Energia del Mezzogiorno.7





Ecco le domande rivolte all’Eni, alcune senza chiarimenti concreti
Dall’inquinamento della catena alimentare allo smaltimento degli scarti, il documento non è specifico nei punti più delicati
1) Quali studi scientifici indipendenti la sua società mineraria può vantare per giustificare l’uso di sostanze tossiche, nocive e radioattive (bario, polimeri, cromo, afnio, berillio, americio 241, ed altri) nel sottosuolo italiano, senza rischi al circuito dell’acqua e alla catena alimentare umana?
2) Quali studi scientifici indipendenti la sua società può vantare a favore delle perforazioni e delle reiniezioni di acqua di strato (tossica e nociva) ad alta pressione, nel sottosuolo italiano, fino a diversi chilometri nel sottosuolo, in aree sismiche o con faglie sismo genetiche, come Eni sta cercando di fare in Val d’Agri, col pozzo di reiniezione Monte Alpi 9 or, lungo la faglia sismogenetica del terremoto del 1857 di Grumento Nova, undicesimo della scala Mercalli?
3) Il piccolo comune di Grumento Nova, in Basilicata, meno di duemila abitanti, si è opposto al pozzo di reiniezione Monte Alpi 9 or. Si è opposto per paura che possa essere sollecitato un sisma. Non ritiene che la potente Eni possa fare un gesto tranquillizzante e rinunciare a perforare il Monte Alpi 9 or, vista l’estrema vicinanza alla faglia sismica, dato che per voi è solo una questione di costi?
4) Analogamente alla domanda precedente, sempre in Basilicata dove attuate l’80% delle perforazioni nazionali, non ritiene un gesto di tranquillità sociale sospendere il pozzo Alli 2, che state realizzando a 3 chilometri da un ospedale e a 300 metri dalle case del piccolo paese di Villa d’Agri, meno di duemila abitanti e che tanta agitazione sociale crea nella gente? Come lei ben sa (Trecate in Piemonte insegna) i pozzi possono anche esplodere o emettere (come il Gorgoglione 2 in Basilicata) alte concentrazioni del mortale idrogeno solforato.
5) Quali studi scientifici indipendenti la sua società possiede, che documentano che perforare nelle aree di ricarica delle sorgenti dei fiumi, come accade nella Concessione Val d’Agri, dal 1997, è una pratica che non inquina irreversibilmente le circa 650 sorgenti del fiume Agri sottese dall’area di ricarica da voi perforata? Nella concessione Val d’Agri ci sono ben tre bacini idrici di ricarica con diversi pozzi minerari al loro interno, sono l’Alli, Molinara/Bocca dell’acqua e Peschiera Pedale. Mentre diversi pozzi insistono a poche centinaia di metri da ben altre 8 aree di ricarica e molti di questi pozzi hanno una perforazione in orizzontale, e, infine ben 14 pozzi sono stati realizzati o da realizzare attorno alla diga del Pertusillo, di recente interessata da diverse morie di pesci oltre al fatto che analisi indipendenti dimostrano una concentrazione di idrocarburi e metalli pesanti addirittura nei sedimenti della diga, lungo la sponda interessata dalla presenza di pozzi minerari.
6) La tecnica di reiniezione di liquidi ad alta pressione, con la quale iniettate acqua di strato (fanghi, acidi, polimeri) nel sottosuolo per aumentare il pescaggio del petrolio, oltre ad essere a rischio elevato di sisma (affermazione del professore Leonardo Seeber, sismologo di chiara fama), può essere considerata anche una maniera per smaltire illecitamente i fanghi che producete?
7) Ci sono prove che in Italia avete usato acidi tossici, acido cloridrico e acido fluoridrico, sin dal 1999, in Basilicata, e dal 200 a Trecate in Piemonte, e poi anche a Foggia, vicino Parma e a Viterbo, oltre che in una imprecisata area del mar Adriatico. Gli acidi servono a dissolvere la roccia e a liberare gli idrocarburi. Insieme agli acidi avete anche sperimentato una perforazione orizzontale che ricorda molto la tecnica del fracking, non legale in Italia in quanto non normata. Al di là dell’elevata nocività e tossicità verso l’uomo e la sua catena alimentare di queste sostanze rilasciate ad alte concentrazioni e ad alta pressione nel sottosuolo, abbiamo anche trovato uno studio che dimostra la correlazione tra l’acico cloridrico e la moria di pesci nei laghi e nei fiumi. Lei può escludere che in Val d’Agri, nel lago del Pertusillo, dove dal 1999 usate acido cloridrico, le diverse morie di pesci non abbiano una vostra responsabilità proprio legata all’acido cloridrico e alle altre sostanze che usate, in maniera diretta o indiretta, tramite l’eutrofizzazione del lago?
