domenica 14 novembre 2010

Stop a Cava Sari, si riaccende il napoletano


Napoli, 14-11-2010
E' durato lo spazio di due settimane l'accordo sottoscritto alla presenza del premier Berlusconi la sera del 29 ottobre dai sindaci del Vesuviano. Lo stop inferto dall'ordinanza del sindaco di Terzigno Domenico Auricchio impedira', a meno di revoca da parte della Prefettura di Napoli, che si continui a sversare a Cava Sari.
E cosi', mentre Napoli, grazie alla mano tesa dalle province di Avellino, Salerno e Caserta, potrebbe guardare con un minimo di fiducia ai prossimi giorni, la situazione potrebbe tornare esplosiva nei 18 comuni del Vesuviano che, in virtu' dell'intesa, sversavano nella discarica di Cava Sari. Una novita' che rischia di incidere su una situazione gia' precaria.
"Ho firmato l'ordinanza perche' ho il dovere di tutelare la salute dei miei concittadini". Cosi' il sindaco di Terzigno, ha spiegato perche', ieri sera al termine di un affollato Consiglio comunale svoltosi alla presenza di oltre 2000 persone, ha firmato l'ordinanza con la quale vieta agli autocompattatori dei 18 comuni della zona vesuviana di raggiungere Cava Sari.
"Cosi' non e' possibile andare avanti - dice Auricchio - la gente e' esasperata e vuole risposte certe. La prima risposta da dare e' impedire che ci sia ancora il cattivo odore". La discarica Sari dunque non e' stata chiusa ma viene fatto divieto ai camion di raggiungerla passando per il territorio comunale di Terzigno e da questa sera anche i camion dei comuni vesuviani non sapranno dove andare a sversare i rifiuti.
"Dove porteremo i nostri rifiuti? Questo non lo so - confessa con amarezza Auricchio -. L'unica cosa che posso fare e' quella di cercare di tutelare la salute dei miei concittadini". E a testimoniare un rinnovato stato di tensione nella zona vesuviana si registra l'aggressione di un'autista di un mezzo a Boscoreale (Napoli). L'uomo e' stato costretto afar ricorso alle cure dei sanitari per le contusioni subite, ne avra' per due giorni.
Intanto a Napoli aumenta il quantitativo di rifiuti non raccolti. Sono circa 1500 - a fronte delle 1200 di ieri - le tonnellate di spazzatura che giacciono in strada. E centoquindici autocompattatori dell'Asia - l'azienda speciale del Comune - sono fermi perche' gia' carichi di altre 1400 tonnellate da sversare. Si sversa solo a Chiaiano per circa 700 tonnellate, a fronte di una produzione quotidiana che in questo periodo oscilla le 1200 e le 1400 tonnellate.
Le attivita' negli Stir di Caivano e Battipaglia sono quasi ferme perche' i magazzini per lo stoccaggio della frazione organica stabilizzata sono pieni. Fermi, e da giorni, anche gli Stir di Giugliano e Tufino: anche in questo caso i depositi sono pieni. E se non si svuotano i magazzini (il materiale trattato che dovrebbe finire in discarica), gli impianti non possono ricevere altri rifiuti che di conseguenza restano lungo le strade. Insomma, una situazione difficile, cui si cerchera' di porre rimedio nell'immediato ricorrendo ancora una volta ai treni da mandare all'estero.
Fonte:
http://www.rainews24.it/it/news.php?newsid=147388

Regione: «Troppi lussi? Rinunciamo all’iPad»


14 novembre 2010
(di Gerardo Ausiello da il Mattino)
Il Pdl rinuncia all’Apple iPad. L’inchiesta del Mattino sul kit di lusso dei consiglieri regionali fa rumore e scatena la reazione di forze politiche e sindacati. Se il presidente dell’assemblea campana Paolo Romano si affida al «no comment», il capogruppo del Pdl Fulvio Martusciello si affretta a chiarire: «Abbiamo già deciso di rinunciare all’iPad o al computer portatile, che molti di noi hanno acquistato a proprie spese. Penso che anche gli altri colleghi possano fare lo stesso».
Martusciello non nega che ci sia «un problema generale. Nel 2005, ad esempio, mi fu assegnata una stanza che aveva uno stereo con la filodiffusione. Il punto è sintonizzarsi con ciò che chiedono le comunità». «La delibera 54 del 28 settembre 2010 – insiste – è stata scritta male e comunicata peggio. I consiglieri hanno già i loro uffici ereditati dal passato e non c’è bisogno di ulteriori arredi». Il capogruppo del Pd Giuseppe Russo, invece, invoca una modifica del provvedimento, che considera «indispensabile». «È inutile avere telepass e viacard, basta solo una delle due tessere – dice – Stesso discorso vale per il frigobar che mi sembra una stupidaggine e di cui non c’è alcun bisogno. E poi non servono gli arredi in pelle, sono sufficienti sedie e poltrone di qualsiasi materiale». Per Russo occorre però «evitare di cadere nella facile demagogia». Nicola Marrazzo, esponente dell’Idv, non ha dubbi: «Siamo contro gli sprechi e siamo stati i promotori dell’abolizione del rimborso chilometrico e delle auto blu ai presidenti di commissione. Ma se il ricorso alla tecnologia significa non sprecare carta, un minore consumo di energia, razionalizzazione delle risorse umane e ottimizzazione dei tempi, allora il cosiddetto benefit si trasforma in un vantaggio».
Il consigliere del Pd Corrado Gabriele annuncia: «Darò il notebook o l’iPad all’alberghiero Vittorio Veneto di Secondigliano, l’arredo con sedie in pelle e corredo per lo scrittoio ad un ambulatorio medico dell’ospedale Ascalesi, il frigobar all’infermeria dell’Opg di Aversa, la tessera viacard o il telepass agli operatori sociali che recuperano attraverso il lavoro i diversamente abili a Casal di Principe». In realtà, però, un’iniziativa del genere sarebbe contra legem poiché questi strumenti fanno parte delle dotazioni dei consiglieri ma restano beni pubblici. Durissimo, infine, il giudizio del segretario regionale della Cisl Lina Lucci: «I privilegi e le dotazioni di lusso a favore dei consiglieri regionali sono riprovevoli e rischiano di minare completamente la credibilità della politica del rigore avviata in Campania. Si tratta di un atto vergognoso perché mentre i provvedimenti che riguardano i cittadini e la sopravvivenza delle persone sono bloccati (un esempio per tutti: le misure urgenti per la finanza regionale ferme in seconda commissione) per il frigobar o l’iPad che riguardano gli stessi consiglieri si riesce a deliberare rapidamente e sostanzialmente all’unanimità. Qui qualcuno non ha capito che la Campania è seduta su una polveriera e che provvedimenti come questo ne favoriscono 1′ esplosione. La politica – conclude – recuperi il senso della dignità e del rigore e rinunci ai privilegi previsti nel kit altrimenti saranno le forze sociali a chiamarla a rispondere pubblicamente, di fronte ai cittadini, dei propri atti e delle proprie scelte».
Fonte:
http://www.napolionline.org/new/regione-«troppi-lussi-rinunciamo-allipad»/comment-page-1#comment-16010

