vicino alla fondazione di Massimo D’Alema. Pecci si era anche candidato al Senato con la lista del Codacons (Lista Consumatori), passata quasi in contemporanea al suo arrivo dal centrodestra al centrosinistra raccogliendo altri transfughi come l’ex governatore calabrese Agazio Loiero. Ma la Corte d’appello di Bologna alla fine l’avrebbe esclusa perché mancavano le firme. Dunque avrebbe avuto modo di dedicare molto più tempo al dossier Total/Tempa Rossa.
 Cosa abbia fatto di preciso nel giro di quei mesi che dalle elezioni hanno portato alla stipula dell’accordo tra la compagnia francese e la Regione Basilicata, e hanno visto anche la nomina dell’ex governatore come sottosegretario allo Sviluppo del governo del professore, non è per niente chiaro. Ma Gatti e Sansa insistono sul fatto che Clementi non era uno che gradiva concorrenti eppure aveva richiesto espressamente il suo coinvolgimento. Quando alla «pagnotta» di cui transalpini lo avrebbero omaggiato due giorni dopo la firma restano soltanto sospetti. Per non allontanarsi dagli ambiti gastronomici del potere, un tempo si diceva che se D’Alema si faceva servire il risotto da Vissani, Pecci preparava la frittura per il Prodi. Se poi qualcuno abbia pasteggiato a pane e frittata, come si usa da queste parti, lo sanno solo le sue coronarie.
Leo Amato





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Regione Basilicata ancora no al petrolio
Rifiutata proposta Eni
POTENZA – Per il secondo giorno consecutivo - dopo il 'nò, ieri, a una richiesta di Shell Italia – la giunta regionale della Basilicata ha rifiutato un permesso di ricerca di idrocarburi presentato dall’Eni per eseguire “studi, rilievi sismici e la perforazione di un pozzo esplorativo” in una zona del Potentino comprendente dieci comuni, fra i quali Potenza, il capoluogo della regione.
Tecnicamente, si tratta di una “mancata intesa”, decisa - ha spiegato l’ufficio stampa della giunta regionale – dopo l'approvazione di un articolo della legge di assestamento di bilancio che sancisce una “moratoria” all’estrazione di petrolio. La giunta, per rifiutare il permesso all’Eni, ha richiamato nella delibera “la presenza di aree naturali protette e i vincoli paesaggistici, archeologici e idrogeologici”. Vi è un richiamo, inoltre, alla concessioni già emesse e al condizionamento che il loro ampliamento determinerebbe nella “programmazione e nel governo del territorio”, oltre al “dissenso della popolazione rispetto alla concessione di nuovi permessi”.
La concessione rifiutata oggi all’Eni, denominata “Frusci”, riguarda il territorio dei comuni di Potenza, Atella, Avigliano, Baragiano, Bella, Filiano, Pietragalla, Pignola, Ruoti e San Fele.



Ricerca petrolio. Giunta Basilicata dice no alla Shell
POTENZA – La giunta regionale della Basilicata ha detto “no” oggi alla concessione di un permesso di ricerca di idrocarburi – denominato “Grotta del salice” - presentato da Shell Italia per una zona che comprende sette comuni, fra le province di Potenza e di Matera. Grotta del salice è fra Castronuovo Sant'Andrea, Gallicchio, Missanello, Roccanova, San Chirico Rapoaro e Sant'Arcangelo (Potenza) e Aliano (Matera). E' la prima “mancata intesa” dopo l'approvazione all’unanimità, nei giorni scorsi, da parte del consiglio regionale, di una vera e propria “moratoria” sulla ricerca di idrocarburi sul territorio della Basilicata, inserita in un articolo della legge di assestamento del bilancio.
La moratoria non riguarda le attività di estrazione in Val d’Agri (Eni), già avviate da anni, e a Tempa Rossa (Total), ancora non avviate. La delibera della giunta regionale che ha detto no alla Shell è stata proposta dall’assessore all’ambiente, Vilma Mazzocco – ha spiegato l’ufficio stampa della giunta regionale lucana – e fa riferimento all’articolo inserito nella legge di bilancio ma contiene anche “un’articolata motivazione”. La giunta regionale ha sottolineato che le concessioni già attive “creano vincoli e condizionano decisamente la programmazione e il governo del territorio” e che lo sfruttamento delle risorse petrolifere “va inserito nell’ambito di una visione complessiva di programmazione e sviluppo”. Vi è anche un richiamo al “concetto sociale di compatibilità ambientale”.
Il presidente della giunta, Vito De Filippo (Pd), ha detto che “la linea è chiara e ormai definita: la Basilicata ha già dato il proprio contributo al bilancio energetico nazionale. I permessi in atto hanno saturato quella che riteniamo la soglia di sostenibilità per questo tipo di attività”. De Filippo ha aggiunto che la Regione è “pronta a ribadire anche in futuro” tale posizione.