8) Avete un registro delle quantità dei fanghi e dei rifiuti petroliferi prodotti nei vostri pozzi estrattivi in Italia? Lei sa bene che c’è una correlazione diretta tra quantità di rifiuti e barili estratti. Non per sfiducia in ciò che dichiarate in tema di quantità di barili estratti, ma avere un report indiretto, come possibilità di verifica, è segno di trasparenza.
9) Una piattaforma marina, in dieci anni emette ben 90mila tonnellate di rifiuti tossici e fanghi. È sicuro che non viene gettato tutto in mare? Ci può dire come fate per evitarlo?
10) Ritiene giusto che le società minerarie tengano secretati i piani ingegneristici? Lei sa bene che i piani sono l’esatta descrizione di cosa si perfora, di come si perfora, di cosa si incontra durante la perforazione (che può raggiungere anche i 7 chilometri di profondità) e, soprattutto, di cosa si inietta nel sottosuolo che le ricordo è pubblico e non privato.
11) Ci sono 6 pozzi in Basilicata, nella concessione Cugno le Macine, in Val basento, che sono dichiarati come pozzi estrattivi a gas, ma hanno prodotto inquinamento da idrocarburi pesanti, come da “relazione ufficiale dell’Arpa di basilicata”. In merito è lecito chiederle: cosa fa Eni, estrae petrolio e dichiara gas? Costituisce fondi neri?
venerdì 22 novembre 2013 08:20

Il petrolio e la Basilicata. Così parlò Scaroni: "Tutto va bene"
L’ad dell’Eni risponde alle 11 domande sulle estrazioni poste dal senatore del M5S, Vito Petrocelli. Il Movimento 5 Stelle pubblica il documento della commissione industria del Senato
di VALERIO PANETTERI
POTENZA - Ci ha messo più di un mese l’amministratore delegato di Eni, Paolo Scaroni, a rispondere alle domande proposte dal Movimento 5 Stelle (e pubblicate sulla piattaforma web) all’interno della commissione Industria, Commercio e Turismo.
Otto pagine di documento per dire che tutto va bene, che le estrazioni sono controllate e che l’intero processo delle estrazioni in Basilicata è controllato e monitorato. L’unico problema forse è stato nella concessione “Cugno le Macine” ufficialmente composta da pozzi per il gas. Qui l’Arpa individuò inquinamento da idrocarburi pesanti: colpa, dice Scaroni «alle cause antropiche, ossia a fattori esterni all’estrazione». Qualcuno, quindi, avrebbe sversato idrocarburi grezzi attorno quei pozzi.
Così come, alla domanda sull’uso di sostanze tossiche e radioattive come bario, cromo e americio, Scaroni si limita a dire che «non sono sostanze tossiche e nocive a priori, ma solo se utilizzate male o in quantità eccessive». Ma dà anche delle indicazioni su cosa contengono i fluidi di perforazione. «Prevalentemente è acqua. Le sostanze aggiunte sono il bario sotto forma di barite, lo stearato di calcio (stabilizzante e lubrificante non tossico, la gomma di guar e le argille comuni quali la bentonite e viscosizzanti polimerici di origine sintetica». È vero che alcune delle sostanze pericolose sono utilizzate nelle attività di perforazione, ma come dice Scaroni, si tratta di un sistema «chiuso». Il pozzo sarebbe «isolato» durante la perforazione grazie all’isolamento del foro di perforazione con dei rivestimenti. Il fluido, quindi, sarebbe iniettato per poi risalire in superfice ed essere immesso in vasche per il trattamento dopo essere stato ripulito dai detriti.
