Petrolio, unire le Valli nella battaglia
I sindaci pensano al
ricorso al Tar contro la Regione
Pronto un manifesto
programmatico da sottoscrivere. L’intento è quello di “democraticizzare” la
risorsa petrolio, trasformare la gestione verticistica delle royalties in un
sistema di distribuzione orizzontale del denaro.Se il petrolio è una risorsa
lucana, allora ne devono beneficiare tutti.
di ROSANGELA PEPE
SPINOSO – Si incontreranno l’11 settembre prossimo i
sindaci “ribelli” della Val d’Agri. Lo faranno con un manifesto programmatico,
una sorta di carta di intenti che sarà anche una “chiamata alle armi”.
L’intento è quello
di “democraticizzare” la risorsa petrolio, trasformare la gestione verticistica
delle royalties in un sistema di distribuzione orizzontale del denaro.Se il
petrolio è una risorsa lucana, allora ne devono beneficiare tutti. E per fare
questo c’è bisogno di un fronte compatto, larghissimo e soprattutto cosciente. Ieri
all’incontro di Spinoso, la “fase due” del progetto dei sindaci “ribelli” si è manifestata
quasi al completo.
Non è la battaglia
di una valle, di un gruppo di paesi, è una battaglia lucana, che guarda a tutti
quei Comuni che nel corso degli anni hanno chiesto un’equa distribuzione del
petrolio. Dopo le dichiarazioni del presidente di Nomisma Energia, di togliere
«le royalties agli enti locali che le interpretano come compensazioni per un
danno che in realtà non esiste» e sul
«raddoppio del’’estrazione», sale la preoccupazione tra i sindaci dell’Alta e
Medio Agri e si fa fronte comune anche con il materano.
Infatti «l’unione fa
la forza» è stata in qualche modo la parola chiave circolata nei diversi interventi susseguiti
nell’incontro, convocato d’urgenza dai sindaci Vincenzo Vertunni, Mario Di
Sanzo, Michele Grieco, Cesare Marte, Pasquale De Luise e Ugo Salera,
rispettivamente amministratori di Grumento Nova, Montemurro, Sarconi, Spinoso,
Paterno e Tramutola. Questa volta però a dare man forte alla riunione erano
presenti nella sala conferenze della chiesa madre del centro spinosese, altri
amministratori del Medio Agri, del Melandro e del Materano.E questa presenza non
è solamente “di facciata”.
L’obiettivo finale
dei sindaci è quello di creare un fronte unico che unisca le valli Camastra,
Basento e Agri, aggiungendo anche Tito. A settembre saranno molti di più i
sindaci “ribelli”.
Primi cittadini che
cercheranno di smentire le voci politiche che vedono l’ennesima protesta come
un timido tentativo di rimettere nei ranghi una politica regionale un po’
addormentata.
Nel programma non
c’è soltanto «petrolio» e «distribuzione delle royalties». C’è da guardare
anche «Al sistema di assunzioni interessati dalle attività estrattive e
questione ambientale». per fare questo c’è bisogno di «trovare un percorso
comune con tutti».
Ad aprire il
dibattito – confronto e a dare un quadro
generale della situazione è stato il sindaco di Spinoso, De Luise che fra un
intervento e l’altro ha puntualizzato la preoccupazione e la rabbia verso una
condizione che da anni imperversa nel territorio della Val d’Agri e «stanchi
di affidare le loro istanze a delegati
che in questi anni hanno dimostrato poco
interesse o, nella migliore delle ipotesi, scarsa incisività nel rappresentare,
prima di qualsiasi altra cosa, le esigenze
collettive e prioritarie della popolazione valligiana».
Principio
fondamentale per il sindaco di San Chirico Raparo, Claudio Borneo che le «royalties
debbono rimanere alla Regione Basilicata, è fondamentale» e bisogna – dice
- «fare un fronte compatto per tornare a
fare forme di protesta unitaria». ma per fare questo bisogna avere le idee
chiare. La prima operazione da attuare per Borneo «è fare unione non solo sugli
interessi della Val d’Agri»; seconda azione ipotizzata, «un ricorso al Tar
contro la Regione Basilicata per l’utilizzo delle royalties, destinate alla Val
d’Agri – in riferimento alla legge 40 per compensazione ambientale - per tutto tranne per le finalità stabilita
nella normativa. La Regione - solleva
Borneo - deve fare dei tagli, non deve pensare che con le royalties risolva
tutto. Anche perché sono oltre tre anni che i sindaci del Programma Operativo
non usufruiscono della ripartizione delle risorse proveniente dall’attività
estrattiva». Sulla stessa lunghezza d’onda il Sindaco di Paterno, Grieco che ha
ripreso la legge 40, indicandone la
necessità di «una pianificazione dell’utilizzo delle royalties».
Punto di partenza e
motivo di unione. «Bisogna mettere in piedi una piattaforma di rivendicazione –
ha evidenziato - che guardi sia alla questione ambientale che a quella
occupazionale. Ma abbiamo bisogno anche di una politica che sia capace di dare
risposte su questo». Ambiente, salute e lavoro ma anche un capovolgimento della questione del «decentramento e dello snellimento
burocratico». «Per chiedere un parere alla Regione - ha aggiunto Grieco - devo fare la via
crucis. Molte funzione devo essere decentrate ai comuni. Bisogna capovolgere
questa situazione».Per il primo cittadino di Sarconi, Cesare Marte la richiesta
è «che ci sia un ritorno concreto alle popolazioni. Bisogna cambiare – ha
spiegato - tendenza. Oggi non è la prima
riunione ma l’ultima di tante altre. All’inizio il tema del petrolio era tabù
ora tutti ne parlano volentieri. Il problema lo dobbiamo centrare non solo
nell’erogazione delle royalties, ma nella questione ambientale e della salute».
La conclusione «ci
dobbiamo sacrificare però da questo sacrificio qualcosa ritorni perché le
scelte fatte fino ad oggi non ci hanno soddisfatto». Riprende la faccenda
dell’utilizzo e dello spreco delle royalties il sindaco di Pisticci, Di Trani, facendo riferimento al comune di
Viggiano e al concerto dei Pooh nonostante la smentita del manager sui 200mila
euro. «Tanta gente – solleva - non
riesce a sbarcare il lunario, la contraddizione deve essere superata».
«Estraggono il
petrolio, ci prendono la ricchezza – ha commentato - e le infrastrutture non vengono realizzate.
Sinnica, ospedali – soppressione di pronto soccorso – e tanto altro. Questo è il modo di fare della politica e
delle clientele a discapito della gente». «Siamo disposti ad accettare
l’aumento estrattivo? E’ stato l’interrogativo posto dal primo cittadino di
Sant’Arcangelo, Esposito. «Se dobbiamo fare lotta comune i benefici devono
essere regionali. Discutere come soggetto politico territoriale, attenersi a
temi ambientali e occupazionali. Dobbiamo stare insieme e dire no alle compagne
petrolifere per l’aumento di produzione».
Un no all’aumento
della produzione anche da parte del Sindaco del centro grumentino, Vertunni che
ha sottolineato come «l’argomento petrolio si estende a macchio d’olio. Ed è
l’elemento denaro che crea discordia. Quello che c’è, è sufficiente. Bisogna –
ha chiosato - prendere una posizione
netta e precisa».
sabato 24 agosto
2013 08:03
«Bonus benzina scippo Veneto» Ecco come vanificare
172 mln
POTENZA - «Per il
terzo bonus idrocarburi non si sa come andrà a finire per via del Consiglio di
Stato, ma quando avrò quei 140,25 euro del secondo bonus che il Ministero dello
Sviluppo economico ha riconosciuto che mi spettavano, come ho verificato
collegandomi al sito?». Domanda ancora senza risposta. Perché se è certo che
quella somma sarà riconosciuta a tutti quei cittadini che ne avevano diritto
(verifica che è possibile ancora fare fino al 30 settembre accedendo alla
pagina web del Ministero dello sviluppo economico
http://unmig.sviluppoeconomico.gov.it/unmig/bonus/verifica/verifica.asp), non è
ancora certo cosa succederà dopo la nuova ripartizione del Fondo idrocarburi
lievitato a 172 milioni di euro per le produzioni del 2011 e del 2012 dopo i
versamenti di Eni e Shell nel 2012 di 78,9 milioni e di 93,2 milioni nel 2013.
Ferragosto è passato e dalla prossima settimana al Ministero dello sviluppo
economico si ricomincerà a lavorare per sbrogliare quella difficile matassa:
includere nel beneficio del bonus idrocarburi le regioni dove si trovano i
rigassificatori. Come fare? Dopo la notifica della decisione del Consiglio di
stato Il Ministero dello sviluppo economico e il Ministero dell’Economia e
Finanze provvederà a riformare il Decreto ministeriale prevedendo il ristoro
nei confronti delle attività di rigassificazione. Ma non sarà cosa facile,
perché gli uffici predisposti dovranno chiarire esattamente in cosa consiste la
produzione di un rigassificatore, che tecnicamente è costituita dalla
trasformazione di stato da liquido a gassoso. Questioni di natura tecniche per
determinare quanto spetta in percentuale, alle regioni dove c’è attività
estrattiva e a quelle dove ci sono rigassificatori. Questioni sostanziali per
decidere se dimezzare il bonus dei lucani a beneficio di veneti o liguri o
attribuirgli, togliere solo una piccola percentuale. Salvo poi, fatti salvi gli
effetti dei primi due bonus, trovare un modo per compensare con il nuovo Fondo
le mancate entrate nei due anni precedenti alle regioni dei rigassificatori. Ma
nella ridda di numeri per quantificare il terzo bonus, che nella peggiore delle
ipotesi sarebbe ridotto a meno di 80 euro e nella migliore a circa 160 euro
contro i previsti circa 170 euro, si perde di vista lo spirito della norma. E
se il coordinatore regionale del Pdl Guido Viceconte, intervistato alla
Gazzetta sul bonus ricorda «è una storia antica.... C’è un piccolo blocco, con
una sentenza del Consiglio di Stato che lo ha ridimensionato... È un sacrosanto
diritto e faremo, in tempi rapidi, provvedimenti legislativi per averlo». Ma
questa storia antica vale la pena di ricordarla. E proprio mentre arrivava la
bozza del decreto di ripartizione del primo Fondo nel 2010, anche allora
sull’ammontare del bonus si discuteva. Era il 30 luglio e la Gazzetta titolava
: «Sconto sulla benzina ma è guerra sulle cifre. De Filippo: solo 70 euro.