Petrolio, la Puglia rischia un altro assalto di trivelle
di GIUSEPPE ARMENISE
Mare minacciato. E ora che il decreto Sviluppo del governo Monti sblocca le prospezioni dei fondali marini sospese a seguito dell’incidente sulla piattaforma al largo del Messico, torna la folle corsa al petrolio. Nel suo recente viaggio in Puglia, la Goletta verde di Legambiente ha ribadito quello che si va dicendo da tempo. In assenza di una strategia energetica nazionale, si continua a puntare sul petrolio sepolto sotto i fondali marini nonostante sia, a detta di tutti, poco e di scarsa qualità. «Nel 2011 - si legge nel rapporto di Legambiente - il consumo di petrolio è stato di 72 milioni di tonnellate, mentre nel primo semestre 2012 viene evidenziato un calo del 10% dei consumi (pari a 31,8 milioni di tonnellate) rispetto al primo semestre 2011 (oltre 35 milioni di tonnellata). Le ultime stime del ministero dello Sviluppo Economico (il ministro Corrado Passera, per aver firmato il decreto Sviluppo con quell’articolo pro-petrolio è stato insignito della bandiera nera da Goletta verde, ndr) aggiornate a dicembre 2011 indicano come certa la presenza nei fondali marini di solo 10,3 milioni di tonnellate di petrolio che, ai consumi attuali, sarebbero sufficienti per il fabbisogno nazionale per sole 7 settimane.
Non solo: anche attingendo - continuano da Legambiente - al totale delle riserve certe, comprese quelle presenti nel sottosuolo italiano, concentrate soprattutto in Basilicata, nel complesso verrebbero consumate in appena 13 mesi». Le evidenze non sembrano scoraggiare i cercatori di petrolio. «Ad oggi - dice Stefano Ciafani, vicepresidente nazionale di Legambiente - le 9 piattaforme petrolifere attive nel nostro Paese sono operative sulla base di concessioni che riguardano 1.786 kmq di mare principalmente in Adriatico. A queste aree marine se ne potrebbero aggiungere altre: attualmente le richieste e i permessi per la ricerca di petrolio in mare riguardano l’Adriatico centro meridionale, il Canale di Sicilia e il mar Ionio». Un motivo in più per cercare petrolio al largo delle coste italiane sono le royalties.
«Si passa - denunciano da Legambiente - dall’attuale 4% al 7%, percentuali che fanno sorridere rispetto a quelle praticate nel resto del mondo dove oscillano tra il 20% e l’80%». C’è poi il capitolo Puglia, una delle regioni più interessate da richieste di nuove prospezioni e che più si sta battendo perché il governo torni sui propri passi e preservi dalle trivellazioni il mare Adriatico.
«La Puglia dice un chiaro e secco no alle trivelle - dichiara Francesco Tarantini, presidente di Legambiente Puglia -. La Spectrum Geolimited e la Petroleum Geo Service Asia Pacific hanno avanzato nuove richieste di prospezione al ministero per estendere i loro interessi ad Andria, Barletta e Trani. Petroleum Geo Service Asia Pacific ha ricevuto il parere sfavorevole della Regione. Anche se il parere degli enti locali non è vincolante, ci auguriamo sia preso in considerazione. Il mare è infatti un’importantissima risorsa ambientale, ma anche economica per le comunità costiere».


La Basilicata ora blocca altre trivelle
di Massimo Brancati
POTENZA - La Basilicata ferma le trivelle. «Congelate» le nuove domande di ricerca per evitare un assalto alla diligenza da parte delle compagnie petrolifere in un territorio già ampiamente «perforato». Il governatore lucano Vito De Filippo ha inserito nel maxiemendamento all’assestamento di bilancio un articolo (il 19 «octies») che, in sostanza, formalizza quanto lo stesso presidente della giunta regionale aveva esplicitato ad agosto dello scorso anno: «O ci danno infrastrutture, sviluppo e lavoro o in Basilicata - disse De Filippo - non verranno rilasciate altre autorizzazioni per nuovi pozzi petroliferi».
In un anno è cambiato poco o nulla e ora quelle parole si sono tradotte in un atto formale. Parole ispirate, oggi come allora, da un’analisi dello Studio Wood Mackenzie per il Ministero dello Sviluppo economico dalla quale emerge che il beneficio dell’attività petrolifera per le casse erariali raggiunge il 40 per cento del valore totale del greggio estratto, mentre i diritti di sfruttamento per la Basilicata sono al sette per cento (a cui si aggiunge un altro tre per cento che va allo Stato). Numeri alla mano, dunque, lo Stato incassa molto e trasferisce poco. «La disponibilità della Basilicata a farsi carico dell’esigenza strategica di ridurre la dipendenza energetica del Paese dall’estero - dice oggi De Filippo - non può e non deve intendersi come la disponibilità a subordinare ogni proprio progetto di sviluppo all’attività estrattiva. Stiamo dando un contributo notevole al Paese attraverso i pozzi della Val d’Agri, un contributo che aumenterà ancora con l’avvio del progetto estrattivo di Tempa Rossa. Abbiamo ancora indicato una possibile ulteriore possibilità estrattiva sempre in Val d’Agri, ma - avverte il governatore - a patto di non aumentare il numero dei pozzi, di avere le migliori tecnologie per la tutela ambientale e di avere, finalmente, quelle contropartite di sviluppo che, oggettivamente, dal programma avviato nel 1998 non ci sono state. Ma a questo punto riteniamo ragionevole che non si possa continuare a chiedere di farsi ulteriormente carico da sola di questo grande problema nazionale a questa piccola regione per la quale in altri momenti della vita di questo Paese, penso ad esempio alla vicenda delle Province come a quella dei Tribunali, non si fanno differenze e sconti in virtù delle proprie peculiarità.
