Energia del Mezzorgiorno.4




Petrolio, unire le Valli nella battaglia
I sindaci pensano al ricorso al Tar contro la Regione
Pronto un manifesto programmatico da sottoscrivere. L’intento è quello di “democraticizzare” la risorsa petrolio, trasformare la gestione verticistica delle royalties in un sistema di distribuzione orizzontale del denaro.Se il petrolio è una risorsa lucana, allora ne devono beneficiare tutti.
di ROSANGELA PEPE
SPINOSO –  Si incontreranno l’11 settembre prossimo i sindaci “ribelli” della Val d’Agri. Lo faranno con un manifesto programmatico, una sorta di carta di intenti che sarà anche una “chiamata alle armi”. 
L’intento è quello di “democraticizzare” la risorsa petrolio, trasformare la gestione verticistica delle royalties in un sistema di distribuzione orizzontale del denaro.Se il petrolio è una risorsa lucana, allora ne devono beneficiare tutti. E per fare questo c’è bisogno di un fronte compatto, larghissimo e soprattutto cosciente. Ieri all’incontro di Spinoso, la “fase due” del progetto dei sindaci “ribelli” si è manifestata quasi al completo.
Non è la battaglia di una valle, di un gruppo di paesi, è una battaglia lucana, che guarda a tutti quei Comuni che nel corso degli anni hanno chiesto un’equa distribuzione del petrolio. Dopo le dichiarazioni del presidente di Nomisma Energia, di togliere «le royalties agli enti locali che le interpretano come compensazioni per un danno che in realtà non esiste»  e sul «raddoppio del’’estrazione», sale la preoccupazione tra i sindaci dell’Alta e Medio Agri e si fa fronte comune anche con il materano.
Infatti «l’unione fa la forza» è stata in qualche modo la parola chiave  circolata nei diversi interventi susseguiti nell’incontro, convocato d’urgenza dai sindaci Vincenzo Vertunni, Mario Di Sanzo, Michele Grieco, Cesare Marte, Pasquale De Luise e Ugo Salera, rispettivamente amministratori di Grumento Nova, Montemurro, Sarconi, Spinoso, Paterno e Tramutola. Questa volta però a dare man forte alla riunione erano presenti nella sala conferenze della chiesa madre del centro spinosese, altri amministratori del Medio Agri, del Melandro e del Materano.E questa presenza non è solamente “di facciata”.
L’obiettivo finale dei sindaci è quello di creare un fronte unico che unisca le valli Camastra, Basento e Agri, aggiungendo anche Tito. A settembre saranno molti di più i sindaci “ribelli”.
Primi cittadini che cercheranno di smentire le voci politiche che vedono l’ennesima protesta come un timido tentativo di rimettere nei ranghi una politica regionale un po’ addormentata.
Nel programma non c’è soltanto «petrolio» e «distribuzione delle royalties». C’è da guardare anche «Al sistema di assunzioni interessati dalle attività estrattive e questione ambientale». per fare questo c’è bisogno di «trovare un percorso comune con  tutti».
Ad aprire il dibattito – confronto e a  dare un quadro generale della situazione è stato il sindaco di Spinoso, De Luise che fra un intervento e l’altro ha puntualizzato la preoccupazione e la rabbia verso una condizione che da anni imperversa nel territorio della Val d’Agri e «stanchi di  affidare le loro istanze a delegati che in questi anni hanno dimostrato  poco interesse o, nella migliore delle ipotesi, scarsa incisività nel rappresentare, prima di qualsiasi altra cosa, le esigenze  collettive e prioritarie della popolazione valligiana».
Principio fondamentale per il sindaco di San Chirico Raparo, Claudio Borneo che le «royalties debbono rimanere alla Regione Basilicata, è fondamentale» e bisogna – dice -  «fare un fronte compatto per tornare a fare forme di protesta unitaria». ma per fare questo bisogna avere le idee chiare. La prima operazione da attuare per Borneo «è fare unione non solo sugli interessi della Val d’Agri»; seconda azione ipotizzata, «un ricorso al Tar contro la Regione Basilicata per l’utilizzo delle royalties, destinate alla Val d’Agri – in riferimento alla legge 40 per compensazione ambientale -  per tutto tranne per le finalità stabilita nella normativa. La Regione  - solleva Borneo - deve fare dei tagli, non deve pensare che con le royalties risolva tutto. Anche perché sono oltre tre anni che i sindaci del Programma Operativo non usufruiscono della ripartizione delle risorse proveniente dall’attività estrattiva». Sulla stessa lunghezza d’onda il Sindaco di Paterno, Grieco che ha ripreso la legge 40, indicandone la  necessità di «una pianificazione dell’utilizzo delle royalties».
Punto di partenza e motivo di unione. «Bisogna mettere in piedi una piattaforma di rivendicazione – ha evidenziato - che guardi sia alla questione ambientale che a quella occupazionale. Ma abbiamo bisogno anche di una politica che sia capace di dare risposte su questo». Ambiente, salute e lavoro ma anche un capovolgimento  della questione  del «decentramento e dello snellimento burocratico». «Per chiedere un parere alla Regione  - ha aggiunto Grieco - devo fare la via crucis. Molte funzione devo essere decentrate ai comuni. Bisogna capovolgere questa situazione».Per il primo cittadino di Sarconi, Cesare Marte la richiesta è «che ci sia un ritorno concreto alle popolazioni. Bisogna cambiare – ha spiegato -  tendenza. Oggi non è la prima riunione ma l’ultima di tante altre. All’inizio il tema del petrolio era tabù ora tutti ne parlano volentieri. Il problema lo dobbiamo centrare non solo nell’erogazione delle royalties, ma nella questione ambientale e della salute».
La conclusione «ci dobbiamo sacrificare però da questo sacrificio qualcosa ritorni perché le scelte fatte fino ad oggi non ci hanno soddisfatto». Riprende la faccenda dell’utilizzo e dello spreco delle royalties il sindaco di Pisticci,  Di Trani, facendo riferimento al comune di Viggiano e al concerto dei Pooh nonostante la smentita del manager sui 200mila euro. «Tanta gente – solleva -  non riesce a sbarcare il lunario, la contraddizione deve essere superata».
«Estraggono il petrolio, ci prendono la ricchezza – ha commentato -  e le infrastrutture non vengono realizzate. Sinnica, ospedali – soppressione di pronto soccorso – e tanto altro.  Questo è il modo di fare della politica e delle clientele a discapito della gente». «Siamo disposti ad accettare l’aumento estrattivo? E’ stato l’interrogativo posto dal primo cittadino di Sant’Arcangelo, Esposito. «Se dobbiamo fare lotta comune i benefici devono essere regionali. Discutere come soggetto politico territoriale, attenersi a temi ambientali e occupazionali. Dobbiamo stare insieme e dire no alle compagne petrolifere per l’aumento di produzione».
Un no all’aumento della produzione anche da parte del Sindaco del centro grumentino, Vertunni che ha sottolineato come «l’argomento petrolio si estende a macchio d’olio. Ed è l’elemento denaro che crea discordia. Quello che c’è, è sufficiente. Bisogna – ha chiosato -  prendere una posizione netta e precisa».
sabato 24 agosto 2013 08:03



«Bonus benzina scippo Veneto» Ecco come vanificare 172 mln
POTENZA - «Per il terzo bonus idrocarburi non si sa come andrà a finire per via del Consiglio di Stato, ma quando avrò quei 140,25 euro del secondo bonus che il Ministero dello Sviluppo economico ha riconosciuto che mi spettavano, come ho verificato collegandomi al sito?». Domanda ancora senza risposta. Perché se è certo che quella somma sarà riconosciuta a tutti quei cittadini che ne avevano diritto (verifica che è possibile ancora fare fino al 30 settembre accedendo alla pagina web del Ministero dello sviluppo economico http://unmig.sviluppoeconomico.gov.it/unmig/bonus/verifica/verifica.asp), non è ancora certo cosa succederà dopo la nuova ripartizione del Fondo idrocarburi lievitato a 172 milioni di euro per le produzioni del 2011 e del 2012 dopo i versamenti di Eni e Shell nel 2012 di 78,9 milioni e di 93,2 milioni nel 2013. Ferragosto è passato e dalla prossima settimana al Ministero dello sviluppo economico si ricomincerà a lavorare per sbrogliare quella difficile matassa: includere nel beneficio del bonus idrocarburi le regioni dove si trovano i rigassificatori. Come fare? Dopo la notifica della decisione del Consiglio di stato Il Ministero dello sviluppo economico e il Ministero dell’Economia e Finanze provvederà a riformare il Decreto ministeriale prevedendo il ristoro nei confronti delle attività di rigassificazione. Ma non sarà cosa facile, perché gli uffici predisposti dovranno chiarire esattamente in cosa consiste la produzione di un rigassificatore, che tecnicamente è costituita dalla trasformazione di stato da liquido a gassoso. Questioni di natura tecniche per determinare quanto spetta in percentuale, alle regioni dove c’è attività estrattiva e a quelle dove ci sono rigassificatori. Questioni sostanziali per decidere se dimezzare il bonus dei lucani a beneficio di veneti o liguri o attribuirgli, togliere solo una piccola percentuale. Salvo poi, fatti salvi gli effetti dei primi due bonus, trovare un modo per compensare con il nuovo Fondo le mancate entrate nei due anni precedenti alle regioni dei rigassificatori. Ma nella ridda di numeri per quantificare il terzo bonus, che nella peggiore delle ipotesi sarebbe ridotto a meno di 80 euro e nella migliore a circa 160 euro contro i previsti circa 170 euro, si perde di vista lo spirito della norma. E se il coordinatore regionale del Pdl Guido Viceconte, intervistato alla Gazzetta sul bonus ricorda «è una storia antica.... C’è un piccolo blocco, con una sentenza del Consiglio di Stato che lo ha ridimensionato... È un sacrosanto diritto e faremo, in tempi rapidi, provvedimenti legislativi per averlo». Ma questa storia antica vale la pena di ricordarla. E proprio mentre arrivava la bozza del decreto di ripartizione del primo Fondo nel 2010, anche allora sull’ammontare del bonus si discuteva. Era il 30 luglio e la Gazzetta titolava : «Sconto sulla benzina ma è guerra sulle cifre. De Filippo: solo 70 euro. Latronico e Taddei: no, 100 euro». E se il Pd tuonava «decreto contro la regione... mossa propagandistica, ma il governo non si occupa degli ultimi e mostra la sua scarsa sensibilità sociale». «E la vecchietta che non guida e non ha l’auto? La famiglia con un solo patentato?» Non è un’elemosina replicava, infatti, il Pdl. «Abbiamo vinto una battaglia cominciata nel 2006 a cui non credeva nessuno puntando sull’art. 45 che ha aumentato di 3 punti le royalty portandole dal 7 al 10 per cento». E poi ricordava: «ci fu un attacco del centro sinistra che paventò il dirottamento dei soldi al Veneto. I fatti dimostrano che avevamo ragione noi». Ma al di là dei «botta e risposta» che continuano, sono quei 172 milioni per fare benzina che dovrebbero far riflettere. [l.ier.]
22 Agosto 2013