Salvare Pompei? Missione impossibile


L'opinione del Telegraph
Londra, 14-11-2010
L'Italia non ce la farà mai, perché l'impresa è impossibile per qualunque Stato. Conservare Pompei costa troppo, l'unica soluzione è una gestione internazionale.
Il Daily Telegraph, in un editoriale firmato da Mary Beard sul disastro del crollo della Domus dei gladiatori, una settimnan fa, arriva ad una conlcusione sorprendente: "Perché è crollata la Domus? - scrive il giornale - E' troppo facile accusare la negligenza delle autorità italiane". Certo, spiega Beard, ""soldi e organizzazione sono un fattore. Le rovine sono sempre disastrosamente costose. Abbandonate a se stesse, crolleranno sempre inevitabilmente. Costa enormi quantità di danere semplicemente tenere questa città, con le sue case vecchie di 2.000 anni, libere da erbacce pronte a prendere il sopravvento. Per non parlare di quel che costa proteggere queste strutture contro il sole e le tempeste, le pressioni dell'acqua e i tremori della terra, o fornire strutture scientifiche per aiutare i ricercatori a comprendere i resti ritrovati, o, ancora, allestire servizi di base per i turisti".
Ebbene, concede la commentatrice, "chiunque abbia fatto lavoro archeologico a Pompei, confermerà quanto siano d'aiuto le autorita' italiane sul posto, e quanto vadano oltre i propri doveri, sia pure nel modo tipico del Sud Italia, per fornire le strutture di cui c'è bisogno. Il loro problema sono i soldi, e un'adeguata cura di Pompei è semplicemente al di la' di quanto la maggior parte dei paesi possa permettersi, recessione o non recessione".
E i privati? Dimenticateveli, scrive ancora il Telegraph: "Se la preservazione di Pompei è troppo per una nazione - commenta - è certamente troppo per una singola impresa privata". Dunque, conclude Mary Beard, "l'unica possibile sopluzione a lungo termine per i piu' importanti siti patrimonio dell'umanita' come questo, come Stonehenge, o Machu Picchu, dev'essere una sorta di amministrazione internazionale. Se il mondo vuole che Pompei sopravvive nel prossimo secolo, allora il mondo deve pagare, piuttosto che lasciare tutto al paese moderno in cui si ritrova oggi".

Il raglio dell’asino.


Commento di grecanico all’articolo “Alle origini del vittimismo meridionale“ di Luca Ricolfi. Articolo riportato interamente nella rubrica Valeriana@Morfina.