Latronico e Taddei: no, 100 euro». E se il Pd tuonava «decreto contro la
regione... mossa propagandistica, ma il governo non si occupa degli ultimi e
mostra la sua scarsa sensibilità sociale». «E la vecchietta che non guida e non
ha l’auto? La famiglia con un solo patentato?» Non è un’elemosina replicava,
infatti, il Pdl. «Abbiamo vinto una battaglia cominciata nel 2006 a cui non
credeva nessuno puntando sull’art. 45 che ha aumentato di 3 punti le royalty
portandole dal 7 al 10 per cento». E poi ricordava: «ci fu un attacco del
centro sinistra che paventò il dirottamento dei soldi al Veneto. I fatti
dimostrano che avevamo ragione noi». Ma al di là dei «botta e risposta» che
continuano, sono quei 172 milioni per fare benzina che dovrebbero far
riflettere. [l.ier.]
22 Agosto 2013
Petrolio/l'intervento: LE ELEZIONI, NOMISMA E
IL CONTROLLORE BENEVOLO
Estrazione solo dove
possibile in trasparente e verificabile sicurezza: i cittadini di oggi e di
domani devono stare tranquilli e anche quelli di una vasta area al contorno che
attualmente usufruiscono dell'acqua proveniente dalla val d’Agri!Un’altra
soluzione?
di FRANCO ORTOLANI*
E’ inutile non
riconoscere che le prossime elezioni regionali in Basilicata saranno fortemente
influenzate da coloro che sono industrialmente ed economicamente interessati,
nelle varie modalità, all’estrazione a tutti i costi degli idrocarburi.
continua a pagina
6Il programma di costoro è semplice e diretto ed è stato chiaramente
tratteggiato dal presidente di NE (Nomisma Energia, gruppo lobbyconsulente
privato che influenza non solo le società private...) Tabarelli: «Le riserve di
gas e petrolio sono dello Stato e pertanto di tutti gli italiani e l’obiettivo
deve essere di favorirne la valorizzazione a beneficio di tutti i cittadini...
I crescenti poteri affidati agli organi locali, rendono difficili e onerosi, a
volte impossibili, i progetti in Italia… è necessario pensare a qualche forma
di penalizzazione per quelle regioni che ostacolano lo sfruttamento di una
risorsa che appartiene a tutti gli italiani».
Ovviamente i clienti
di Nomisma pensano agli affari loro!
Però devono farlo
sempre nel rispetto delle leggi vigenti che impongono di estrarre gli
idrocarburi senza incrementare i pericolo per i cittadini e per i loro beni.
Quest’ultima importante “clausola” è stata agevolmente aggirata facendo in modo
che chi doveva controllare per tutelare i cittadini e le risorse ambientali
abbia avuto un “occhio di riguardo”, non per i cittadini ma per gli estrattori.
Il risultato è che
nell’alta Val d’Agri, forse l’unica area petrolifera al mondo, le attività di
estrazione, ripompaggio di fluidi inquinanti ad alta pressione nel sottosuolo
interessato da faglie sismogenetiche che hanno già originato il disastroso
sisma del 1857 (X-XI grado MCS), le attività di prima raffinazione in loco, i
pozzi e gli oleodotti che attraversano gli acquiferi finora non hanno creato
alcun problema ambientale e per la salute dei cittadini!
Un vero e proprio
miracolo! Naturalmente attribuibile alla Madonna Nera di Viggiano! Oppure alla
benevola distrazione dei controllori? Su queste basi, accertato sulla carta che
finora non c’è alcun pericolo causato dalle attività petrolifere, ecco
Tabarelli che detta la lobbylinea.Se ufficialmente non risultano reati
attribuibili alla filiera dell’estrazione e lavorazione, se succede qualche
“incidente ambientale” non si può attribuire la colpa ai “petrolieri”.
Quindi le attività
petrolifere in Basilicata sono sicure e se qualcuno si oppone potrebbe anche
essere esiliato o esautorato! Naturalmente i mass media lobbydipendenti faranno
una infervorata campagna per sostenere questa linea. Però! Il problema non
riguarda solo la Basilicata. Gli eredi dei sanniti-lucani hanno molti validi
argomenti da portare all’attenzione degli elettori.Prima di tutto c’è la
corretta applicazione delle leggi emanate dal Parlamento Italiano negli anni
passati che tutelano la salute dei cittadini e la sicurezza dell’ambiente
antropizzato di superficie! Applicazione che non può continuare ad essere
“garantita” dai petrolieri stessi e dai loro amici ma deve essere trasparentemente
verificabile!
Devono essere eliminate
le attività che inducono sismicità nel sottosuolo (iniezione di fluidi ad alta
pressione nel sottosuolo) già tettonicamente instabile e “carico di energia
tettonica" che si sta accumulando dal 1857! Devono essere eliminati pozzi
e metanodotti che attraversano i serbatoi idrogeologici al fine di togliere
ogni possibilità di inquinamento delle falde di importanza strategica. Visto
che il Centro Oli di Viggiano (costruito nella zona in cui si ebbero i più
distruttivi effetti locali con il sisma del 1857) deve essere raddoppiato deve
essere delocalizzato a valle dell'invaso del Pertusillo.
Quest'ultimo poi, sembra che a causa dei
riempimenti e svuotamenti stia causando sismicità indotta di bassa magnitudo
lungo le faglie attive in sinistra e destra orografica dell’Agri, dovrebbe
essere adeguatamente gestito per eliminare le sollecitazioni lungo le faglie
attive.
A proposito delle
royalty, invece di finanziare interventi locali non duraturi, si deve fare in
modo che servano ad attuare un piano di interventi strutturali di messa in
sicurezza antisismica degli edifici pubblici e privati almeno dell’area che è
stata epicentrale nel sisma del 1857.
C’è poi da valutare
un’altra soluzione di strategica importanza per la nazione: conservare il
giacimento di idrocarburi presente nel sottosuolo della Basilicata come riserva
energetica di importanza strategica da utilizzare solo in caso di temporanea
emergenza internazionale che tronchi l’afflusso di idrocarburi in Italia.
Niente da obiettare
verso le attività estrattive che devono essere eseguite nel pieno rispetto
delle leggi vigenti e anche di quelle che possono essere emanate per
incrementare la sicurezza ambientale e garantire la fruibilità, a pari titolo,
delle risorse naturali profonde e superficiali: siccome la superficie del suolo
è abitata da secoli dai discendenti dei lucani si deve fare in modo che non si
causino nuovi problemi.
Estrazione solo dove
possibile in trasparente e verificabile sicurezza: i cittadini di oggi e di
domani devono stare tranquilli e anche quelli di una vasta area al contorno che
attualmente usufruiscono dell'acqua proveniente dalla val d’Agri!Un’altra
soluzione? Desertificare l’area lucana nel cui sottosuolo ci sono giacimenti di
idrocarburi!
*Professore di
geologia stratigrafica e sedimentologia Università Federico II Napoli
martedì 20 agosto
2013 07:58
Trivelle, No Triv mette l’avvocato «Nomisma è
dalla parte delle compagnie»
Il comitato replica
all’attacco del presidente di Nomisma energia. Continua il braccio di ferro
popolare sull'aumento delle estrazioni
di LEO AMATO
POTENZA - Per il
professore Davide Tabarelli, l’Italia sarebbe ostaggio dei “No triv”. Ma loro
non ci stanno e annunciano di stare valutando di citarlo per danni
d’immagine.E’ affidata a un avvocato, che è anche il portavoce di Mediterraneo
No Triv la replica alle affermazioni del
presidente di Nomisma Energia, che da Roma sei giorni fa aveva tuonato
contro chi sparge timori ambientali «poco fondati».
Tabarelli aveva
parlato anche di «ostacoli di carattere ambientale» che impediscono lo
sfruttamento dei giacimenti di greggio esistenti denunciando che «i crescenti
poteri affidati agli organi locali rendono difficili ed onerosi, a volte
impossibili, tutti i progetti». Per qusto propone l’abolizione delle royalties
per i territori delle estrazioni a favore di una nuova forma di prelievo
fiscale sulle compagnie destinata allo Stato. In più un sistema di sanzioni per
le «regioni che ostacolano lo sfruttamento di una risorsa che appartiene a
tutti gli italiani».
In soldoni: un
miliardo e mezzo di euro di royalties aggiuntive, più cinque di investimenti,
che altrimenti sono destinati a “fuggire” all’estero. «Tanto ardore di
Tabarelli - gli ha risposto Giovanna Bellizzi, del comitato Mediterraneo No
Triv - da spingersi ad ipotizzare, in modo a dir poco ardito, sanzioni per le
regioni che decidono di proteggere ambiente e salute dei cittadini, ci induce a
cercare di capire chi è questo signore e la compagnia che rappresenta.
Scopriamo così che è presidente della Nomisma energia, una società che tra
l’altro, individua nuove aree di business, strategie di marketing, promuove la
negoziazione e la conclusione di contratti di approvvigionamento (inclusa
l’importazione) e vendita di gas naturale e di altri combustibili. Inoltre, è
interessante scoprire che la società definisce anche le strategie di
comunicazione verso istituzioni, investitori e comunità territoriali in
relazione a iniziative e infrastrutture energetiche.
Quindi, è evidente
che le dichiarazioni di Tabarelli, oltre ad essere temerarie, sono anche di parte
in quanto la sua società persegue il business
economico del gas naturale e di altri combustibili».Quanto alla
Basilicata, il presidente non la cita mai in maniera espressa nel suo
ragionamento ma resta l’unica regione petrolifera “onshore” d’Italia. Inoltre
il “raddoppio della produzione” di cui parla passa necessariamente per
l’aumento delle estrazioni in Val d’Agri, secondo i “desiderata” dell’ultimo
piano industriale dell’Eni. A Bellizzi non resta dunque che constatare come sia
diventata «terra di conquista per le compagnie petrolifere e per tutte le
società di servizi che traggono profitto e lavoro da chi sfrutta il territorio.
