Amarcord@Surreale

 Sapete tutti che l'unico rammarico che avrò, che avremo, sarà quello che purtroppo fra Vesuvio e ai Campi Flegrei non è successo niente...visto che è l'unica che ci manca.... Inutile che vi grattate, non vi grattate.....da buon leghista vi dico che non sarebbe quella grande disgrazia.





33 anni dopo il terremoto n Basilicata si vive ancora nei prefabbricati
POTENZA – Nel 33/o anniversario del terremoto del 23 novembre 1980 che colpì la Basilicata e l'Irpinia, oggi, da Potenza, arriva il grido di disperazione di chi ancora vive nei prefabbricati di legno realizzati a Bucaletto, quartiere alla periferia del capoluogo lucano, nato per ospitare le famiglie che erano rimaste senza casa e dove oggi sono ancora residenti circa duemila persone.
 Il presidente dell’associazione «La Nuova Cittadella» (la Cittadellà di Bucaletto fu il nome dato al quartiere dei prefabbricati), Silvia Lettieri, si fa portavoce di una «situazione difficile: di degrado igienico-sanitario, che va sempre più peggiorando. È vero – spiega – che è stata fatta la bonifica dell’amianto dai tetti, ma qui di amianto ce n'è ancora tanto. E poi ci sentiamo isolati dal resto della città, viviamo un profondo disagio: qui ci sono quelli 'del terremoto' ma anche tanti altri in crisi con una forte presenza di extracomunitari».
 Dall’amministrazione comunale risponde il sindaco Vito Santarsiero (Pd), che, dopo la recente elezione nel Consiglio regionale della Basilicata, nelle prossime settimane lascerà l'incarico che ricopre dal 2004. «In questi anni è stato fatto tanto, subito dopo il mio insediamento – racconta – abbiamo abbattuto il primo prefabbricato, ora siamo arrivati a oltre 150, ma soprattutto i dati positivi riguardano il futuro».
 Dal Piano nazionale città, per Potenza (prima in Italia) arriveranno 70 milioni «per rigenerare il quartiere di Bucaletto, con case popolari, una nuova viabilità di accesso e interna, un parco e strutture sociali e sportive». Inoltre il piano complessivo per l'edilizia sociale e convenzionata dell’amministrazione comunale «prevede un totale (tra quelli già abitati, in costruzione, assegnati e in appalto) di circa mille alloggi che chiudono definitivamente la vicenda Bucaletto».
 Ma quando spariranno definitivamente i prefabbricati? «Quattro anni fa – ribatte Santarsiero – durante la campagna elettorale dissi che sarebbero serviti circa dieci anni, oggi posso dire che gli impegni sono stati rispettati e che quindi - conclude – l'ultimo prefabbricato sarà abbattuto tra sei anni».
23 Novembre 2013