Devo delle scuse. Agli asini. Anche a quelli che Dio ha chiamato a Sé. Mi piace immaginare chieda ad ognuno di loro quanti varricchi (barrique, per gli intellettuali) ha trasportato nella vita, e quanti bambini ha reso felici, con gli occhi tondi tondi e luccicanti. E spero che il Buon Dio abbia cura anche della mia asina fulva, della Murgia - comprata da mio nonno per la famiglia: occhi grandi grandi, tondi tondi e buoni, ed il garrese alto. Mia madre me la contendeva, volevamo ambedue andarci in giro, tanto e con piacere: alla vigna, alla masseria ed anche per il paese, chi se ne frega.
Ho generalizzato, è una colpa: ma c'e' asino ed asino. Infatti, quello clonato da Panorama è un imbroglioncello. E mi riferirò a lui, solo a lui. E che Dio salvi tutti gli asini come me.
Credo debba spiegare.
Il Sig. Luca Ricolfi, cognome di chiara origine ligure-piemontese, scrive nel Suo memorabile articolo “Alle origini del vittimismo meridionale”: “Il Sud ha sempre amato dipingersi come vittima dei soprusi e delle spoliazioni perpetrate dal Nord. Questo abito mentale, che per lunghi anni ha portato le popolazioni del Mezzogiorno e le loro classi dirigenti a cercare al di fuori di sé le origini dei propri mali, fortunatamente sta lentamente scemando.” Esimio asino ligure-piemontese, che i miei antenati fossero dei piagnucoloni, lo ammetto, vengo a saperlo solo ora, da Lei. Fino ad oggi non me ne ero accorto, forse perché anch’io sono antropologicamente lamentoso. Ma se Lei fosse uomo, dovrebbe dirlo in faccia ad uno di quelli che Lei sottintende vittime del lamentoso vittimismo. Mio padre, mio nonno, il mio bisnonno ed i miei trisavoli mi hanno incaricato di rappresentarli al Suo cospetto. Attendo la Sua convocazione. Trepido, sarà un vero piacere. Asino ligure-piemontese, le Sue sono querule apodittiche, superficiali e, per di più, Lei digiuna di conoscenza storica, minima ed adeguata per scrivere. Asino ligure-piemontese, a questo mirabile ed offensivo incipit, Lei aggiunge: “Finché la torta da suddividere era abbastanza ricca, era naturale chiederne una fetta sempre più grande. Ma ora che la torta non cresce più, e anzi accenna a diminuire, ci rendiamo conto tutti, al Nord come al Sud, che le risorse vanno usate con più discernimento, e che certi sprechi del passato non possiamo più permetterceli.” Una cosa è certa: gli asini liguro-piemontesi sono, per meriti riconosciuti da Panorama, anche asini clowns. La torta, come dice Lei - utilizzando un’analogia frequente nelle aule delle scuole elementari lombardo-piemontesi – se la sono strafogata quelli delle Sue parti. A noi - tranne me - è spettato faticare, sudare, nelle terre e nei capannoni, al nord come all’estero, per un piatto di lenticchie ed un’interminabile sequela di ingiurie e maledizioni. E di debiti. E quelli che hanno avuto la fortuna di un posto fisso nel Mezzogiorno non hanno potuto progettare alcun miglioramento per i loro figli; solo il dovere di consumare l’importato a forza dal nord; comprese le notizie della televisione. Fabbricate dagli asini come Lei. Ma imperterrito, proprio perché asino, Lei prosegue: “Anche nel Mezzogiorno molti amministratori locali stanno facendo autocritica, e qualcuno ha persino incominciato a invertire la rotta, cercando di spendere meno e meglio. Insomma il vittimismo del Sud è in ribasso, se non altro perché per troppo tempo è stato usato come arma di ricatto morale nei confronti dello Stato centrale e sono ormai ben pochi gli italiani, anche al Sud, disposti a credere che i mali del Mezzogiorno siano imputabili al resto del Paese.”  Ma dico, non si vergogna? Dai! almeno un po’, si vergogni. Faccia uno sforzo, mi aiuti. Perché di Lei, asino ligure-piemontese, io – a questo punto – vorrei disinteressarmi. Troppo, troppo asino, ligure-piemontese. Che faccio?, mi metto ad analizzare ogni sua parola? Troppa grazia, direbbe mia madre. Quindi la faccio breve: partecipi ad un concorso per meteorologo, in padania. Sì, meteorologo padano, mi sembra giusto, e non rompa più i coglioni sugli amministratori, non suoi. La prego caldamente di capire. Loro hanno tappato, con i miseri fondi discrezionali i crateri lasciati scoperti dalla Repubblica Italiana: lavori pubblici, assistenza all’infanzia, disoccupazione, sopravvivenza per evitar l’emigrazione. Asino, s’interessi della Liguria e del Piemonte, o devo impegnarmi a spalar il letame colà sotterrato? Ce n’e’ tanto dalle Vostre parti; tanto che si mischia a quello che proviene dal lontano Friuli Venezia Giulia. Aria che stagna in val Padana. Capiamoci.
Ma il nostro asino panorama e’ in vena di esagerare: “In questa situazione, tuttavia, c’è un rischio. Ed è che anni e anni di vittimismo, di abuso della generosità collettiva, finiscano per squalificare tutte le rivendicazioni del Sud, anche quelle giuste. Già, perché è vero che su quasi tutti i punti del contenzioso Nord-Sud (evasione fiscale, sprechi, spesa per servizi e sussidi) è il Nord ad avere ragioni da vendere, ma ve n’è almeno uno, un punto importante, su cui a mio parere è il Sud ad avere sostanzialmente ragione. Questo punto è quello delle infrastrutture e degli investimenti pubblici.”
Ehi! Asino ligure-piemontese. Non crede di essersi allargato fin troppo? Noi avremmo un solo punto importante sul quale abbiamo ragione? Ma Lei, asino ligure-piemontese, vuole infinocchiarci, per l’ennesima volta? Non abbiamo bisogno delle infrastrutture e degli investimenti pubblici così come li intendete voi, dalle vostre parti. Lo conosciamo il meccanismo finanziario sovrastante: soldi del Mezzogiorno concessi, in nome dell’Italia e per motivazioni d’emergenza costruite ad arte, alle engineering del nord, che appaltano ai contractors del nord, che sub-appaltano alle grandi imprese del nord. E tutti che incamerano gran parte della torta – come direbbe un asino – concedendo i lavori esecutivi alle ditte del Mezzogiorno, a condizioni marginali e strozzine. Ed i guai in esclusiva alle ditte che sgobbano nel cantiere. Teneteveli gli investimenti italiani, e non rubate i soldi stanziati dalla U.E. per il Mezzogiorno. Investimenti ed infrastrutture, ad ognuno il suo.
 “Le regioni del Mezzogiorno (non tutte, comunque, e non solo esse: vedi le spese pazze delle regioni a statuto speciale del Nord) assorbono indubbiamente troppa spesa pubblica corrente discrezionale (grafico), ossia quella che serve a pagare servizi e sussidi, ma da diversi anni sono gravemente penalizzate sulla spesa in conto capitale, quella che serve a finanziare gli investimenti.
Ma quando la umetterà di ragliare? Bene asino, questo passaggio e’ una cazzata pericolosissima, un falso ideologico, uno spudorato tentativo di influenzare l’opinione pubblica con il vuoto pneumatico. Ed e’ il passaggio del Suo magnifico articolo che mi ha indotto a scrivere questa fetenzia di pezzo. Si da' il caso che nella Repubblica Italiana ogni sindaco, presidente di provincia, regione e chissà quanti altri, hanno un budget discrezionale da spendere per motivazioni che vengono successivamente processate dalla Corte dei Conti. Tutti sono giudicati, meno il Governo di Roma. Bene, vediamo quindi quali sono stati i provvedimenti del Governo italiano in termini di servizi e sussidi:
Fonte: Compendio Statistico Italiano 2009, SISTEMA STATISTICO NAZIONALE ISTITUTO NAZIONALE DI STATISTICA, ISTAT. Stampato nel mese di luglio 2010 per conto dell’Istat presso RTI Poligrafica Ruggiero Srl - A.C.M. SpA., Zona industriale Pianodardine – Avellino. Si autorizza la riproduzione a fini non commerciali e con citazione della fonte.
Note:
1. Si specificano le ripartizioni geografiche ISTAT dell’Italia. Nord: Piemonte, Valle d’Aosta, Lombardia, Liguria,Trentino-Alto Adige, Veneto, Friuli-Venezia Giulia, Emilia-Romagna. Centro: Toscana, Umbria, Marche, Lazio. Mezzogiorno: Abruzzo, Molise, Campania, Puglia, Basilicata, Calabria, Sicilia, Sardegna.
2. Elaborazione ed analisi a cura di grecanico.