Gli interessi sono enormi e tali da indurre anche ad elaborare strategie di
comunicazione particolarmente aggressive come quelle capaci di Tabarelli che
arriva al punto di parlare di “ostacoli ambientali”».
Quindi l’ambiente,
che secondo il Comitato No Triv verrebbe considerato da «questi signori» non
come qualcosa da proteggere ma soltanto un ostacolo.
E dato che «in genere
gli ostacoli o si aggirano o si scavalcano (...) se l’ostacolo ambientale in
Basilicata da superare è l’acqua, la terra e il mare» il rischio è davanti agli
occhi di tutti.«Per Mediterraneo No Triv - prosegue l’avvocato Bellizzi -
l’ambiente non è un ostacolo ma un valore da proteggere e tutelare così come il
diritto di ciascun cittadino di vivere in un ambiente sano e salubre e di poter
bere acqua potabile.
Ed è proprio qui la
differenza tra chi lavora per proteggere la terra, il mare e l’acqua e chi cerca
di tutelare i suoi interessi economici. Ricordiamo che in Italia vi sono
numerose leggi che proteggono l’ambiente e altrettante che puniscono
severamente chi inquina, e che le istituzioni non possono lasciarsi intimorire
da grossolane minacce di sanzioni economiche.
Il rischio non è certo l’applicazione rigorosa
delle leggi ma per chi amministra il bene comune vi è obbligo imprescindibile
di tutelare l’ambiente attraverso l’applicazione del principio di precauzione
vietando tutte quelle attività industriali che possono danneggiarla».In
conclusione: «le espressioni utilizzate da Tabarelli sono inopportune e in
grado di ledere l’immagine delle associazioni e dei comitati che intendono
promuovere la protezione dell’ambiente e della salute dei cittadini».
Motivo per cui
Mediterraneo No Triv spiega di avere l’intenzione «di valutare l’opportunità di
promuovere azioni legali» contro lo stesso Tabarelli.
giovedì 22 agosto
2013 09:03
«Raddoppiare subito estrazioni» Se la
Basilicata frena il Paese
Il presidente della
compagnia del cane a sei zampe al meeting di Cl. Recchi attacca
i ritardi sulle
nuove autorizzazioni e invoca il centralismo su decisioni e royalties
Il presidente della compagnia del cane a sei
zampe al meeting di Cl. Recchi attaccai ritardi sulle nuove autorizzazioni e
invoca il centralismo su decisioni e royalties
di LEO AMATO
POTENZA - L’esempio
delle cose che in Italia non vanno? La Basilicata, dove si potrebbe raddoppiare
le estrazioni portando 2 miliardi di royalties nelle casse dello Stato.
Attenzione: non dei territori. Più 10 miliardi risparmiati. Ma la «diluizione
del processo decisionale» lo impedisce, e si diventa vittime «dell’incapacità
di perseguire uin obiettivo vcon velocità», mentre «mondo va troppo veloce per
aspettare chi è lento».
C’è andato giù duro
il presidente dell’Eni, Giuseppe Recchi, al Meeting di Comunione e liberazione
in corso a Rimini commentando a distanza di 24 ore l’intervento del premier
Enrico Letta sulle colonne di Milano Finanza. Intervistato da Carla Signorile
il chairman della compagnia del cane a sei zampe di Sinisgalli ha preso spunto
dalla riflessione del presidente del Consiglio sulle regole che non hanno
funzionato. Di qui l’attacco alla «sovrapposizione di regole e controllori che
ha diluito la chiarezza del processo decisionale». Da una parte l’incapacità di
decidere, e dall’altra quella di colpire i responsabili di tutto ciò.
In concreto? Ovvio
che sia il tema del petrolio quello d’interesse. Infatti Recchia spiega che
l’Italia potrebbe diventare il terzo produttore di greggio in Europa dopo la
Norvegia e l’Inghilterra, nonostante qualcuno creda ancora che non esistano
giacimenti.
La Basilicata ne è
«ricca». Lì si potrebbero raddoppiare le estrazioni, che porterebbero 2
miliardi di euro di «royalties aggiuntive» nelle casse dello Stato da sommare
ad altri 10 miliardi che verrebbero risparmiati
«per acquisti e importazioni». Per questo però servirebbero 15 miliardi
di investimenti «che non si affrontano per via di una mancanza di strategia
Paese».
Perciò la richiesta
di un nuovo modello di governo dei processi che misuri le performance di un
ente nel concedere un’autorizzazione, o misuri la trasparenza di un partito.
Anche per ridare senso ai discorsi sulla meritocrazia delle competenze e della
capacità decisionali.
Se necessario anche
ricorrendo a una modifica della Costituzione. Impossibile non cogliere nelle
parole di Recchi l’eco di quelle pronunciate domenica dal responsabile Energia
di Nomisma, Davide Tabarelli, che aveva proposto l’abolizione delle royalties a
favore di una nuova forma di fiscalità per lo Stato e sanzioni per le regioni
che dicono no alle trivelle.
Quest’ultimo - però
- non si era mai rivolto in maniera espressa alla Basilicata, mentre il
presidente del gruppo di San Donato ha deciso di puntare dritto sull’obiettivo.
Un messaggio indirizzato a via Verrastro, dove giace da almeno due anni il
piano industriale dell’Eni che prevede l’aumento delle estrazioni in Val d’Agri
fino a 130mila barili al giorno, dai 104mila oggi autorizzati.
Ma in modo che da
Roma arrivi all’orecchio delle stanze che contano: Letta in primis, e poi chi
non ha smesso di ragionare di riforme, incluso un passo indietro sul Titolo V
della Costituzioni e le competenze attribuite alle Regioni in materia di opere
di rilevanza strategica nazionale. Per chi ha memoria: il piano dell’ex
ministro allo Sviluppo economico Corrado Passera.
Si farà? Verranno
centralizzati di nuovo i luoghi delle decisioni su petrolio ed energia? Le
pressioni perché accada dopo le parole di Recchi sono venute allo scoperto,
come pure il braccio di ferro in corso con la Regione Basilicata.
E i parlamentari
lucani? Al Meeting di Cl sono diversi quelli di casa, come l’onorevole
pidiellino Cosimo Latronico. Non può essere un caso che sia stato proprio lui
il primo a proporre un «accordo per lo sviluppo» della regione da finanziare
con i soldi dell’aumento delle estrazioni in Val d’Agri attraverso gli stumenti
previsti dal Memorandum e disegnati dall’articolo 16 del dl liberalizzazioni approvato
dal Governo Monti. Resta da capire quanto appeal può avere a sinistra una
prospettiva di questo tipo. Al di là dei professori di Nomisma. Specie in
campagna elettorale.
mercoledì 21 agosto
2013 08:05
«No Triv»: temerarie le parole del presidente
Nomisma
ROMA – Replica del
coordinamento dei movimenti 'No Triv Mediterraneo' al presidente di Nomisma
Energia, Davide Tabarelli, che nei giorni scorsi – in una conversazione con
agenzie di stampa – aveva puntato il dito contro i comitati 'No Trivelle' che
impediscono lo sviluppo della produzione di petrolio e gas in Italia, bloccando
investimenti e migliaia di assunzioni e maggiori entrate per lo Stato sulla
base di “timori poco fondati”.
Definendo le espressioni utilizzate dal
presidente di Nomisma energia “inopportune e in grado di ledere l’immagine
delle associazioni e dei comitati che intendono promuovere la protezione
dell’ambiente e della salute dei cittadini”, il portavoce del coordinamento di
comitati di cittadini di Basilicata, Puglia e Calabria, Giovanna Bellizzi, che
è anche avvocato, esprime “l'intenzione di valutare l’opportunità di promuovere
azioni legali contro Tabarelli”.
Bellizzi giudica “ardita” l’ipotesi avanzata
da Tabarelli di “prevedere sanzioni per le regioni che ostacolano lo
sfruttamento di una risorsa che appartiene a tutti i cittadini” e su Nomisma
Energia dice che è “una società che tra l’altro, individua nuove aree di business,
strategie di marketing, promuove la negoziazione e la conclusione di contratti
di approvvigionamento (inclusa l’importazione) e vendita di gas naturale e di
altri combustibili”. E ancora, osserva la portavoce di 'No Triv Mediterraneo',
“la società definisce anche le strategie di comunicazione verso istituzioni,
investitori e comunità territoriali in relazione a iniziative e infrastrutture
energetiche”.
Secondo Bellizzi, le dichiarazioni di
Tabarelli, “oltre ad essere temerarie, sono anche di parte in quanto la sua
società persegue il business economico del gas naturale e di altri
combustibili”. Parlando della Basilicata, la portavoce di 'No Triv
Mediterraneo' spiega che “è terra di conquista per le compagnie petrolifere e
per tutte le società di servizi che traggono profitto e lavoro da chi sfrutta
il territorio” e quindi “corre un grave rischio. Gli interessi sono enormi e
tali da indurre anche ad elaborare strategie di comunicazione particolarmente
aggressive come quelle capaci di Tabarelli che arriva al punto di parlare di
'ostacoli ambientalì” senza tener conto del “diritto di ciascun cittadino di
vivere in un ambiente sano e salubre e di poter bere acqua potabile”.
Bellizzi ricorda che “in Italia vi sono
numerose leggi che proteggono l’ambiente e altrettante che puniscono
severamente chi inquina, e che le istituzioni non possono lasciarsi intimorire
da grossolane minacce di sanzioni economiche. Il rischio non è certo
l’applicazione rigorosa delle leggi ma per chi amministra il bene comune vi è obbligo
imprescindibile di tutelare l’ambiente attraverso l’applicazione del principio
di precauzione vietando tutte quelle attività industriali che possono
danneggiarla”.
21 Agosto 2013
I soldi del petrolio. Mezzo miliardo di royalty
in 2 anni
di LUIGIA IERACE
POTENZA - Mezzo miliardo negli ultimi due
anni. Ma se guardiamo agli ultimi cinque, il miliardo è più che superato. A
tanto ammonta il contestato 10% di royalty (7% più 3% di bonus idrocarburi) che
le compagnie petrolifere (Eni e Shell) versano a Stato, Regione e Comuni per
l’attività estrattiva in Basilicata. È di 291,9 milioni di euro, infatti,
l’ammontare del gettito delle royalty versate al 31 luglio 2013 sulle
produzioni di idrocarburi della Basilicata sul suo territorio nel 2012. Su
tutto il territorio nazionale le compagnie hanno versato complessivamente la
somma di 349,2 milioni di euro e la gran parte sono per l’attività lucana.