Petrolio/l'intervento: LE ELEZIONI, NOMISMA E IL CONTROLLORE BENEVOLO
Estrazione solo dove possibile in trasparente e verificabile sicurezza: i cittadini di oggi e di domani devono stare tranquilli e anche quelli di una vasta area al contorno che attualmente usufruiscono dell'acqua proveniente dalla val d’Agri!Un’altra soluzione?
di FRANCO ORTOLANI*
E’ inutile non riconoscere che le prossime elezioni regionali in Basilicata saranno fortemente influenzate da coloro che sono industrialmente ed economicamente interessati, nelle varie modalità, all’estrazione a tutti i costi degli idrocarburi.
continua a pagina 6Il programma di costoro è semplice e diretto ed è stato chiaramente tratteggiato dal presidente di NE (Nomisma Energia, gruppo lobbyconsulente privato che influenza non solo le società private...) Tabarelli: «Le riserve di gas e petrolio sono dello Stato e pertanto di tutti gli italiani e l’obiettivo deve essere di favorirne la valorizzazione a beneficio di tutti i cittadini... I crescenti poteri affidati agli organi locali, rendono difficili e onerosi, a volte impossibili, i progetti in Italia… è necessario pensare a qualche forma di penalizzazione per quelle regioni che ostacolano lo sfruttamento di una risorsa che appartiene a tutti gli italiani».
Ovviamente i clienti di Nomisma pensano agli affari loro!
Però devono farlo sempre nel rispetto delle leggi vigenti che impongono di estrarre gli idrocarburi senza incrementare i pericolo per i cittadini e per i loro beni. Quest’ultima importante “clausola” è stata agevolmente aggirata facendo in modo che chi doveva controllare per tutelare i cittadini e le risorse ambientali abbia avuto un “occhio di riguardo”, non per i cittadini ma per gli estrattori.
Il risultato è che nell’alta Val d’Agri, forse l’unica area petrolifera al mondo, le attività di estrazione, ripompaggio di fluidi inquinanti ad alta pressione nel sottosuolo interessato da faglie sismogenetiche che hanno già originato il disastroso sisma del 1857 (X-XI grado MCS), le attività di prima raffinazione in loco, i pozzi e gli oleodotti che attraversano gli acquiferi finora non hanno creato alcun problema ambientale e per la salute dei cittadini!
Un vero e proprio miracolo! Naturalmente attribuibile alla Madonna Nera di Viggiano! Oppure alla benevola distrazione dei controllori? Su queste basi, accertato sulla carta che finora non c’è alcun pericolo causato dalle attività petrolifere, ecco Tabarelli che detta la lobbylinea.Se ufficialmente non risultano reati attribuibili alla filiera dell’estrazione e lavorazione, se succede qualche “incidente ambientale” non si può attribuire la colpa ai “petrolieri”.
Quindi le attività petrolifere in Basilicata sono sicure e se qualcuno si oppone potrebbe anche essere esiliato o esautorato! Naturalmente i mass media lobbydipendenti faranno una infervorata campagna per sostenere questa linea. Però! Il problema non riguarda solo la Basilicata. Gli eredi dei sanniti-lucani hanno molti validi argomenti da portare all’attenzione degli elettori.Prima di tutto c’è la corretta applicazione delle leggi emanate dal Parlamento Italiano negli anni passati che tutelano la salute dei cittadini e la sicurezza dell’ambiente antropizzato di superficie! Applicazione che non può continuare ad essere “garantita” dai petrolieri stessi e dai loro amici ma deve essere trasparentemente verificabile!
Devono essere eliminate le attività che inducono sismicità nel sottosuolo (iniezione di fluidi ad alta pressione nel sottosuolo) già tettonicamente instabile e “carico di energia tettonica" che si sta accumulando dal 1857! Devono essere eliminati pozzi e metanodotti che attraversano i serbatoi idrogeologici al fine di togliere ogni possibilità di inquinamento delle falde di importanza strategica. Visto che il Centro Oli di Viggiano (costruito nella zona in cui si ebbero i più distruttivi effetti locali con il sisma del 1857) deve essere raddoppiato deve essere delocalizzato a valle dell'invaso del Pertusillo.
 Quest'ultimo poi, sembra che a causa dei riempimenti e svuotamenti stia causando sismicità indotta di bassa magnitudo lungo le faglie attive in sinistra e destra orografica dell’Agri, dovrebbe essere adeguatamente gestito per eliminare le sollecitazioni lungo le faglie attive.
A proposito delle royalty, invece di finanziare interventi locali non duraturi, si deve fare in modo che servano ad attuare un piano di interventi strutturali di messa in sicurezza antisismica degli edifici pubblici e privati almeno dell’area che è stata epicentrale nel sisma del 1857.
C’è poi da valutare un’altra soluzione di strategica importanza per la nazione: conservare il giacimento di idrocarburi presente nel sottosuolo della Basilicata come riserva energetica di importanza strategica da utilizzare solo in caso di temporanea emergenza internazionale che tronchi l’afflusso di idrocarburi in Italia.
Niente da obiettare verso le attività estrattive che devono essere eseguite nel pieno rispetto delle leggi vigenti e anche di quelle che possono essere emanate per incrementare la sicurezza ambientale e garantire la fruibilità, a pari titolo, delle risorse naturali profonde e superficiali: siccome la superficie del suolo è abitata da secoli dai discendenti dei lucani si deve fare in modo che non si causino nuovi problemi.
Estrazione solo dove possibile in trasparente e verificabile sicurezza: i cittadini di oggi e di domani devono stare tranquilli e anche quelli di una vasta area al contorno che attualmente usufruiscono dell'acqua proveniente dalla val d’Agri!Un’altra soluzione? Desertificare l’area lucana nel cui sottosuolo ci sono giacimenti di idrocarburi!
*Professore di geologia stratigrafica e sedimentologia Università Federico II Napoli
martedì 20 agosto 2013 07:58

Trivelle, No Triv mette l’avvocato «Nomisma è dalla parte delle compagnie»
Il comitato replica all’attacco del presidente di Nomisma energia. Continua il braccio di ferro popolare sull'aumento delle estrazioni
di LEO AMATO
POTENZA - Per il professore Davide Tabarelli, l’Italia sarebbe ostaggio dei “No triv”. Ma loro non ci stanno e annunciano di stare valutando di citarlo per danni d’immagine.E’ affidata a un avvocato, che è anche il portavoce di Mediterraneo No Triv la replica alle affermazioni del  presidente di Nomisma Energia, che da Roma sei giorni fa aveva tuonato contro chi sparge timori ambientali «poco fondati». 
Tabarelli aveva parlato anche di «ostacoli di carattere ambientale» che impediscono lo sfruttamento dei giacimenti di greggio esistenti denunciando che «i crescenti poteri affidati agli organi locali rendono difficili ed onerosi, a volte impossibili, tutti i progetti». Per qusto propone l’abolizione delle royalties per i territori delle estrazioni a favore di una nuova forma di prelievo fiscale sulle compagnie destinata allo Stato. In più un sistema di sanzioni per le «regioni che ostacolano lo sfruttamento di una risorsa che appartiene a tutti gli italiani».
In soldoni: un miliardo e mezzo di euro di royalties aggiuntive, più cinque di investimenti, che altrimenti sono destinati a “fuggire” all’estero. «Tanto ardore di Tabarelli - gli ha risposto Giovanna Bellizzi, del comitato Mediterraneo No Triv - da spingersi ad ipotizzare, in modo a dir poco ardito, sanzioni per le regioni che decidono di proteggere ambiente e salute dei cittadini, ci induce a cercare di capire chi è questo signore e la compagnia che rappresenta. Scopriamo così che è presidente della Nomisma energia, una società che tra l’altro, individua nuove aree di business, strategie di marketing, promuove la negoziazione e la conclusione di contratti di approvvigionamento (inclusa l’importazione) e vendita di gas naturale e di altri combustibili. Inoltre, è interessante scoprire che la società definisce anche le strategie di comunicazione verso istituzioni, investitori e comunità territoriali in relazione a iniziative e infrastrutture energetiche.
Quindi, è evidente che le dichiarazioni di Tabarelli, oltre ad essere temerarie, sono anche di parte in quanto la sua società persegue il business  economico del gas naturale e di altri combustibili».Quanto alla Basilicata, il presidente non la cita mai in maniera espressa nel suo ragionamento ma resta l’unica regione petrolifera “onshore” d’Italia. Inoltre il “raddoppio della produzione” di cui parla passa necessariamente per l’aumento delle estrazioni in Val d’Agri, secondo i “desiderata” dell’ultimo piano industriale dell’Eni. A Bellizzi non resta dunque che constatare come sia diventata «terra di conquista per le compagnie petrolifere e per tutte le società di servizi che traggono profitto e lavoro da chi sfrutta il territorio. Gli interessi sono enormi e tali da indurre anche ad elaborare strategie di comunicazione particolarmente aggressive come quelle capaci di Tabarelli che arriva al punto di parlare di “ostacoli ambientali”».
Quindi l’ambiente, che secondo il Comitato No Triv verrebbe considerato da «questi signori» non come qualcosa da proteggere ma soltanto un ostacolo.
E dato che «in genere gli ostacoli o si aggirano o si scavalcano (...) se l’ostacolo ambientale in Basilicata da superare è l’acqua, la terra e il mare» il rischio è davanti agli occhi di tutti.«Per Mediterraneo No Triv - prosegue l’avvocato Bellizzi - l’ambiente non è un ostacolo ma un valore da proteggere e tutelare così come il diritto di ciascun cittadino di vivere in un ambiente sano e salubre e di poter bere acqua potabile.
Ed è proprio qui la differenza tra chi lavora per proteggere la terra, il mare e l’acqua e chi cerca di tutelare i suoi interessi economici. Ricordiamo che in Italia vi sono numerose leggi che proteggono l’ambiente e altrettante che puniscono severamente chi inquina, e che le istituzioni non possono lasciarsi intimorire da grossolane minacce di sanzioni economiche.
 Il rischio non è certo l’applicazione rigorosa delle leggi ma per chi amministra il bene comune vi è obbligo imprescindibile di tutelare l’ambiente attraverso l’applicazione del principio di precauzione vietando tutte quelle attività industriali che possono danneggiarla».In conclusione: «le espressioni utilizzate da Tabarelli sono inopportune e in grado di ledere l’immagine delle associazioni e dei comitati che intendono promuovere la protezione dell’ambiente e della salute dei cittadini».
Motivo per cui Mediterraneo No Triv spiega di avere l’intenzione «di valutare l’opportunità di promuovere azioni legali» contro lo stesso Tabarelli.
giovedì 22 agosto 2013 09:03