Insomma - conclude De Filippo - sul fronte energetico la Basilicata ha già dato, sta continuando a dare in attesa ancora delle contropartite, ma oggettivamente non può dare di più».
L’emendamento blocca-trivelle, però, non convince fino in fondo il coordinamento nazionale «No-triv»: «Si presta - dice - a volontarie e ambigue interpretazioni favorevoli alle compagnie petrolifere in quanto, recita, a margine, «... sono fatte salve nuove intese relative a titoli minerari in essere». In parole povere si intende bloccare tutto a parole - conclude il coordinamento No-Triv - ma nei fatti si fanno salve tutte le istanze già presentate in via Anzio per i pareri e le autorizzazioni». Soddisfatto, invece, senza riserve il leader lucano dei Radicali, Maurizio Bolognetti: «Mi auguro che questa scelta coraggiosa e finalmente lungimirante di De Filippo venga sostenuta e approvata dall’intero Consiglio e che non prevalgano tatticismi di sorta».
Oggi in Basilicata, lo ricordiamo, si registrano due gruppi di concessioni estrattive: l’Eni-Agip, con il Progetto Trend 1 in Val d’Agri, e un secondo gruppo intestato a Total con il Progetto Tempa Rossa che dovrebbe entrare in produzione entro il 2015.
L’estrazione maggiore del greggio si concentra in Val D’agri con la titolarità di maggioranza dell’Eni (60,77 per cento) e di minoranza della Shell (39,23 per cento). La produzione giornaliera, misurata il 29 febbraio 2012, è pari a 89.423 barili, e un ammontare di 5.229.633 di barili estratti dall’1 gennaio 2012 ad oggi. Mentre per l’estrazione sul territorio di Serra Pizzuta, in località Pisticci, di completa titolarità dell’Eni, ci si attesta su una produzione di 224 barili al giorno, misurati il 29 febbraio 2012, e di 14.265 barili estratti da gennaio 2012.
Al 31 dicembre 2011, i permessi di ricerca già vigenti sono 12, le istanze per il conferimento di nuovi permessi di ricerca sono 17 (quest’ultimo dato è aggiornato al 30 giugno 2012).

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9/6/2012





4/6/2012
Basilicata e petrolio crescono gli occupati ma ancora pochi lucani
di ANTONELLA INCISO
Petrolio e lavoro. Estrazioni di greggio e prospettive di impiego. È questo uno degli snodi più delicati sul fronte delle estrazioni petrolifere in Basilicata. Un punto determinante e sentito che, nonostante qualche perplessità, a sentire l’Eni, sembra avere preso una piega piuttosto positiva.
Secondo gli ultimi dati dell’ente petrolifero sul numero degli occupati nei centri oli di Viggiano e Pisticci, che confermano, rispetto all’anno scorso, un andamento in crescita del personale impiegato. In particolare, nel centro olii della Val d’Agri, gli occupati diretti sono stati 289, mentre gli indiretti 2.101. Nel centro olii di Pisticci, invece, 8 sono le persone occupate direttamente e 7 quelle occupate indirettamente. In entrambi i casi, però, con un incremento rispetto al passato, se si considera che nella precedente relazione in Val d’Agri gli occupati diretti avevano toccato quota 139, mentre nel centro olii di Pisticci gli occupati diretti erano stati nove. Ad essi, poi si aggiungevano gli occupati indiretti, ossia i contrattisti: 1.520 per i giacimenti della Valle dell’Agri e 6 per l’area di Pisticci. Insomma, in base a questi dati forniti dall’Eni, c’è una crescita, per la Val d’Agri, delle unità dirette di 150 addetti e di quelle indirette di 581. Ma se le unità impiegate crescono, quante di queste sono lucane? Una piccola percentuale o un numero più sostanzioso?
La risposta, da parte di Eni, è articolata: da un lato va rilevato che i lucani non hanno raggiunto la metà degli assunti; d’altra parte va osservato che la percentuale di occupati lucani cresce anno dopo anno; inoltre, a dire dell’Eni, ottime prospettive occupazionali si potranno avere dalla quinta linea che sarà attivata prossimamente (per la quale è previsto un impiego medio di 400 addetti ed un picco per due anni di 700 addetti). Ad oggi, però, resta il numero dei lucani assunti: 140 dei 289 occupati diretti, e il 48,60 per cento dei 2.101 occupati indiretti (di cui 32,51 per cento residenti in Val d’Agri e 16,9 per cento residenti invece negli altri comuni lucani). Il problema di un aumento degli occupati lucani è però collegato a quello che richiedono le società petrolifere: soprattutto figure altamente specializzate. Figure tecniche ed altamente formate. Aspetto che si collega alla scuola di alta formazione che un anno fa è stata avviata in Basilicata. I corsi di questa scuola stanno andando avanti. Se ben sfruttata potrebbe costituire una nuova opportunità per i giovani della Basilicata.