Mentre al 31 dicembre 2012, per l’attività estrattiva del 2011, il gettito
versato dalle compagnie è stato di 245,4 milioni di euro. In tutto il Paese i
versamenti sono stati pari a 333,5 milioni di euro.
Certo non saranno i 6 o i 2 miliardi che il
cosiddetto «Memorandum», sottoscritto tra Regione e Governo nel lontano aprile
2011, dovrebbe portare in Basilicata, e che alcuni parlamentari provano a
quantificare nelle «maggiori entrate» di cui parla l’art.16 delle
Liberalizzazioni. Somme che dovrebbero arrivare, forse e chissà quando, tenendo
conto dei tempi della politica e di quelle strane intese tra forze politiche
che una volta vanno a braccetto e condividono successi (come nel caso della
firma del Memorandum con il sottosegretario Viceconte e il presidente della
Regione De Filippo), prendendo poi le distanze da plateali sconfitte come quel
3% di royalty che come vuole il proverbio «vedrà godere il terzo» e in questo
caso veneti e liguri, non importa in che misura, ma è certo che dovranno essere
reinseriti nella ridistribuzione del Fondo (lucano) idrocarburi dopo la Sentenza
del Consiglio di Stato.
E così mentre si «litiga» o si attendono fiumi
di soldi, si perde di vista quella «valanga» di royalty che ha generato la
Basilicata e che è una realtà, anche se nella sua parcellizzazione sfugge ai
più. Ma i numeri parlano da sè. E nelle casse lucane arrivano tanti soldi,
l’intero 7% perché dal primo gennaio 1999, lo Stato ha rinunciato alla sua
quota di royalty per le regioni del Mezzogiorno. Così la Basilicata di quel 7%
prende sia il 30% spettante allo Stato che il suo 55%, per un ammontare di
168,9 milioni di euro. Il restante 15% è appannaggio dei Comuni della Val
D’Agri: 29,8 milioni di euro così ripartiti: 19,6 a Viggiano, 4,3 a Calvello.
2,8 a Grumento Nova, 2,1 a Marsico Nuovo e 722 mila euro a Montemurro. Ma la
Basilicata poi alimenta per oltre l’80% quel Fondo idrocarburi che è lievitato
a 93,2 milioni di euro.
Lo scorso anno, al 31 dicembre 2012, ricco il
bottino versato dalle compagnie alla Regione Basilicata: 141,9 milioni di euro.
Mentre ai Comuni sono andati 24,6 milioni di euro così ripartiti: 15.9 milioni
a Viggiano; 3,6 a Calvello; 2,4 a Grumento Nova; 1,8 a Marsico Nuovo; 614 mila
a Montemurro e 84 mila euro a Garaguso. Il Fondo idrocarburi invece è stato di
78,9 milioni di euro, somma anche questa ancora indivisa.
Troppo facile tirare le somme e troppo facile
fare le considerazione sull’utilizzo delle royalty da parte di Regione e
Comuni, non dimenticando queste somme sono solo una parte di entrate che porta
il petrolio e di quelle che potrebbe portare legate al «Memorandum» o
all’incremento di produzione in Val d’Agri e per l’avvio dell’attività
estrattiva di Tempa Rossa.
Certo è che l’eccessiva polverizzazione delle
risorse ne fa sfuggire la portata, anche quando è la nostra spesa sanitaria o
la spesa corrente della Regione o la nostra Università a beneficiarne. Poi ci
sono anche i marciapiedi rifatti troppe volte, le sagre, le feste di piazza, i
vari «contentini » e le incongruenze di paesi straricchi e paesi poveri e
isolati.
Disoccupazione e malcontento che sfociano nei
luoghi comuni. «È solo un’elemosina». Dipende dai punti di vista, perché
guardando quelle cifre, forse una riflessione andrebbe fatta. Forse partendo
proprio da quei 172 milioni di euro di Fondo destinato alla riduzione del
prezzo dei carburanti negli ultimi due anni. Tanti soldi. Troppi in un Paese
che ha scelto di utilizzarli per ridurre il prezzo della benzina e del gasolio
per alcuni cittadini.
18 Agosto 2013
I sindaci ribelli della Val d’Agri riprovano:
«Pronti a disimpegno elettorale»
Nuovo incontro: al
centro salute e ricadute delle estrazioni
I primi cittadini
della Val d'Agri esclusi dai tavoli delle royalties difendono il proprio
territorio e minacciano in vista delle regionali. In arrivo un nuovo incontro:
al centro della riunione i temi di salute e ricadute economiche delle
estrazioni
di LEO AMATO
POTENZA - Hanno
deciso di tornare a farsi sentire Vincenzo Vertunni, Mario Di Sanzo, Michele
Grieco, Cesare Marte, Pasquale De Luise di Spinoso e Ugo Salera. Sono i sindaci
di Grumento Nova, Montemurro, Sarconi, Spinoso, Paterno e Tramutola, i 6 comuni
petroliferi “ribelli” della Val d’Agri.
Ma questa volta la
minaccia non sono più le loro dimissioni, quanto piuttosto il disimpegno
elettorale alle prossime regionali a scapito di contava sui voti di quei
territori. E dato che si tratta per la maggior parte di esponenti del Pd, anche
il destinatario è presto detto.
E’ stato convocato
per venerdì un nuovo incontro nella sala del consiglio comunale di Spinoso Al
centro, dopo l’accelerazione nella trattativa sull’accordo con Eni per
l’aumento delle estrazioni, la bocciatura del bonus benzina, la mobilitazione
dei colleghi della Valle del Sauro e l’annuncio del decreto attuativo del
memorandum che dovrebbe assegnare 2 miliardi di euro per lo sviluppo di
infrastrutture e occupazione in Regione, ci sarà una varietà di questioni aperte
sul tema delle trivelle: dalla salute alle ricadute economiche.
«E’ di questi giorni
- spiegano in una nota congiunta - la protesta di tutti i sindaci (salvo due),
dei comuni facenti parte della concessione mineraria Gorgoglione, contro un
metodo, consolidato già nell’Alto Agri, che vede attori solo le compagnie
petrolifere e pochi intimi. I pochi altri sono quei sindaci i cui uffici sono
interessati al rilascio di qualsivoglia autorizzazione».
I sei primi cittadini rivendicano di essersi
dimessi a gennaio proprio per denunciare questo metodo («e non altro»),
dimissioni, poi rientrate, «a fronte di impegni presi sul versante di una più
equa distribuzione delle royalties, di un sistema di selezione occupazionale
più trasparente e di un sistema di monitoraggio
ambientale più comprensibile».
Ma a distanza di
qualche mese «nonostante la pronta solidarietà sbandierata e le
relative dichiarazioni di impegno a
trovare delle soluzioni in tempi brevi, tutto, ad oggi, è rimasto come prima». «Si sono susseguiti in questi
mesi, una serie di incontri interlocutori e sterili, e abbiamo assistito , allo scioglimento
anticipato di un consiglio regionale, che mestamente, anche sotto il peso di
una indagine che ha messo in evidenza un sottobosco di miserie umane e morali, è naufragato».
Di qui la
riproposizione dei loro cavalli di battaglia. In primis sulla distribuzione
delle royalties, «perché la maggioranza dei Comuni, salvo qualche eccezione,
non riesce più a garantire ai residenti, i servizi minimi e, in
positivo, gli amministratori locali e le popolazioni registrano solo i bilanci delle promesse
vane». Poi il sistema di assunzioni «che
vede le compagnie petrolifere e l’
indotto, agire come se l’occupazione
poco o nulla avesse a che fare con i territori interessati dalle attività
estrattive: è di queste settimane l’assunzione di alcuni geologi provenienti da
altre regioni d’Italia, pur avendo questo territorio pagato un prezzo molto alto, se non altro in termini di
“immagine” e di modello da non seguire, anche oltre confine».
O ancora la
questione ambientale «visto che continuano a susseguirsi una serie di incidenti
all’interno di un centro oli di cui si conosce sempre troppo poco». In ultima
istanza, nonostante appaia come la più importante tra tutte le rivendicazioni,
quella di «essere coinvolti concretamente
ai tavoli decisionali, dove si
programma il futuro delle comunità che rappresentano, stanchi di affidare le loro istanze a delegati che in
questi anni hanno dimostrato poco
interesse o, nella migliore delle ipotesi, scarsa incisività nel rappresentare,
prima di qualsiasi altra cosa, le
esigenze collettive e prioritarie della
popolazione valligiana». «La questione della governance territoriale non dovrebbe neanche essere
argomento di questa discussione, ma è sotto gli occhi di tutti l’agonia in cui
versa, giusto per fare un esempio, il Consorzio di bonifica la cui inefficienza
condiziona la vita stessa di tanti allevatori e agricoltori, facendo vivere
nella più assoluta precarietà lavorativa e retributiva gli stessi
dipendenti.
La Val d’Agri,
serbatoio di petrolio, voti e clientele, abbandonata all’incertezza del
presente e del futuro. Un tentativo, anche grazie a quelle dimissioni, si sta
facendo, solo per iniziativa locale, sulla destinazione di una percentuale di
gas alle popolazioni del posto. Ma non basta: tutte le richieste sono rimaste
lettera morta e si avvicinano le elezioni regionali. Per i candidati
l’obiettivo fondamentale sembra essere la propria elezione. Per i Sindaci,
invece, l’obiettivo rimane quello dell’interesse dei propri territori e, in
mancanza di risposte certe e immediate, sono pronti a disimpegnarsi
completamente sul fronte elettorale».
Un aut aut, senza
appello, che in vista delle urne non passerà di certo inascoltato.
lunedì 19 agosto
2013 07:50
Parchi eolici a Venusio Asja raddoppia
DONATO MASTRANGELO
Asja Ambiente raddoppia. La società per azioni torinese dopo il progetto per la realizzazione di un impianto della potenza di 19,8 megawatt con 6 aerogeneratori in località Ciccolocane nei pressi di Venusio, intensifica le mire di espansione nell’asset dell’energia eolica sul territorio materano. Stavolta gli appetiti della società piemontese si sono concentrati ancora nella zona al confine con la Puglia. Asja Ambiente, infatti, ha acquisito da Fortore Energia spa e Guastamacchia Energia spa le quote relative al progetto della Meltemi Energia srl per la realizzazione di un parco eolico in contrada Le Reni sempre a Venusio.