Tavola 3.9; Prestazioni e contributi sociali degli enti di previdenza. 
Impegni/Accertamenti- Anno 2007 (in milioni di euro)  
nord
milioni di euro in Previdenza € 121.365
milioni di euro in Assistenza € 9.193
milioni di euro in Sanità € 73
Totale  milioni di euro in prestazioni € 130.631
milioni di euro in Contributi sociali € 117.258
centro
milioni di euro in Previdenza € 51.014
milioni di euro in Assistenza € 3.864
milioni di euro in Sanità € 31
Totale  milioni di euro in prestazioni € 54.909
milioni di euro in Contributi sociali € 45.523
mezzogiorno
milioni di euro in Previdenza € 67.673
milioni di euro in Assistenza € 5.126
milioni di euro in Sanità € 41
Totale  milioni di euro in prestazioni € 72.840
milioni di euro in Contributi sociali € 46.300
mezzogiorno/centro (divario in milioni di euro)
milioni di euro in Previdenza € 16.659
milioni di euro in Assistenza € 1.262
milioni di euro in Sanità € 10
Totale  milioni di euro in prestazioni € 17.931
milioni di euro in Contributi sociali € 777
variazione % mezzogiorno/centro
milioni di euro in Previdenza 32,7
milioni di euro in Assistenza 32,7
milioni di euro in Sanità 32,3
Totale  milioni di euro in prestazioni 32,7
milioni di euro in Contributi sociali 1,7
mezzogiorno/nord (divario in milioni di euro)
milioni di euro in Previdenza -€ 53.692
milioni di euro in Assistenza -€ 4.067
milioni di euro in Sanità -€ 32
Totale  milioni di euro in prestazioni -€ 57.791
milioni di euro in Contributi sociali -€ 70.958
variazione % mezzogiorno/nord
milioni di euro in Previdenza -44,2
milioni di euro in Assistenza -44,2
milioni di euro in Sanità -43,8
Totale  milioni di euro in prestazioni -44,2
milioni di euro in Contributi sociali -60,5
media del nord più il centro
milioni di euro in Previdenza € 86.190
milioni di euro in Assistenza € 6.529
milioni di euro in Sanità € 52
Totale  milioni di euro in prestazioni € 92.770
milioni di euro in Contributi sociali € 81.391
mezzogiorno/media del nord più il centro (divario in milioni di euro)
milioni di euro in Previdenza -€ 18.517
milioni di euro in Assistenza -€ 1.403
milioni di euro in Sanità -€ 11
Totale  milioni di euro in prestazioni -€ 19.930
milioni di euro in Contributi sociali -€ 35.091
variazione % mezzogiorno/media del nord più il centro
milioni di euro in Previdenza -27,4
milioni di euro in Assistenza -27,4
milioni di euro in Sanità -26,8
Totale  milioni di euro in prestazioni -27,4
milioni di euro in Contributi sociali -75,8
Questi sono dati consolidati, inoppugnabili. Asino. E dai numeri emerge chiaramente, e’ palese, la politica discriminatoria, colonialista, del Governo italiano nei confronti del Mezzogiorno. Contributi sociali? Il nord e’ assistito, punto. Il Mezzogiorno no. Asino.
“Consideriamo gli ultimi due anni per cui si hanno dati territoriali, ossia il 2007 e il 2008. Fatta 100 la spesa pubblica corrente discrezionale (per servizi e sussidi) a disposizione del cittadino del Nord, quella del cittadino del Sud è 106. A fronte di questo vantaggio sul versante della spesa corrente, tuttavia, il medesimo cittadino del Sud è alquanto penalizzato in conto capitale: fatta 100 la spesa pubblica pro capite del Nord quella del Sud è solo 87. Un divario che significa meno strade, meno collegamenti, meno impianti per il trattamento dei rifiuti, scuole e ospedali non degni di un paese civile.
Si può molto discutere su chi, lo Stato o le regioni, dovrebbe mettere mano a questo genere di investimenti, ma vi sono pochi dubbi che almeno su questo sia il Mezzogiorno a essere in credito con il resto del Paese.   
Dati per grafico
Nord Sud
Spesa corrente discrezionale    100    106
Spesa in conto capitale    100    87”
Spesa pubblica pro capite (media 2007-08, Nord = 100)
Elaborazioni su dati Istat e CPT (Ministero dello sviluppo economico)”
Ma questo lo pagano a righe? Piu’ scrive stronzate, e piu’ e’ pagato? Proprio un asino, razza Panorama. Niente da fare. Non si limita: deborda, in cazzate spudorate. Va be’; dunque, spudorato asino ligure-piemontese:
1. Citare le fonti in senso generico e’ come se io dicessi a tutto il mondo che Dio mi ha detto che Lei e’ un genio dell’analisi sociologica. Roba che fa ridere i nesci, Lei converra’. Se invece io mostrassi a tutto il mondo il telegramma speditomi dal Buon Dio, e’ diverso, capisce asino? In altri termini, dove sono i dati primari, ISTAT e CPT, che ha elaborato per produrre l’indice?
2. Te la sei voluta, asino:
Debito delle Amministrazioni locali 2008 e 2009, 
analisi per aree geografiche
Fonte: Banca d'Italia – Eurosistema, 
Supplementi al Bollettino statistico,  
Indicatori monetari e finanziari,  
Finanza pubblica, fabbisogno e debito. Nuova serie, 
anno XX – 12 Novembre 2010
Numero 60.
Elaborazione dati: grecanico