26/5/2012
Estrazioni petrolifere. Potenza, a giudizio ex manager Total
di Fabio Amendolara
POTENZA - Ci sono l’ex amministratore delegato della Total Italia, Lionel Levha, e l’ex manager di Total Italia, Jean Paul Juguet. Ci sono i due ex manager della compagnia petrolifera, Roberto Pasi e Roberto Francini. E c’è il colosso del movimento terra Francesco Ferrara. E poi: l’ex presidente della Provincia di Matera Carmine Nigro, l’ex sindaco di Gorgoglione Ignazio Tornetta e altre 22 persone. Il giudice dell’udienza preliminare del Tribunale di Potenza Rosa Larocca li ha rinviati a giudizio ieri pomeriggio. L’accusa: corruzione.
Sarà il processo a chiarire se la gara d’appalto per la costruzione del centro oli a Tempa Rossa fu «truccata» e se i manager di Total Italia, così come sostiene la Procura, furono «avvicinati» dagli imprenditori dell’Ati Ferrara. Cade l’accusa di «associazione a delinquere». Il «capo a» della richiesta di rinvio a giudizio, come lo chiamano in gergo tecnico magistrati e avvocati - quello che riassumeva il pensiero del pm Henry John Woodcock (che ha condotto l’inchiesta poi ereditata dal sostituto procuratore Salvatore Colella) sull’affare Tempa Rossa - non regge. Ed esce dal fascicolo.
Il processo «Totalgate» si concentrerà quindi sulla sostituzione delle buste per la gara d’appalto di Tempa Rossa. Per la Procura a turbare l’appalto ci sarebbero state «collusioni e mezzi fraudolenti». Le buste con le offerte, secondo l’accusa, furono sostituite. Ferrara, in cambio, avrebbe promesso ai vertici Total la stipula di un contratto quinquennale di fornitura di lubrificanti e carburanti. Valore? 15milioni di euro.
L’agente territoriale di Potenza della Total, Vito Romano, che stipulò di fatto il contratto, però, è stato prosciolto «per non aver commesso il fatto». Con la stessa motivazione è stato assolto un anno fa, dall’accusa di corruzione, il deputato del Pd Salvatore Margiotta (il pm Woodcock - prima di lasciare la Procura di Potenza per quella di Napoli - ne chiese gli arresti domiciliari, respinti dal Parlamento il 18 dicembre del 2008 e poi annullati dal Tribunale del Riesame pochi giorni dopo).
Ma alcuni indagati sapevano dell’inchiesta già prima delle richieste di misura cautelare.
Il processo (la prima udienza si terrà il 26 settembre, subito dopo la pausa estiva) dovrà accertare cosa è accaduto con i documenti riservati dell’inchiesta «Totalgate» che finirono nella mani di Ferrara (gli investigatori della Squadra mobile di Potenza, che hanno condotto le indagini, trovarono nella sua cassaforte un fascicoletto di poche pagine con la bozza della trascrizione di alcune intercettazioni ambientali senza timbri della Procura e senza firme).
Per quell’episodio c’è un capo d’imputazione a carico di Vito Vincenzo Basentini e Michele Santangelo (il pubblico ufficiale infedele è rimasto ignoto). «Aiutarono Ferrara - secondo la Procura - a eludere le indagini che in quel momento erano coperte dal segreto istruttorio».




11.3.12
Passera vuol spremere senza regole la petroliera Lucana
Rilanciando lo sfruttamento delle riserve nazionali di idrocarburi potremmo coprire “anche il 20% dei consumi rispetto al 10% attuale”. Per riuscirci, pero’, “dobbiamo adeguare agli standard internazionali la normativa di autorizzazione e concessione” che “non e’ oggi adeguata”, oltre ad essere “per molti aspetti molto piu’ restrittiva di quanto non sia previsto dalle normative europee”. Cosi’ Corrado Passera, ministro dello Sviluppo economico, delle Infrastrutture e dei Trasporti, nel suo intervento alla presentazione del rapporto di Italiadecide sul ‘governo dell’energia’, oggi alla Camera.