Si tratta un un impianto della potenza di 30,5 megawatt che prevede la installazione 9 aerogeneratori. Meltemi srl attraverso le sue ramificazioni societarie ha in pratica svolto il ruolo di greenfield developer ovvero sviluppatori che identificano le aree idonee alla realizzazione di impianti eolici, elaborano il progetto di massimo ed ottengono le relative autorizzazioni per poi cedere a terzi il diritto di costruzione dell’impianto. Ciò che invece non cambia sul piano sostanziale è il pericolo di impatto visivo che i progetti eolici possono determinare non soltanto a ridosso dell’a re a protetta della Murgia ma anche tra Venusio, Timmari e Picciano, siti che hanno una particolare specificità paesaggistica e dove già insistono altri impianti.
Il tema, dell’integrità del paesaggio dell’habitat rupestre e della conservazione e conservazione dell’avifauna, nel caso della Murgia, ha mobilitato oltre alle associazioni ambientaliste e gli operatori del comparto turistico-alberghiero anche l’Amministrazione comunale e il Parco della Murgia Materana che per il progetto di Zefiro Energy, un impianto da 37,5 megawatt con 15 aerogeneratori in località Le Matine si sono opposte all’iniziativa, inoltrato ricorso al Tribunale amministrativo regionale della Basilicata. Una azione, quella di appellarsi all’or - gano giurisdizionale, portata avanti pur in presenza di una sostanziale retromarcia di Zefiro che ha rinunciato a partecipare all’asta indetta dal Gse, il gestore dei servizi energetici.
Adesso quello che si aspettano le associazioni locali è che il Comune adotti interventi altrettanto determinati per scongiurare che le pale eoliche possano alterare l’integrità di borgo Venusio, preservandone la peculiarità morfologica, storico-culturale e naturalistica. Una presa di posizione doverosa, incalzano le associazioni, a prescindere dalle modifiche recentemente adottate dalla Regione Basilicata al Piano di indirizzo energetico ed ambientale, il Piear per la salvaguardia del paesaggio.
http://www.lagazzettadelmezzogiorno.it/basilicata/parchi-eolici-a-venusio-asja-raddoppia-no645699
Le royalties lucane vanno in Veneto. Scatta la
trappola dei leghisti
Il Consiglio di
Stato respinge il ricorso del Governo contro la Regione Veneto che aveva
chiesto l'estensione del bonus idrocarburi alle regioni che ospitano
rigassificatori
di LEO AMATO
Il 30% delle
royalties del petrolio estratto in Basilicata andrà spartito con i Veneti per
compensare il loro disagio per il rigassificatore di Porto Viro. Quattro anni
dopo la “trappola” architettata dai 3 senatori leghisti Piergiorgio Stiffoni,
Luciano Cagnin e Cesarino Monti, è scattata inesorabile sul bonus idrocarburi
finora riservato soltanto ai lucani.
Lo aveva già detto
il Tar del Lazio a maggio dell'anno scorso. Ma almeno due deputati lucani del
Pd, Salvatore Margiotta e Antonio Luongo, se n'erano accorti per tempo: dietro
l'aggiunta delle aree interessate all'“attività di rigassificazione anche
attraverso impianti offshore” a quelle delle estrazioni beneficiate dal fondo
per la riduzione del prezzo dei carburanti si nascondeva una grossa fregatura.
Peccato che a Palazzo Madama non se ne fosse accorto nessuno ,e il testo
emendato fosse stato approvato con voto bipartisan. Due i contrari. Favorevoli
tutti i senatori lucani: Maria Antezza (Pd), Felice Belisario (Idv), Filippo
Bubbico (Pd), Carlo Chiurazzi (Pd), Cosimo Latronico (Pdl) e l'ex
sottosegretario allo Sviluppo economico Guido Viceconte (Pdl). Assente solo Egidio
Digilio (ex Pdl poi Fli).
E' stato respinto
martedì pomeriggio, senza altra concessione che la mancata condanna alle spese
processuali, il ricorso presentato dai ministeri di Finanze e Sviluppo
Economico contro la Regione Veneto. Al centro c'era la sentenza che in primo
grado aveva dato ragione a quest'ultima sulla destinazione del “fondo per la
riduzione del prezzo alla pompa dei carburanti nelle regioni interessate
dall'estrazione di idrocarburi liquidi e gassosi”. Questo il titolo
dell'articolo 45 della legge numero 99 di luglio del 2009 (“Disposizioni per lo
sviluppo e l'internazionalizzazione delle imprese, nonché in materia di
energia”), poi “tradito” - di fatto - dall'aggiunta al secondo comma delle
“attività di attività di rigassificazione anche attraverso impianti offshore”
dopo la parola “gassosi”. Una postilla tutt'altro che indifferente, per quanto
il Governo si sia impegnato per smorzarne il significato dopo i commenti
entusiastici dell'ex tesoriere del Carroccio sul passaggio del testo rivisto in
Senato.
Figurarsi la
disdetta a novembre del 2010, un anno e mezzo più tardi, quando i due Ministeri
hanno escluso i suoi corregionali dai destinatari della card carburante. Di qui
il ricorso intentato ad aprile del 2011 su iniziativa della giunta guidata
dall'ex ministro Luca Zaia. A quel punto dalle parti di via Verrastro devono
aver prevalso sconforto e rassegnazione. Perché a differenza di Molise e
Calabria, regioni che partecipano in via del tutto marginale all'alimentazione,
e alla ripartizione dei fondo in questione, la Basilicata avrebbe disertato il
Tar del Lazio. Come ha fatto col Consiglio di Stato all'udienza dello scorso 21
maggio, quando sono comparsi - di nuovo - Molise, Calabria e Avvocatura dello
Stato per conto dei ministeri interessati. E poi nessuno. Con buona pace dei
maggiorenti del Pdl (Guido Viceconte, Vincenzo Taddei e Cosimo Latronico) che
sulla card benzina c'avevano messo il cappello, denunciando il disinteresse
della Regione. E pure dei veneti dato che domani oltre a loro potrebbero farsi
avanti anche i tarantini per compartecipare del Fondo, e poi chissà quanti
altri.
La legge in
questione secondo Francesca Quadri, giudice estensore della sentenza del
Consiglio di Stato, sarebbe volta “a riconoscere una compensazione, sotto forma
di minor costo del carburante, a tutti i residenti delle Regioni che sopportano
la presenza di impianti di elevato impatto ambientale a vantaggio dell’intera
collettività, così contrastando l’effetto nimby (not in my backyard)”. Quindi a
meno qualcuno non pensi sul serio che una raffineria “onshore” valga meno di un
rigassificatore “offshore”, nonostante la puzza e le ciminiere, il bonus carburante
spetta anche alla Puglia. A parte le postille alle leggi infilate più o meno di
nascosto durante i lavori di una commissione.
giovedì 08 agosto
2013 18:56
Basilicata. Bonus benzina "sparito":
il Veneto tratta col Ministero
E l'assessore
leghista esulta
Dopo la sentenza del
Consiglio di Stato che dà ragione al Veneto, arriva la soddisfazione di Roberto Ciambetti: «Non
voglio togliere soldi alla Basilicata, ma se ne occupi Roma»
«L’IMPIANTO di Porto
Viro ha una capacità di rigassificazione di otto miliardi di metri cubi. Questo
comporta costi ambientali e contribuisce a liberare il Paese dalla dipendenza
dall’estero per l’approvvigionamento energetico. Era giusto che anche al Veneto
fossero riconosciuti dei vantaggi».
E’ quanto ha
affermato l’assessore regionale al bilancio della Regione Veneto Roberto
Ciambetti incontrando la stampa d’oltre Po per commentare la vittoria nel
ricorso sulla card benzina. Da ora in avanti infatti per effetto della sentenza
emessa martedì scorso dal Consiglio di Stato i lucani dovranno “spartire” i
soldi del 3% aggiuntivo di royalties versato allo Stato da Eni e - a breve -
Total, in base alla legge 99 di luglio del 2009. Ne beneficieranno anche le
popolazioni vicine agli impianti di rigassificazione italiani: veneti, liguri e
in futuro toscani. Oltre a chissà quanti altri potrebbero cercare di infilarsi
nelle maglie di una legislazione a dir poco insidiosa, per effetto
dell’emendamento a firma di 3 senatori della Lega Nord approvato a Palazzo
Madama con voto bipartisan, e a lungo sminuito dal Governo nella sua reale
portata.
Ieri le parole di
Ciambetti sono rimbalzate sui principali organi d’informazione, a cominciare
dal dorso regionale del quotidiano di via Solferino, il Corriere del Veneto,
per cui «ai polesani e ai residenti del basso veneziano per un totale di 2-300
mila residenti» sarà riconosciuto un bonus carburanti come quello dei lucani
«che ogni anno ricevono compensazioni per le attività estrattive lungo le loro
coste». Ebbene sì: «lungo le loro coste». Se qulcuno dubitava del fatto che
lassù sappiano davvero di che si sta parlando.
«Non abbiamo nessuna
intenzione di portare via soldi alla Basilicata - ha aggiunto l’assessore leghista
- Questo è affare del governo. È di Roma il compito di trovare le risorse».
Inoltre ha evidenziato che la capacità del rigassificatore di Porto Viro «al
largo di Porto Levante, nell'alto Adriatico» equivale a circa il 10% del
fabbisogno nazionale di gas naturale, che ne fa «la prima struttura off-shore
al mondo in cemento armato per ricezione, stoccaggio e rigassificazione di gas
naturale liquefatto». Perciò «nella classifica dei produttori del gas consumato
in Italia dopo Algeria e Russia vien appunto il Veneto, che si posiziona prima
di Quatar e Norvegia». In altri termini: rigassificazione uguale produzione.
Poco importa che il gas si sia stato estratto altrove.