Tavola 8 (TCCE0275)
Finanza pubblica, fabbisogno e debito  
(milioni di euro)
Anno 2008
Nord ovest
29.208
Nord est
16.426
Totale Nord:
45.634
Centro:
29.016
Sud
23.679
Isole
8.749
Totale Mezzogiorno:
32.428
Totale Debito Amministrazioni locali, 2008
107.079
==========
Anno 2009
Nord ovest
30.297
Nord est
16.482
Totale Nord:
46.779
Centro:
30.117
Sud
25.449
Isole
8.708
Totale Mezzogiorno:
34.157
Totale Debito Amministrazioni locali, 2009
111.051
Ora, anche un asino capisce quello che 
Banca d’Italia certifica nei dati sopra riportati. 
Non si vergogna delle puttante che ha scritto? 
Asino ligure-piemontese.
3. “Spesa pubblica corrente discrezionale” . E qui siamo al neologismo. Perche’ io non capisco da dove l’asino ha tirato fuori questa definizione. Forse e’ una modernizzazione intellettualoide della vecchia “spese impreviste”. Comunque sia, i dati sopra certificati da ISTAT e Banca d’Italia (non ho riportato quelli della Ragioneria di Stato perche’ ho voglia di andare al mare, subito) sono chiari, incontestabili. Persino ad un’asino ligure-piemontese. Ciao.

Solitudine di un leader


FASE CONCLUSIVA DI UNA STAGIONE POLITICA
Di Ernesto Galli Della Loggia
14 novembre 2010

In questo piovoso autunno italiano non sta finendo solo una maggioranza o un governo: si sta concludendo l’avventura di un uomo solo. È la solitudine di Berlusconi il dato che oggi più colpisce. E se l’uomo ha mischiato e confuso come pochi altri il pubblico e il privato, la sua solitudine pure è un fatto politico e insieme personale, dove non sai quale delle due cose è stata ed è causa dell’altra.

Le serate di Arcore e di Palazzo Grazioli sono l’immagine di una solitudine esistenziale disperata e agghiacciante, anche se nascosta dai fasti di una miliardaria satrapia. Oggi ci è chiaro: era un moderno Macbeth assediato dalla foresta di Birnam sempre più vicina, quello che si rinserrava ogni sera nelle mille stanze dei suoi mille castelli in compagnia di docili comparse. Ma non aveva mai voglia quest’uomo — ci chiediamo noi uomini normali — di scambiare quattro chiacchiere con un amico vero, con una persona normale?

È tuttavia la solitudine politica quella che impressiona maggiormente: la solitudine politica che il premier ha costruito giorno per giorno intorno a sé, imitato da troppi suoi collaboratori. L’avventura berlusconiana, partita all’inizio con un cospicuo capitale di attese e di fiducia (perfino da parte di molti nemici) si è progressivamente chiusa in se stessa, ha tagliato i ponti con tutti i settori significativi della società, ha stupidamente decretato avversione e ostracismo ad un numero sempre crescente di persone: in pratica tutte quelle della cui fedeltà ed obbedienza pronta, cieca e assoluta, non si fosse arcisicuri.

In questo modo, forse senza neppure accorgersene, gli uomini e le donne del premier, la sua classe di governo, il suo milieu, sono diventati ben presto una sorta di esercito accampato in territorio nemico, con la stessa psicologia e la mentalità degli assediati. Si dà il caso però che quel territorio fosse il loro Paese. «O con noi o contro di noi» è divenuta la parola d’ordine suicida sempre più spesso pronunciata, di cui com’era logico, hanno finito per trarre vantaggio solo gli avversari. Consigli arrogantemente respinti, suggerimenti finiti nel nulla, proposte liquidate con un’alzata di spalle sono state sempre di più la regola: allontanando sistematicamente le intelligenze che pure sarebbero state disponibili a rendersi utili. La parabola di un uomo come Giuliano Ferrara parla da sola.

Il berlusconismo avrebbe potuto facilmente — e magari anche abusivamente, se si vuole—intitolare a se stesso tutto ciò che in Italia non era di sinistra. Non solo non ha voluto o saputo farlo. Ha fatto il contrario: ha regalato alla sinistra tutto ciò che sentiva o sapeva non essere intrinsecamente suo. Estraneo fin dalle origini alla socialità politica di gruppo in quanto nato dalla felice intuizione di un uomo solo, di un capo, invece di correggere tale vocazione primigenia alla solitudine e all’obbedienza gerarchica, è andato esasperandola. Sempre più sono rimasti il capo soltanto e soltanto coloro che gli obbedivano. Certo, è rimasto sempre chi obbediva pur conservando qualche luce d’ingegno e di autonomia personale, ma le file dei puri e semplici profittatori e dei camerieri sono andate crescendo a dismisura, sono diventate un esercito, e dopo non molto tempo tutta la scena ha finito per essere occupata solo da costoro.

Una turba di mezze calzette, di villan rifatti, di incompetenti, di procacciatori: la solitudine sociale del berlusconismo si è andata sempre più incarnando in questa schiera compiacente e zelante, pronta ad ogni servilismo per il proprio personale interesse. Sono stati essi i principali artefici della muraglia invalicabile costruita intorno al potere del capo. Da essi il capo è apparso inspiegabilmente sempre più dipendere. Da essi trarre i consigli che di sconfitta in sconfitta, di fallimento in fallimento, lo stanno portando ineluttabilmente alla fine.