Stesso discorso sulla reiniezione: «è il metodo più sicuro e di minore impatto per riportare le acque, separate dagli idrocarburi nelle stesse formazioni geologiche dalle quali provengono». Di nuovo un sistema chiuso che non interagisce con le formazioni e non comporta «alcun aumento di pressione media». In Val d’Agri ci sono circa 3mila 500 metri cubi di acqua di strato portata in superfice, ed è per questo che Eni ha chiesto l’autorizzazione per Monte Alpi 9. Sulla questione del rischio sismico Scaroni non si sbilancia: «Dal 2001 Eni ha installato una serie di stazioni di rilevamento microsismico (ad oggi 15) distribuite su un’area di circa 50 chilometri per 40 chilometri interfacciate con la rete sismica dell’Ingv». Queste dovrebbero rilevare ogni minimo dato sulla sismicità, che viene fornito anche alla Regione Basilicata. Ma se è vero che tutto è sotto controllo ci si trova comunque in una zona ad altissima sismicità, e il pozzo Monte Alpi 9 di Grumento Nova ha destato non poche preoccupazioni nella popolazione. Impossibile chiuderlo perché «Dal 2001 è risultato idoneo alla reiniezione delle acque, avendo ottenuto le autorizzazioni. Inoltre - continua Scaroni - la reinieizione ha valenza ambientale positiva perché non ha alcun impatto verso l’esterno». La chiusura di Monte Alpi 9 potrebbe realizzarsi soltanto quando Arpab e Ingv dovessero rilevare criticità sismiche legate alla reiniezione. Non importa che, come il pozzo Alli 2, si perfori a 300 metri dal comune di Villa d’Agri «le tecnologie e le misure di controllo adottate oggi da Eni rendono la perforazione di un pozzo un’attività con rischi bassissimi e compatibili con la presenza di strutture e centri abitati nelle vicinanze». E se a Trecate, in Piemonte, un pozzo letteralmente esplose, mentre su Gorgoglione 2 ci fu l’emissione di alte concentrazioni di  idrogeno solforato. Nessun problema. oggi quanto accaduto in Piemonte «non potrebbe accadere perché dal 1994 ad oggi sono state aggiunte ulteriori misure di sicurezza», mentre «l’evento Gorgoglione 2, secondo fonti ufficiali e pubbliche dell’Unmig, non ha costituito alcun pericolo per la salute e per l’ambiente».
Nessun pericolo per le sorgenti, perché «i pozzi non interferiscono con i bacini» e le perforazioni orizzontali «ormai messe a punto». Sulla diga del pertusillo Scaroni smentisce: «Non sono, né sono previsti, 14 pozzi attorno il Pertusillo, sebbene circolino mappe dell’area essi non esistono e non sono mai stati contemplati. La moria di pesci nel Pertusillo non è connessa all’attività petrolifera ma solo un fenomeno legato all’eutrofizzazione così come la Procura di Potenza ha stabilito». Metalli pesanti e idrocarburi nel lago? «Fin dall’antichità è nota la presenza di numerosi affioramenti naturali». Bario e metalli pesanti sono tutti «nel limite normativo vigente». E si va avanti così fino all’ultima domanda: la reiniezione dei fanghi è impossibile, nei pozzi si reinietta soltanto acqua. Così come è da escludere qualsiasi forma di smaltimento illecito dei rifiuti «dato che Eni attua un sistema di gestione integrato che comporta l’attuazione di controlli periodici da un Ente certificatore esterno». Nessun rischio sismico, quindi, per questi motivi. Bene, le perforazioni orizzontali vengono utilizzate per ridurre il numero dei pozzi in superficie e anche l’utilizzo degli acidi è in porzioni «minime, in quantitativi piccolissimi e produce acqua, anidride carbonica e cloruro di calcio in quantità irrisorie». L’uso di acidi, quindi non ha «nessun impatto sull’ambiente». 
venerdì 22 novembre 2013 07:57






Petrolio, la grande illusione. Se Viggiano non ride, la Val d'Agri piange
Da rivedere l’utilizzo locale delle royalty. I sindaci chiedono un assessorato dedicato
di MARIATERESA LABANCA
VAL D’AGRI - Se Viggiano non ride, il resto della Val d’Agri piange. I suoi centri, sempre più spopolati, lottano con gli stessi numeri neri della crisi che affliggono il resto della regione. Il petrolio non è servito a mitigarne gli effetti. Anzi. Abbiamo raccontato in questi giorni, nel corso del viaggio realizzato nel cuore della terra del petrolio, le contraddizioni del paese più ricco d’Italia, grazie a un gettito di royalty che dal 2005 ha portato nelle casse comunali quasi 120 milioni di euro, dove però benessere e sviluppo rimangono ancor uno sogno lontano. Ma Viggiano è solo un pezzo del puzzle della valle del petrolio. Sicuramente - con i suoi 21 pozzi dei complessivi 29, e il Centro Oli Eni ospitato nell’area industriale - il più importante. Ma non è l’unico. Intorno a quello che si è rivelato un vero e proprio pozzo di San Patrizio per le compagnie petrolifere, ruotano i famosi dieci comuni della cosiddetta Alta Val d’Agri. Qui la desolazione e il senso di impotenza regnano sovrani. L’oro nero è stato un bluff. E i primi ad ammetterlo sono stati proprio loro: gli amministratori che lo scorso anno sono arrivati a rassegnavano le proprie dimissioni per portare la vertenza Val d’Agri al centro dell’agenda politica. Il territorio è in ginocchio.  