«Raddoppiare subito estrazioni» Se la Basilicata frena il Paese
Il presidente della compagnia del cane a sei zampe al meeting di Cl. Recchi attacca
i ritardi sulle nuove autorizzazioni e invoca il centralismo su decisioni e royalties
 Il presidente della compagnia del cane a sei zampe al meeting di Cl. Recchi attaccai ritardi sulle nuove autorizzazioni e invoca il centralismo su decisioni e royalties
di LEO AMATO
POTENZA - L’esempio delle cose che in Italia non vanno? La Basilicata, dove si potrebbe raddoppiare le estrazioni portando 2 miliardi di royalties nelle casse dello Stato. Attenzione: non dei territori. Più 10 miliardi risparmiati. Ma la «diluizione del processo decisionale» lo impedisce, e si diventa vittime «dell’incapacità di perseguire uin obiettivo vcon velocità», mentre «mondo va troppo veloce per aspettare chi è lento».
C’è andato giù duro il presidente dell’Eni, Giuseppe Recchi, al Meeting di Comunione e liberazione in corso a Rimini commentando a distanza di 24 ore l’intervento del premier Enrico Letta sulle colonne di Milano Finanza. Intervistato da Carla Signorile il chairman della compagnia del cane a sei zampe di Sinisgalli ha preso spunto dalla riflessione del presidente del Consiglio sulle regole che non hanno funzionato. Di qui l’attacco alla «sovrapposizione di regole e controllori che ha diluito la chiarezza del processo decisionale». Da una parte l’incapacità di decidere, e dall’altra quella di colpire i responsabili di tutto ciò.
In concreto? Ovvio che sia il tema del petrolio quello d’interesse. Infatti Recchia spiega che l’Italia potrebbe diventare il terzo produttore di greggio in Europa dopo la Norvegia e l’Inghilterra, nonostante qualcuno creda ancora che non esistano giacimenti.
La Basilicata ne è «ricca». Lì si potrebbero raddoppiare le estrazioni, che porterebbero 2 miliardi di euro di «royalties aggiuntive» nelle casse dello Stato da sommare ad altri 10 miliardi che verrebbero risparmiati  «per acquisti e importazioni». Per questo però servirebbero 15 miliardi di investimenti «che non si affrontano per via di una mancanza di strategia Paese».
Perciò la richiesta di un nuovo modello di governo dei processi che misuri le performance di un ente nel concedere un’autorizzazione, o misuri la trasparenza di un partito. Anche per ridare senso ai discorsi sulla meritocrazia delle competenze e della capacità decisionali.
Se necessario anche ricorrendo a una modifica della Costituzione. Impossibile non cogliere nelle parole di Recchi l’eco di quelle pronunciate domenica dal responsabile Energia di Nomisma, Davide Tabarelli, che aveva proposto l’abolizione delle royalties a favore di una nuova forma di fiscalità per lo Stato e sanzioni per le regioni che dicono no alle trivelle.
Quest’ultimo - però - non si era mai rivolto in maniera espressa alla Basilicata, mentre il presidente del gruppo di San Donato ha deciso di puntare dritto sull’obiettivo. Un messaggio indirizzato a via Verrastro, dove giace da almeno due anni il piano industriale dell’Eni che prevede l’aumento delle estrazioni in Val d’Agri fino a 130mila barili al giorno, dai 104mila oggi autorizzati.
Ma in modo che da Roma arrivi all’orecchio delle stanze che contano: Letta in primis, e poi chi non ha smesso di ragionare di riforme, incluso un passo indietro sul Titolo V della Costituzioni e le competenze attribuite alle Regioni in materia di opere di rilevanza strategica nazionale. Per chi ha memoria: il piano dell’ex ministro allo Sviluppo economico Corrado Passera.
Si farà? Verranno centralizzati di nuovo i luoghi delle decisioni su petrolio ed energia? Le pressioni perché accada dopo le parole di Recchi sono venute allo scoperto, come pure il braccio di ferro in corso con la Regione Basilicata.
E i parlamentari lucani? Al Meeting di Cl sono diversi quelli di casa, come l’onorevole pidiellino Cosimo Latronico. Non può essere un caso che sia stato proprio lui il primo a proporre un «accordo per lo sviluppo» della regione da finanziare con i soldi dell’aumento delle estrazioni in Val d’Agri attraverso gli stumenti previsti dal Memorandum e disegnati dall’articolo 16 del dl liberalizzazioni approvato dal Governo Monti. Resta da capire quanto appeal può avere a sinistra una prospettiva di questo tipo. Al di là dei professori di Nomisma. Specie in campagna elettorale.
mercoledì 21 agosto 2013 08:05

«No Triv»: temerarie le parole del presidente Nomisma
ROMA – Replica del coordinamento dei movimenti 'No Triv Mediterraneo' al presidente di Nomisma Energia, Davide Tabarelli, che nei giorni scorsi – in una conversazione con agenzie di stampa – aveva puntato il dito contro i comitati 'No Trivelle' che impediscono lo sviluppo della produzione di petrolio e gas in Italia, bloccando investimenti e migliaia di assunzioni e maggiori entrate per lo Stato sulla base di “timori poco fondati”.
 Definendo le espressioni utilizzate dal presidente di Nomisma energia “inopportune e in grado di ledere l’immagine delle associazioni e dei comitati che intendono promuovere la protezione dell’ambiente e della salute dei cittadini”, il portavoce del coordinamento di comitati di cittadini di Basilicata, Puglia e Calabria, Giovanna Bellizzi, che è anche avvocato, esprime “l'intenzione di valutare l’opportunità di promuovere azioni legali contro Tabarelli”.
 Bellizzi giudica “ardita” l’ipotesi avanzata da Tabarelli di “prevedere sanzioni per le regioni che ostacolano lo sfruttamento di una risorsa che appartiene a tutti i cittadini” e su Nomisma Energia dice che è “una società che tra l’altro, individua nuove aree di business, strategie di marketing, promuove la negoziazione e la conclusione di contratti di approvvigionamento (inclusa l’importazione) e vendita di gas naturale e di altri combustibili”. E ancora, osserva la portavoce di 'No Triv Mediterraneo', “la società definisce anche le strategie di comunicazione verso istituzioni, investitori e comunità territoriali in relazione a iniziative e infrastrutture energetiche”.
 Secondo Bellizzi, le dichiarazioni di Tabarelli, “oltre ad essere temerarie, sono anche di parte in quanto la sua società persegue il business economico del gas naturale e di altri combustibili”. Parlando della Basilicata, la portavoce di 'No Triv Mediterraneo' spiega che “è terra di conquista per le compagnie petrolifere e per tutte le società di servizi che traggono profitto e lavoro da chi sfrutta il territorio” e quindi “corre un grave rischio. Gli interessi sono enormi e tali da indurre anche ad elaborare strategie di comunicazione particolarmente aggressive come quelle capaci di Tabarelli che arriva al punto di parlare di 'ostacoli ambientalì” senza tener conto del “diritto di ciascun cittadino di vivere in un ambiente sano e salubre e di poter bere acqua potabile”.
 Bellizzi ricorda che “in Italia vi sono numerose leggi che proteggono l’ambiente e altrettante che puniscono severamente chi inquina, e che le istituzioni non possono lasciarsi intimorire da grossolane minacce di sanzioni economiche. Il rischio non è certo l’applicazione rigorosa delle leggi ma per chi amministra il bene comune vi è obbligo imprescindibile di tutelare l’ambiente attraverso l’applicazione del principio di precauzione vietando tutte quelle attività industriali che possono danneggiarla”.
21 Agosto 2013