“Forse non tutti sanno che l’Italia ha riserve ingenti sia di gas che di petrolio e una parte importante di queste riserve e’ attivabile in tempi relativamente rapidi- spiega Passera- teoricamnte” pero’, visto che “parliamo di regole di governance e di meccanismi autorizzativi”. Vale pero’ la pena di provarci, perché “stiamo parlando della possibilita’ di coprire anche il 20% dei consumi rispetto al 10% attuale”, avverte il ministro. Insomma, “muoversi decisamente in questa direzione si porta dietro una serie di vantaggi grossi- segnala Passera- innanzitutto c’e’ la possibilità di mettere in moto fino a 15 miliardi di investimenti, di creare 25mila posti di lavoro stabili e addizionali, di ridurre la bolletta energetica di importazione di oltre 6 miliardi all’anno aumentando quindi il Pil di quasi mezzo punto percentuale, di ricavare piu’ di 2,5 miliardi di entrate fiscali sia nazionali che locali”. Quella del rilancio della produzione nazionale di idrocarburi “e’ quindi una grande area di opportunità che dobbiamo cogliere fino in fondo”, auspica Corrado Passera, ministro dello Sviluppo economico, delle Infrastrutture e dei Trasporti.
Per fare tutto questo, pero’, “dobbiamo adeguare agli standard internazianali la normativa di autorizzazione e concessione che chiaramente non e’ oggi adeguata, richiedendo passaggi autorizzativi lunghissimi- conclude Passera- oltre ad essere per molti aspetti molto piu’ restrittiva di quanto non sia previsto dalle normative europee che, a nostro parere, dovrebbero essere il punto di riferimento: non c’e’ ragione di andare oltre”. Insomma, inl ministro Passera vuol spremere la “petroliera” lucana senza regole d’accordo con il governatore lucano Vito De Filippo ed il suo Memorandum filo petroliere al motto “profitti a noi inquinamento a voi”.

11.3.12
Il PD insiste sulla linea della Basilicata petrolizzata
Il segretario regionale Speranza concludendo il dibattito interno  dei Focus PD tenutosi ieri a Stigliano sulle questioni ambientali si è detto convinto ” di ripristinare piena fiducia sulla questione ambientale, partendo dalla decisiva questione del petrolio e cercando di capire come si tengono insieme un interesse nazionale legittimo e un interesse regionale, che non possono essere separati. “Bisogna dare -  ha concluso – un segnale ai lucani che i temi dell’ambiente e della tutela della salute non sono negoziabili e che devono essere messi al centro del dibattito politico”. Una linea che cerca di tenere due piedi in una scarpa quella del segretario del PD Speranza, nel momento in cui il Ministro Passera annuncia l’incremento delle estrazioni ed il presidente della Regione Basilicata Vito De Filippo vuole il Memorandum del raddoppio delle estrazioni petrolifere e l’hub energetico con permessi di ricerca petrolifera che riguardano ormai i 2/3 del territorio regionale. Condizioni inaccettabili alle quali molti enti locali regionali si oppongono.


Per il settore energetico il 2012 si annuncia in salita
Il punto sul 2011 e le prospettive per l'anno in corso emersi dal convegno dell'Aiee. Gas, petrolio e rinnovabili gli ingredienti. Ma nella ricetta continua a mancare una strategia energetica nazionale
Flavio Padovan
12 Marzo 2012
 Continua il periodo difficile per il comparto energetico nazionale. I primi mesi del 2012 non hanno, infatti, registrato un'inversione di tendenza rispetto al 2011, che si è chiuso con i peggiori risultati degli ultimi 10 anni. È questo l'allarme lanciato nel corso del convegno “Il settore energetico nel 2011 e le prospettive per il 2012” organizzato a Roma dall'Aiee, l'Associazione italiana economisti dell'energia, per verificare lo stato di salute di tutte le principali fonti energetiche e dei settori industriali ad esse collegate.
Non mancano però alcuni segnali positivi: le rinnovabili, ad esempio, l'anno scorso hanno segnato un significativo balzo in avanti; inoltre, le emissioni di CO2 sono tornate ai livelli del 1990 (-16% rispetto al 2005); infine, alcuni interventi del nuovo Governo vanno ad incidere su importanti problemi del settore rimasti a lungo non governati.
Paese, imprese e famiglie: la bolletta è piu salata per tutti
A caratterizzare lo scenario italiano è il calo dei consumi, dovuto prevalentemente alla crisi economica e solo in misura minore alle iniziative di promozione dell'efficienza energetica; calo che però non è riuscito a compensare l'aumento generalizzato dei prezzi di quasi tutti i prodotti energetici che ha portato il saldo della nostra bilancia energetica a raggiungere il picco di 63 miliardi di euro, in aumento di oltre 10 miliardi (+19%).
A causa del rialzo dei prezzi, l'anno scorso famiglie e imprese hanno subito un aggravio medio dei costi energetici molto significativo, di circa 20% rispetto al 2010, secondo Edgardo Curcio dell'Aiee. La benzina ha superato la soglia di 1,80 euro al litro e il gasolio è arrivato a costare 1.75 euro, con un aumento del 32% rispetto al 2010. Il gas si è posizionato sulla Borsa (PSV) a un livello di 28,3 euro/MWh (+21% rispetto al 2010), mentre il Pun è passato da 64 euro/MWh a 72,2 euro/MWh nel corso dell'anno. Un trend di crescita dei prezzi dell'energia che non è stato però causato solo da aumenti dei prezzi del greggio e degli altri prodotti sulle piazze internazionali, ma anche da un forte incremento della tassazione. A questo proposito, Rita Pistacchio dell'Unione Petrolifera ha sottolineato che la componente fiscale del prezzo, che pesa per il 55% sui prodotti petroliferi, è un contributo importante per le finanze statali e regionali, e per questo il settore andrebbe sostenuto con interventi locali ed europei.