Più che vinto dalle inesistenti vittorie dei suoi nemici, il berlusconismo oggi crolla vittima di una sorta di autoreclusione si direbbe quasi studiata con intenzione, compiaciutamente suicida. E sempre più quello che fu per antonomasia «un uomo solo al comando» ormai appare niente altro che un uomo solo e basta. Che forse neppure si rende conto ancora di esserlo.
Fonte:

Seicentomila gli addetti in Cassa


Di Giorgio Pogliotti - 14 novembre 2010
ROMA
Per effetto della crisi sono ancora stabilmente in cassa integrazione circa 600mila lavoratori che hanno perso 6.750 euro ciascuno, con un taglio netto del reddito complessivo di oltre 3,9 miliardi di euro.
È l'Osservatorio del dipartimento Settori produttivi della Cgil a stimare la perdita economica, rielaborando i dati dell'Inps che evidenziano come quest'anno in soli 10 mesi sia stato superato il record negativo degli ultimi decenni registrato nel 2009 (918 milioni di ore di cassa integrazione autorizzate). Con il mese di ottobre, infatti, le ore complessivamente autorizzate dall'inizio dell'anno sono oltre un miliardo (+44,2% rispetto ai primi dieci mesi del 2009). Anche considerando il "tiraggio" (ore effettive di Cig) il 2010 viaggia su livelli record. Il fenomeno quest'anno è rappresentato dall'esplosione della cassa in deroga che ha totalizzato 320 milioni di ore (+295,91% sul 2009) e della cassa integrazione straordinaria a quota 409 milioni (+159,61%), mentre la cassa ordinaria è diminuita attestandosi a 299 milioni di ore autorizzate (-36,87%). La Cgil calcola che considerando i lavoratori equivalenti a zero ore per tutto il 2010 (44 settimane lavorative) le cifre rilevate dall'Inps corrispondono ad un'assenza completa di attività produttiva per 583.227 lavoratori, di cui 181.955 in cassa in deroga. Considerando invece un livello medio di ricorso alla Cig pari al 50% del tempo lavorabile globale (22 settimane), nei primi 10 mesi oltre un milione e 160mila lavoratori sono in Cigo, Cigs e Cigd. «Se non ci sarà una ripresa produttiva c'è il pericolo di avere 500-600mila disoccupati in più», denuncia la Cgil. «Finora abbiamo retto, speriamo di reggere ancora e che la crisi si esaurisca, perché sono già due anni che usiamo strumenti straordinari di ammortizzazione», è il commento del leader Cisl, Raffaele Bonanni.
A ottobre, rispetto al mese di settembre, la cassa integrazione pur superando le 100 milioni di ore autorizzate segna un calo del -2,3% per effetto della flessione della Cassa integrazione ordinaria (Cigo) e straordinaria (Cigs), mentre continua la «costante e inarrestabile» crescita della Cassa integrazione in deroga (Cigd). Tra i settori con il maggior ricorso c'è l'edilizia (+1.150,4% sul 2009), la chimica (+471,9%), il legno (+675,7%) e il commercio (+369,5%). Vincenzo Scudiere (Cgil) sottolinea come a finire in Cigd sono non solo i lavoratori delle aziende non coperte dagli strumenti ordinari di tutela, ma anche – «quelli che hanno concluso i periodi di Cigo e Cigs o di aziende come la Fiat di Pomigliano», che «pur avendo a disposizione periodi di Cigs coperti da risorse Inps in attivo, ha scelto la cassa in deroga con risorse da reperire aggravando il bilancio pubblico». La Cgia di Mestre propone la completa detassazione delle tredicesime ai cassaintegrati che lascerebbe nelle loro tasche 350 euro.
Il costo per le casse dello Stato dovrebbe aggirarsi tra i 200 e i 250 milioni di euro. La Cgia di Mestre, peraltro, ha calcolato che quest'anno l'importo reale della tredicesima sarà pressochè sui livelli del 2009: tenendo conto dell'inflazione un operaio specializzato avrà solo 8 euro in più (1.176 euro netti), un impiegato 10 euro (1.325 euro netti).
Fonte:
http://www.ilsole24ore.com/art/economia/2010-11-14/seicentomila-addetti-cassa-064102.shtml?uuid=AYEpJdjC

Da Il Giornale
domenica 14 novembre 2010, 08:00
AMMORTIZZATORI
Agli ammortizzatori sociali il maxi-emendamento approvato con la legge di stabilità riserva un finanziamento di 1,5 miliardi. Tra le misure la proroga della cig in deroga per i precari e 200 milioni al fondo per le politiche sociali.
UNIVERSITA’
Al sistema universitario andrà 1 miliardo: 800 milioni al fondo ordinario dell’università, 100 milioni per il credito d’imposta alle imprese che affidano la ricerca agli atenei, 100 milioni per prestiti d’onore e borse di studio, oltre a 25 milioni per gli atenei non statali.
FINANZA LOCALE
Si allenta il patto di stabilità interno per Regioni e Comuni: alle Regioni vanno 470 milioni, ai Comuni arriva anche il rimborso per i mancati introiti dell’Ici , per 344 milioni. Con lo stop al ticket sanitario, agli enti locali vanno, complessivamente, 1,161 miliardi.
Fonte:
http://www.ilgiornale.it/economia/s/14-11-2010/articolo-id=486758-page=0-comments=1
 