I soldi del petrolio. Mezzo miliardo di royalty in 2 anni
di LUIGIA IERACE
 POTENZA - Mezzo miliardo negli ultimi due anni. Ma se guardiamo agli ultimi cinque, il miliardo è più che superato. A tanto ammonta il contestato 10% di royalty (7% più 3% di bonus idrocarburi) che le compagnie petrolifere (Eni e Shell) versano a Stato, Regione e Comuni per l’attività estrattiva in Basilicata. È di 291,9 milioni di euro, infatti, l’ammontare del gettito delle royalty versate al 31 luglio 2013 sulle produzioni di idrocarburi della Basilicata sul suo territorio nel 2012. Su tutto il territorio nazionale le compagnie hanno versato complessivamente la somma di 349,2 milioni di euro e la gran parte sono per l’attività lucana. Mentre al 31 dicembre 2012, per l’attività estrattiva del 2011, il gettito versato dalle compagnie è stato di 245,4 milioni di euro. In tutto il Paese i versamenti sono stati pari a 333,5 milioni di euro.
 Certo non saranno i 6 o i 2 miliardi che il cosiddetto «Memorandum», sottoscritto tra Regione e Governo nel lontano aprile 2011, dovrebbe portare in Basilicata, e che alcuni parlamentari provano a quantificare nelle «maggiori entrate» di cui parla l’art.16 delle Liberalizzazioni. Somme che dovrebbero arrivare, forse e chissà quando, tenendo conto dei tempi della politica e di quelle strane intese tra forze politiche che una volta vanno a braccetto e condividono successi (come nel caso della firma del Memorandum con il sottosegretario Viceconte e il presidente della Regione De Filippo), prendendo poi le distanze da plateali sconfitte come quel 3% di royalty che come vuole il proverbio «vedrà godere il terzo» e in questo caso veneti e liguri, non importa in che misura, ma è certo che dovranno essere reinseriti nella ridistribuzione del Fondo (lucano) idrocarburi dopo la Sentenza del Consiglio di Stato.
 E così mentre si «litiga» o si attendono fiumi di soldi, si perde di vista quella «valanga» di royalty che ha generato la Basilicata e che è una realtà, anche se nella sua parcellizzazione sfugge ai più. Ma i numeri parlano da sè. E nelle casse lucane arrivano tanti soldi, l’intero 7% perché dal primo gennaio 1999, lo Stato ha rinunciato alla sua quota di royalty per le regioni del Mezzogiorno. Così la Basilicata di quel 7% prende sia il 30% spettante allo Stato che il suo 55%, per un ammontare di 168,9 milioni di euro. Il restante 15% è appannaggio dei Comuni della Val D’Agri: 29,8 milioni di euro così ripartiti: 19,6 a Viggiano, 4,3 a Calvello. 2,8 a Grumento Nova, 2,1 a Marsico Nuovo e 722 mila euro a Montemurro. Ma la Basilicata poi alimenta per oltre l’80% quel Fondo idrocarburi che è lievitato a 93,2 milioni di euro.
 Lo scorso anno, al 31 dicembre 2012, ricco il bottino versato dalle compagnie alla Regione Basilicata: 141,9 milioni di euro. Mentre ai Comuni sono andati 24,6 milioni di euro così ripartiti: 15.9 milioni a Viggiano; 3,6 a Calvello; 2,4 a Grumento Nova; 1,8 a Marsico Nuovo; 614 mila a Montemurro e 84 mila euro a Garaguso. Il Fondo idrocarburi invece è stato di 78,9 milioni di euro, somma anche questa ancora indivisa.
 Troppo facile tirare le somme e troppo facile fare le considerazione sull’utilizzo delle royalty da parte di Regione e Comuni, non dimenticando queste somme sono solo una parte di entrate che porta il petrolio e di quelle che potrebbe portare legate al «Memorandum» o all’incremento di produzione in Val d’Agri e per l’avvio dell’attività estrattiva di Tempa Rossa.
 Certo è che l’eccessiva polverizzazione delle risorse ne fa sfuggire la portata, anche quando è la nostra spesa sanitaria o la spesa corrente della Regione o la nostra Università a beneficiarne. Poi ci sono anche i marciapiedi rifatti troppe volte, le sagre, le feste di piazza, i vari «contentini » e le incongruenze di paesi straricchi e paesi poveri e isolati.
 Disoccupazione e malcontento che sfociano nei luoghi comuni. «È solo un’elemosina». Dipende dai punti di vista, perché guardando quelle cifre, forse una riflessione andrebbe fatta. Forse partendo proprio da quei 172 milioni di euro di Fondo destinato alla riduzione del prezzo dei carburanti negli ultimi due anni. Tanti soldi. Troppi in un Paese che ha scelto di utilizzarli per ridurre il prezzo della benzina e del gasolio per alcuni cittadini.
18 Agosto 2013



I sindaci ribelli della Val d’Agri riprovano: «Pronti a disimpegno elettorale»
Nuovo incontro: al centro salute e ricadute delle estrazioni
I primi cittadini della Val d'Agri esclusi dai tavoli delle royalties difendono il proprio territorio e minacciano in vista delle regionali. In arrivo un nuovo incontro: al centro della riunione i temi di salute e ricadute economiche delle estrazioni
di LEO AMATO
POTENZA - Hanno deciso di tornare a farsi sentire Vincenzo Vertunni, Mario Di Sanzo, Michele Grieco, Cesare Marte, Pasquale De Luise di Spinoso e Ugo Salera. Sono i sindaci di Grumento Nova, Montemurro, Sarconi, Spinoso, Paterno e Tramutola, i 6 comuni petroliferi “ribelli” della Val d’Agri. 
Ma questa volta la minaccia non sono più le loro dimissioni, quanto piuttosto il disimpegno elettorale alle prossime regionali a scapito di contava sui voti di quei territori. E dato che si tratta per la maggior parte di esponenti del Pd, anche il destinatario è presto detto.
E’ stato convocato per venerdì un nuovo incontro nella sala del consiglio comunale di Spinoso Al centro, dopo l’accelerazione nella trattativa sull’accordo con Eni per l’aumento delle estrazioni, la bocciatura del bonus benzina, la mobilitazione dei colleghi della Valle del Sauro e l’annuncio del decreto attuativo del memorandum che dovrebbe assegnare 2 miliardi di euro per lo sviluppo di infrastrutture e occupazione in Regione, ci sarà una varietà di questioni aperte sul tema delle trivelle: dalla salute alle ricadute economiche.
«E’ di questi giorni - spiegano in una nota congiunta - la protesta di tutti i sindaci (salvo due), dei comuni facenti parte della concessione mineraria Gorgoglione, contro un metodo, consolidato già nell’Alto Agri, che vede attori solo le compagnie petrolifere e pochi intimi. I pochi altri sono quei sindaci i cui uffici sono interessati al rilascio di qualsivoglia autorizzazione».
 I sei primi cittadini rivendicano di essersi dimessi a gennaio proprio per denunciare questo metodo («e non altro»), dimissioni, poi rientrate, «a fronte di impegni presi sul versante di una più equa distribuzione delle royalties, di un sistema di selezione occupazionale più trasparente e di un sistema di monitoraggio  ambientale più comprensibile».
Ma a distanza di qualche mese «nonostante  la pronta  solidarietà sbandierata  e  le relative dichiarazioni  di impegno a trovare delle soluzioni in tempi brevi, tutto, ad oggi, è rimasto  come prima». «Si sono susseguiti in questi mesi, una serie di incontri interlocutori e sterili,  e abbiamo assistito , allo scioglimento anticipato di un consiglio regionale, che mestamente, anche sotto il peso di una indagine che ha messo in evidenza un sottobosco di miserie umane  e morali, è naufragato». 
Di qui la riproposizione dei loro cavalli di battaglia. In primis sulla distribuzione delle royalties, «perché la maggioranza dei Comuni, salvo qualche eccezione, non riesce più a garantire ai residenti, i servizi minimi  e, in  positivo, gli amministratori locali e le popolazioni  registrano solo i bilanci delle promesse vane».  Poi il sistema di assunzioni «che vede le compagnie petrolifere  e l’ indotto,  agire come se l’occupazione poco o nulla avesse a che fare con i territori interessati dalle attività estrattive: è di queste settimane l’assunzione di alcuni geologi provenienti da altre regioni d’Italia, pur avendo questo territorio  pagato un prezzo  molto alto, se non altro  in termini di  “immagine” e di modello da non seguire, anche oltre confine».
O ancora la questione ambientale «visto che continuano a susseguirsi una serie di incidenti all’interno di un centro oli di cui si conosce sempre troppo poco». In ultima istanza, nonostante appaia come la più importante tra tutte le rivendicazioni, quella di «essere coinvolti concretamente  ai tavoli decisionali,  dove si programma  il futuro delle comunità  che rappresentano, stanchi di  affidare le loro istanze a delegati che in questi anni hanno dimostrato  poco interesse o, nella migliore delle ipotesi, scarsa incisività nel rappresentare, prima di qualsiasi altra cosa,  le esigenze  collettive e prioritarie della popolazione valligiana». «La questione della governance  territoriale non dovrebbe neanche essere argomento di questa discussione, ma è sotto gli occhi di tutti l’agonia in cui versa, giusto per fare un esempio, il Consorzio di bonifica la cui inefficienza condiziona la vita stessa di tanti allevatori e agricoltori, facendo vivere nella più assoluta precarietà lavorativa e retributiva gli stessi dipendenti. 
La Val d’Agri, serbatoio di petrolio, voti e clientele, abbandonata all’incertezza del presente e del futuro. Un tentativo, anche grazie a quelle dimissioni, si sta facendo, solo per iniziativa locale, sulla destinazione di una percentuale di gas alle popolazioni del posto. Ma non basta: tutte le richieste sono rimaste lettera morta e si avvicinano le elezioni regionali. Per i candidati l’obiettivo fondamentale sembra essere la propria elezione. Per i Sindaci, invece, l’obiettivo rimane quello dell’interesse dei propri territori e, in mancanza di risposte certe e immediate, sono pronti a disimpegnarsi completamente sul fronte elettorale».
Un aut aut, senza appello, che in vista delle urne non passerà di certo inascoltato.
lunedì 19 agosto 2013 07:50



