sabato 23 ottobre 2010

Non è vero che il Sud soffrisse di raffreddore, di LINO PATRUNO


Non ci vogliono stare. La famosa questione del divario economico fra Nord e Sud. E la annosa polemica sulle condizioni del Sud al momento dell’Unità d’Italia. Se era più arretrato come gli storici ufficiali si affannano a ripetere infastiditi. O se il divario è stato un dono del nuovo Regno la cui retorica non deve essere disturbata da simili questioncelle. Non serve una nuova guerra santa in questo Paese che ne ha una al giorno, e proprio mentre squillano i festeggiamenti dei 150 anni. E non occorrerebbe neanche tirar fuori le unghie se il Sud non sospettasse di essere, come si dice, «cornuto e mazziato»: sempre bacchettato per la sua arretratezza, lacerato dai sensi di colpa e poi magari scoprire che è stato solo vittima e non colpevole.
Chiedendo subito scusa per quel «vittima» che richiama il «vittimismo» meridionale, non se ne può più. All’ingrosso la tesi della maggior parte degli storici accademici è che il Regno delle Due Sicilie fosse tutt’altro che il paradiso di cui qualcuno ciancia (non si sa chi, anche perché è difficile che ci fossero paradisi a quei tempi). Sarebbe stato anzi in spaventose condizioni economiche e sociali, popolato più o meno da beduini col cammello, retaggio di secolari dominazioni che ne avevano prosciugato le risorse. E se alcuni suoi vantati primati c’erano, erano solo fumo negli occhi: tipo la prima ferrovia della penisola, la Napoli-Portici, subito bollata come un lusso privato di re Franceschiello per andare alla sua villa al mare. Irrilevante, per gli altezzosi critici, che i due terzi della ricchezza monetaria del nuovo Stato provenissero dal Sud: grazie, perché aveva i soldi e non li spendeva. Qualcosa di simile, ma guarda, a ciò che si dice ancora oggi.
Poi qualcuno è andato a vedere le carte, cominciando ad accorgersi che questo divario forse forse non c’era. Anzi, se vogliamo dirla tutta, ma ci si scusi la sfrontataggine, che nel 1861 il Sud era più ricco del Nord. E che se poi si è ridotto come oggi, bisognerebbe spulciare tutta la politica economica da allora in poi, a parte ciò che i vincitori sottrassero ai vinti come si fa in ogni sana guerra, figuriamoci se guerra civile. Cominciò il meridionalista e capo del governo Francesco Saverio Nitti nel 1900 (ricerca ora ripubblicata a Bari dai professori Nicola d’Amati e Caterina Coco). Hanno continuato ai nostri giorni studiosi come lo storico dell’economia Luigi De Rosa, o Piero Bevilacqua, o l’altra barese Enrica Di Ciommo, o Giordano Bruno Guerri.
E udite udite, è ancora viva l’eco di queste parole: «L’unificazione ha annichilito la società meridionale e di riflesso e conseguenza ha interrotto il suo processo di sviluppo». Magari qualche solito neoborbonico, se non fosse, come è, addirittura il ministro Tremonti, fra l’altro valtellinese doc, mica basso irpino. Sulla stessa linea un altro ministro, il veneziano Brunetta, nel suo ultimo libro. Inoltre. Sorpresa per i risultati dell’indagine dei professori Daniele e Malanima per conto del Cnr (Consiglio nazionale delle ricerche): anche loro in controtendenza rispetto alle verità finora spiattellate. Finché, nel luglio scorso, ci si è messa anche la Banca d’Italia con i professori Carlo Ciccarelli e Stefano Fenoaltea della Sapienza di Roma: l’arretratezza industriale del Sud non è stata un’eredità dell’Italia pre-unitaria ma è nata dopo.
Sembra una congiura revisionista. Ovvio che si scatenino i nervosi distinguo: magari il Sud aveva le fabbriche ma soffriva di raffreddore, la qualità della vita deve pur contare qualcosa. E via filosofando. Non ci vogliono stare. Non è solo storia, è carne viva. Un divario anche figlio della decisione di concentrare al Nord lo sviluppo, di contare sul Sud come grande serbatoio della manodopera a basso prezzo (l’emigrazione), di attivare lo Stato come grande mediatore ed elemosiniere ogni volta che al Sud le cose precipitavano.
In due parole: lo sviluppo del Nord fondato sul sottosviluppo del Sud. Fatto questo per 150 anni, ora s’inventano il federalismo: blocchiamo la situazione al momento, ciascuno si tenga il suo (anche se frutto di ricettazione) e si governi da sé. E il Sud cerchi di farlo bene, visto che deve prendersela con i suoi dirigenti se sta come sta. La storia? Per carità, siete dei piagnoni. Governarsi da sé si può. Ma dopo la restituzione del malloppo.
Negare la storia significa anche negare il diritto alla riparazione. Ora il federalismo lo chiamino anche equo e solidale. Però neanche dei Superman potranno rilanciare un Sud che parte col quaranta per cento in meno di ricchezza. E cominciando anche a capire perché. Festeggiamo con tutto l’orgoglio possibile l’unità del Paese e quel sortilegio ideale che la rese possibile. Ma non può essere unita una famiglia con figli e figliastri. Ora che il Sud lo sa, alzi il ditino. Oppure continui ad accontentarsi, ma per sempre, degli avanzi. Federali.
22 Ottobre 2010
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La Procura bolognese sdogana il blu delle mozzarelle Granarolo.