Quando Belzebù chiamò i giudici


«Chi ha salvato la Banca d'Italia in quei difficili frangenti è stato Giulio Andreotti».
Di Orazio Carabini - 14 novembre 2010
Giuseppe Guarino, 88 anni, docente universitario e avvocato, ministro delle Finanze nel governo Fanfani del 1987 e dell'Industria nel governo Amato del 1992, legato alla Banca d'Italia dal 1960 come consulente e poi come componente del collegio sindacale, non ha paura di mettere in crisi le ricostruzioni storiche di una brutta vicenda. Tra il 1978 e il 1980 alcuni magistrati lanciarono un attacco mirato al cuore della Banca d'Italia e in particolare al governatore di allora Paolo Baffi e al vicedirettore generale Mario Sarcinelli, responsabile della vigilanza sulle banche.
Antonio Alibrandi e Luciano Infelisi li accusarono di aver chiuso gli occhi sui prestiti concessi al gruppo chimico Sir di Nino Rovelli dall'Imi e dal Credito industriale sardo, due banche specializzate nei finanziamenti all'industria. In realtà dietro quelle accuse si celava l'obiettivo di fermare un'istituzione e i due uomini coraggiosi che la guidavano. Perché erano loro a ostacolare i disegni criminali di Michele Sindona, di Roberto Calvi e del suo Banco ambrosiano, dei fratelli Caltagirone (Gaetano, Camillo e Francesco Bellavista) impegnati nella spoliazione dell'Iccri.
E chi proteggeva Sindona, Calvi, i Caltagirone? Andreotti. Con il fido Franco Evangelisti che veniva mandato in avanscoperta a verificare quali possibilità esistevano di conciliare i desideri degli "amici" con il rispetto delle regole. Andreotti era, ed è, considerato Belzebù, tutore d'interessi illeciti, spesso di origine malavitosa e spesso con agganci misteriosi alla finanza vaticana.
Fin qui la "saggezza convenzionale". Proprio in questi giorni è stato pubblicato un volume patrocinato dalla Cgil: In difesa dello stato, al servizio del paese, curato da Giuseppe Amari della Fondazione Di Vittorio, che racconta le battaglie di Baffi e Sarcinelli, ma anche di Giorgio Ambrosoli, il liquidatore delle banche di Sindona assassinato da un killer assoldato dal finanziere siciliano, di Silvio Novembre, l'ufficiale della Guardia di finanza braccio destro di Ambrosoli, e di Tina Anselmi, presidente della commissione parlamentare d'inchiesta sulla loggia massonica P2. Guarino ha contribuito con una testimonianza inedita abbastanza sorprendente.
Il professore racconta di quando fu coinvolto informalmente nella difesa di Baffi e Sarcinelli. E arriva al 5 aprile 1979, giorno in cui Alibrandi concesse a Sarcinelli, che era stato arrestato, la libertà provvisoria. «Libertà sì, ma intrisa di veleno – nota Guarino –. Il giudice aveva concesso la libertà provvisoria. Ma avrebbe disposto la sospensione dai pubblici uffici. La misura riguardava formalmente Sarcinelli, ma colpiva anche Baffi, le cui imputazioni erano identiche a quelle di Sarcinelli. Il governatore veniva di fatto delegittimato. La reazione pubblica, quella dei circoli accademici, dei più autorevoli quotidiani, delle più accreditate istituzioni finanziarie fu d'indignazione e sconcerto. Alibrandi, con pervicacia e assoluta sconsideratezza, minava l'autorità e il prestigio della banca centrale e del suo governatore, nello stesso momento in cui Baffi, con piena delega del governo, rappresentava il paese nella difficile trattativa avente ad oggetto il Sistema monetario europeo (Sme), preludio della costituenda Unione monetaria. Baffi trattava direttamente, in nome dell'Italia con capi di stato e di governo, oltre che con banchieri centrali. Godeva della più alta considerazione».
Il ministro del Tesoro era Filippo Maria Pandolfi (dc) che difese sempre con fermezza la Banca d'Italia. Guarino tuttavia capì che non sarebbe bastato il soccorso di Pandolfi per uscire da quella situazione pericolosa. Tommaso Morlino, un altro dc che era ministro della Giustizia, suggerì ad Andreotti di esaminare personalmente il caso. E il presidente accettò il consiglio: nel giro di tre ore incontrò di persona Nino Andreatta, l'economista che allora era responsabile economico della dc, Sarcinelli, Baffi e infine lo stesso Guarino, tutti riuniti, tra un incontro e l'altro, nello studio del professore di piazza Borghese.
«Uscito dal colloquio con Andreotti – racconta il professore – Andreatta mi chiamò: "Quel serpente (testuale!) mi ha convinto che, nei limiti dei suoi poteri, non vi è nulla che possa fare"». Poi fu la volta di Sarcinelli e Baffi: entrambi tornarono scuri in volto. «Un'ombra di tristezza profonda – ricorda Guarino – oscurava il suo (di Baffi, ndr) volto, già di per sé severo».
A quel punto toccava al professore che non si era mai trovato a tu per tu con Andreotti. Che esordì: «Ci dica lei cosa possiamo fare. Ci stiamo girando attorno, ma non riusciamo a trovare la soluzione». Guarino rispose in modo diretto, rischiando d'irritare il suo interlocutore. «L'attacco alla Banca d'Italia – disse – viene fatto risalire a tre ispiratori, se non propriamente mandanti, Rovelli, Gelli, Sindona. Lei è al governo da sempre. Ha conosciuto ed è dovuto venire a contatto con tutti. Lei viene comunemente indicato come referente politico dei tre personaggi».
«Lei, presidente – proseguì Guarino –, può non aver presente che il 3 giugno prossimo si terranno le elezioni politiche. Il 31 maggio si terrà l'assemblea generale della Banca d'Italia. In quel giorno, conoscendo Baffi, sono certo che il governatore, ove non veda seduto accanto a sé anche Sarcinelli al tavolo del direttorio, darà le dimissioni in assemblea. E con lui tutto il direttorio. Lei, preso da altri e non meno gravi problemi politici, può aver sottovalutato l'impatto della questione sull'opinione pubblica. La sensazione che sia in atto una vera e propria aggressione, di origine oscura, nei confronti dell'Istituto è diffusa. Baffi è persona dai costumi integerrimi. La Banca d'Italia, da Stringher in poi, gode di un prestigio massimo in Italia e anche tra le istituzioni finanziarie internazionali. Né Baffi potrebbe non dare le dimissioni perché l'interdizione dai pubblici uffici disposta dal giudice per Sarcinelli, in modo indiretto ma certo, colpisce anche Baffi. I riflessi delle dimissioni date dal direttorio in assemblea sarebbero non inferiori a quelle dell'affaire Dreyfus nella Francia ottocentesca. Lei ne subirebbe il riflesso nelle elezioni. Un risultato negativo potrebbe compromettere tutto il suo futuro politico».
Anziché mettere alla porta l'interlocutore, Andreotti domandò: «E Ciampi?». Carlo Azeglio Ciampi, a quel tempo, era direttore generale della Banca d'Italia. Se non avesse dato le dimissioni e avesse accettato di subentrare a Baffi come governatore – annota Guarino – la questione sarebbe svanita e la Banca sarebbe tornata alla normalità.
Guarino rispose deciso: «Credo di conoscere bene Ciampi. Se Baffi si dimettesse in assemblea, seduta stante lo farebbe anche Ciampi». Il senso di quella frase era chiaro: Alibrandi doveva revocare, subito, il provvedimento d'interdizione dagli uffici pubblici. Già, ma come si sarebbe potuto ottenere quel risultato? Guarino non fu in grado di dare consigli. Andreotti lo congedò dandogli appuntamento per la mattina successiva nel suo studio privato.
Fu un breve incontro. Andreotti disse: «Si può fare». E in effetti Alibrandi il 4 maggio revocò il provvedimento d'interdizione. Come aveva fatto a convincere il giudice? Guarino lo seppe solo molti anni dopo. «Gli telefonai direttamente», rivelò il presidente. È così che Guarino arriva alla sua conclusione: «Chi ha salvato la Banca d'Italia in quei difficili frangenti è stato Andreotti». Con il quale lo stesso Guarino rimase in rapporti di consuetudine che portarono anche alla sua candidatura alle elezioni europee nelle liste della Dc nel 1983.
L'avvocato rivela anche che, quando Baffi presentò le dimissioni, il direttorio propose all'unanimità il suo nome per l'incarico di direttore generale al fianco di Ciampi. «Il governo andò in diverso avviso», scrive oggi Guarino. Francesco Cossiga, presidente del Consiglio dopo Andreotti, era stato suo assistente all'università di Sassari.
Ciampi manifesta la sua gratitudine a Guarino nel suo recente Da Livorno al Quirinale, scritto con Arrigo Levi: «Se la soluzione fu trovata – racconta Ciampi – bisogna darne merito all'abilità di Giuseppe Guarino, non solo grande giurista, ma da sempre vicino alla Banca, al quale sono sempre stato molto grato, soprattutto per la Banca». Nello stesso volume Ciampi conferma che a precisa domanda del segretario generale di Palazzo Chigi («Se Baffi si dimette perché non accettiamo il reintegro di Sarcinelli lei che fa?») rispose: «Mi dimetto anch'io».
Dunque fu Andreotti a impedire una crisi istituzionale che avrebbe potuto avere conseguenze devastanti, anche in termini di tenuta dell'Italia sui mercati finanziari internazionali? Probabilmente sì, anche se rimane il fondato sospetto che Andreotti sia comunque stato un protagonista in negativo della vicenda in quanto "protettore" della finanza deviata di Sindona, di Calvi, dei Caltagirone. Le manovre raccontate da Baffi nei suoi diari e da Sarcinelli nei suoi interrogatori, le innumerevoli testimonianze sui rapporti esistenti tra la corrente del leader democristiano e quegli ambienti economici non lasciano molti dubbi. Il 28 febbraio del 1990, a una commemorazione di Sandro Pertini davanti al parlamento riunito in seduta plenaria, Andreotti rivelò di aver proposto al presidente della Repubblica di nominare «un illustre bancario» (Baffi, ndr) senatore a vita. Pertini gli avrebbe risposto: «Non era con me quando lottavamo contro il fascismo». Erano passati pochi mesi dalla pubblicazione postuma dei diari di Baffi, affidati al giornalista Massimo Riva. Andreotti non nominò l'ex-governatore, lo qualificò come "bancario" e gli affibbiò, ricordando le parole di Pertini, la patente di fascista.
Guarino però è convinto del contrario. «Non era Andreotti che tirava le fila di quella macchinazione – dice al Sole 24 Ore –. Lui ha fatto la sua parte: non si sottrasse alle sue responsabilità e decise che cosa bisognava fare». La cautela peraltro è d'obbligo. Perché tra le caratteristiche di Belzebù spicca la doppiezza: aver "salvato" la Banca d'Italia dopo averla picconata non basta per ottenere la beatificazione.