Parchi eolici a Venusio Asja raddoppia
DONATO MASTRANGELO
Asja Ambiente raddoppia. La società per azioni torinese dopo il progetto per la realizzazione di un impianto della potenza di 19,8 megawatt con 6 aerogeneratori in località Ciccolocane nei pressi di Venusio, intensifica le mire di espansione nell’asset dell’energia eolica sul territorio materano. Stavolta gli appetiti della società piemontese si sono concentrati ancora nella zona al confine con la Puglia. Asja Ambiente, infatti, ha acquisito da Fortore Energia spa e Guastamacchia Energia spa le quote relative al progetto della Meltemi Energia srl per la realizzazione di un parco eolico in contrada Le Reni sempre a Venusio.
Si tratta un un impianto della potenza di 30,5 megawatt che prevede la installazione 9 aerogeneratori. Meltemi srl attraverso le sue ramificazioni societarie ha in pratica svolto il ruolo di greenfield developer ovvero sviluppatori che identificano le aree idonee alla realizzazione di impianti eolici, elaborano il progetto di massimo ed ottengono le relative autorizzazioni per poi cedere a terzi il diritto di costruzione dell’impianto. Ciò che invece non cambia sul piano sostanziale è il pericolo di impatto visivo che i progetti eolici possono determinare non soltanto a ridosso dell’a re a protetta della Murgia ma anche tra Venusio, Timmari e Picciano, siti che hanno una particolare specificità paesaggistica e dove già insistono altri impianti.
Il tema, dell’integrità del paesaggio dell’habitat rupestre e della conservazione e conservazione dell’avifauna, nel caso della Murgia, ha mobilitato oltre alle associazioni ambientaliste e gli operatori del comparto turistico-alberghiero anche l’Amministrazione comunale e il Parco della Murgia Materana che per il progetto di Zefiro Energy, un impianto da 37,5 megawatt con 15 aerogeneratori in località Le Matine si sono opposte all’iniziativa, inoltrato ricorso al Tribunale amministrativo regionale della Basilicata. Una azione, quella di appellarsi all’or - gano giurisdizionale, portata avanti pur in presenza di una sostanziale retromarcia di Zefiro che ha rinunciato a partecipare all’asta indetta dal Gse, il gestore dei servizi energetici.
Adesso quello che si aspettano le associazioni locali è che il Comune adotti interventi altrettanto determinati per scongiurare che le pale eoliche possano alterare l’integrità di borgo Venusio, preservandone la peculiarità morfologica, storico-culturale e naturalistica. Una presa di posizione doverosa, incalzano le associazioni, a prescindere dalle modifiche recentemente adottate dalla Regione Basilicata al Piano di indirizzo energetico ed ambientale, il Piear per la salvaguardia del paesaggio.
http://www.lagazzettadelmezzogiorno.it/basilicata/parchi-eolici-a-venusio-asja-raddoppia-no645699


Le royalties lucane vanno in Veneto. Scatta la trappola dei leghisti
Il Consiglio di Stato respinge il ricorso del Governo contro la Regione Veneto che aveva chiesto l'estensione del bonus idrocarburi alle regioni che ospitano rigassificatori
di LEO AMATO
Il 30% delle royalties del petrolio estratto in Basilicata andrà spartito con i Veneti per compensare il loro disagio per il rigassificatore di Porto Viro. Quattro anni dopo la “trappola” architettata dai 3 senatori leghisti Piergiorgio Stiffoni, Luciano Cagnin e Cesarino Monti, è scattata inesorabile sul bonus idrocarburi finora riservato soltanto ai lucani.
Lo aveva già detto il Tar del Lazio a maggio dell'anno scorso. Ma almeno due deputati lucani del Pd, Salvatore Margiotta e Antonio Luongo, se n'erano accorti per tempo: dietro l'aggiunta delle aree interessate all'“attività di rigassificazione anche attraverso impianti offshore” a quelle delle estrazioni beneficiate dal fondo per la riduzione del prezzo dei carburanti si nascondeva una grossa fregatura. Peccato che a Palazzo Madama non se ne fosse accorto nessuno ,e il testo emendato fosse stato approvato con voto bipartisan. Due i contrari. Favorevoli tutti i senatori lucani: Maria Antezza (Pd), Felice Belisario (Idv), Filippo Bubbico (Pd), Carlo Chiurazzi (Pd), Cosimo Latronico (Pdl) e l'ex sottosegretario allo Sviluppo economico Guido Viceconte (Pdl). Assente solo Egidio Digilio (ex Pdl poi Fli).
E' stato respinto martedì pomeriggio, senza altra concessione che la mancata condanna alle spese processuali, il ricorso presentato dai ministeri di Finanze e Sviluppo Economico contro la Regione Veneto. Al centro c'era la sentenza che in primo grado aveva dato ragione a quest'ultima sulla destinazione del “fondo per la riduzione del prezzo alla pompa dei carburanti nelle regioni interessate dall'estrazione di idrocarburi liquidi e gassosi”. Questo il titolo dell'articolo 45 della legge numero 99 di luglio del 2009 (“Disposizioni per lo sviluppo e l'internazionalizzazione delle imprese, nonché in materia di energia”), poi “tradito” - di fatto - dall'aggiunta al secondo comma delle “attività di attività di rigassificazione anche attraverso impianti offshore” dopo la parola “gassosi”. Una postilla tutt'altro che indifferente, per quanto il Governo si sia impegnato per smorzarne il significato dopo i commenti entusiastici dell'ex tesoriere del Carroccio sul passaggio del testo rivisto in Senato.
Figurarsi la disdetta a novembre del 2010, un anno e mezzo più tardi, quando i due Ministeri hanno escluso i suoi corregionali dai destinatari della card carburante. Di qui il ricorso intentato ad aprile del 2011 su iniziativa della giunta guidata dall'ex ministro Luca Zaia. A quel punto dalle parti di via Verrastro devono aver prevalso sconforto e rassegnazione. Perché a differenza di Molise e Calabria, regioni che partecipano in via del tutto marginale all'alimentazione, e alla ripartizione dei fondo in questione, la Basilicata avrebbe disertato il Tar del Lazio. Come ha fatto col Consiglio di Stato all'udienza dello scorso 21 maggio, quando sono comparsi - di nuovo - Molise, Calabria e Avvocatura dello Stato per conto dei ministeri interessati. E poi nessuno. Con buona pace dei maggiorenti del Pdl (Guido Viceconte, Vincenzo Taddei e Cosimo Latronico) che sulla card benzina c'avevano messo il cappello, denunciando il disinteresse della Regione. E pure dei veneti dato che domani oltre a loro potrebbero farsi avanti anche i tarantini per compartecipare del Fondo, e poi chissà quanti altri.
La legge in questione secondo Francesca Quadri, giudice estensore della sentenza del Consiglio di Stato, sarebbe volta “a riconoscere una compensazione, sotto forma di minor costo del carburante, a tutti i residenti delle Regioni che sopportano la presenza di impianti di elevato impatto ambientale a vantaggio dell’intera collettività, così contrastando l’effetto nimby (not in my backyard)”. Quindi a meno qualcuno non pensi sul serio che una raffineria “onshore” valga meno di un rigassificatore “offshore”, nonostante la puzza e le ciminiere, il bonus carburante spetta anche alla Puglia. A parte le postille alle leggi infilate più o meno di nascosto durante i lavori di una commissione.  
giovedì 08 agosto 2013 18:56

Basilicata. Bonus benzina "sparito": il Veneto tratta col Ministero
E l'assessore leghista esulta
Dopo la sentenza del Consiglio di Stato che dà ragione al Veneto, arriva  la soddisfazione di Roberto Ciambetti: «Non voglio togliere soldi alla Basilicata, ma se ne occupi Roma»
«L’IMPIANTO di Porto Viro ha una capacità di rigassificazione di otto miliardi di metri cubi. Questo comporta costi ambientali e contribuisce a liberare il Paese dalla dipendenza dall’estero per l’approvvigionamento energetico. Era giusto che anche al Veneto fossero riconosciuti dei vantaggi».
E’ quanto ha affermato l’assessore regionale al bilancio della Regione Veneto Roberto Ciambetti incontrando la stampa d’oltre Po per commentare la vittoria nel ricorso sulla card benzina. Da ora in avanti infatti per effetto della sentenza emessa martedì scorso dal Consiglio di Stato i lucani dovranno “spartire” i soldi del 3% aggiuntivo di royalties versato allo Stato da Eni e - a breve - Total, in base alla legge 99 di luglio del 2009. Ne beneficieranno anche le popolazioni vicine agli impianti di rigassificazione italiani: veneti, liguri e in futuro toscani. Oltre a chissà quanti altri potrebbero cercare di infilarsi nelle maglie di una legislazione a dir poco insidiosa, per effetto dell’emendamento a firma di 3 senatori della Lega Nord approvato a Palazzo Madama con voto bipartisan, e a lungo sminuito dal Governo nella sua reale portata.
Ieri le parole di Ciambetti sono rimbalzate sui principali organi d’informazione, a cominciare dal dorso regionale del quotidiano di via Solferino, il Corriere del Veneto, per cui «ai polesani e ai residenti del basso veneziano per un totale di 2-300 mila residenti» sarà riconosciuto un bonus carburanti come quello dei lucani «che ogni anno ricevono compensazioni per le attività estrattive lungo le loro coste». Ebbene sì: «lungo le loro coste». Se qulcuno dubitava del fatto che lassù sappiano davvero di che si sta parlando.
«Non abbiamo nessuna intenzione di portare via soldi alla Basilicata - ha aggiunto l’assessore leghista - Questo è affare del governo. È di Roma il compito di trovare le risorse». Inoltre ha evidenziato che la capacità del rigassificatore di Porto Viro «al largo di Porto Levante, nell'alto Adriatico» equivale a circa il 10% del fabbisogno nazionale di gas naturale, che ne fa «la prima struttura off-shore al mondo in cemento armato per ricezione, stoccaggio e rigassificazione di gas naturale liquefatto». Perciò «nella classifica dei produttori del gas consumato in Italia dopo Algeria e Russia vien appunto il Veneto, che si posiziona prima di Quatar e Norvegia». In altri termini: rigassificazione uguale produzione. Poco importa che il gas si sia stato estratto altrove.
A breve quindi la Regione Veneto intavolerà una trattativa con il Ministero per lo Sviluppo economico per dare seguito alla sentenza del Consiglio di Stato che ha annullato i decreti che avevano escluso il Veneto dal bonus carburanti. «Non dobbiamo coltivare eccessivi entusiasmi - ha concluso Ciambetti - Le precedenti esperienze con Roma insegnano».