Editoriale di http://www.qualeformaggio.it/
Se escludiamo il fantomatico gelato al gusto “puffo”, ben accetto dal mondo dell’infanzia, il colore blu, in tutte le sue gradazioni, è tutt’altro che ben visto in àmbito alimentare. Ma le novità degli ultimi giorni potrebbero portare (non lo si può escludere) a un suo sdoganamento , ora che il pm bolognese Luca Tampieri ha deciso di non condannare la bolognese Granarolo per le sue mozzarelle blu, che avevano seguito, nell’estate scorsa, quelle prodotte dalla tedesca Jaeger.
Un blu - avevano stabilito le indagini -  dovuto alla presenza in eccesso nei latticini del batterio pseudomonas fluorescens, che le analisi tossicologiche hanno sdoganato come “non pericoloso per la salute umana”, offrendo al pubblico ministero della città felsinea lo spunto per sollevare da ogni responsabilità la potente cooperativa emiliana.
Sono queste infatti le conclusioni a cui è arrivato Tampieri («Sotto il profilo penale i fatti sono insussistenti. La presenza del batterio pseudomonas fluorescens, che in caso di elevata concentrazione fornisce al prodotto una colorazione bluastra, non riguarda la sicurezza alimentare perché non rende un alimento nocivo per la salute», ndr) nel giudicare l’ultima vicenda giudiziaria targata Granarolo. Ora, quindi, i giudici trentini avranno un bel precedente per assolvere le mozzarelle trentine della Pinzolo Fiavè, e quelli lombardi di legittimare i latticini di casa propria (i Lat-Bri, ora - nella versione bianca - negli ultimi panini italici di McDonald’s), balzati anch’essi ai disonori della cronaca all’inizio dell’autunno.
Non ci resta da sperare che un giudice tedesco - mosso da ragioni più oggettive, e che abbia a cuore più il bene dei consumatori che quello delle industrie - infligga alla Jaeger la giusta condanna per questi orrori che le produzioni industriali ancora ci propinano.
Ad ogni buon conto, la Procura della Repubblica di Bologna ha prescritto alla Granarolo «di collocare un ulteriore sistema di filtraggio delle acque affinché la colorazione blu dovuta al batterio non si abbia a ripetere». Fantastico.
22 ottobre 2010
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