Nonostante l’enorme ricchezza. E la beffa consiste proprio in questo: hanno visto passare davanti agli occhi fiumi di danaro, scivolati via senza che ne abbiano lasciato il segno. Per la precisione, alcuni comuni, un pò di soldi li hanno visti transitare anche sui propri bilanci. Come Calvello, Grumento, Marsicovetere e Montemurro che nel solo 2012 hanno ricevuto royalty, rispettivamente, in queste quantità:  4.3, 2.8, 2.1  e 0,722 milioni di euro. Gli altri, invece, in termini di compensazioni economiche, non hanno ricevuto nemmeno un quattrino, pur convivendo, in maniera quasi diretta,  con le attività estrattive, e con i problemi ad esse legati. Ma non è solo una questione di royalty. E’ che l’appuntamento con lo sviluppo, legittimamente atteso, è saltato del tutto. Eni e la filiera estrattiva hanno portato poco lavoro per gli abitanti della valle. A Spinoso, Montemurro, Marsico, Paterno e gli altri comuni che gravitano intorno al Centro Oli il tasso di disoccupazione è in linea con quello lucano medio. Si vive per lo più di pubblico. E anche un pò di industria. Non quella legata alle estrazioni, però. Un’azienda come la Vibac, che produce componnenti in plastica, con il suo indotto ha quasi creato più posti di lavoro per la gente del posto. «Se dovesse chiudere questa azienda, allora sì che sarebbero guai», concordano i primi cittadini dell’area. Il management aziendale ha più volte sollecitato interventi che potessero servire all’abbassamento dei costi produzione. Per adesso non ci è riuscita. E nel frattempo ha fatto un nuovo investimento. In Serbia. Solo di recente, dopo 15 anni di estrazioni,  l’impegno congiunto di Regione, sindacati e Confindustria ha portato a qualche risultato. Ad oggi  dei 2.140 lavoratori dell’indotto estrattivo diretto, quasi mille arrivano dalla regione, di cui 668 dalla Val d’Agri. Molti di questi, però, non sono lucani, ma con residenza acquisita. Bisogna poi fare una differenza fra le varie tipologie contrattuali. Molti sono assunti a tempo determinato o comunque precari.
Ma il vero problema è che il  petrolio non solo non si è trasformato in reali opportunità per il territorio, ma, ancora peggio, ha fortemente penalizzato settori come turismo e agricoltura, le cui potenzialità sono evidentemente compromesse dalle attività estrattive.  Per non parlare del delicato equilibrio ambientale e dei possibili rischi per la salute dei cittadini. Basti pensare che un comune come Spinoso, che non prende neanche un euro di royalty - nonostante in linea d’aria disti solo  otto chilometri del Centro Oli - insieme agli altri centri dell’area e ad alcune associazioni ambientaliste ha deciso di commissionare un’indagine “indipendente” rispetto ai monitoraggi pubblici di Arpab. Dopo lo scandalo Fenice, l’Agenzia regionale sconta ancora molti scetticismi.  I comuni non si fidano. Così le amministrazioni preferiscono rimetterci di tasca propria, pur di capire come stiano andando veramente le cose.
Questo modello di gestione della risorsa oro nero va cambiata. I sindaci ribelli della Val d’Agri -  a cui nei mesi successivi si sono aggiunti altri amministratori lucani che chiedono compensazioni ambientali per tutti paesi in qualche modo interessati dalla filiera estrattiva - avevano presentato un documento. Ora, chiedono, che la discussione politica della prossima Giunta riparta esattamente da qui. A partire dalla proposta che riguarda la   ripartizione delle risorse secondo il criterio di prossimità. Cioè in funzione della distanza dai punti di maggiore criticità: Centro oli, pozzi petroliferi e presidi di smaltimento delle acque di estrazione. E che prevede pure che gli stessi criteri vengano applicati anche per il reperimento di personale da impiegare in tutte le attività estrattive, acquisendolo da manodopera locale in misura non inferiore all’80 per cento di tutto il personale impiegato.
Ma, soprattutto, c’è un modello gestionale da cambiare. Se i primi cittadini sono fondamentali nella fase della programmazione - meglio conoscono  le specificità territoriali - è pur vero che i sindaci non possono essere lasciati da soli nella pianificazione dello sviluppo dell’area, nè tantomeno nella gestione di risorse tanto importanti. Insomma, servirebbe una sorta di regia, a un livello istituzionale più alto, con competenze specifiche, in grado di lavorare in sinergia  con le amministrazioni locali. Da una recente riunione dei cosiddetti sindaci ribelli è arrivata un’indicazione precisa: chiedono che un assessorato specifico al petrolio.
Del resto, basta fare due calcoli per dare un peso economico all’opportunità che ci sta sfuggendo dalle mani. Se ai 19 milioni della Val d’Agri, si aggiugono  i quasi 11 milioni complessivi destinati agli altri comuni dell’area, i 90 della card carburanti (che ora si vorrebbe convertire in altro) e i 169 riconosciuti alla Regione: in un anno la Basilicata ha guadagnato    289  milioni di euro. .
mercoledì 06 novembre 2013 09:07


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