Basilicata. Memorandum, dove andranno le nuove royalties
Ecco i progetti presentati dalla Regione
Tutela dei territorio, infrastrutture, industria ed energia pulita. Tutti gli interventi previsti nel dossier allo studio del Governo
di LEO AMATO
POTENZA - Il capitolo più ingente è la «prevenzione e tutela dell’ambiente e del territorio». Mentre la singola voce è una strada: la «transcollinare Murgia-Pollino». Per lei a Roma sono già disponibili 100 milioni di euro, ma i soldi dell’accordo per l’aumento delle estrazioni in Val d’Agri potrebbero essere fino a 3 volte e mezzo tanti. Poi sostegni a industria, turismo, ricerca ed energia pulita.
E’ raccolta in un dossier allo studio del Ministero dello sviluppo economico la lista dei desideri di via Verrastro, un elenco di interventi per «dare un’idea di ciò che, concretamente, sarebbe utile e possibile fare per il bene di questa regione». Aspettando di capire che resterà del bonus idrocarburi appena bocciato dal Consiglio di Stato.    
Il documento si intitola «Strategia di sviluppo regionale connessa al contributo della Regione Basilicata alla bilancia energetica nazionale», e risale a poco prima della firma del “Memorandum” tra il presidente Vito De Filippo e l’allora sottosegretario allo Sviluppo economico Guido Viceconte. Da allora è stato utilizzato come base di partenza nella trattativa con il Governo sul nuovo piano industriale di Eni, che nell’arco di qualche anno conta di portare il suo livello di produzione in Basilicata dai 90mila attuali ai 104mila autorizzati nel 1998 e di qui a 130mila. Così dai 4 miliardi di euro iniziali si è arrivati a una stima attuale della metà in investimenti per infrastrutture e occupazione. L’ultima parola spetterà sempre alla cabina di regia da istituire al Ministero per lo sviluppo economico, non appena approvato il regolamento attuativo dell’articolo 16 del decreto “liberalizzazioni”. Ma lo schema è rimasto attuale, tant’è che nemmeno 4 giorni fa, nel pieno del clamore suscitato dal fallimento della card benzina, è stato il deputato Cosimo Latronico a spolverare il progetto della “transcollinare”. Un’uscita che all’inizio a qualcuno può essere apparsa estemporanea, ma il giorno dopo si è chiarita con l’annuncio dell’arrivo imminente dei provvedimenti del ministero attesi da settembre dell’anno scorso. Infine l’invito a un accordo per lo sviluppo, che significa proprio aumento delle estrazioni in cambio di investimenti sul territorio.
Oltre alla Murgia-Pollino tra i “desiderata” della Regione ci sono anche 400 milioni da distribuire ai Comuni per l’adeguamento antisismico delle scuole, 450 per la mitigazione del rischio idrogeologico, 300 per la tutela del paesaggio, e poco meno di 50 per la costituzione di un «dipartimento di tutela ambientale, energetica e fonti fossili», che sa tanto di “assessorato al petrolio”. Ne erano previsti 60 per la bonifica delle aree industriali di Tito e della Val Basento ma nelle scorse settimane il necessario ha trovato un’altra strada. Poi le infrastrutture: 200 milioni per il «nuovo itinerario» e la messa in sicurezza della Potenza-Melfi; 27 per due nuovi svincoli sulla Tito-Brienza; 130 per la Gioia del Colle-Matera; e 300 per il collegamento tra la Basentana e la statale 96 bis che da Tolve arriva fino all’Adriatica. Quanto al capitolo «nuova occupazione» il singolo investimento più impegnativo è quello per «un polo industriale della chimica verde», da realizzarsi con ogni probabilità in Val Basento. Ma ci sono anche 130 milioni per il sostengo al turismo, 40 per la formazione più 2 per l’«alta formazione di disaster manager». Non si sa mai. Infine il “cluster nazionale ed internazionale dell’energia” che dovrebbe costare 230 milioni. Da sommare ad altri 250 per il piano regionale di efficienza energetica, e 250 per l’indipendenza delle amministrazioni lucane dalle fonti fossili di energia.






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Basilicata. Petrolio, memorandum per dimenticare il flop della card
Le reazioni dopo la bocciatura del bonus idrocarburi. De Filippo rilancia il nuovo accordo con Eni
di LEO AMATO
POTENZA - Ripartire dal memorandum, dopo l’illusione del bonus idrocarburi, per lanciare un piano di occupazione e sviluppo infrastrutturale della regione con le risorse dell’aumento delle estrazioni in Val d’Agri.
E’ la ricetta di Vito De Filippo dopo la bocciatura della “card benzina” da parte del Consiglio di Stato, che allargando la platea dei beneficiari ai veneti, i liguri e in futuro i toscani e, perché no, i pugliesi (difficile sostenere l’esigenza di compensazioni per chi ospita un rigassificatore e non per chi ha una raffineria) ne ha in sostanza annullato i benefici, ridotti a qualche spicciolo e poco più.
«Se una cosa non ha una logica dall’inizio non la si può cercare alla fine». Ha spiegato il due volte presidente della Regione Basilicata, dimissionario ma tutt’altro che disimpegnato sui temi dell’agenda dello sviluppo regionale. Per quanto la scelta di non contrastare il ricorso della Regione Veneto sia stata anche sua, e gli sia costata più di qualche invettiva dei maggiorenti del Pdl, veri padrini politici della “card”.
«La decisione del Consiglio di Stato sul bonus idrocarburi è paradossale - ha ammesso De Filippo - ma lo è anche la stessa misura del bonus, priva di ogni forma di equità e produttività, con più fondi alle famiglie che dispongono di più patenti e meno a chi magari non la ha perché non ha l’automobile. Un provvedimento che non abbiamo condiviso e che non potevamo difendere. E ora rinnoviamo con più forza l’auspicio che il governo ripensi a quanto era stato fatto e concentri risorse sullo sviluppo della Regione o su misure di sostegno a chi più ne ha bisogno, dando seguito con decisione alla strada ampiamente condivisa delineata col memorandum». Ossia il fondo per infrastrutture e lavoro da finanziare con le maggiori entrati tributarie derivanti dall’aumento delle estrazioni in Val d’Agri.
Annunciano di aver già interpellato il Ministero dello Sviluppo economico il senatore Guido Viceconte e il deputato Cosimo Latronico, per cui quella dei giudici di Palazzo Spada è «una decisione inspiegabile che contrasta con il principio di realtà: possono i cittadini lucani finanziare, con le attività petrolifere che si svolgono sul proprio territorio con impatti ambientali  di sicuro rilievo, gli impianti di gassificazione che dovrebbero essere a carico delle imprese che li esercitano?» I due parlamentari Pdl, al governo all’epoca dell’approvazione della legge assieme ai leghisti autori dell’ emendamento che ne ha neutralizzato gli effetti spiegano di aver chiesto al sottosegretario Simona Vicari «iniziative necessarie per chiarire questo grande equivoco su cui si è costruita la decisione del Consiglio di Stato e difendere il diritto di oltre 300 mila lucani. Il senso dell'art 45 della legge 99/2009 - hanno aggiunto - e’ chiaro ed è quello di destinare un tre per cento delle royalties per ridurre il prezzo dei carburanti a favore delle popolazioni che insistono sui territori interessati da impianti idrominerari. Confidiamo che la questione si chiarisca definitivamente ed il diritto dei lucani ad avere un vantaggio sul,prezzo dei carburanti».
Si aggiusterà tutto? In realtà non ci scommettono nemmeno gli “alleati” di Fratelli d’Italia. Tant’è che Giampiero D’Ecclesiis della costituente provinciale potentina parla di «fallimento totale della strategia politica del Pdl» e tira in mezzo anche il memorandum sottoscritto a marzo del 2011 da De Filippo e dall’allora sottosegretario allo Sviluppo economico Guido Viceconte.  La card benzina, anche quando valeva qualcosa in più, era pur sempre un provvedimento che «conteneva una evidente ingiustizia lasciando fuori i lucani non dotati di patente». E comunque ben poco rispetto a quello che spetterebbe a chi ospita pozzi e installazioni petrolifere come quelle di Eni, Shell e Total.
Parla di una «beffa» il consigliere regionale dell’Idv Antonio Autilio, e di una «palese ingiustizia tra lucani e cittadini residenti in regioni soprattutto del Nord che non hanno la più pallida idea di cosa significhi la convivenza con le attività petrolifere e il Centro Oli di Viggiano». Motivo per cui sostiene come De Filippo che occorre «accelerare il confronto con il Governo oltre che sui contenuti del Memorandum sul petrolio anche sulla rideterminazione delle royalties attribuite a Regione e Comuni».
Per i Giovani Democratici si tratta un segnale che alimenta «un ulteriore senso di sfiducia nei confronti delle istituzioni tutte», motivo per cui chiedono che la legge venga cambiata «non solo nella forma ma anche nella sostanza. La cultura politica di cui lo stesso è espressione è ormai superata avendo mostrato le sue innegabili criticità nonché la sua inconsistenza».
venerdì 09 agosto 2013 08:06