La storia e i protagonisti
L'attacco alla Banca d'Italia partì il 24 marzo 1979, lo stesso giorno in cui morì il leader del partito repubblicano Ugo La Malfa. Il vicedirettore generale Mario Sarcinelli fu arrestato. Il governatore Paolo Baffi non subì l'onta dell'arresto e del carcere solo perché aveva 68 anni. Entrambi furono poi prosciolti, con la formula più ampia, soltanto due anni dopo. Per quella vicenda, di fatto, furono costretti a lasciare la Banca d'Italia.
I magistrati. Furono il giudice istruttore Antonio Alibrandi (nella foto a lato) e il pm Luciano Infelisi (in basso) a emettere i provvedimenti. Baffi e Sarcinelli erano accusati d'interessi privati in atti d'ufficio e di favoreggiamento personale per i finanziamenti concessi da Imi e Cis alla Sir di Nino Rovelli. Entrambi i magistrati erano vicini alla destra.
Scoppia il caso
I banchieri. In quei mesi era in atto un tentativo
di salvataggio dello scricchiolante impero
di Michele Sindona. La Banca d'Italia si opponeva
alle scorciatoie
suggerite dalla politica. Inoltre cominciava a indagare sulle oscure attività di Roberto Calvi e del Banco ambrosiano. Sullo sfondo tramavano i poteri oscuri della loggia massonica deviata P2.
Sullo sfondo poteri oscuri
I politici. L'economista Nino Andreatta era responsabile economico della Dc mentre Filippo Maria Pandolfi era ministro del Tesoro. Entrambi presero pubblicamente posizione a favore di Bankitalia. Nei giorni dell'attacco anche la comunità degli economisti, guidata da Sergio Steve, si schierò con una dichiarazione di stima per Baffi e per Sarcinelli. Alcuni di loro furono interrogati dai giudici.
Fonte: