Imbecille del giorno





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Siamo uomini o caporali? L’imbecille del giorno e’ un un oleografico agit prop meridionale, ovvero uno “schiumazza”. Pensateci bene: costui, ed il suo “giornale”, devono “tutto” a Berlusconi. Se non c’era Il topo brianzolo sai dov’erano? Risposta: non esistevano, oppure avrebbero fatto la fine del “Riformista”. Se non c’era Il topo brianzolo sai quanti disoccupati in piu’ in questo paese, che sforna fango “quotidiano” e di “fatto” incamera lauti stipendi e finanziamenti pagati con le tasse? Una marea: da Fini sino a codesto topino di campagna. Nel paese a forma di fogna e’ impossibile contare quanti – direttamente o indirettamente - devono il benessere a Berlusconi: in parlamento, nei giornali, nelle banche, nelle assicurazioni, nel corpo diplomatico, nell’imprenditoria, nelle partecipazioni statali, nel cinema, nella Rai. Tanti, un grande esercito di “figli alla stessa scrofa”. P.S.: l’articolo e’ assemblato, e pure malamente; vai a prendere per il culo i tuoi fratelli: i miracolati di Berlusconi









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L’imbecille del giorno e’ un meridionale, retorico melenso e percio’ pericoloso. Si e’ guadagnato la giornata





------------------------------------------------------------- Questo signore e’ un ridicolo cuolo di pietra (alias imbecille meridionale); si capisce subito che non ha mai lavorato veramente. Ma quando mai le piccole aziende - e le aziendine familiari - del Mezzogiorno, si son potute permettere di assumere un laureato? Mai: il piccolo imprenditore del Mezzogiorno lavora sulla forbice “costi-prezzi”, e manda il figlio/a laureato a lavorare in banca o da qualche altra parte; non lo sacrifica ad una vita dura e priva di un “status sociale” dignitoso. Semmai porta dentro la moglie e la figlia/o che non ha voluto/potuto studiare. Quella del piccolo/micro imprenditore del Mezzogiorno e’ una “non-funzione sociale”: e’ solo un capo schiavo, comunque schiavo - per sempre - del padrone padano


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Quando uno e’ imbecille, e’ imbecille punto. Luca Ricolfi pero’ ci tiene a sentirselo ribadire, periodicamente. Allora anche stavolta lo accontentiamo, sprecando una frasetta, non di piu’: Imbecille! Se uno evade dal fatturato e’ in una condizione oggettiva di milgliore cash flow rispetto a colui che paga trimestralmente i balzelli. Concetto ovvio e lapalassiano per chi ha frequentato o lavora in azienda. Quindi, se nel Mezzogiorno l’evasione e’ il triplo (asserzione propria dell’imbecille che non studia) la sua capacita’ di resistenza temporale sara’ – a dir poco e niente - almeno di un terzo piu’ alta di quella delle aziende padane. Con un effetto parallelo moltiplicatore, che abbassa nel breve periodo i costi fissi. Ciao imbecille. P. S.: crolli tu, non il Mezzogiorno






Uno dei motivi validi perche’ si faccia la secessione dai padani ed oltrepadani e’ la matrice di questo imbecille, a cui auguro di morire dopo lunghissima malattia, caratterizzata da dalori persistenti ed atroci. Non lenibili.







Stavamo scarsi a coglioni, ma il padano di buona volonta’ non ci necessita proprio. I conti falli con i tuoi, che con noi li sbagli



Chi legge questo blog sa dedurre che quanto si vuol dar ad intendere in questo articolo e’ opposto alla realta’ che emerge dalle informazioni patrimoniali ed economiche che lo stesso articolo ci offre. Per cui: questi non sono affatto poveri, dalla mie parti sarebbero definiti piccoli benestanti. Chi vuole ulteriori inputs d’indirizzo, per andare oltre nell’analisi su quanto scritto dal pennucolo oltrepadano dell’est, son qui.

I leader dell’Unione: «Benvenuta Croazia»
Il vertice comunitario festeggia la “ventottesima stella” che brillerà da lunedì Ma il Paese fa i conti con stipendi medi di 700 euro e disoccupati al 22%
 di Mauro Manzin
ZAGABRIA. La signora Dragica, 43 anni, casalinga, si alza alle 6 nel suo appartamento della periferia dormitorio di Zagabria. Vive al quarto piano del blocco 6. Una leggera nebbiolina segna il corso della Sava. Un caffè per la famiglia che si sta svegliando e poi via con l’autobus verso la campagna al limes della capitale. E mentre il marito Zoran accompagna i due figli a scuola e poi va al suo lavoro di impiegato al Comune di Zagabria lei tira fuori la zappa da una piccola casupola e inizia a lavorare il suo orto. Piano piano l’area circostante si riempie di piccole figure scure chine su zappe e badili. È l’economia del terzo millennio. Quello della grande crisi. Dragica riempie le sporte di plastica con verze e cicoria, una quantità di gran lunga maggiore di quanto servirebbe alla sua famiglia. Verso le 10 è di nuovo a casa. E qui comincia il porta a porta, la vendita abusiva di prodotti alimentari che aiuta a sbarcare il lunario. Anche i blocchi circostanti si animano di “venderigole” improvvisate e, molte volte, al posto delle kune si passa direttamente al baratto, allo scambio merce, tu mi dai le verze e io ti do un po’ di arance o di patate.
È questa la Croazia “vera”. Quella che dalla mezzanotte di domenica diventerà la 28esima stella d’Europa. Quella che ieri ha ricevuto un saluto speciale in apertura dei lavori del vertice Ue con Zoran Milanovic, il premier, ospite d’onore. «Un momento storico» ha detto il presidente dell’Ue, Herman Van Rompuy, tra gli applausi dei leader europei.
Storico, eppure Dragica si alza all’alba e vende verze. E suo marito, siccome i 750 euro di paga non bastano a tirare avanti una famiglia di quattro persone, quando alle 14 esce dall’ufficio, cammina per qualche isolato, smette giacca e cravatta e indossa la tuta di meccanico. È un buon elettrauto e dà una mano al suo amico titolare dell’autofficina. Rimborso rigorosamente in nero. Così si va avanti, di giorno in giorno, di mese in mese, in un sistema che può vantare il 30% di economia sommersa fatta da tanti signori Zoran e signore Dragice. E al negozio, se paghi in contanti ti fanno un prezzo, se paghi con la carta di credito ti tocca versare il 10% in più. Del resto la credit card qui è ancora un lusso, se ce l’hai vuol dire che hai soldi, quindi è giusto che paghi di più del milione e 200mila pensionati e dei 400mila disoccupati (22%) del Paese.
È questa la Croazia rinomata all’estero per le sue splendide coste di Istria e Dalmazia e conosciuta in Italia soprattutto per i suoi dentisti a buon prezzo che ti fanno la dentatura nuova in 24 ore e a prezzi assolutamente concorrenziali. Il “turismo odontoiatrico” funziona, eccome, e i medici si fanno i soldi, girano in lussuosi suv e vanno in vacanza ai Caraibi. E intanto, solo nei primi due mesi del 2013, la società che gestisce l’energia elettrica (Hep) ha provveduto a staccare 4.500 utenze perché morose. Insomma dalle 10mila alle 15mila persone vivono senza corrente elettrica. Le aree più colpite sono quelle della regione dalmata e di Spalato visto che qui la rete del gas è ancora del tutto insufficiente e per riscaldare gli ambienti si usa solo l’energia elettrica. La Hep può contare su 1,87 miliardi di kune di crediti (7 kune=1 euro) non pagati, saliti nell’ultimo anno del 25%. Le banche hanno bloccato 250mila conti correnti di persone fisiche insolventi. Una persona su dieci vive in un’abitazione non riscaldata e il numero dei poveri ha superato quota 900mila. Sono 725mila i croati che non mangiano carne perché troppo cara. Secondo l’Ufficio croato di statistica una famiglia su cinque non riesce a sbarcare il lunario, una su tre ce la fa solo con grandi sacrifici e solo il 12% vive senza eccessivi problemi.
Chi viene licenziato per la crisi in atto può contare su un sussidio di disoccupazione che dipende però dall’anzianità di servizio e dal livello dello stipendio e può andare da un minimo di 148 euro al mese a un massimo di 500 euro. Lo si può ricevere per un minimo di 90 e un massimo di 450 giorni. Poi il vuoto. Però se hai almeno 32 anni di lavoro e 60 anni di età ricevi un salario di accompagnamento alla pensione (65 anni per uomini e donne) nei termini dell’indennità di disoccupazione. Non c’è da stupirsi, dunque, se ai margini urbani di Zagabria gli orti si moltiplicano, il lavoro nero impera e l’economia grigia prospera.
«Nema para» (non ho soldi) si legge su un cartello esposto da un barbone in piazza Ban Jela›i„ nel centro di Zagabria. La gente passa, storce la bocca, ma più di uno getta qualche kuna nel berretto riverso sul selciato. Sul petto l’accattone sfoggia due decorazioni di guerra e parlando con lui scopri che ha difeso Vukovar ma oggi non ha lavoro, ha perso la casa perché non riusciva a pagare il mutuo e la sua donna se n’è andata con uno spocchioso tycoon della Slavonia. Lui resta qui, fino a quando la polizia non lo manda via. Dorme sotto i ponti. Alle spalle un passato da eroe, davanti a sè fame e miseria. E per lui l’Europa altro non è se non «merda».