Basilicata. Bonus card, una beffa non basta per un pieno «Svuotata» da sentenza del Consiglio di Stato
di LUIGIA IERACE
 POTENZA - La card idrocarburi «svuotata» dal Consiglio di Stato potrebbe portare ai patentati lucani poco più di 80 euro. Una beffa, tenendo conto, che il beneficio previsto poteva arrivare a oltre 170 euro a testa grazie alla forte crescita del Fondo, alimentato per il 90 per cento dalle royalty che Eni e Shell, versano in Basilicata per il giacimento della Val d’Agri. Infatti, in base alla produzione di idrocarburi che è fortemente lievitata nel 2012 e all’aumento del costo del greggio, il Fondo per la riduzione del prezzo alla pompa dei carburanti, alimentato dal 3% di royalty versate dalle compagnie petrolifere è di 78,9 milioni di euro. Circa 70 milioni sono versati dalle compagnie petrolifere per la produzione di greggio del più grande giacimento d’Europa su terraferma della Val d’Ag ri. Ma ecco il paradosso generato dalla sentenza del Consiglio di Stato: oltre la metà di questa somma, circa 36 milioni di euro non andranno alla Basilicata ma alla Liguria per il rigassificatore su terraferma di Panigaglia e al Veneto per quello di Cavarzere a Rovigo, a porto Viro antistante la costa in offshore. In sostanza, i circa 350mila lucani aventi diritto (a tanto è lievitata la platea) dovrebbero dividersi la somma di poco più di 31 milioni arrivando così a poco più di 80 euro a testa. A veneti e liguri, invece, ne andrebbero complessivamente circa 37 milioni. Di questi, quasi 31 milioni, al Veneto, dove essendo il numero dei patentati pari a circa 3 milioni, a ognuno spetterebbero poco più di 10 euro a testa. Ai liguri, invece, ne andrebbero poco più di 5 milioni che ripartiti tra 1 milioni di aventi diritto porterebbero a poco più di 5 euro a testa. Somme in entrambi i casi inferiori a 30 euro e quindi a beneficiare sarebbero non i singoli cittadini, ma le regioni.
 Ecco cosa potrebbe succedere se si dovesse ripartire il Fondo idrocarburi in maniera diversa dall’attuale, inserendo i rigassificatori e tedendo conto delle quantità di gas rigassificato negli impianti veneti e liguri, cui si aggiungerà quello della Toscana a Livorno appena entrerà in esercizio.
 Sarebbe lo scenario più penalizzante per la Basilicata, sebbene nel 2012 ha registrato una produzione di greggio pari a oltre 4 milioni di tonnellate a fronte dei 4,9 milioni di tonnellate estratti complessivamente in terraferma in Italia. Ma non esiste «territorialità» per il Consiglio di Stato e così, secondo una proporzione matematica tra produzione di greggio e gas rigassificato nel 2012 (circa 1,1 miliardi di metri cubi in Liguria e 6,2 miliardi in Veneto) e loro effettivo valore, si sceglie di depauperare la Basilicata che dovrebbe cedere a queste due regioni più della metà delle sue risorse. Saremmo all’assurdo e non si potrebbero escludere ulteriori diminuzioni per compensare le «perdite» delle due regioni escluse dall’erogazione dei primi due bonus, magari con un ulteriore ridimensionamento dei circa 80 euro, somma ipotizzata per ogni patentato lucano. Ma dietro la penalizzazione della Basilicata si ravvisa un capovolgimento di concetti acquisiti nell’industria petrolifera di produzione, di royalty, di compensazioni ambientali. E a fronte di tutto questo la stessa Assomineraria potrebbe prendere una posizione ravvisando anche un illegittimo vantaggio competitivo ai danni delle imprese che operano nel settore estrattivo. Perché, nel caso specifico, Eni e Shell, dovrebbero vedere che più della metà delle royalty versate sulle produzioni lucane vanno quasi a «compensare» quello che operatori in impianti di rigassificazione non versano nel Fondo, con un vantaggio competitivo a loro beneficio. Imprese che peraltro già godono di remunerazioni relative all’attività regolata e al sistema tariffario, a fronte di quelle estrattive che non recuperano i costi di produzione.
 Questo dal punto di vista delle imprese, ma guardando ai territori basta considerare le compensazioni ambientali che gli operatori degli impianti di rigassificazione già versano ai territori dopo aver stretto accordi con gli enti locali e le popolazioni. Perché poi dovrebbero beneficiare anche delle royalty di altri territori? La querelle è aperta.
09 Agosto 2013




Potenza, Card benzina «svuotata» da sentenza del Consiglio di Stato
di LUIGIA IERACE
 Addio bonus idrocarburi. Il Consiglio di Stato dà ragione al Veneto e di fatto «scippa» alla Basilicata il beneficio respingendo il ricorso dei Ministeri dell’Economia e delle Finanze e dello Sviluppo Economico. Scaduto appena una settimana fa il termine per la presentazione delle domande alle Poste da parte dei maggiorenni, patentati, residenti in Basilicata per chiedere il terzo bonus idrocarburi, che si profilava ben più corposo visto l’aumento delle produzioni e il costo del greggio (oltre 180 euro a fronte dei 100,70 euro del primo bonus e dei 140,25 euro del secondo) arriva la sentenza del Consiglio di Stato. Accoglie il ricorso dei veneti ed estende il beneficio anche ai residenti delle regioni ospitanti impianti di rigassificazione, come il Veneto e la Liguria e in futuro anche la Toscana quando entrerà in funzione, il nuovo rigassificatore.
 Una doccia fredda per i lucani, che gela ogni aspettativa: in sostanza, il fondo per la riduzione del prezzo alla pompa, dei carburanti, alimentato per lo più dalle royalty della regione Basilicata, dovrà essere ridistribuito anche a quelle regioni dove non si producono idrocarburi, ma sono ospitati impianti di rigassificazione. Un’attività che non genera royalty e quindi non alimenta il Fondo idrocarburi, in quanto non è un processo produttivo, ma una trasformazione di uno stato fisico (liquido) a un altro (gassoso). Di diverso avviso il Veneto che già in fase di aumento delle royalty e di destinazione di quel 3% alla costituzione del Fondo, aveva spinto sul legislatore facendo inserire all’ultimo momento, con un blitz dei Leghisti, quella postilla che includeva «le attività di rigassificazione», senza però prevedere da dove sarebbero state attinte le risorse economiche per il ristoro dei residenti. E così quando i Ministeri dell’Economia e delle Finanze di concerto con il Ministro dello sviluppo economico hanno emanato i decreti per la ripartizione del Fondo tra le regioni interessate dalle attività di estrazione, in funzione del quantitativo di idrocarburi estratti, il Veneto li ha impugnati e prima il Tar e ora il Consiglio di Stato gli hanno dato ragione.
 Tutto da rifare, quindi. Cambieranno i criteri di ripartizione di un Fondo, tutto lucano che andrà a beneficio di altri territori. Basti pensare che per la terza erogazione il fondo ammonta complessivamente a circa 79 milioni di euro, oltre 70 dei quali sono royalty che le compagnie petrolifere (Eni e Shell) hanno versato allo Stato per le attività di produzione di idrocarburi della Val d’Agri. Il resto dei fondi si riferiscono alle royalty versate per le attività estrattive di Piemonte, Puglia, Calabria, Emilia Romagna, Molise e Marche. Solo la Basilicata avrebbe beneficiato del bonus idrocarburi, versato sulla card dei patentati, maggiorenni, residenti in Basilicata, nel 2011 e 2012, mentre le altre regioni avendo diritto a un beneficio inferiore a 30 euro pro capite su base annua, la somma spettante è stata versata direttamente alle regioni.
 A una settimana dal ferragosto il Consiglio di Stato rimette tutto in discussione penalizzando la Basilicata e i lucani che già sopportano sul loro territorio l’attività di estrazione petrolifera. Ma questo ai giudici non importa. «Non vi è possibilità di suddividere, come vorrebbero gli appellanti, le risorse del fondo per attribuirvi diverse destinazioni, essendo esso unico e finalizzato alla riduzione del prezzo alla pompa dei carburanti per i residenti nelle regioni interessate dalle estrazioni di idrocarburi liquidi e gassosi nonché dalle attività di rigassificazione attraverso impianti fissi offshore». Per il Consiglio di Stato «appare dunque in contrasto con tale chiaro dettato normativo – frutto della volontà parlamentare di estendere l’utilizzazione del Fondo a beneficio dei residenti di tutte le indicate regioni – la limitazione della destinazione dell’intero fondo, mediante l’istituzione del “bonus idrocarburi”, in favore di alcuni soltanto dei beneficiari indicati dalla legge». Nè è decisiva la circostanza «che il Fondo sia alimentato (in parte, ma certamente preponderante)» soltanto da alcuni territori non essendo stabilita alcuna correlazione tra produzione e soggetti che ne beneficiano. Nessuna limitazione neppure intorno al concetto di produzione «potendosi estendere il concetto di produzione dai beni (idrocarburi) ai servizi (trasporto), con ciò comprendendo anche le imprese che svolgono attività di rigassificazione». Non mettono soldi, insomma, ma li prendono.
08 Agosto 2013











Puglia e Basilicata dicono no alle trivelle
BARI - Mobilitazione dei sindaci della costa jonica. Dalle Regioni parte la petizione per i ministeri e l’Ue
 «No al petrolio nello Jonio»: tra le firme contro le trivellazioni in mare c’è anche quella del consiglio regionale pugliese, che per bocca del presidente Onofrio Introna aderisce al «No triv tour» lanciato dal sindaco di Amendolara, Ciminelli. «Tengo a ribadito pubblicamente: tutti i consiglieri regionali della Puglia, uniti fin dal primo momento contro ogni attentato alla salute ambientale dei nostri mari, aderiscono alla sottoscrizione a difesa dell’ecosistema marino dalla ricerca ed estrazione di idrocarburi».
 Dalla cittadina ionica è partita, infatti, una campagna di sensibilizzazione contro i progetti di trivellazioni delle compagnie petrolifere, lungo la costa ionica di Basilicata e Calabria. Le firme raccolte saranno sottoposte ai Ministeri interessati e all’Ue. Una manifestazione itinerante, avviata a fine luglio nella cittadina in provincia di Cosenza, toccherà altri centri marinari ionici in Lucania e Puglia, all’insegna del no alle trivellazioni.
 Solo nel Golfo di Taranto, sono 11 le richieste di autorizzazioni avanzate ai Ministeri da 7 multinazionali petrolifere e 4 le concessioni attive, al largo del Catanzarese, con svariate piattaforme e decine di pozzi. «Per salvare il nostro oro blu, stop all’oro nero: la Regione - dice Introna - è fin dall’inizio tra i protagonisti della battaglia per il mare». Infine, l’appello al ministro dell’Ambiente, Orlando, a fissare l’incontro richiesto dall’Assemblea pugliese per illustrare le ragioni della mobilitazione a tutela dei mari. «Non gli sfuggirà certamente l’appello delle istituzioni, delle forze sociali, delle Associazioni e dei cittadini di Basilicata, Calabria e Puglia. Non è un caso che i sindaci dell’arco ionico stiano facendo causa comune – fa notare ancora Introna – come del resto un fronte unitario è quello delle regioni adriatiche, che respingono ogni ipotesi di sfruttamento delle irrisorie fonti energetiche dal proprio mare e hanno adottato un documento unitario a tutela di tutte le acque del Mediterraneo europeo e a sostegno di uno sviluppo sostenibile dei nostri territori».
06 Agosto 2013



I russi rinunciano a stoccare il gas a Pisticci
di FABIO AMENDOLARA e FILIPPO MELE
 «Istanza di rinuncia alla richiesta di concessione di stoccaggio di gas naturale a Serra Pizzuta». La Geogastock Spa, la società a capitali russi che aveva ottenuto le concessioni per stoccare gas in un pozzo dismesso a Pisticci, si arrende. E si ritira. L’istanza è stata avanzata al ministero dello Sviluppo economico ed è pubblicata sul Bollettino ufficiale degli idrocarburi e delle georisorse. La coincidenza: la rinuncia è stata avanzata proprio mentre venivano pubblicati i retroscena - provenienti da un’inchiesta della Procura di Firenze - sull’intrigo del gas russo in Basilicata.
 L’inchiesta ha svelato una strana operazione finanziaria nascosta dietro alla compravendita di un libro antico. Nell’intrigo c’è l’ex senatore del Pdl Marcello Dell’Utri, c’è l’antiquario barese Massimo Marino De Caro e c’è l’imprenditore russo Ivan Akhmerov. Ascoltando i telefoni dell’antiquario barese i carabinieri del Ros - coordinati dal pubblico ministero della Procura di Firenze Giuseppina Mione - hanno scoperto che quella che sembrava una semplice trattativa per la compravendita di un libro antico in realtà era un’operazione finanziaria «di dubbia natura», così viene definita in una richiesta di proroga di intercettazioni telefoniche, legata alle concessioni per i pozzi di gas in Basilicata.
 «Dell’Utri - si legge nei documenti di cui la Gazzetta è in possesso - ha ricevuto sul suo conto corrente versamenti per 409mila euro da De Caro e da sua moglie Rossella Sacco quale corrispettivo della vendita di un libro antico». Ufficialmente Dell’Utri vende un libro che contiene un’im - portante epistola di Cristoforo Colombo. È il mese di aprile del 2009 (le indagini dei carabinieri erano appena cominciate). In realtà, secondo la Procura, «l’operazione era diversa»: «All’epoca - scrive il pm - De Caro e la moglie avevano un reddito poco compatibile con quell’acquisto e il libro non risultava di proprietà di Dell’Utri».
 Controllando i conti corrente di Dell’Utri e dell’antiquario i carabinieri del Ros hanno scoperto che «la provvista di denaro per l’acquisto sembra essere stata fornita da due società: la Avelar management e la Geogastock. Quest’ultima società, nello stesso periodo temporale - scrivono gli investigatori - risulta aver ottenuto delle concessioni di stoccaggio di gas naturale relative ai giacimenti in Basilicata». Il pm ha quindi ipotizzato che «Marcello Dell’Utri - si legge nei documenti dell’inchiesta - sfruttando il suo ruolo istituzionale, anche mediante l’intervento su pubblici ufficiali, abbia favorito gli interessi di imprenditori russi operanti nel settore delle risorse energetiche, nei loro rapporti con le amministrazioni pubbliche interessate, così da ottenere l’abilitazione a operare in Italia in un comparto industriale di rilievo strategico nazionale con il rilascio di concessioni di stoccaggio di gas relative ai giacimenti di Grottole, Ferrandina e Pisticci, e che a fronte di ciò abbia ricevuto dai russi, per il tramite di De Caro, delle consistenti somme di denaro, apparentemente giustificate dall’acquisto fittizio dell’opera d’arte».






Gas: Bp, Socar e Total si uniscono a consorzio Tap
Operatore transito gas Fluxys prende 16% quote del progetto
30 luglio, 14:20
(ANSA) - BRUXELLES - BP, SOCAR e Total, già membri del consorzio del fornitore di gas Shah Deniz in Azerbaijan, hanno deciso di unirsi al gruppo alla guida del progetto del gasdotto transadriatico (Tap). Tap aprirà la via del cosiddetto Corridoio Sud del gas: collegherà il gasdotto che attraversa l'Anatolia (Tanap) al confine greco-turco a Kipoi, per poi attraversare la Grecia e l'Albania e il Mare Adriatico, per finire in Puglia, nel Sud dell'Italia. Secondo quanto riferisce una nota, BP e SOCAR hanno preso una quota del 20% ciascuna, mentre Total ha comprato il 10% del consorzio. Fluxys invece, uno dei principali operatori per il transito del gas in Europa, ha deciso di unirsi a Tap acquistando il 16% di quote. Gli altri azionisti di Tap, cioè la svizzera Axpo, la norvegese Statoil e la tedesca E.ON, continueranno a sostenere il progetto, quindi le quote di Tap attualmente risultano distribuite fra BP (20%), SOCAR (20%), Statoil (20%), Fluxys (16%), Total (10%), E.ON (9%) e Axpo (5%).
 ''I nostri nuovi azionisti aumenteranno in maniera significativa la posizione strategica di Tap nel diventare una via di collegamento per le loro attività di upstream e downstream'' del gas, ha detto Kjetil Tungland, Managing Director di Tap. ''Questo rafforzerà ulteriormente l'integrazione del Corridoio Sud e faciliterà la consegna del progetto Tap secondo i tempi e con il bilancio previsti'' ha aggiunto Tungland. Gli azionisti di Tap, riferisce la nota, rimangono aperti a nuovi ulteriori partner strategici intenzionati ad aderire al progetto in futuro. (ANSA)














Basilicata. Il trappolone "chimica verde" e il retroscena della Novamont
Al centro della discussione l'alternativa dell'agricoltura energetica e l'affarone per pochi di un nuovo stabilimento
di LEO AMATO
POTENZA - Un nuovo stabilimento in Val Basento a bassa occupazione e alta redditività? O una partnership diffusa per la conversione all’agricoltura energetica di parte delle imprese che insistono nella stessa area?
C’è anche il dilemma “chimica verde” tra i nodi ancora irrisolti nella trattativa in corso tra Eni e Regione Basilicata per l’aumento delle estrazioni in Val d’Agri, che negli scorsi mesi ha subito una brusca accelerata grazie anche all’iniziativa dei principali comuni petroliferi.
Questa volta non solo loro al centro della discussione ma quelli dove hanno sede le «terminazioni industriali» della filiera del greggio lucano che proprio per questo, grazie al nuovo accordo, di qui a qualche mese  potrebbero beneficiare per la prima volta di una quota delle nuove “royalties” previste. Non i comuni però, si badi bene. Ma progetti che insistono nei rispettivi territori per «l'accelerazione dello sviluppo regionale attraverso politiche aggiuntive di sviluppo industriale generatore di occupazione, di incremento della dotazione infrastrutturale, di investimenti in ricerca e innovazione connesse alla ricerca e coltivazione delle fonti fossili in Basilicata». Così il Memorandum sottoscritto ad aprile del 2011 dal governatore Pd della Regione Vito De Filippo e l’allora sottosegretario Pdl allo Sviluppo economico Guido Viceconte. Chiaro quindi che la questione è tutta su chi ne beneficerà.
Il primo a parlare di “chimica verde” nella discussione sull’aumento delle estrazioni in  Val d’Agri era stato De Filippo quando il negoziato era appena iniziato. «Noi - così in Consiglio regionale il 29 marzo 2011 - abbiamo fatto una scelta finanziaria, sostanzialmente l’aumento delle royalty, un contributo ulteriore in termini finanziari noi invece vorremmo provare a lavorare ad alcuni settori innovativi, facciamo soltanto riferimenti abbastanza generali nel memorandum ma sarà il tema dell’intesa che dovremmo valutare con voi dalla chimica verde, a settori innovativi nella componentistica energetica e proviamo a costruire con il Governo nazionale prima sulla base di una valutazione strategica unitaria che è quella di verificare se il Governo intende rilanciare i sistemi produttivi della nostra regione alla luce di questa funzione nazionale, il settore che ovviamente dovremmo indicare noi».
Subito dopo il riferimento all’accordo tra Regione Sardegna ed Eni per il rilancio del polo petrolchimico di Porto Torres con la realizzazione di un investimento da parte della compagnia del cane a sei zampe e del suo socio Novamont di quasi un miliardo di euro per la realizzazione di ben 7 impianti “bio”, tra cui una centrale a biomasse, «una catena di produzione integrata a monte con le materie prime vegetali» e un centro di ricerca. Cos’è Novamont? Uno degli spin-off meglio riusciti del gruppo Montedison considerata un’azienda leader nel settore delle bioplastiche tant’è che nei giorni scorsi ha seguito anche il Papa a Rio de Janeiro per distribuire piatti, posate e bicchieri di plastica biodegradabile e alleviare il peso dei rifiuti prodotti dalle centianaia di migliaia di giovani accorsi. Così anche alle olimpiadi di Londra dell’anno scorso.
Non è nuova, Novamont, nemmeno in Basilicata. Solo ieri si è conclusa la sua ultima incursione peraltro proprio nell’area delle estrazioni dove con la Goletta di Legambiente si è occupata della qualità delle acque del Pertusillo. E i suoi brevetti sono al centro del progetto del polo di “chimica verde” in Val Basento. A prescindere o meno dal luogo di provenienza delle materie prime vegetali.



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