A breve quindi la
Regione Veneto intavolerà una trattativa con il Ministero per lo Sviluppo
economico per dare seguito alla sentenza del Consiglio di Stato che ha
annullato i decreti che avevano escluso il Veneto dal bonus carburanti. «Non
dobbiamo coltivare eccessivi entusiasmi - ha concluso Ciambetti - Le precedenti
esperienze con Roma insegnano».
Basilicata. Memorandum, dove andranno le nuove
royalties
Ecco i progetti
presentati dalla Regione
Tutela dei
territorio, infrastrutture, industria ed energia pulita. Tutti gli interventi
previsti nel dossier allo studio del Governo
di LEO AMATO
POTENZA - Il
capitolo più ingente è la «prevenzione e tutela dell’ambiente e del
territorio». Mentre la singola voce è una strada: la «transcollinare
Murgia-Pollino». Per lei a Roma sono già disponibili 100 milioni di euro, ma i
soldi dell’accordo per l’aumento delle estrazioni in Val d’Agri potrebbero
essere fino a 3 volte e mezzo tanti. Poi sostegni a industria, turismo, ricerca
ed energia pulita.
E’ raccolta in un
dossier allo studio del Ministero dello sviluppo economico la lista dei
desideri di via Verrastro, un elenco di interventi per «dare un’idea di ciò
che, concretamente, sarebbe utile e possibile fare per il bene di questa
regione». Aspettando di capire che resterà del bonus idrocarburi appena bocciato
dal Consiglio di Stato.
Il documento si
intitola «Strategia di sviluppo regionale connessa al contributo della Regione
Basilicata alla bilancia energetica nazionale», e risale a poco prima della
firma del “Memorandum” tra il presidente Vito De Filippo e l’allora
sottosegretario allo Sviluppo economico Guido Viceconte. Da allora è stato
utilizzato come base di partenza nella trattativa con il Governo sul nuovo
piano industriale di Eni, che nell’arco di qualche anno conta di portare il suo
livello di produzione in Basilicata dai 90mila attuali ai 104mila autorizzati
nel 1998 e di qui a 130mila. Così dai 4 miliardi di euro iniziali si è arrivati
a una stima attuale della metà in investimenti per infrastrutture e
occupazione. L’ultima parola spetterà sempre alla cabina di regia da istituire
al Ministero per lo sviluppo economico, non appena approvato il regolamento
attuativo dell’articolo 16 del decreto “liberalizzazioni”. Ma lo schema è rimasto
attuale, tant’è che nemmeno 4 giorni fa, nel pieno del clamore suscitato dal
fallimento della card benzina, è stato il deputato Cosimo Latronico a
spolverare il progetto della “transcollinare”. Un’uscita che all’inizio a
qualcuno può essere apparsa estemporanea, ma il giorno dopo si è chiarita con
l’annuncio dell’arrivo imminente dei provvedimenti del ministero attesi da
settembre dell’anno scorso. Infine l’invito a un accordo per lo sviluppo, che
significa proprio aumento delle estrazioni in cambio di investimenti sul
territorio.
Oltre alla
Murgia-Pollino tra i “desiderata” della Regione ci sono anche 400 milioni da
distribuire ai Comuni per l’adeguamento antisismico delle scuole, 450 per la
mitigazione del rischio idrogeologico, 300 per la tutela del paesaggio, e poco
meno di 50 per la costituzione di un «dipartimento di tutela ambientale,
energetica e fonti fossili», che sa tanto di “assessorato al petrolio”. Ne
erano previsti 60 per la bonifica delle aree industriali di Tito e della Val
Basento ma nelle scorse settimane il necessario ha trovato un’altra strada. Poi
le infrastrutture: 200 milioni per il «nuovo itinerario» e la messa in
sicurezza della Potenza-Melfi; 27 per due nuovi svincoli sulla Tito-Brienza;
130 per la Gioia del Colle-Matera; e 300 per il collegamento tra la Basentana e
la statale 96 bis che da Tolve arriva fino all’Adriatica. Quanto al capitolo
«nuova occupazione» il singolo investimento più impegnativo è quello per «un
polo industriale della chimica verde», da realizzarsi con ogni probabilità in
Val Basento. Ma ci sono anche 130 milioni per il sostengo al turismo, 40 per la
formazione più 2 per l’«alta formazione di disaster manager». Non si sa mai.
Infine il “cluster nazionale ed internazionale dell’energia” che dovrebbe
costare 230 milioni. Da sommare ad altri 250 per il piano regionale di
efficienza energetica, e 250 per l’indipendenza delle amministrazioni lucane dalle
fonti fossili di energia.
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Basilicata. Petrolio, memorandum per
dimenticare il flop della card
Le reazioni dopo la
bocciatura del bonus idrocarburi. De Filippo rilancia il nuovo accordo con Eni
di LEO AMATO
POTENZA - Ripartire
dal memorandum, dopo l’illusione del bonus idrocarburi, per lanciare un piano
di occupazione e sviluppo infrastrutturale della regione con le risorse
dell’aumento delle estrazioni in Val d’Agri.
E’ la ricetta di
Vito De Filippo dopo la bocciatura della “card benzina” da parte del Consiglio
di Stato, che allargando la platea dei beneficiari ai veneti, i liguri e in
futuro i toscani e, perché no, i pugliesi (difficile sostenere l’esigenza di
compensazioni per chi ospita un rigassificatore e non per chi ha una
raffineria) ne ha in sostanza annullato i benefici, ridotti a qualche spicciolo
e poco più.
«Se una cosa non ha
una logica dall’inizio non la si può cercare alla fine». Ha spiegato il due
volte presidente della Regione Basilicata, dimissionario ma tutt’altro che
disimpegnato sui temi dell’agenda dello sviluppo regionale. Per quanto la
scelta di non contrastare il ricorso della Regione Veneto sia stata anche sua,
e gli sia costata più di qualche invettiva dei maggiorenti del Pdl, veri
padrini politici della “card”.
«La decisione del
Consiglio di Stato sul bonus idrocarburi è paradossale - ha ammesso De Filippo
- ma lo è anche la stessa misura del bonus, priva di ogni forma di equità e
produttività, con più fondi alle famiglie che dispongono di più patenti e meno
a chi magari non la ha perché non ha l’automobile. Un provvedimento che non
abbiamo condiviso e che non potevamo difendere. E ora rinnoviamo con più forza
l’auspicio che il governo ripensi a quanto era stato fatto e concentri risorse
sullo sviluppo della Regione o su misure di sostegno a chi più ne ha bisogno,
dando seguito con decisione alla strada ampiamente condivisa delineata col
memorandum». Ossia il fondo per infrastrutture e lavoro da finanziare con le
maggiori entrati tributarie derivanti dall’aumento delle estrazioni in Val
d’Agri.
Annunciano di aver
già interpellato il Ministero dello Sviluppo economico il senatore Guido
Viceconte e il deputato Cosimo Latronico, per cui quella dei giudici di Palazzo
Spada è «una decisione inspiegabile che contrasta con il principio di realtà:
possono i cittadini lucani finanziare, con le attività petrolifere che si
svolgono sul proprio territorio con impatti ambientali di sicuro rilievo, gli impianti di
gassificazione che dovrebbero essere a carico delle imprese che li esercitano?»
I due parlamentari Pdl, al governo all’epoca dell’approvazione della legge
assieme ai leghisti autori dell’ emendamento che ne ha neutralizzato gli
effetti spiegano di aver chiesto al sottosegretario Simona Vicari «iniziative
necessarie per chiarire questo grande equivoco su cui si è costruita la
decisione del Consiglio di Stato e difendere il diritto di oltre 300 mila
lucani. Il senso dell'art 45 della legge 99/2009 - hanno aggiunto - e’ chiaro
ed è quello di destinare un tre per cento delle royalties per ridurre il prezzo
dei carburanti a favore delle popolazioni che insistono sui territori interessati
da impianti idrominerari. Confidiamo che la questione si chiarisca
definitivamente ed il diritto dei lucani ad avere un vantaggio sul,prezzo dei
carburanti».
Si aggiusterà tutto?
In realtà non ci scommettono nemmeno gli “alleati” di Fratelli d’Italia. Tant’è
che Giampiero D’Ecclesiis della costituente provinciale potentina parla di
«fallimento totale della strategia politica del Pdl» e tira in mezzo anche il
memorandum sottoscritto a marzo del 2011 da De Filippo e dall’allora
sottosegretario allo Sviluppo economico Guido Viceconte. La card benzina, anche quando valeva qualcosa
in più, era pur sempre un provvedimento che «conteneva una evidente ingiustizia
lasciando fuori i lucani non dotati di patente». E comunque ben poco rispetto a
quello che spetterebbe a chi ospita pozzi e installazioni petrolifere come
quelle di Eni, Shell e Total.
Parla di una «beffa»
il consigliere regionale dell’Idv Antonio Autilio, e di una «palese ingiustizia
tra lucani e cittadini residenti in regioni soprattutto del Nord che non hanno
la più pallida idea di cosa significhi la convivenza con le attività
petrolifere e il Centro Oli di Viggiano». Motivo per cui sostiene come De
Filippo che occorre «accelerare il confronto con il Governo oltre che sui
contenuti del Memorandum sul petrolio anche sulla rideterminazione delle
royalties attribuite a Regione e Comuni».
Per i Giovani
Democratici si tratta un segnale che alimenta «un ulteriore senso di sfiducia
nei confronti delle istituzioni tutte», motivo per cui chiedono che la legge
venga cambiata «non solo nella forma ma anche nella sostanza. La cultura
politica di cui lo stesso è espressione è ormai superata avendo mostrato le sue
innegabili criticità nonché la sua inconsistenza».
venerdì 09 agosto
2013 08:06
Basilicata. Bonus card, una beffa non basta per
un pieno «Svuotata» da sentenza del Consiglio di Stato
di LUIGIA IERACE
POTENZA - La card idrocarburi «svuotata» dal
Consiglio di Stato potrebbe portare ai patentati lucani poco più di 80 euro.
Una beffa, tenendo conto, che il beneficio previsto poteva arrivare a oltre 170
euro a testa grazie alla forte crescita del Fondo, alimentato per il 90 per
cento dalle royalty che Eni e Shell, versano in Basilicata per il giacimento
della Val d’Agri. Infatti, in base alla produzione di idrocarburi che è
fortemente lievitata nel 2012 e all’aumento del costo del greggio, il Fondo per
la riduzione del prezzo alla pompa dei carburanti, alimentato dal 3% di royalty
versate dalle compagnie petrolifere è di 78,9 milioni di euro. Circa 70 milioni
sono versati dalle compagnie petrolifere per la produzione di greggio del più
grande giacimento d’Europa su terraferma della Val d’Ag ri. Ma ecco il
paradosso generato dalla sentenza del Consiglio di Stato: oltre la metà di
questa somma, circa 36 milioni di euro non andranno alla Basilicata ma alla
Liguria per il rigassificatore su terraferma di Panigaglia e al Veneto per
quello di Cavarzere a Rovigo, a porto Viro antistante la costa in offshore. In
sostanza, i circa 350mila lucani aventi diritto (a tanto è lievitata la platea)
dovrebbero dividersi la somma di poco più di 31 milioni arrivando così a poco
più di 80 euro a testa. A veneti e liguri, invece, ne andrebbero
complessivamente circa 37 milioni. Di questi, quasi 31 milioni, al Veneto, dove
essendo il numero dei patentati pari a circa 3 milioni, a ognuno spetterebbero
poco più di 10 euro a testa. Ai liguri, invece, ne andrebbero poco più di 5
milioni che ripartiti tra 1 milioni di aventi diritto porterebbero a poco più
di 5 euro a testa. Somme in entrambi i casi inferiori a 30 euro e quindi a
beneficiare sarebbero non i singoli cittadini, ma le regioni.
Ecco cosa potrebbe succedere se si dovesse
ripartire il Fondo idrocarburi in maniera diversa dall’attuale, inserendo i
rigassificatori e tedendo conto delle quantità di gas rigassificato negli
impianti veneti e liguri, cui si aggiungerà quello della Toscana a Livorno
appena entrerà in esercizio.
Sarebbe lo scenario più penalizzante per la
Basilicata, sebbene nel 2012 ha registrato una produzione di greggio pari a
oltre 4 milioni di tonnellate a fronte dei 4,9 milioni di tonnellate estratti
complessivamente in terraferma in Italia. Ma non esiste «territorialità» per il
Consiglio di Stato e così, secondo una proporzione matematica tra produzione di
greggio e gas rigassificato nel 2012 (circa 1,1 miliardi di metri cubi in
Liguria e 6,2 miliardi in Veneto) e loro effettivo valore, si sceglie di
depauperare la Basilicata che dovrebbe cedere a queste due regioni più della
metà delle sue risorse. Saremmo all’assurdo e non si potrebbero escludere
ulteriori diminuzioni per compensare le «perdite» delle due regioni escluse dall’erogazione
dei primi due bonus, magari con un ulteriore ridimensionamento dei circa 80
euro, somma ipotizzata per ogni patentato lucano. Ma dietro la penalizzazione
della Basilicata si ravvisa un capovolgimento di concetti acquisiti
nell’industria petrolifera di produzione, di royalty, di compensazioni
ambientali. E a fronte di tutto questo la stessa Assomineraria potrebbe
prendere una posizione ravvisando anche un illegittimo vantaggio competitivo ai
danni delle imprese che operano nel settore estrattivo. Perché, nel caso
specifico, Eni e Shell, dovrebbero vedere che più della metà delle royalty
versate sulle produzioni lucane vanno quasi a «compensare» quello che operatori
in impianti di rigassificazione non versano nel Fondo, con un vantaggio
competitivo a loro beneficio. Imprese che peraltro già godono di remunerazioni
relative all’attività regolata e al sistema tariffario, a fronte di quelle
estrattive che non recuperano i costi di produzione.
Questo dal punto di vista delle imprese, ma
guardando ai territori basta considerare le compensazioni ambientali che gli
operatori degli impianti di rigassificazione già versano ai territori dopo aver
stretto accordi con gli enti locali e le popolazioni. Perché poi dovrebbero
beneficiare anche delle royalty di altri territori? La querelle è aperta.
09 Agosto 2013
Potenza, Card benzina «svuotata» da sentenza del
Consiglio di Stato
di LUIGIA IERACE
Addio bonus idrocarburi. Il Consiglio di Stato
dà ragione al Veneto e di fatto «scippa» alla Basilicata il beneficio
respingendo il ricorso dei Ministeri dell’Economia e delle Finanze e dello
Sviluppo Economico. Scaduto appena una settimana fa il termine per la
presentazione delle domande alle Poste da parte dei maggiorenni, patentati,
residenti in Basilicata per chiedere il terzo bonus idrocarburi, che si
profilava ben più corposo visto l’aumento delle produzioni e il costo del
greggio (oltre 180 euro a fronte dei 100,70 euro del primo bonus e dei 140,25
euro del secondo) arriva la sentenza del Consiglio di Stato. Accoglie il
ricorso dei veneti ed estende il beneficio anche ai residenti delle regioni
ospitanti impianti di rigassificazione, come il Veneto e la Liguria e in futuro
anche la Toscana quando entrerà in funzione, il nuovo rigassificatore.
Una doccia fredda per i lucani, che gela ogni
aspettativa: in sostanza, il fondo per la riduzione del prezzo alla pompa, dei
carburanti, alimentato per lo più dalle royalty della regione Basilicata, dovrà
essere ridistribuito anche a quelle regioni dove non si producono idrocarburi,
ma sono ospitati impianti di rigassificazione. Un’attività che non genera
royalty e quindi non alimenta il Fondo idrocarburi, in quanto non è un processo
produttivo, ma una trasformazione di uno stato fisico (liquido) a un altro (gassoso).
Di diverso avviso il Veneto che già in fase di aumento delle royalty e di
destinazione di quel 3% alla costituzione del Fondo, aveva spinto sul
legislatore facendo inserire all’ultimo momento, con un blitz dei Leghisti,
quella postilla che includeva «le attività di rigassificazione», senza però
prevedere da dove sarebbero state attinte le risorse economiche per il ristoro
dei residenti. E così quando i Ministeri dell’Economia e delle Finanze di
concerto con il Ministro dello sviluppo economico hanno emanato i decreti per
la ripartizione del Fondo tra le regioni interessate dalle attività di
estrazione, in funzione del quantitativo di idrocarburi estratti, il Veneto li
ha impugnati e prima il Tar e ora il Consiglio di Stato gli hanno dato ragione.
Tutto da rifare, quindi. Cambieranno i criteri
di ripartizione di un Fondo, tutto lucano che andrà a beneficio di altri
territori. Basti pensare che per la terza erogazione il fondo ammonta
complessivamente a circa 79 milioni di euro, oltre 70 dei quali sono royalty
che le compagnie petrolifere (Eni e Shell) hanno versato allo Stato per le
attività di produzione di idrocarburi della Val d’Agri. Il resto dei fondi si
riferiscono alle royalty versate per le attività estrattive di Piemonte,
Puglia, Calabria, Emilia Romagna, Molise e Marche. Solo la Basilicata avrebbe
beneficiato del bonus idrocarburi, versato sulla card dei patentati,
maggiorenni, residenti in Basilicata, nel 2011 e 2012, mentre le altre regioni
avendo diritto a un beneficio inferiore a 30 euro pro capite su base annua, la
somma spettante è stata versata direttamente alle regioni.
A una settimana dal ferragosto il Consiglio di
Stato rimette tutto in discussione penalizzando la Basilicata e i lucani che
già sopportano sul loro territorio l’attività di estrazione petrolifera. Ma
questo ai giudici non importa. «Non vi è possibilità di suddividere, come
vorrebbero gli appellanti, le risorse del fondo per attribuirvi diverse
destinazioni, essendo esso unico e finalizzato alla riduzione del prezzo alla pompa
dei carburanti per i residenti nelle regioni interessate dalle estrazioni di
idrocarburi liquidi e gassosi nonché dalle attività di rigassificazione
attraverso impianti fissi offshore». Per il Consiglio di Stato «appare dunque
in contrasto con tale chiaro dettato normativo – frutto della volontà
parlamentare di estendere l’utilizzazione del Fondo a beneficio dei residenti
di tutte le indicate regioni – la limitazione della destinazione dell’intero
fondo, mediante l’istituzione del “bonus idrocarburi”, in favore di alcuni
soltanto dei beneficiari indicati dalla legge». Nè è decisiva la circostanza
«che il Fondo sia alimentato (in parte, ma certamente preponderante)» soltanto
da alcuni territori non essendo stabilita alcuna correlazione tra produzione e
soggetti che ne beneficiano. Nessuna limitazione neppure intorno al concetto di
produzione «potendosi estendere il concetto di produzione dai beni
(idrocarburi) ai servizi (trasporto), con ciò comprendendo anche le imprese che
svolgono attività di rigassificazione». Non mettono soldi, insomma, ma li
prendono.
08 Agosto 2013
Puglia e Basilicata dicono no alle trivelle
BARI - Mobilitazione
dei sindaci della costa jonica. Dalle Regioni parte la petizione per i
ministeri e l’Ue
«No al petrolio nello Jonio»: tra le firme
contro le trivellazioni in mare c’è anche quella del consiglio regionale
pugliese, che per bocca del presidente Onofrio Introna aderisce al «No triv
tour» lanciato dal sindaco di Amendolara, Ciminelli. «Tengo a ribadito
pubblicamente: tutti i consiglieri regionali della Puglia, uniti fin dal primo
momento contro ogni attentato alla salute ambientale dei nostri mari,
aderiscono alla sottoscrizione a difesa dell’ecosistema marino dalla ricerca ed
estrazione di idrocarburi».
Dalla cittadina ionica è partita, infatti, una
campagna di sensibilizzazione contro i progetti di trivellazioni delle
compagnie petrolifere, lungo la costa ionica di Basilicata e Calabria. Le firme
raccolte saranno sottoposte ai Ministeri interessati e all’Ue. Una
manifestazione itinerante, avviata a fine luglio nella cittadina in provincia
di Cosenza, toccherà altri centri marinari ionici in Lucania e Puglia, all’insegna
del no alle trivellazioni.
Solo nel Golfo di Taranto, sono 11 le
richieste di autorizzazioni avanzate ai Ministeri da 7 multinazionali
petrolifere e 4 le concessioni attive, al largo del Catanzarese, con svariate
piattaforme e decine di pozzi. «Per salvare il nostro oro blu, stop all’oro
nero: la Regione - dice Introna - è fin dall’inizio tra i protagonisti della
battaglia per il mare». Infine, l’appello al ministro dell’Ambiente, Orlando, a
fissare l’incontro richiesto dall’Assemblea pugliese per illustrare le ragioni
della mobilitazione a tutela dei mari. «Non gli sfuggirà certamente l’appello delle
istituzioni, delle forze sociali, delle Associazioni e dei cittadini di
Basilicata, Calabria e Puglia. Non è un caso che i sindaci dell’arco ionico
stiano facendo causa comune – fa notare ancora Introna – come del resto un
fronte unitario è quello delle regioni adriatiche, che respingono ogni ipotesi
di sfruttamento delle irrisorie fonti energetiche dal proprio mare e hanno
adottato un documento unitario a tutela di tutte le acque del Mediterraneo
europeo e a sostegno di uno sviluppo sostenibile dei nostri territori».
06 Agosto 2013
I russi rinunciano a stoccare il gas a Pisticci
di FABIO AMENDOLARA e
FILIPPO MELE
«Istanza di rinuncia alla richiesta di
concessione di stoccaggio di gas naturale a Serra Pizzuta». La Geogastock Spa,
la società a capitali russi che aveva ottenuto le concessioni per stoccare gas
in un pozzo dismesso a Pisticci, si arrende. E si ritira. L’istanza è stata
avanzata al ministero dello Sviluppo economico ed è pubblicata sul Bollettino
ufficiale degli idrocarburi e delle georisorse. La coincidenza: la rinuncia è
stata avanzata proprio mentre venivano pubblicati i retroscena - provenienti da
un’inchiesta della Procura di Firenze - sull’intrigo del gas russo in
Basilicata.
L’inchiesta ha svelato una strana operazione
finanziaria nascosta dietro alla compravendita di un libro antico. Nell’intrigo
c’è l’ex senatore del Pdl Marcello Dell’Utri, c’è l’antiquario barese Massimo
Marino De Caro e c’è l’imprenditore russo Ivan Akhmerov. Ascoltando i telefoni
dell’antiquario barese i carabinieri del Ros - coordinati dal pubblico
ministero della Procura di Firenze Giuseppina Mione - hanno scoperto che quella
che sembrava una semplice trattativa per la compravendita di un libro antico in
realtà era un’operazione finanziaria «di dubbia natura», così viene definita in
una richiesta di proroga di intercettazioni telefoniche, legata alle
concessioni per i pozzi di gas in Basilicata.
«Dell’Utri - si legge nei documenti di cui la
Gazzetta è in possesso - ha ricevuto sul suo conto corrente versamenti per
409mila euro da De Caro e da sua moglie Rossella Sacco quale corrispettivo
della vendita di un libro antico». Ufficialmente Dell’Utri vende un libro che
contiene un’im - portante epistola di Cristoforo Colombo. È il mese di aprile
del 2009 (le indagini dei carabinieri erano appena cominciate). In realtà,
secondo la Procura, «l’operazione era diversa»: «All’epoca - scrive il pm - De
Caro e la moglie avevano un reddito poco compatibile con quell’acquisto e il
libro non risultava di proprietà di Dell’Utri».
Controllando i conti corrente di Dell’Utri e
dell’antiquario i carabinieri del Ros hanno scoperto che «la provvista di
denaro per l’acquisto sembra essere stata fornita da due società: la Avelar
management e la Geogastock. Quest’ultima società, nello stesso periodo
temporale - scrivono gli investigatori - risulta aver ottenuto delle
concessioni di stoccaggio di gas naturale relative ai giacimenti in
Basilicata». Il pm ha quindi ipotizzato che «Marcello Dell’Utri - si legge nei
documenti dell’inchiesta - sfruttando il suo ruolo istituzionale, anche
mediante l’intervento su pubblici ufficiali, abbia favorito gli interessi di
imprenditori russi operanti nel settore delle risorse energetiche, nei loro
rapporti con le amministrazioni pubbliche interessate, così da ottenere
l’abilitazione a operare in Italia in un comparto industriale di rilievo
strategico nazionale con il rilascio di concessioni di stoccaggio di gas
relative ai giacimenti di Grottole, Ferrandina e Pisticci, e che a fronte di
ciò abbia ricevuto dai russi, per il tramite di De Caro, delle consistenti
somme di denaro, apparentemente giustificate dall’acquisto fittizio dell’opera
d’arte».
Gas: Bp, Socar e Total si uniscono a consorzio
Tap
Operatore transito
gas Fluxys prende 16% quote del progetto
30 luglio, 14:20
(ANSA) - BRUXELLES -
BP, SOCAR e Total, già membri del consorzio del fornitore di gas Shah Deniz in
Azerbaijan, hanno deciso di unirsi al gruppo alla guida del progetto del
gasdotto transadriatico (Tap). Tap aprirà la via del cosiddetto Corridoio Sud
del gas: collegherà il gasdotto che attraversa l'Anatolia (Tanap) al confine
greco-turco a Kipoi, per poi attraversare la Grecia e l'Albania e il Mare
Adriatico, per finire in Puglia, nel Sud dell'Italia. Secondo quanto riferisce
una nota, BP e SOCAR hanno preso una quota del 20% ciascuna, mentre Total ha
comprato il 10% del consorzio. Fluxys invece, uno dei principali operatori per
il transito del gas in Europa, ha deciso di unirsi a Tap acquistando il 16% di
quote. Gli altri azionisti di Tap, cioè la svizzera Axpo, la norvegese Statoil
e la tedesca E.ON, continueranno a sostenere il progetto, quindi le quote di
Tap attualmente risultano distribuite fra BP (20%), SOCAR (20%), Statoil (20%),
Fluxys (16%), Total (10%), E.ON (9%) e Axpo (5%).
''I nostri nuovi azionisti aumenteranno in
maniera significativa la posizione strategica di Tap nel diventare una via di
collegamento per le loro attività di upstream e downstream'' del gas, ha detto
Kjetil Tungland, Managing Director di Tap. ''Questo rafforzerà ulteriormente
l'integrazione del Corridoio Sud e faciliterà la consegna del progetto Tap
secondo i tempi e con il bilancio previsti'' ha aggiunto Tungland. Gli
azionisti di Tap, riferisce la nota, rimangono aperti a nuovi ulteriori partner
strategici intenzionati ad aderire al progetto in futuro. (ANSA)
Basilicata. Il trappolone "chimica
verde" e il retroscena della Novamont
Al centro della discussione l'alternativa
dell'agricoltura energetica e l'affarone per pochi di un nuovo stabilimento
di LEO AMATO
POTENZA - Un nuovo stabilimento in Val
Basento a bassa occupazione e alta redditività? O una partnership diffusa per
la conversione all’agricoltura energetica di parte delle imprese che insistono
nella stessa area?
C’è anche il dilemma “chimica verde” tra i
nodi ancora irrisolti nella trattativa in corso tra Eni e Regione Basilicata
per l’aumento delle estrazioni in Val d’Agri, che negli scorsi mesi ha subito
una brusca accelerata grazie anche all’iniziativa dei principali comuni
petroliferi.
Questa volta non solo loro al centro della
discussione ma quelli dove hanno sede le «terminazioni industriali» della
filiera del greggio lucano che proprio per questo, grazie al nuovo accordo, di
qui a qualche mese potrebbero beneficiare
per la prima volta di una quota delle nuove “royalties” previste. Non i comuni
però, si badi bene. Ma progetti che insistono nei rispettivi territori per
«l'accelerazione dello sviluppo regionale attraverso politiche aggiuntive di
sviluppo industriale generatore di occupazione, di incremento della dotazione
infrastrutturale, di investimenti in ricerca e innovazione connesse alla
ricerca e coltivazione delle fonti fossili in Basilicata». Così il Memorandum
sottoscritto ad aprile del 2011 dal governatore Pd della Regione Vito De
Filippo e l’allora sottosegretario Pdl allo Sviluppo economico Guido Viceconte.
Chiaro quindi che la questione è tutta su chi ne beneficerà.
Il primo a parlare di “chimica verde” nella
discussione sull’aumento delle estrazioni in Val d’Agri era stato De Filippo quando il
negoziato era appena iniziato. «Noi - così in Consiglio regionale il 29 marzo
2011 - abbiamo fatto una scelta finanziaria, sostanzialmente l’aumento delle
royalty, un contributo ulteriore in termini finanziari noi invece vorremmo
provare a lavorare ad alcuni settori innovativi, facciamo soltanto riferimenti
abbastanza generali nel memorandum ma sarà il tema dell’intesa che dovremmo
valutare con voi dalla chimica verde, a settori innovativi nella
componentistica energetica e proviamo a costruire con il Governo nazionale
prima sulla base di una valutazione strategica unitaria che è quella di
verificare se il Governo intende rilanciare i sistemi produttivi della nostra
regione alla luce di questa funzione nazionale, il settore che ovviamente
dovremmo indicare noi».
Subito dopo il riferimento all’accordo tra
Regione Sardegna ed Eni per il rilancio del polo petrolchimico di Porto Torres
con la realizzazione di un investimento da parte della compagnia del cane a sei
zampe e del suo socio Novamont di quasi un miliardo di euro per la
realizzazione di ben 7 impianti “bio”, tra cui una centrale a biomasse, «una
catena di produzione integrata a monte con le materie prime vegetali» e un
centro di ricerca. Cos’è Novamont? Uno degli spin-off meglio riusciti del
gruppo Montedison considerata un’azienda leader nel settore delle bioplastiche
tant’è che nei giorni scorsi ha seguito anche il Papa a Rio de Janeiro per
distribuire piatti, posate e bicchieri di plastica biodegradabile e alleviare
il peso dei rifiuti prodotti dalle centianaia di migliaia di giovani accorsi.
Così anche alle olimpiadi di Londra dell’anno scorso.
Non è nuova, Novamont, nemmeno in
Basilicata. Solo ieri si è conclusa la sua ultima incursione peraltro proprio
nell’area delle estrazioni dove con la Goletta di Legambiente si è occupata
della qualità delle acque del Pertusillo. E i suoi brevetti sono al centro del
progetto del polo di “chimica verde” in Val Basento. A prescindere o meno dal
luogo di provenienza delle materie prime vegetali.
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