Ma perche’ dovrei convivere con questo retorico approssimativo semi-scolarizzato?


Toto’ Peppino e la malafemmena
Vorrei far finta di non averlo letto, ma l’assessore e’ un imbecille, non tanto per la cazzata oleografica (Toto’, Eduardo ed altri che non gli hanno chiesto di esser mensionati in “overdose”), ma perche’ la tizia e’ della stessa “opinione” di un imbecille storico, uno che scrive e dice melense ovvieta’ e comode bugie, condite dalla retorica propria del maestrino elementare sabaudo. Ad ognuno il suo appiattimento cerebrale.
grecanico



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Vietato giocare a calcio per strada, arrivano le prime multe ai genitori
di TOMMASO FORTE
BITETTO - Vietato giocare a calcio. L’ordinanza comunale, firmata dall’ex sindaco Iacovelli (Pd) è chiara ed inequivocabile. La polizia municipale sta applicando l’ordinanza rilevando sanzioni amministrative alle giovani leve, quasi tutti minorenni, poiché con il gioco del calcio, appunto, possono recare danni al patrimonio pubblico e alla serenità dei cittadini. Ed ecco arrivare le prime sanzioni amministrative alle famiglie che, in alcuni casi, le hanno aspramente contestate.
«E’ una vergogna - una mamma - vietare ai nostri figli di giocare. L’amministrazione comunale, prima di emanare l’ordinanza, doveva quantomeno verificare la possibilità di altri spazi pubblici dove, appunto, i nostri figli possono giocare. Lo sconcerto delle nostre famiglie è palese. Bitetto è priva di contenitori culturali e sportivi. Dove andranno a giocare i nostri figli?».
La polemica politica, però, coinvolge sia l’amministrazione Occhiogrosso (Pdl) che quella dell’ex sindaco Iacovelli (centrosinistra). Una diatriba vera, a seguito della quale sul social network Facebook si è inasprita una battaglia di accuse. Insomma, uno contro l’altro. Sarà revocato il provvedimento? Nell’ordinanza è vietato giocare a pallone e adottare comportamenti che possono recare danno e/o disturbo alle persone.
L’ordinanza è un elemento che è servito anche per scongiurare «salassi» economici da parte del Comune, il quale si è ritrovato un atto di risarcimento danni di 18mila euro per una caviglia distorta. E, per giunta, il richiedente, ha giocato nella pineta la «Benedetta» quando questa era chiusa con lucchetto. Quindi, oltre al danno anche la beffa. «Applichiamo sia l’ordinanza sindacale che le norme del codice della strada - spiega Carmine Intranuovo, comandate della polizia municipale - e tuteliamo gli interessi di quanti rischiano di recare danno a terzi e a loro stessi per colpa, a volte, di siti non proprio idonei al gioco».


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Si, abbiamo da dire qualcosa. C’ho una figlia, studia e fa le battute ironiche, dice son spiritose. Sara’. Balla pure, secondo me male, ma io non so’ ballare, quindi sto’ zitto: si dovesse incazzare, ci mette poco. Ama tutte le cose - ed anche molte altre che non ricordo, o che non so decifrare - descritte in questa sottospecie di articolo qua sotto, e sotto deve stare, come il cesso sotto il culo. Perche’ una deiazione merita. Anche oggi abbiamo l’imbecille del giorno, per di piu’ di razza meridionale. Che vuoi di piu’ dalla vita?

Ecco la «ragazzagna»  un po’ finetta e tafagna
di ALBERTO SELVAGGI
Mi pare il caso che ogni barese abbia coscienza di ciò che lo attornia e non nota. Perciò questa domenica illustrerò un esemplare classificato dagli antropologi, ma anche dagli etologi, da cinque o sei anni o poco più: la «ragaz-zagna».
Il termine, inserito nelle piramidi evolutive senza il trattino, assomma la barese di giovane età con la zagnaggine infusa. Ora, come il principio scoperto da Stevino prova, i due veicoli comunicanti, al pari dei vasi danno vita a un’unica superficie equipotenziale, che è appunto la ragazzagna. Non avete capito? Non sapete che cosa si intenda per equipotenziale né se questo Stevino canti in coppia con Giorgia o con Pàup (Pupo)? Be’, io neppure.
La ragazzagna, liberta affrancatasi dal tamarrume, non è mica brutta. Anzi, parrebbe bella, se davvero lo fosse. Sfoggia con sfacciataggine i suoi numeri. Questo è il primo elemento per riconoscerla. Esibisce copertoni (seni) inguainati in top con bolero che lo rassodano tanto da renderlo contundente all’urto. Lo stesso dicasi per lu deretano (posteriore) smutandato che espone sotto ai cinturoni nella forma mandolinesca o cassinoide (da Nadia Cassini, sexy diva ‘70 celebre per i glutei), compresso da tessuti al limite dell’arresto per incitazione allo stupro. Le gambe, depilatissime, palestrate a misura, le mena su e giù per le piazze come sciabole di fuoco. Il resto lo fanno maglie con trasparenze floreal, piercing, strass e rossetti oral. Mastica gigomma ma non sputa.
Il sorriso della ragazzagna – sì, devo dirlo – è fisso e insolente. Sostiene cioè lo sguardo di chiunque. Perché ella è sicura. Perché affronta la vita col petto in fuori e con la fronte pronta al tuzzo. Anche il volto ha mica brutto. Piacevole, di solito. E quando imperfetto attraente sempre di un qualcosa di erogeno, o di comunicativo tout-court. Da cui si desume che la ragazzagna piace più delle femmine comuni.
Sulle unghie di piedi-mani predilige smalti vivi non allucinatori. Ha un look curato all’ossessione, ma tradisce sempre qualche impulso tafagno: la taccazza, il tatuaggio delle dive americane peggiori. Perfino questi handicap la ragazzagna sa volgere a uso: la sua estroversione imminchionisce anche il maschio di famiglia colta. Ella, cana (cagna) com’è, rifulge di sesso d’alta tensione. Potente faticatrice, è capace di inanellare 4-5 climax, pur nelle estemporanee copule. E sembra non si dia pensiero di vocalizzarle al mondo.
La ragazzagna si limita all’urlo gastematore e allo spintone nelle contese amorose con figliole di uguale natura. Ma arriva alla stampata ripetuta alle cannelle (una l’ho vista presso il Fortino all’azione) se pesca una ventenne o trentenne comune.
Balla caraibico, da un po’ anche hip hop, ma sa adattarsi e apprezzare anche il tango degli snob: «Faccio tango – pronuncia –, mi dà molta passione».
Pur covando linguistici obbrobri sfodera una parlantina corretta se occorre. È aggressiva, sfotte i maschi per sedurli, ma col suo uomo sa essere dolce: «Tonio mi piace perché è tenerissimo». Il 63,5% delle ragazzagne fuma. Forse. Il 36,2% ha genitori separati con i quali intrattiene un buon rapporto. Forse. A scuola e all’università non è ciuca. Sul lavoro svelta e coscienziosa, anche se sul principale scatarra di brutto: «È ‘nu kin d’ mm…».
La ragazzagna è rintracciabile soprattutto nella movida di Bari vecchia. Ma batte con minigonna cacciatora altre zone. Va in vacanza in luoghi esotici su offerte last-minute che ramazza dal web con abilità prodigiosa. È in queste occasioni che tradisce il fidanzato; prediletti sono il nordico e il negroide. In patria è meno frequente la cornificazione: «Ci tengo a questa storia». Ma, se cerviata a sua volta, alla scoteca si vendica subito: «Ciao bello, come ti chiami?». «Kevin, perché?». «Mi accompagni al bagno?».
Ora direte: scusa, ma di quest’altra idiozia della ragazzagna che ti sei inventato, a noi che ce ne importa? Semplice: alcune ragazzagne mi molestarono mentre ero in bici in corso Vittorio. Altre mi hanno spintonato perché indossavo un casco rosa sulla moto. Adesso la mia vendetta è compiuta: tenete da dire qualcosa?


L’imbecille fa sorridere, ma e’ un Top Performer. Cambia mestiere, non e’ per te: in un sol colpo ti sei sputtanato. E’ evidente che ti mancano le basi, sia scientifiche che umane.
L’ossessione dei «migliori»
La Regione e la sindrome del primato
Nel turismo, quest'estate, c’è chi ha fatto meglio. E questo all’assessora Godelli non va giù, nonostante la Puglia venga da anni di boom e un calo può essere fisiologico
L’Acea (Associazione dei costruttori europei di auto) comunica periodicamente le vendite di automobili. La Fiera del Levante il numero dei visitatori. Gli albergatori quelli delle presenze. Si riportano i dati, si comunica la fonte, si fanno i confronti con i numeri precedenti ed eventualmente si elaborano considerazioni. Questa è l’informazione. Per la Regione Puglia, però, ci sono dati e dati. L’ossessione di considerarsi (o apparire) migliori degli altri induce spesso i governanti pugliesi a pensare di poter decidere quali numeri abbiano rilevanza per l’opinione pubblica e quali invece no. E così, quando l’Istat comunica i dati sulle esportazioni regionali del primo semestre 2012, si convoca ad horas una conferenza stampa per sottolineare l’incremento dell’11,3% pugliese, secondo solo a quello siciliano (più 21,2%). Per sottolineare che è vero, la Sicilia è prima, «ma esporta prodotti petroliferi e rifiuti», come evidenziato dalla vice presidente Loredana Capone. I migliori, quindi, restano i pugliesi. Anche se considerando il dato assoluto e, quindi, il peso delle esportazioni pugliesi sul totale Italia, la percentuale rimane bassa (2,3%) così come quella meridionale (11,8%), lacuna su cui si è soffermato anche il premier Mario Monti nel discorso inaugurale della Fiera del Levante («Il Mezzogiorno, con il 35% della popolazione, alimenta solo il 15% delle esportazioni. Bisogna fare di più». Figuriamoci se non arriva neanche al 12%). Ma questi, evidentemente, sono i numeri che non piacciono alla Regione Puglia. Come quelli di Federalberghi nazionale.
Per gli albergatori italiani (che ovviamente parlano degli alberghi e non dei trulli o dei campeggi) le presenze alberghiere sono cresciute in Campania (più 2,4%), Sicilia (più 0,6%) e Veneto (più 0,2%), sono rimaste stabili in Emilia-Romagna e sono diminuite in tutte le altre regioni. Ebbene, tra queste c’è anche la Puglia, che secondo Federalberghi ha evidenziato un calo del 6% di presenze. C’è anche chi ha fatto peggio, come la rinomata Sardegna (meno 7,1%). Ma, purtroppo, c’è chi ha fatto meglio. E questo all’assessora Silvia Godelli non va giù, nonostante la Puglia venga da anni di boom e un calo, in periodo di crisi, sia anche fisiologico. E così, in una nota diramata ieri prima ha sottolineato che «i dati ufficiali giungono l’anno successivo», poi ha annunciato che «già nelle prossime settimane la Regione diffonderà e analizzerà i dati veri della stagione, rilevati da un serissimo istituto di ricerca (a spese di chi? ndr) e non da dilettanti allo sbaraglio». Nell’attesa di scoprire che ai vuoti degli alberghi hanno fatto da contraltare i trulli stracolmi, i dati di Federalberghi, sebbene dilettantistici, sono stati commentati anche dal ministro del Turismo Piero Gnudi per il quale «confermano che la crisi sta producendo i suoi prevedibili effetti sulle scelte di consumo e purtroppo il turismo non può essere considerato immune. E il Mezzogiorno, con alcune eccezioni, rimane il fianco debole del mercato turistico italiano». E hanno trovato conforto nel calo di passeggeri che per la prima volta dal 2001 ha interessato gli aeroporti di Bari e Brindisi nel mese di agosto 2012. E in questo caso la fonte è Aeroporti di Puglia, società controllata dalla Regione.
di Michelangelo Borrillo
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Porro, un cognome padano, una vita inutile: impiegata a sparar mega puttanate con lo stipendio pagato dalla Segreteria del Primo Ministro, robetta in perfetto stile padano. Porro e’ l’imbecille del giorno. Perche’ se dovessimo conteggiar le attivita’ padane tenute in vita “dalle bollette”: municipalizzate, partecipate regionali, provinciali e merdaccia della bassa padana, associazioni oltrepadane e consorzi pubblici del mitico nord – avrebbe una sola via, per la sua dignita’ di uomo: spararsi in bocca. Speriamo nel sussulto dell’imbecille?



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Meglio soli che accompagnati dall’imbecille del giorno. 1) Forse e’ proprio il caso di passare alla querela: per diffamazione di Carica Costituzionale, poiche’ il Sindaco tale e’. 2) Il termine marketing, nel belpaese galbanino, e’ quasi sempre usato a sproposito, poiche’ non se ne conosce il contenuto. Manco alla lontana.


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Lo sputnik-sputazza dell’imbecille “made in Naples”. Prima dice che le case per i giovani a Napoli ci sono, tetto cucinotto e branda. Poi dice che gli alloggi si ci sono, ma solo per i figli di papa’ con il pezzo di carta e la presentazione giusta. Degli altri - gli sfigati - non ci dice che fine fanno, noi lo sappiamo. Poi dice che la fuga dei giovani-bene non e’ da mettere in relazione con la crisi degli alloggi, e neppure con la crisi del lavoro, perche’ la dignitosa occupazione la trovano, grazie a papa’, padrini et similari. Poi spara lo sputnik: molto probabilmente se ne vanno per colpa dei massimi sistemi napoletani: criminalita’ organizzata, inefficenza delle amministrazioni locali, che evirano le strategie di vita ed i bisogni personali. E conclude con il lancio sputnik-sputazza: i giovani-bene vanno via da Napoli perche’ rischiano l’intrappolamento in una citta paralizzata che si gingilla con gli spettacoli e svaghi collettivi. Commentino: Proprio sfigati i giovani-bene di Napoli, piu’ dei giovani non bene: perche’ hanno l’alloggio, il lavoro, son protetti dalla famiglia, vanno agli spettacoli, godono degli svaghi colletivi. Non come gli sfigati veri, che non han niente di tutto sto’ ben di Dio. Imbecille.

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Il tatuaggio ha origine nella notte dei tempi, forse nordici, in quelle notti che non finiscono mai. Oggi e’ pratica parecchio occidentale, americani, inglesi, australiani, neozelandesi, in giro per il mondo sono quasi tutti tatuati. Vuol dire che son tutti napoletani, ed io di questo non ho mai avuto dubbio. L’imbecille del giorno non ha riletto quanto ha scritto, forse si sarebbe salvato (c’e’ una palese contraddizione logica). Ho deciso, mi faro’ tatuare un merlo imbecille: una partenogenesi espressiva che ha avuto il buon gusto di nascere fuori Napoli: piu’ sopra.





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Ad un imbecille siffatto gli togli pure la terza media


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A questo imbecille gli ci vuole il “foglio di via”: per la Carnia, oppure per Sondrio, o Domodossola. Cosi’ vive bene li’, meglio che in Sicilia. Di sicuro.






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Se volessimo fare i conti sul serio, quanti pennucoli padanini si abboffano nella magiatoia dello Stato, nel giornaletto dell’imbecille Belpietro?




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Il galbanino Libero, il regno degli imbecilli



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I 440 milioni sono anticipo di quanto dovuto dallo Stato alla Sicilia (poco meno di un miliardo). Lo Statuto autonomistico siciliano non e’ concettualmente diverso da quello delle altre regioni autonome, che godono di privilegi superiori a quelli siciliani. Se si volesse vedere come stanno relamente le cose all’interno delle regioni autonome basterebbe fare richiesta di una studio all’Istat, ad Unioncamere o a qualsiasi Istituto di Ricerca di matrice scientifica. Le cose ed i giudizi dell’opinione pubblica cambierebbero. Ma i dati da estrapolare ed i calcoli da implementare sono onerosi, politicamente intendo. Lombardo ha fallito, ma non per questioni amministrative o finanziarie.
Senza (più) giudizio la Sicilia di Lombardo
La notizia della sospensione del giudizio di Standard & Poor's sul rating della Regione siciliana rischia di accrescere la tensione a Palazzo d'Orleans, dove il governatore, Raffaele Lombardo, vive ormai come asserragliato in attesa di rassegnare (il 31 luglio) le proprie dimissioni. Il 24 Lombardo andrà a Roma per incontrare il presidente del Consiglio, Mario Monti, mentre il governo si accinge a trasferire sul conto unico di tesoreria della Regione 400 milioni di euro che daranno ossigeno alle casse dell'ente per permettergli di sopravvivere almeno fino alle elezioni. Il clima resta comunque pesante se è vero che il Movimento per l'autonomia, il partito fondato da Lombardo, ha dato appuntamento ai propri militanti per domani, davanti alla sede del commissario dello Stato, a Palermo, per protestare contro le presunte violazioni dello statuto autonomistico. Come ha dichiarato ieri al Sole 24 Ore il leader degli industriali siciliani, Antonello Montante, delegato di Confindustria per la legalità, dietro questa difesa dell'autonomia speciale c'è il timore della classe dirigente politica siciliana di perdere privilegi, denaro, potere, capacità d'intermediazione col governo centrale. Lo statuto autonomistico ha avuto un senso nel dopoguerra, quando il separatismo fomentato dall'aristocrazia e dai grandi proprietari terrieri rischiava di staccare la Sicilia dall'Italia, minando il futuro della Repubblica. Ma oggi serve soltanto a giustificare il mantenimento di un mostruoso apparato clientelare che succhia risorse senza creare ricchezza, impedendo qualsiasi cambiamento in direzione di un'economia di mercato.
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Non riesco a star dietro all’esercito degli imbecilli persiani. Son troppi, e grafomani. Io son solo. Saremo immersi dalla merda? Ma perche’ sti’mbecille non cita le fonti da cui prende i numeretti? Per me e’ un cazzaro che gioca sulla definizione di “dipendente pubblico”. La regione con il maggior numero d’impiegati pubblici e’ la Lombardia, dove si registra anche il maggior numero di evasori milionari, come di ladri, anch’essi milionari.


Questo imbecille fara' strada, per ritrovarsi infine quel pugno di mosche che merita.
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XVI-VII-MMXII. La storia del Naviglio grande non e' quella che dipinge:  non è un centro, non e' un’invenzione della vita spontanea espressa da Milano, non e' stata plasmata dallo spazio urbano, se non si fossero implementate una serie di interventi specifici sarebbe molto malarico. Dunque, se non conosce le cose della citta' a lui geograficamente meno lontana......, le altre citta’ le conosce per davvero? Ho il sospetto per cartoline illustrate e documentari della RAI. Onde per cui mi sovviene che il tizio e' dotato di notevole spontanea fantasia teatrale, che gravita in un centro cerebrale vuoto e che tutto l'articolo sia un cumulo di fesserie.  Imbecille.

Lungomare brutta copia di Central park
Il sindaco De Magistris voleva liberarlo, ha invece creato un luogo qualunque ed estraneo
 Sul palcoscenico della città poi si collegano e si rappresentano gli interessi. Prendono forma l’immagine e l’identità di una comunità. Nonostante tutto, la città resta la base naturale di espressione e di organizzazione degli strumenti dell’inventività umana. Della cultura e dell’ economia. Per questo si è tornati a discutere con grande passione delle città. Guardarle vivere, guardare il modo in cui esse danno forma alla propria vita è anche un modo per capire chi ce la farà e come nella grande trasformazione della crisi globale. Perché la città è scena e palcoscenico, ma anche spettacolo di se stessa e ogni città, come sappiamo, si mette in scena a modo suo. Con il tempo, le letture e i viaggi, l’esperienza, ciascuno di noi si è costruito un piccolo album di stereotipi urbani. Un breve e casalingo repertorio di conoscenza universale in cui pure è racchiusa una briciola di verità. I newyorkesi fanno jogging a Central Park. Sulle sponde della Sprea, a Berlino, ai primi raggi del sole primaverile, i tedeschi si stendono sull’erba della riva, le dita dei piedi libere dalle strette calzature dell’inverno, leggono e bevono lunghi caffè. E poi c’è Parigi e la ‘‘scalata’’ del Sacro Cuore, le strade di Londra, gli aperitivi di Milano ai bordi del Naviglio grande: ognuno di questi sfondi è un centro, un’invenzione della vita spontanea espressa dalle città, che plasma lo spazio urbano spostandone, secondo le epoche e le stagioni, come in un corpo, i punti focali, i nodi attorno ai quali si aggrovigliano e si sciolgono le tensioni e le passioni dell’anima sociale.

Perché le città vivono, sono enormi corpi collettivi che si fanno spazio, diventano il proprio spazio. Si allargano e si restringono riorganizzandosi intorno a fuochi di volta in volta diversi. E come i corpi, le città soffrono in alcuni punti più che in altri e sono felici con maggiore o minore espansione a seconda dei plessi mobilitati dalla loro complessa psicologia. Questa natura senziente del corpo urbano è tutt’altro che una metafora. È la condizione stessa della nostra vita associata. Mi è capitato giorni fa, in compagnia di alcuni amici, di fare una passeggiata lungo via Partenope, il famoso lungomare, la piazza Plebiscito del sindaco de Magistris. Chiusa al traffico, di fatto consegnata ai ristoratori della zona che hanno invaso con i loro tavolini mezza carreggiata, animata di napoletani a spasso nel sole calante di un pomeriggio particolarmente caldo. C’erano i ballerini di tango, gli avventori dei bar e dei ristoranti e un nugolo di spettatori che appoggiati ai muretti guardavano gli uni e gli altri. Mi sono chiesto cosa stavo vedendo. La domanda viene spontanea, perché da sempre i napoletani e molti provinciali scendono verso il mare a godersi il panorama, lo spettacolo della città e un po’ di fresco. De Magistris ha avuto sicuramente un’ intuizione. Si è impossessato di questo spazio della vita spontanea della città e ne ha fatto un luogo, un nuovo centro napoletano.

La Napoli di de Magistris appunto. La caratteristica fondamentale di questa intuizione è, mi pare, il fatto che per la prima volta, nell’ultimo quarto di secolo, la rappresentazione ufficiale della città avviene al di fuori, diciamo così, della sua cornice abituale, colta, accademica. È una messa in scena piccolo borghese, da scampagnata domenicale, che ignora il centro storico, i monumenti della città antica. Di chi non sa e non ha nessuna intenzione di rendere omaggio alla tradizione intellettuale napoletana e ai suoi luoghi canonici. Né d’altra parte si poteva immaginare che nell’afa estiva, qualcuno che non fosse un turista francese o tedesco, si inerpicasse per i vicoli stretti dei quartieri. Un gelato, un aperitivo, una pizza e la serata è fatta, sullo sfondo di un arco di città che resta straordinario. Ora, il punto di questa intuizione non è il rango o lo status dell’esperienza che essa propizia. Ma la sua qualità e gli strumenti di governo predisposti. Se le città respirano, la domanda che mi sono fatto insieme ai miei amici, l’altra sera, era se veramente in quel posto e in quel modo tutti quelli che ci stavano riuscivano a tirare un sospiro di sollievo, a prendersi una pausa, a godersi la serata. L’impressione invece era quella di una affannosa ricerca di un luogo, come se quello che c’era non bastasse, come se la sua capacità di riempire di senso l’esperienza dei singoli e di tutti fosse troppo labile e incerta. I ballerini di tango, gli avventori dei ristoranti che li guardavano, i podisti che facevano jogging, ognuno di loro narrava di un’altra città, portava con sé gli elementi di un racconto diverso. Chi rimpiangeva Central Park, chi sognava San Telmo a Buenos Aires, la Casa Rosada e il mercato di Plaza Dorrego, nessuno di loro stava veramente a Napoli. L’esito paradossale della recinzione del lungomare è di averlo trasformato in un luogo qualunque, nel mero pretesto di una messa in scena dei consumi e dei frammenti di stili globali dei nuovi cittadini napoletani. Di una porzione ristretta di essi, per la verità.

Gli unici che sembravano sapere veramente quello che facevano erano gli spettatori, gli abituali frequentatori della passeggiata a mare, ragazzi e ragazze a spasso, che insieme al gelato si erano venuti a prendere lo spettacolo esotico allestito per una sera a Napoli, una specie di ‘‘Ballando con le stelle’’ en plein air. Niente in ogni modo che avesse un legame reale con la città. Questa estraneità a Napoli è il prodotto del modo con il quale l’amministrazione comunale ha approntato questo spazio del divertimento dei napoletani e come tale è un segnale ulteriore della incapacità di questa giunta di produrre un’idea generale della città. Napoli, semplicemente, non esiste nella rappresentazione di chi la governa. Questo sentimento di non appartenenza è particolarmente evidente nella approssimazione con cui è stata predisposta la zona senza traffico. Andate a margini di quest’area. Il perimetro della nuova città di de Magistris è segnato con dei bidoni di plastica, del tipo di quelli che si trovano sulle strade extraurbane per dividere le carreggiate. Quando ci sono, le fiorire sono completamente abbandonate a se stesse. Popolate di sterpi rinsecchiti, diventano facilmente il ricettacolo di ogni tipo di rifiuto da gita fuori porta. Lattine, sacchetti di patatine, bicchieri. Mi rifiuto di pensare che il sindaco non abbia un netturbino o un giardiniere da mandare in servizio in quella zona. Lo spettacolo che ne risulta è quello di uno spazio qualunque, ricavato alla bell’ e meglio perché ognuno ci faccia un po’ quello che gli pare.

Questo è il lungomare di de Magistris. È lo specchio di un’amministrazione che non ama la città, che non la sente come un organismo vitale, che non ha il gusto di governarla. Altrimenti non si spiegherebbe la sciatteria, l’approssimazione, la scarsa cura con cui è stata preparata la scena. Se poi l’incauto passeggiatore, abbandonato il nuovo centro estivo della città, risale per via Santa Lucia, piazza del Plebiscito e si incammina per via Roma, ebbene lo spettacolo che qui gli si para dinanzi è letteralmente spettrale. Di sera via Roma è una strada abbandonata a se stessa, assediata da cumuli di immondizia lasciata lì da giorni, a cui si aggiungono le pile di cartoni dei negozi e che nessun camioncino della nettezza urbana è venuto a ritirare. Ogni ribalta ha il suo retroscena, certo. Ma qui appare qualcosa di più profondo e più grave. L’incapacità di pensare i rapporti urbani, di mettere in collegamento i nodi della rete cittadina. Di unire il mare con le Chiese, i bar con le librerie, i ristoranti con le piazze. Dietro tutto questo c’è l’assenza totale di un’immagine condivisa della città. Se Napoli dovesse essere compendiata in uno slogan, il nostro sindaco rimarrebbe letteralmente a bocca aperta senza sapere cosa dire. Se Milano è la città della Moda. Se Torino, dopo essere stata per tutto il Novecento one company town, ha saputo mettere a frutto i grandi eventi per dare vita ad una specie di keynesismo urbano che ha avviato una profonda trasformazione della città. Napoli, che cos’è? La città del mare? Il sindaco ha certamente aggiornato l’immagine del mare, l’ha commercializzata. Ma un video su Youtube può andar bene per la propaganda. Non crea un’economia. Quella sera poi il mare lo guardavano in pochi. Forse chissà, perché come cantava Pino Daniele, il mare sta sempre là, tutto sporco, pieno di immondizia che nessuno lo può guardare. Il mare, appunto, sta sempre là. Quello che manca è un governo decente della città.
Adolfo Scotto di Luzio
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15 luglio 2012. Lombardo ha fallito, anche nello scrivere alla stampa galbanino, per giustificarsi; in qualche modo. Ma di una cosa si puo' esser certi: l'imbecille padanino che sale in cattedra nell'articoluccio seguente non conosce i numeri dei dipendenti pubblici in Lombardia, compresi dirigenti, puttane e ricchioni annesi, ed inoltre fa finta di non ricordare le ruberie miliardarie dei suoi consimili avvenute, che avvengono ed avverrano: questione di DNA. In questo blog ci sono gli articoli che lo attestano, nello specifico uno: la Lombardia ha il piu' alto numero di dipendenti pubblici di questo paese del cavolo. Le deduzioni ed analogie del pennucolo padanino di cui sotto son buone per le chiacchiere da bar dello sport. Niente di piu'. A proposito di ruberie, me ne viene in mente una colossale: circa dieci anni fa i padani milanesi rubarono mille miliardi di lire, piu' specificatamente sottratti dagli amministratori milanesi addetti alla formazione professionale. Qualcuno ne sa qualcosa? Infine, sulla cronaca odierna, e dei suoi valorosi eroi padani, standiamo un velo pietoso, ma solo perche' non ci interessa rimestare la merda. Produce puzza idiota pennucolo, vuoi la guerra?  Se la vuoi l'avrai, imbecille, e lascia perdere il gattopardo, anche se tu l'avessi letto, non c'hai capito una minchia. E non puo' essere diversamente, padanino della corte brianzola. Imbecille, stai sulle tue, non ti allargare.