Petrolio, una filiera a rischio
Proprio il settore petrolifero è particolarmente in affanno, con conseguenze per l'intera filiera, ha ricordato Pistacchio. Siamo in un periodo di transizione perché il contributo del petrolio alla domanda energetica italiana sta diminuendo ancora: se nel 1990 copriva il 57% del fabbisogno totale, con il crescere dell'apporto prima del gas e poi anche delle rinnovabili, nel 2011 si è fermato al 39%, pari a 70,4 Milioni di tep. Resta però sempre al primo posto nel soddisfare la domanda energetica nazionale, seguito da gas naturale (36%), rinnovabili (11%), combustibili solidi (9%) e import (5%).
La diminuzione dei consumi di petrolio (-2,5% rispetto al 2010) e delle esportazioni (-6,8%) hanno messo in crisi l'industria della raffinazione del greggio: le lavorazioni totali sono scese del 5,9% e nel 2011 il tasso di utilizzo delle 15 raffinerie presenti in Italia (nel 1990 erano 36) è stato dell'85,8%, equivalenti a un surplus di 4-5 impianti. Una tendenza che accomuna l'intera area europea: secondo un'indagine di Woodmackenzie, nel 2011 il 75% delle raffinerie continentali risultava economicamente insostenibile, contro il 25% del 2009. Per quanto riguarda le zone di approvvigionamento del petrolio, la “primavera araba” e l'interruzione della produzione libica hanno modificato le quote finora sostanzialmente bilanciate tra le tre principali macro aree a favore dei paesi ex Urss, saliti al 37,9% del totale, contro il 35,7% del Medio Oriente e il 23,5% dell'Africa. A causa del crollo di export della Libia (-74,4% rispetto al 2010), l'Azerbaijan è ora il primo Paese esportatore di greggio in Italia, seguito da Russia, Arabia Saudita e Iran.
Nel 2011, a causa del calo della domanda e delle difficoltà del settore, molte imprese italiane sono state acquisite da aziende straniere: Edison è infatti passata sotto il controllo della francese EDF, ed ERG ha ceduto le sue attività nella raffinazione a Priolo alla russa Lukoil. Considerando anche le vendite di Italcogim e di altre imprese minori e la chiusura o il fermo di molti impianti di raffinazione, il 2011 ha visto ridursi fortemente la presenza italiana nel comparto energetico.
Il boom del fotovoltaico
Secondo gli ultimi dati Gse, la produzione di energia elettrica da fonte solare nel 2011 è aumentata del 463% rispetto all'anno precedente. Una crescita tumultuosa che, però, ha fatto notare Zorzoli di Ises Italia, nel 2012 dovrebbe rallentare in misura rilevante, per il blocco dello sviluppo di impianti su terreni agricoli.
Peraltro, secondo i dati del “Solar Energy Report 2012” anticipati dall'Energy & Strategy Group del Politecnico di Milano, già nel 2011 il mercato è diminuito dell'8% se si considerano gli impianti effettivamente realizzati.
Le previsioni per il 2012
Per quest'anno l'Osservatorio Aiee prevede un prezzo medio del Brent compreso tra i 110 e i 120 dollari al barile. Anche se, sul fronte internazionale, sono poco controllabili le spinte rialziste che possono derivare da fattori geopolitici. Da questo punto di vista preoccupano le tensioni con l'Iran per il programma nucleare, i cambiamenti politici in atto in Egitto, la crisi interna siriana e il poco stabile equilibrio etnico nigeriano.
I prezzi del carbone dovrebbero invece ridursi rispetto al 2011 per il rallentamento dell'economia.
Tra le note positive dell'anno appena iniziato, va segnalato il fondo Kyoto varato dal Ministero dell'Ambiente, un fondo rotativo di 200 milioni di euro, aumentato a 500. Poi la progressione delle rinnovabili che sembrano abbandonare il loro ruolo integrativo per diventare vere e proprie componenti di sistema, anche se rendono sempre più urgente l'adeguamento delle reti e la gestione della loro non programmabilità rispetto alle altre fonti elettriche.
Sul fronte del mercato del gas, Roberto Rocchi (Mise) ha annunciato che l'Italia si sta preparando ad assumere un ruolo non più solo di importatore, ma anche di hub per il transito del gas verso il resto dell'Europa. Il governo centrale ha concesso l'autorizzazione a vari impianti di rigassificazione e al progetto di stoccaggio sotterraneo di Rivara, tuttavia c'è il rischio che a livello locale questi progetti si fermino, come appena successo a Brindisi.