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Indipendentisti salentini. Baste tre Province sia una unica Regione
di FABIO CASILLI
«Con il progetto della Regione Salento si ridisegna la storia, già per noi beffarda ad opera di un baricentrismo asfissiante». Ne è convinto Paolo Pagliaro, editore di lungo corso e da qualche anno promotore del movimento che mira a dividere in due la Puglia. «Una regione troppo lunga da percorrere e troppo sbilanciata nella ripartizione dei fondi a vantaggio del capoluogo», ripete, come un’ossessione Pagliaro. Ora, attraverso il decreto sulla cosiddetta Spending review il Governo Monti ha deciso di dare un bel taglio agli enti locali, con il probabile accorpamento delle Province di Lecce, Brindisi e Taranto. L’ambito territoriale, quindi, è garantito, ma le competenze probabilmente non sono granché incisive.
«Speriamo che non si faccia il solito pasticcio tutto italiano», sottolinea Pagliaro, «Noi abbiamo sempre parlato solo e soltanto di abolizione delle Province. Così come previsto nell’ultimo decreto del Governo, le Province saranno enti di secondo grado, debolissime, ancor più inutili, totalmente senza deleghe e poteri. E addirittura non sarà possibile per i cittadini eleggere il presidente. E allora il loro accorpamento sarà un maxi-carrozzone ancor più inutile, improduttivo, inefficace, svuotato di ogni prerogativa per poter guidare il territorio. Noi abbiamo il nostro progetto riformista: via le 101 Province, tutti i 6mila enti inutili, ridisegnamo l’Italia delle 30 Regioni piu ricche e piu virtuose».
E tra queste c’è, ovviamente, il progetto della Regione Salento. «Ha tutte le carte in regola per essere messo in campo per il bene del territorio», prosegue l’editore leccese che, da condottiero del suo movimento «indipendentista», se la prende con i partiti tradizionali. «Hanno interesse a mantenere lo status quo», attacca Pagliaro, «Non ci aspettiamo da loro una cura dimagrante, ma è fin troppo evidente che, oltre le Province, ci sono altri enti inutili che vengono tenuti in piedi e utilizzati per garantire una qualche postazione (di rilievo o meno non importa) ai “trombati” della politica. Ridisegnare il nostro Paese, snellendolo da strutture amministrative costose, significherà creare uno Stato realmente federale; e non centralista e contorto come è ora. Mai come in questo momento, c’è bisogno di coraggio, di un coraggio riformista».
Non manca, però, un barlume di speranza. Anche perché, in Parlamento, è depositata da tempo una proposta presentata dalla senatrice Adriana Poli Bortone, di Grande Sud. «Spero che i partiti comprendano che la propria autoconservazione li porterà al definitivo declino, all’implosione e all’affermazione di movimenti che i leader definiscono, impropriamente, movimenti antipolitica», rincara la dose Pagliaro, «I salentini hanno una grande opportunità: veder la nascita della Regione Salento e questa dovrebbe esser la grande occasione di riscatto di tutti coloro che da questo territorio hanno avuto già tanto. Diventare protagonisti di questo progetto significherà riappropriarsi del primato della politica e del rispetto di quanti preferiranno, in caso contrario, l’astensione al voto democratico. Oggi è il momento giusto far camminare il nostro sogno per non continuare a subire lo strapotere di una regione, che», conclude Pagliaro, «con Bari-città metropolitana ammazzerà definitivamente il Salento».

Cirielli: «I nostri soldi sono utilizzati per assistere Napoli: serve un'altra regione»
Il presidente della Provincia vuole unire Salerno con Benevento, Avellino e Caserta
ROMA — Edmondo Cirielli, presidente della Provincia di Salerno. Prima voleva il Principato, ora se n'esce con la proposta di una nuova regione senza Napoli. Ha la fissa del secessionismo?
«Le secessioni si sono sempre fatte per motivi cronici».
Cosa ci si guadagna?
«Salerno, Caserta, Avellino e Benevento la smetterebbero di tirar fuori soldi che poi vengono distribuiti ai napoletani».
Fa il razzista?
«Cito fatti concreti. La provincia di Napoli assorbe tra il 70 e l'80 per cento delle risorse regionali».
Lo dica a Stefano Caldoro.
«La tendenza con lui un po' si è invertita, ma resta il fatto che alle altre quattro province continua ad arrivare al massimo il 30 per cento delle risorse».
E quindi pensa sia meglio spendere altri soldi per supportare i costi di due regioni?
«Non servirebbe un euro. Il decreto sulla spending review comporta l'abolizione delle province di Avellino, Benevento e Caserta. Ed è un'occasione irripetibile per rivedere l'intero assetto istituzionale e territoriale della Campania a costi invariati».
Edmondo Cirielli — classe '64, deputato Pdl, sposato, due figli, scuola alla Nunziatella, tenente colonnello dei carabinieri in aspettativa — è stato eletto presidente della Provincia di Salerno nella tornata amministrativa del 6 e 7 giugno 2009. Prima di proporre l'istituzione di una nuova regione, voleva un referendum per l'istituzione del Principato di Salerno, idea bocciata prima dalla Corte Costituzionale (22 ottobre 2011), poi dall'ufficio centrale per i referendum della Cassazione (2 dicembre 2011).
Ora ci riprova. Perché questo pallino?
«Le province prima erano tutte unite, poi furono accorpate nel Principato ulteriore e in quello citeriore. È solo dal Regno d'Italia che esistono come le conosciamo oggi: perché dunque non considerare una tradizione amministrativa ben più antica?».
La buttiamo sulla storia?
«No, sul pratico. Perché in una regione dove esiste una grande area metropolitana come Napoli, le province servono anche a fare da contraltare nella distribuzione delle risorse».
E ora spariscono.
«Già, con le nuove norme saranno sciolte. Una bestialità».
Tre province in meno, una regione in più.
«Non è un conto matematico, sono due cose diverse».
Ancora però non ha spiegato a cosa serve un'altra regione. Ci mettiamo dentro chi perde il posto nelle province eliminate?
«La utilizziamo per assicurare risorse ai nostri cittadini».
Sempre la storia che l'80% per cento dei soldi finisce a Napoli?
«Sempre quella».
Molti continuano a ripeterla, ma nessuno spiega mai i dettagli.
«Lo faccio io. Noi versiamo Irap e Irpef alla Regione Campania, ma puntualmente ci torna indietro un miliardo di euro in meno».
Dove finiscono?
«Distribuiti a Napoli».
Perché?
«Perché servono a pagare i dipendenti della miriade di società regionali create negli ultimi quindici anni, dipendenti che nella stragrande maggioranza dei casi sono cittadini napoletani».
Assistenzialismo?
«Sì, ma a spese di tutti».
È l'unico argomento? Un po' debole, non trova?
«E il capitolo delle infrastrutture dove lo mettiamo? Il metrò l'hanno fatto a Napoli, ma Salerno e Caserta hanno aree che per densità demografica sono equiparabili a quelle partenopee. Penso ad esempio al tratto che va da Cava a Scafati, con 400.000 abitanti. E lì la metropolitana non c'è».
Ci sono i treni.
«Un vagone. Ma lei lo sa che le linee ferroviarie dei trasporti regionali sono assorbite all'80% dall'area napoletana? E le paghiamo tutti. Mica solo quelle poi». 
Cos'altro?
«Il termovalorizzatore di Acerra viene comprato con i soldi nostri, mentre a Salerno con il project financing il costo è in carico ai privati. E l'Eav? Sono stati spesi 200 milioni di fondi Fas, che erano di tutte le province, per una società essenzialmente napoletana».

Termovalorizzatore, Eav, trasporti, fondi nazionali ed europei. Ha citato solo quelli. È un modo per dire che il vero problema è economico?
«Be', c'è anche l'aspetto sociale. Salerno, Caserta, Avellino e Benevento hanno una storia organizzativa differente, che deriva anche dalla diversa densità demografica. I nostri territori sono più ordinati, più efficienti. Diciamoci la verità, sul piano dell'organizzazione burocratica c'entriamo poco con l'area metropolitana di Napoli. Quindi dateci una nostra regione, così ci teniamo i nostri soldi e li spendiamo per le infrastrutture».
Ha già pensato anche al nome?
«Be', se si volesse restare alla storia la chiamerei Regione dei due principati. Se poi qualcuno preferisce qualcosa di più moderno, va bene lo stesso. Il problema non è il nome, sono i nostri soldi. Usati per mantenere Napoli».
Gianluca Abate
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Delle tre l’una: imbecille, bugiardo o disinformato

Terzi: «Il mercato dei Balcani è fondamentale per la crescita italiana»
Il ministro degli Esteri Giulio Terzi di Sant’Agata traccia la rotta dell’ostpolitik: «Serve più integrazione economica. Difficoltà superabili». Ecco l'intervista 
di Mauro Manzin
 TRIESTE. I Balcani come mercato economico fondamentale per lo sviluppo dell’Italia, nell’ottica di una integrazione europea in grado di assicurare stabilità e cooperazione tra i popoli. In sintesi è questa la “formula” dell’Ostpolitik italiana tracciata dal ministro degli Esteri Giulio Terzi di Sant’Agata.

La crisi economica tocca anche la Slovenia: parte della popolazione ne subisce gli effetti in modo pesante, e le misure di risanamento si ripercuotono anche sul quadro politico. Quale può essere il ruolo dell’Italia come Paese vicino e primo partner europeo nell’interscambio commerciale?
 È un ruolo che può fare la differenza per la qualità della collaborazione e per lo spessore delle relazioni economiche. Lei ricorda giustamente l’interscambio: parliamo di circa 6,5 miliardi di euro nel 2011, cioè del 40% dell’interscambio commerciale totale tra l’Italia e gli 8 Paesi dei Balcani. Siamo anche il terzo investitore estero nel Paese. I Balcani hanno bisogno di più integrazione economica con l’Europa: non c’è ricetta migliore per dare ossigeno alle loro economie. Sotto questo profilo, quella fra Italia e Slovenia è una storia di successo che può essere portata come modello da seguire.

E in quest’ottica il presidente Napolitano sarà in Slovenia...
 La visita del Capo dello Stato che inizia domani è la conferma, al più alto livello, della priorità con cui l’Italia guarda ai Balcani, alla loro crescita, alla progressiva integrazione regionale nel più ampio contesto europeo ed alle opportunità che quest’area offre alle nostre imprese sempre più alla ricerca di nuovi mercati. È in questo contesto che il 19 luglio l’Italia presenterà a Bruxelles la sua “Strategia per i Balcani Occidentali”, che abbiamo elaborato nella convinzione che solo superando le antiche barriere, consolidando le istituzioni politiche nazionali e cooperando tra di loro in modo virtuoso sará possibile per i Paesi balcanici darsi una prospettiva europea credibile e sostenibile.

Con Lubiana sono oggetto di discussione dossier importanti, come le reti ferroviarie ad alta velocità. È fiducioso che prevarranno i motivi di convergenza?
 Prevarranno certamente, perché Roma e Lubiana la pensano allo stesso modo. Siamo entrambi alla ricerca di quella che si definisce “win win situation”, che non solo è alla nostra portata, ma che in fondo è il naturale sbocco dei nostri rapporti, se il tema delle reti infrastrutturali viene affrontato in chiave europea. Il prevalere di interessi di breve periodo sarebbe invece dannoso per tutti: occorre visione e, ripeto, una prospettiva europea.

Anche il sistema macroportuale del Nord Adriatico sembra lontano.
 Ma la riunione del Comitato dei ministri a Lubiana è vicina, al 17 settembre mancano poche settimane, e sarà un’occasione per presentare progressi tangibili nei progetti di collegamento ferroviario Trieste-Divaccia e Trieste-Capodistria e programmi concreti per sfruttare sino in fondo la vantaggiosa posizione naturale dei porti del Nord Adriatico, le interconnessioni del mercato unico, le reti energetiche e dei trasporti. L’Italia punta molto sui mercati dell’Estremo Oriente, ed è nostro interesse che le merci in transito dall’Europa centrale e orientale passino per i porti dell’Adriatico. L’abbattimento dei costi moltiplica i volumi degli scambi, senza contare i benefici per l’ambiente.

Altro capitolo è quello dei beni abbandonati dagli esuli. È ancora valido lo schema degli Accordi di Roma del 1983 con la Jugoslavia ?
 Direi che ci sono questioni in sospeso che vanno appianate. La Jugoslavia versò soltanto 17 milioni di dollari, ne mancano 93, lo sappiamo bene. Occorre lavorare per gli indennizzi e per la restituzione degli immobili agli esuli. Ciò detto, mi lasci anche ricordare che il punto vero non è solo finanziario, è anche politico.

Lei pensa al tema delle minoranze?
 Certo, le minoranze italiane in Slovenia, Croazia e Montenegro e le minoranze di lingua slovena, croata e albanese in Italia non sono un problema, sono una ricchezza e un’opportunità, e come tali le percepiamo. Esse danno grande dinamismo ai rapporti economici e culturali fra le società civili. È con coerenza che l’Italia ha sempre sostenuto la prospettiva europea dei Balcani: non è un credito di poco conto quando si affronta il tema dei diritti delle nostre minoranze in quei Paesi.

La Croazia il prossimo anno sarà la 28ma stella d’Europa. Ma anche lì il rigore di bilancio si avverte pesantemente.
 È vero, però ora Zagabria può contare su una nuova prospettiva. Proprio due giorni fa la Commissione europea ha presentato una nuova proposta per il Quadro finanziario pluriennale 2014-20, che ora include anche la Croazia. Come membro dell’Unione, Zagabria potrà beneficiare in pieno di nuove risorse e delle varie forme di finanziamento europee, come i fondi strutturali e il fondo di coesione. Parliamo, in concreto, di quasi 14 miliardi di euro in sette anni.

L’Italia si è spesa molto per l’ingresso della Croazia nell’Ue. Come pensa ora di “accompagnare” Zagabria in questo ultimo e non certo facile tratto di cammino verso Bruxelles?
 Con la stessa convinzione con cui, primo Stato fondatore dell’Ue, l’Italia ha ratificato, a tempo di record, il Trattato di adesione. Siamo il primo partner commerciale della Croazia ed un importante investitore nel Paese.

La comunità internazionale, e gli Stati Uniti in particolare, seguono molto da vicino le evoluzioni politiche in Serbia dopo l’elezione di Nikolic. Come si sta muovendo l’Italia ?
 Il presidente Nikolic ha confermato a Bruxelles, il mese scorso, l’obiettivo di aderire all’Ue. Lo ha ribadito negli incontri che ha avuto con noi a livello di governo. Aspettiamo che il nuovo esecutivo prenda forma. Sono molto fiducioso che la Serbia proseguirà il percorso delle riforme e tornerà ad impegnarsi per la normalizzazione dei suoi rapporti con Pristina, che resta la condizione per l’avvio dei negoziati di adesione. Conto di recarmi a Belgrado quanto prima.

La Bosnia si dice pronta a trattare con l’Ue per ottenere lo status di Paese in via di adesione, ma anche a Sarajevo la situazione politica è molto instabile.
 Non dimentichiamo i progressi importanti degli ultimi mesi. Penso all’approvazione delle leggi di bilancio, sul censimento e sugli aiuti di Stato. Altro segnale importante è il varo del dialogo ad alto livello sul Processo di Adesione. La situazione politica in Bosnia è complessa, ma credo che vi siano le condizioni affinché le riforme si mantengano al centro dell’agenda di governo. Intanto, sosteniamo l’entrata in vigore dell’Accordo di Stabilizzazione ed Associazione con l’Ue: aiuterà molto lo sviluppo economico del Paese e gli darà maggiore credibilità quando busserà alle porte dell’Europa.

Bisogna avere il coraggio di riscrivere Dayton?
 La storia non si riscrive. Talvolta ci induce a prendere coscienza dei nostri errori, ma non è questo il caso. I principi rimangono validi. Non credo si possa mettere in dubbio che etnie e religioni diverse debbano coesistere pacificamente. Anche il quadro “due Entità e tre popoli” rimane valido. L’Italia si è molto battuta per rafforzare la presenza dell’Ue nel Paese, e far sì che si realizzino al più presto quelle condizioni che consentiranno la chiusura dell’Ufficio dell’Alto Rappresentante.

Paradossalmente a questo punto sembra il Kosovo l’area più “tranquilla”...
 Le istituzioni kosovare debbono fare la loro parte nel settore della sicurezza, ed effettivamente i segnali sono incoraggianti. A settembre verrà formalizzata, con il decisivo sostegno anche dell’Italia, la fine della supervisione internazionale. Continuerà invece l’attività della missione europea Eulex, competente per le dogane, la giustizia e l’ordine pubblico, con lo scopo di promuovere l’adeguamento del Kosovo agli standard europei. Ci aspettiamo che Pristina si impegni nel dialogo con Belgrado, facilitato dall’Europa: Europa della quale entrambe hanno bisogno.

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Tutti imbecilli ed incapaci, meno Niki, che ha risolto un grave problema per l’economia pugliese.





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Un campione d'imbecillita’
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Tutti imbecilli, dal pennucolo all’Abete; tutti meno il Sig. Grillo: ha il grave vizio della deduzione, imperdonabile nel Belpaese galbanino.

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Sto’ tizio non ha la benche’ minima idea del meccanismo insito nel Piano Marshall, come delle sue ferree regole. Ma si sa’, non ha mai saputo un sacco di cose, anche di quelle che lo riguardavano.
Romiti, per Italia serve Piano Marshall
Siamo in un momento difficile ma manca la volonta'
01 luglio, 16:13
(ANSA) - ROMA, 1 LUG - ''Manca la volonta'. Siamo in un momento difficile ma ci vorrebbe volonta'. Abbiamo un debito altissimo ma ci vuole volonta'. Ricordo la fine della guerra che si risolse con il Piano Marshall che permise la ricostruzione europea''. Lo ha detto Cesare Romiti sottolineando che ''l'Italia e' un Paese che si sta sbriciolando, fiumi che escono dai corsi, edifici mal costruiti che non stanno in piedi e abusi edilizi. Quest'Italia e' da ricostruire. Bisognerebbe attivare un nuovo piano Marshall''.
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Fa caldo. Imbecilli scatenati. Che fare? Scrivere per ripetere il gia’ dimostrato? Manco per sogno, chi si legge le cose ripetute? E poi fa caldo, un bagno a mare e’ la soluzione ideale per neutralizzare i neuroni inquinati dall'imbecillita’. Comunque viva i carolingi, i merevingi i pipinidi i pepetingi ed i neutrini, insomma viva tutti quelli che mi toglieranno i padani dalle palle.



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(per me l’imbecille e’ chi patrocina)
Premio Partenope a Tosi: il sindaco non viene e manda un assessore pugliese
Alla Galleria Umberto: premiato anche il sindaco di Torino Fassino. Un premio speciale alla città di Bilbao
NAPOLI - «L'efficienza non ha confini territoriali, soprattutto quelli fra Nord e Sud. Se un amministratore è capace e sa lavorare nell'interesse della sua comunità, questo prescinde da considerazioni di natura partitica e ideologica». Così Giancarlo Graziani componente del comitato tecnico della Fondazione Troncone, partner del Premio Città di Partenope che tra i vincitori vede il sindaco di Verona, Flavio Tosi. La presenza del sindaco leghista alla manifestazione in programma mercoledì sera nella Galleria Umberto I di Napoli aveva da subito suscitato le reazioni polemiche del commissario regionale dei Verdi, Francesco Borrelli, e dello speaker e blogger Gianni Simioli. A ritirare il premio per il sindaco Tosi, sarà il suo assessore Antonio Lella. «L'assessore Lella è nato in Puglia - spiega Graziani - ed è stato scelto dal sindaco Tosi come componente della sua giunta. Ciò dimostra che non ci sono pregiudizi, ma è stata una scelta legata alla competenza». Tra i premiati, anche il sindaco di Torino Piero Fassino, «ulteriore dimostrazione - ha concluso l'esponente della Fondazione Troncone - che l'efficienza amministrativa non può né‚ deve avere condizionamenti ideologici». Riconoscimenti anche al sindaco di Pompei Claudio D'Alessio e il sindaco di Quarto Massimo Carandente Giarrusso. La manifestazione è ideata dal pubblicitario Claudio Agrelli, in collaborazione con la Fondazione Troncone e gode del patrocinio della Regione Campania, della Provincia e del Comune di Napoli. Il Premio Speciale sarà assegnato al Comune di Bilbao per «la straordinaria riconversione urbana degli ultimi anni».


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Il dato e’ insignificante e scorretto; il monte ore totale e gli addetti totali sono due dimensioni aggregate, ma tra loro disomogenee: bisogna prima ridurre le due dimensioni in classi, e poi fare la divisione tra classi omogenee, asino. Per cui le ore prodotte in part-time in un anno vanno divise con gli addetti che lavorano part-time in un anno. E via cosi’, analista del cacchio.




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13.06.2012
Wall Street: l'Italia è moribonda. La verità è che gli Usa temono gli Stati Uniti d'Europa. Più forti per Pil, export e con meno debito
di Antonio Larizza
«L'economia italiana è moribonda», scriveva martedì sera il sito del Wall Street Journal, proprio mentre Monti era impegnato in un delicato vertice a Palazzo Chigi sulla crisi dell'Eurozona. Oggi, lo stesso giornale, nella sua edizione cartacea, ha aperto con un articolo in prima pagina dedicato al Premier Monti, in cui si spiega come sia finita «la luna di miele tra gli italiani e il premier Monti».
A poche ore di distanza il Financial Times ha fatto sponda. «Mamma mia, ci risiamo»: con questo incipit la testata inglese è tornata a occuparsi della crisi italiana in un editoriale dal titolo «Le onde che sciabordano alla porta di Roma».
Lasciando da parte la visione britannica, da sempre euroscettica, che cosa spinge i più autorevoli opinionisti degli Stati Uniti - proprio mentre il loro presidente Obama segue con apprensione l'evoluzione della crisi dell'eurozona - ad attaccare l'Italia e indebolire così le già minate fondamenta dell'euro?
Alle origini della crisi
In molti hanno parlato di un attacco all'Italia. Si tratta di qualcosa in più di un'ipotesi. Ma la spiegazione di quello che sta accadendo sui mercati va forse ricercata nella scintilla che ha scatenato le recenti crisi in Europa: la crisi dei mutui subprime, negli Stati Uniti. L'evento non poteva che essere scatenante. E non poteva non travolgere il già fragile e indebitato comparto finanziario europeo.
Perché gli Stati Uniti non tifano Europa
Se l'economia dell'Eurozona è in ginocchio, quella degli Stati Uniti d'America non è in piedi. Così, al di là delle dichiarazioni ufficiali, anche l'America confida, per il suo rilancio, in un'Europa più debole che in forze. Anche perché gli Stati Uniti d'Europa - qualora il processo d'integrazione arrivasse davvero a compimento - sarebbero un competitor molto agguerrito. Con fondamentali anche migliori di quelli degli Usa. Come dimostrano i dati aggregati dei 27 Paesi dell'Unione.
Il confronto tra i fondamentali
Ecco i numeri, elaborati sulle statistiche Eurostat (si veda la tabella). Prendendo i dati 2011, si scopre che gli Stati Uniti d'Europa hanno un Pil maggiore, in termini assoluti, rispetto agli Usa. La crescita annuale è simile (+1,5% per l'Europa, +1,7% per gli Usa). Ma soprattutto gli Stati Uniti d'Europa avrebbero un debito pubblico inferiore, sia in termini assoluti, che in % rispetto al Pil: gli Usa hanno infatti un indebitamento pari al 114,32% del Pil, gli Stati Uniti d'Europa si fermano all'82,5%.
Gli Stati Uniti d'Europa - che vanterebbero una popolazione di 502milioni di persone, contro i 313 degli Usa - sarebbero davanti anche in quanto a valore dell'export: 1.914 miliardi di dollari, contro 1.473.
Osservando questi dati, la domanda sorge spontanea: attaccare l'economia moribonda dell'Italia non è forse un tentativo per indebolire la più florida (anche se per ora solo virtualmente) economia degli Stati Uniti d'Europa?
 13 giugno 2012


30.5.2012
Contrordine, i cervelli (rumeni) vengono da noi
Ma rimane la "diaspora" degli italiani
Relazione congiunta Forum Nazionale giovani e Cnel: medici, architetti e professionisti lasciano l'Italia, ma qualcuno arriva
MILANO - Chi l'ha detto che siamo solo un Paese da abbandonare? Chi l'ha detto che i nostri cervelli siano tutti in fuga verso destinazioni in cui realizzarsi professionalmente utilizzando le competenze acquisite? Semmai il problema è di altra natura è investe il terreno della presunta perdita di competitività del nostro sistema-Paese perché i professionisti in grado di dare servizi ad alto valore aggiunto (in termini di ricerca e innovazione, come medici, fisici, architetti e ingegneri) vanno via sì, ma vengono compensati dall'arrivo di migliaia di giovani specializzati soprattutto in materie para-sanitarie (c'è il boom degli infermieri ad esempio) provenienti soprattutto da Romania, Spagna e (pensate un po') Germania.

IL RAPPORTO - Sono oltre 10mila (10.584) i giovani professionisti italiani che tra il 1997 e il 2010 (secondo i dati della Commissione Europea) hanno lasciato il nostro Paese perché hanno ritenuto più redditizio spendersi altrove per vedersi riconosciute le proprie qualità. Lo rileva una ricerca del Forum Nazionale dei Giovani realizzata congiuntamente al Cnel, il Consiglio Nazionale dell'Economia e del Lavoro. Abbiamo esportato - mette nero su bianco il report - 4.130 professionisti nel Regno Unito (anche per la supremazia culturale della lingua inglese spendibile in ogni parte del mondo), 1.515 in Svizzera attratti dall'enorme «sovrabbondanza di investimenti da parte dell'aziende rispetto alla forza lavoro presente sul mercato», spiega a Corriere.it Giuseppe Acocella, consigliere Cnel e coordinatore della 5° commissione Welfare. Dall'Italia si allontanano soprattutto lavoratori altamente qualificati come 2.640 medici, 1.327 insegnanti delle scuole superiori, 596 avvocati e 214 architetti, ma il Belpaese è anche in grado di attrarre professionisti dall'estero, tanto che il saldo tra gli arrivi e le partenze è comunque positivo per circa mille unità, soprattutto per l'arrivo di oltre 5mila rumeni soltanto dal 2007 (l'anno di ingresso del Paese nella Ue) ad oggi.

LE RAGIONI - Le motivazioni di questa "diaspora silenziosa" - controbilanciata dall'est Europa e dalla Spagna in gravi difficoltà occupazionali - sono da ricercarsi nelle ormai consuete criticità del nostro sistema universitario, della difficoltà di accesso alle professioni (tra abilitazioni, praticantati, tirocini ed esami di stato si perdono anni in attesa di essere gratificati) e della probabile sovrabbondanza di laureati iper-qualificati rispetto alla capacità del nostro Paese di impiegarli fattivamente. Spiega il presidente del Cnel, Antonio Marzano, che è soprattutto la Grande Crisi (dal 2008 ad oggi) ad aver fatto pagare il conto più salato proprio alle giovani generazioni, eppure individua la ricetta per il dietrofront, per reinvertire il senso di marcia, per riannodare i fili di un Paese gerontocratico scommettendo sulle nuove leve: «Migliorarne le condizioni sotto il profilo dell'accesso alle professioni, della meritocrazia, che deve essere alla base del loro successo e delle garanzie di base per le fasi iniziali del loro rapporto di lavoro e della loro mobilità, sono i temi che chiedono più attenzione».

LA MOBILITA' - Ecco la mobilità, l'altro tema caro agli europeisti convinti in un momento in cui invece gli euro-scettici sembrano aver intercettato il malcontento popolare e raccolgano proseliti a ogni consultazione elettorale. La direttiva 36/2005 che incoraggia la mobilità tra i Paesi membri - e recepita dal nostro ordinamento solo due anni più tardi - ha favorito sì i trasferimenti dei giovani professionisti, ma li ha incoraggiati soprattutto per i percorsi di tipo tecnici (ingegneria, architettura, medicina e chirurgia, fisica) e invece ha penalizzato soprattutto i giovani avvocati, notai e commercialisti costretti a doversi ripensare ogni volta per una legislazione che varia da paese a paese in ambito civilistico, penalistico e tributario. «Incoraggeremmo ulteriormente la mobilità europea solo se dessimo luogo a una vera integrazione politica e legislativa- rincara così Acocella - altrimenti rischiamo di creare laureati di serie B impossibilitati a spostarsi per un'estrema diversità di percorsi formativi e la naturale difficoltà di riconoscimento di titoli accademici».

LA REGOLAMENTAZIONE - Ad impoverire il paese soprattutto in termini di know-how «un mondo delle professioni estremamente regolamentato, che penalizza soprattutto i giovani in ingresso e le enormi difficoltà burocratiche e di credito con le banche per creare un'impresa», ammette Acocella. Come dire - al netto di chi va oltrefrontiera per fare ricerca - il problema è che ci sono pochi giovani laureati italiani che si mettono in proprio, magari aprendo uno studio professionale o avviando una start-up. Le conclamate criticità legate al credito finiscono di fatto per deprimere le ambizioni dei giovani, «inducendo i migliori ad andare via - spiega Antonio Forte, esponente del Forum Nazionale dei Giovani e uno dei due curatori della ricerca - Così importiamo professioni in attività a minor valore aggiunto e rischiamo di perdere professionalità che invece migliorerebbero il Paese in termini di ricerca e sviluppo».
Fabio Savelli



E tu vai farti fottere, in padania
Stufi della crisi? Emigrate in Cile
Di David Pascucci  | 27.05.2012 13:57 CEST
Dopo il grande silenzio di Monti sul futuro dei giovani in Italia, sale la voglia di emigrare e trovare nuove opportunità di lavoro in giro per il mondo. Per i giovani europei le speranze e le opportunità si trovano oltreoceano: da diverso tempo si parla dei paesi CASSH (Canada, Australia, Singapore, Svizzera e Hong Kong) che, grazie alla loro bassa tassazione e alla, conseguente, bassa disoccupazione, offrono ottime opportunità in termini lavorativi e di qualità della vita.
A questi paesi mi sentirei di aggiungerne un altro, il Cile, il paese delle Start-up. Il paese sudamericano sta passando un florido periodo di sviluppo constante e progressivo che gli consente di consolidare le fondamenta di un'economia molto promettente, con una capitale, Santiago, che presenta molte opportunità. 
Il paese ha 17 milioni di abitanti di cui 5 milioni solo nella capitale, Santiago del Cile. La capitale è la prima città dell'America Latina per qualità della vita con un indice di sviluppo umano superiore a 0,92 (sopra 0,9 sviluppo umano molto alto).
Il Pil del Cile per il 2012 è previsto per un incremento compreso tra 3,75% e il 4,7%, inoltre il tasso di disoccupazione a marzo 2012 è pari al 3,1% con un decremento del 9% rispetto i dati dello scorso anno. Il Pil del Q4 2011 si è attestato al +4,5% rendendo la crescita del Pil annuale a +6%. Il dato più importante, forse, è quello relativo alla tassazione massima delle imprese che è inferiore al 20%.
Questo paese offre molte opportunità ai giovani, soprattutto ai Start-upper, coloro che stanno aprendo imprese. Il governo ha stanziato un fondo di 40 milioni di dollari per 1000 progetti, circa 40.000$ a progetto, ovviamente a fondo perduto. L'accesso al funding diretto è senza intoppi, inoltre, la possibilità di farsi vedere in un mercato relativamente piccolo ma iper-ricettivo, fa sì che le imprese possano testare il successo del loro business sin dai primi istanti di vita.
Il Cile, insieme ai CASSH, offre quindi molte opportunità, basta un biglietto aereo e tanta voglia di mettersi in gioco.




Fossili nelle rocce coperti da spray e rifiuti Mergellina, nuova scogliera già nel degrado
Esemplari di «Chlamys scabrella» sul «baffo» realizzato per l'America's Cup. Il geologo Morra: inconcepibile
NAPOLI - Prime scritte imbrattano il “baffo” alla rotonda Diaz. Terminata lo scorso marzo per ospitare i catamarani dell’America’s Cup, il prolungamento alla scogliera comincia a popolarsi di scritte e rifiuti. Fenomeno atavico circa i frangiflutti di via Caracciolo, tuttavia i nuovi scogli contengono una miriade di fossili, un vero è proprio museo a cielo aperto. Il geologo Vincenzo Morra mastica amaro: «Questo Paese non ha la minima coscienza di cosa possa rappresentare il patrimonio culturale ed ambientale».
UNA MINIERA DI FOSSILI - Bivalvi Pectinidae, Pecten spp, Chlamys scabrella, nomi difficili da pronunciare per i non addetti ai lavori, tuttavia indicano diverse specie di molluschi bivalvi presenti in forma di fossile sui nuovi scogli posizionati di recente alla rotonda Diaz; preziosi reperti risalenti al Miocene inferiore che si mescolano alle nuove scritte lasciate dagli innamorati e ai rifiuti che, all’indomani della manifestazione sportiva, cominciano a riempire gli spazi vuoti.

PATRIMONIO GEOLOGICO DA TUTELARE - «Non abbiamo la minima coscienza di cosa possa rappresentare il patrimonio culturale ed ambientale, anche in termini di sviluppo economico» afferma Vincenzo Morra, professore del dipartimento Scienze della Terra dell’università degli studi di Napoli Federico II, già consigliere dell’ordine dei geologi della Campania. Fossili simili si trovano nel Calcare di Cusano, in provincia di Benevento: formazione geologica tra le più rappresentative della Campania per il tipo di rocce e fossili contenuti (Calcari a Briozoi e Litotamni) appartenenti al Miocene inferiore dell'Appennino. Sulla questione circa l’importanza delle testimonianze fossili, conclude il nostro interlocutore: «Se si decide un giorno di tutelare anche il patrimonio geologico di questo Paese forse si potrà discutere; al momento, se la cava ha i suoi permessi, vuol dire che possono essere commercializzati».

I NUMERI DEL “BAFFO” - È proprio dalle cave in provincia di Caserta e Benevento provengono i cinquantamila metri cubi di massi utilizzati per realizzare il “baffo” temporaneo alla scogliera realizzato per ospitare i catamarani dell’America’s cup word Series 2012 ; trapezi che arrivano a circa 20 metri di profondità con una sporgenza di 7-8 metri per un’aggiunta totale di circa 150 metri in più al precedente frangiflutti. Un’opera che considerando l’elevato numero di fossili presenti avrà di certo contribuito all’impoverimento del patrimonio geologico campano.
Antonio Cangiano



La difficile digestione di chi ha mal masticato lo “scassamento del programma”
Ma se un Tizio non digerisce Mameli, sara’ pur suo diritto esternare l’imbarazzo indottogli, visto che - il Tizio - ha pagato il biglietto d’ingresso, la cui scaletta stampigliata sopra non lo avvisa della performance musicale. Altrimenti, il Tizio, potrebbe anche decidere di non acquistare il biglietto. Oppure acquistarlo e rispettare civilmente la scaletta. Comunque sia, la pratica dei fischi e’ civilissima, lo testimonia la Scala di Milano, dove – alcuni anni fa – in una occasione “Istituzionale” furono fischi a gogo’. Mi pare fossero presenti i vertici dello Stato. Ora, a Roma, se due o tre “rappresentanti Istituzionali”, che non hanno pagato il biglietto, dicono scemenze stantie, che sono? Semplice: portoghesi a Roma, dei magna a sbafo. E se un paio di imbratta-carte seguendo la scia disegnata dai portoghesi a Roma, scrivono le idiozie di cui sotto, che sono? Scontato: gli imbecilli del giorno.
Art. 292 del Codice penale - Vilipendio alla bandiera o ad altro emblema dello Stato. Chiunque vilipende con espressioni ingiuriose la bandiera nazionale o un altro emblema dello Stato è punito con la multa da euro 1.000 a euro 5.000. La pena è aumentata da euro 5.000 a euro 10.000 nel caso in cui il medesimo fatto sia commesso in occasione di una pubblica ricorrenza o di una cerimonia ufficiale.