Infine, il Decreto liberalizzazioni, che è stato accolto positivamente, ma che desta qualche perplessità per l'efficacia delle misure proposte. «Se il nuovo Governo - conclude Curcio - ha affrontato alcuni temi importanti del problema energetico del nostro Paese, manca ancora di una visione generale e di una strategia energetica nazionale, richiesta ormai da tutte le parti economiche e sociali, che tenga conto dei tre traguardi fondamentali per una politica nazionale del settore: ridurre la dipendenza dall'estero, ridurre i costi per cittadini e imprese, migliorare l'ambiente». Obiettivi ambiziosi per l'attuale comparto dell'energia in Italia che, come ha sottolineato il coordinatore dell'evento, Carlo Andrea Bollino dell'Aiee, difficilmente potranno essere raggiunti senza il supporto del mondo finanziario.




I conti del petrolio «Il Governo riconosca la specificità lucana»
di ANTONELLA INCISO
Un modello regionale unico, distintivo con percorsi attuativi eccezionali. Una sorta di «specialità Basilicata» da richiedere al Governo ed all’Unione Europea. Sul petrolio la Regione ha le idee chiare: la Basilicata pesa sullo scacchiere nazionale, l’articolo 16 cambierà gli scenari sulle politiche energetiche e il programma operativo 2014 -2020 sta per essere avviato. Questo non può non avere dei riflessi per i lucani e soprattutto non può non avere riflessi in tempi brevi. A ribadirlo lo stesso governatore, Vito De Filippo, nella relazione sul petrolio e sulll’articolo 16 del decreto liberalizzazioni che è stato affrontato ieri in Consiglio regionale. Una relazione lunga, articolata, tesa a sfatare i miti, a chiarire le priorità e a schiarire gli scenari. Partendo da due dati: che la Basilicata non è una regione trivellata, ma è posta ad una notevole altezza programmatica.
«L’avvio della discussione sul programma operativo 2014-20 e le risorse dell’articolo 16, collocano la Basilicata ad u n’altezza programmatica che ci deve indurre a richiedere al Governo nazionale e alla stessa Commissione Europea una sorta di specialità, l’assunzione di un modello regionale unico e distintivo con percorsi attuativi eccezionali - precisa De Filippo - Dobbiamo fare bene e non abbiamo molto tempo. L’incrocio fruttuoso che si determina tra l’articolo 16 e la nuova programmazione richiama la storia regionale ad un nuovo protagonismo . L’art. 16 rappresenta la definitiva consacrazione dell’impegno che la Basilicata conduce da almeno 15 anni per il riconoscimento della funzione nazionale che esplica». Per il governatore lucano, infatti, la Basilicata è diventata «il laboratorio del federalismo energetico» e le attività che si avranno dopo l’articolo 16 «saranno un dossier sugli interventi, ed un nuovo contributo che i grandi players come l’Eni devono dare per lo sviluppo».
«Certamente – dice De Filippo - chiederemo il massimo nella sicurezza ambientale e nella tutela della salute, con le migliori e più avanzate tecnologie. Non possono mancare le risorse per completare il piano degli investimenti infrastrutturali, attrarre investimenti nei settori più avanti dalla green economy alla homeland security, fino alla costituzione di un cluster internazionale nell’energia che dalle fonti fossili costruisca un modello democratico e sostenibile come nelle più avanzate strategie di Rifkin\». E per dare una dimensione della partita da giocare, De Filippo ha spiegato che «in Italia la royalty su terra è del 10 per cento e che il prelievo fiscale complessivo arriva tra il 63,9 per cento e il 68 per cento». Risorse che ora, almeno in parte, potrebbero essere utilizzate per finanziare programmi di sviluppo in Basilicata. Mantenendo, però, come fermi punti la tutela dell’ambiente e della salute. «Il dovere istituzionale principale in questa fase - aggiunge il governatore - è sicuramente quello ambientale e della salute. Va in questa direzione il potenziamento dei sistemi di monitoraggio, la certificazione, la diffusione e la comunicazione dei dati e la partecipazione territoriale alla gestione della qualità ambientale».
E se queste sono le direttrici è altrettanto vero che la Basilicata non è stata e non è una regione «gruviera» e qui non c’è lo strapotere delle compagnie petrolifere. «Nel 1998 la comunità regionale prese una decisione. Quel processo fu aperto con una democratica, direi trasparente, discussione pubblica che offrì ai decisori istituzionali tutti gli elementi per indirizzarsi verso quella scelta - aggiunge il governatore - Non si trattò certamente dell’unanimità ma sicuramente di una chiara, misurabile maggioranza dei soggetti in campo». Ebbene, ha spiegato il presidente, «sulla base degli accordi del 1998, in Basilicata l’Eni avrebbe dovuto realizzare 54 pozzi ma ad oggi ne sono in produzione 26 e ben 9 non saranno più realizzati con buona pace di chi paventa una regione-gruviera. Non uno in più è stato autorizzato né al momento prevediamo di autorizzarne, in assenza del consenso delle popolazioni locali». Infine, de Filippo ha illustrato come, negli anni passati, la Basilicata ha utilizzato le risorse del petrolio per i bilanci pubblici. Insomma, cose fatte e cose da fare partendo dal nuovo corso legato al memorandum. «Un corso iniziato 2 anni e mezzo fa - precisa De Filippo - per il quale ora incomincia la fase più delicata. Quella che deve mettere mano alla progettualità, ma specialmente alla realizzazione. A quella urgenza operativa che vuole confronto linearità e serietà. Mi rendo conto delle difficoltà ma so che dobbiamo e possiamo farcela».


I lucani capiscono come stanno le cose – se le capiscono – sempre e comunque dopo, molto dopo e troppo tardi. E cosi’ piangono per far pena. Da tempo immemore sono abituati a farsi scrivere dal parroco le suppliche al politico, al fine di ottenere - gratis et amore dei – “un aiuto” per un posticino di lavoro con la “busta a fine mese”; in cambio offrono la fedelta’ elettorale dell’intera propria famiglia: ognuno pianga la propria coglionaggine ed il padrino perso. E’ tardi, c’e’ l’ennesima Grande Ristrutturazione, non rientrate negli interessi elettorali dei sabaudo padani, percio’ non contate un cazzo, in fondo: come sempre. Carta canta: il petrolio non e’ roba vostra, e neanche il futuro.


Senza lavoro a 50 anni «Padri disoccupati nonostante il petrolio»
POTENZA - Questo è il testo di una lettera di un gruppo disoccupati di Viggiano over 50 inviata, tra gli altri, alla Regione, al presidente Monti e all’Eni. 
La disperazione di quanti denunciano di essere considerati «né carne, né pesce» dallo Stato. Sono soprattutto loro l’esempio delle contraddizioni che ruotano attorno alla Basilicata del petrolio. Che più del Texas assomiglia a scenari del Medio oriente. 
Siamo tanti padri di famiglia, over cinquanta, che da un giorno all’altro si sono ritrovati senza lavoro, senza un’occupazione, come si vuol dire “in mezzo la strada”, con la disperazione e l’umiliazione di ripartire da capo. Non siamo giovani e non siamo neanche vecchi per lo Stato, da poterci mandare in pensione. Per chi ci governa a livello nazionale, insomma, non siamo «né carne e né pesce». Eppure noi esistiamo e esistono le nostre famiglie. C’è chi, a mala pena, riesce ad arrivare a fine mese con dei piccoli lavoretti a nero, chi con un misero sussidio di disoccupazione. Alcuni di noi hanno investito nel costruirsi una casa e oggi non hanno più il posto di lavoro. Siamo invisibili per le Istituzioni locali che non hanno neanche il tempo di ascoltarci. Passiamo le giornate a peregrinare alla ricerca di un lavoro, ma non riceviamo altro che porte in faccia. Il governo Monti, in questo periodo di crisi, ci ha detto che «bisogna stringere ancora di più la cinghia», ma noi quale «cinghia» dobbiamo stringere se non abbiamo neanche più i pantaloni? Ci ritroviamo, quotidianamente, con la mortificazione di dover dire al proprio figlio che il padre non ha più lo stipendio per aiutarlo agli studi. Siamo cinquantenni che stanno perdendo tutto. Ed è proprio vero che l'esistenza di un disoccupato è una «negazione al diritto di vivere peggiore della morte stessa perché nessuno ti da la possibilità di ricominciare e rimetterti nuovamente in gioco». Oggi se un trentenne non può costruirsi un futuro perché lavoratore precario, figurarsi per un cinquantenne che con moglie e figli giovani spesso da mantenere, una volta perso il lavoro, vede il proprio futuro distrutto. Ogni giorno dobbiamo lottare con disperazione e rabbia per andare avanti. Eppure apparteniamo tutti alla Val d’Agri, all’area definita Texas d’Europa, per il più grande giacimento petrolifero che copre oggi il 6% del fabbisogno nazionale. Apparteniamo a Viggiano, al paese chiamato «capitale del petrolio». Ebbene sì. Tanta ricchezza e allo stesso tempo tanta povertà e disoccupazione. E noi ne siamo un esempio. Oggi con questa lettera, gridiamo a gran forza «aiutateci» a farci uscire da questo stato, prima che qualcuno di noi si trovi a compiere gesti estremi che nella propria vita non avrebbe mai voluto compiere. Il nostro è un grido di dolore e di rabbia e, allo stesso tempo, di allarme a una condizione che ormai non riusciamo più a sostenere. Non chiediamo elemosine o compassione ma il giusto rispetto per i diritti d’una persona. 
Aiutateci a trovare un lavoro che ci faccia continuare a vivere dignitosamente e a riprendere una esistenza normale. Abbiamo cercato con le nostre parole di esprimere la situazione di disagio che stiamo vivendo. Grazie a chi avrà la pazienza di leggere queste poche righe, a chi avrà la bontà d’ascoltare questo nostro grido di dolore e a chi potrà darci una mano a risolvere questo problema.
06 Aprile 2012
http://www.lagazzettadelmezzogiorno.it/notizia.php?IDNotizia=508298&IDCategoria=12