Il filo della memoria e la tragica notte di Santa Apollonia
di MICHELE SELVAGGI
La notte più tragica di Pisticci. Quella del 9 febbraio 1688 conosciuta come notte di Sant’Apollonia, una data indimenticabile per il popolo pisticcese, in cui si verificò una frana di grandissime proporzioni, causata soprattutto dalle incessanti nevicate che in zona si abbattevano ininterrottamente da diversi giorni. Il disastro colpì la parte più vecchia dell’abitato, l’attuale rione Terravecchia, con il terreno inumidito e appesantito dalla coltre bianca, che cedette improvvisamente, sprofondando per oltre 70-80 metri, provocando grande distruzione, ma anche la morte di circa 300 persone, come riferisce lo storico prof. Dino D'Angella, e tantissimi feriti tra gli abitanti della zona colti nel sonno.
I primi soccorsi furono difficili se non impossibili. Anche allora, nonostante la mancanza di rapidi mezzi di comunicazione, si innescò una nobile solerte gara di solidarietà – come risulta da un documento rinvenuto dal prof. Giuseppe Coniglio e custodito nell'archivio diocesano di Tursi – non solo tra gli abitanti delle altre zone del paese, ma anche dei paesi vicini, in particolar modo di Bernalda, Montalbano, Ferrandina e Pomarico.
Secondo sempre quel documento rinvenuto da Coniglio, negli aiuti si distinse il vescovo di Tursi, monsignor Marco Matteo Casentino dei Marchesi di Aieta di Cosenza che, oltre a portarsi personalmente sul luogo del disastro a Pisticci, provvide ad inviare ogni genere di aiuto, soprattutto viveri e generi di prima necessità, alla popolazione colpita dalla sciagura. Le ricerche per trovare tra le macerie persone ancora in vita, anche se ostacolate dalla abbondante nevicata e dal maltempo che imperversava in quei giorni, durarono ininterrottamente diverse settimane e furono veramente tante quelle persone che riuscirono a sopravvivere fino a quando, con gli scarsi mezzi a disposizione dell’epoca, non si riuscì a portarli in salvo.
Dopo la tragedia, che aveva tagliato in due la parte più antica di Pisticci, l’Amministrazione dell’epoca pensò anche di poter trasferire altrove l’abitato in una zona piuttosto pianeggiante, compresa tra le contrade di San Pietro, Rizzitella e di Caporotondo, a circa cinque- sei chilometri dall'abitato. La cosa però, non trovò d’accordo la quasi unanimità dei cittadini che si batterono per rimanere nei posti dove erano nati e cresciuti con le loro famiglie, nonostante l’incombente pericolo di nuove frane o cedimenti come quello recente, che aveva mietuto centinaia di vittime tra i concittadini.

Ma i guai per l’abitato di Pisticci non erano certo finiti, perché a distanza di un paio di mesi, all’imbrunire della sera del sabato santo, una fortissima scossa di terremoto, registrata anche nei paesi vicini, creò tantissimo panico tra gli abitanti ed altri gravi danni alle strutture, ma per fortuna senza provocare altre vittime. Dovettero trascorrere diversi anni prima che si ponesse mano alla ricostruzione della parte dell’abitato colpita dall’enorme movimento franoso della tragica notte di Santa Apollonia. Sulle rovine della frana si cominciarono a costruire casette basse di colore bianco, formando tante schiere divise dalle strade, tipico esempio di una straordinaria architettura spontanea di tipo mediterraneo. Nasceva così il rione Dirupo, le cui suggestive costruzioni sono state ammirate dai visitatori di ogni parte del mondo e che oggi è considerato una delle Cento Meraviglie d’Italia da salvare, come predisposto dal catalogo allestito dal Ministero dei Beni Ambientali e inserito nel ricchissimo patrimonio dell’Unesco. 06 Febbraio 2011

Trent'anni dal terremoto: in consiglio commemorazione disertata del tutto
Silenzio in aula, ma non per cordoglio: non c'è praticamente nessuno. Mastella parla da sola
NAPOLI - Un minuto di silenzio per commemorare le vittime del sisma dell'Ottanta? No, molti di più. Anzi, quasi silenzio totale. Non è una scelta di stile antiretorico, l'afasia sull'indicibilità del dolore, ma l'effetto dell'indifferenza di un consiglio regionale e di una classe politica che evidentemente non dà molta importanza alla memoria.

MASTELLA PARLA DA SOLA - Molti minuti di silenzio, dunque, non per aumentare il cordoglio, semplicemente perché in aula non c'è nessuno. Sparuti consiglieri che si contano sulle dita di una sola mano sono anche distratti. Quando Sandra Mastella parla, praticamente da sola, circondata da un vuoto totale, i pochi presenti chiacchierano tra loro. La scena di questo interno è la fotografia anche dell'esterno della regione. Dentro il vuoto per il terremoto di trent'anni fa, fuori il vuoto per il terremoto dei rifiuti.
Natascia Festa

Natale in Campania, De Mita: Pronti per luminarie, anche a Napoli
 Napoli, 23 nov (Il Velino/Il Velino Campania) - Strade dello shopping natalizio al buio in Campania, la Regione pronta ad intervenire. "In tutti i principali Comuni della Campania le luminarie per il Natale sono già state installate o sono in via di predisposizione: questa circostanza segnala come tale allestimento rientri tra le iniziative proprie degli enti territoriali o delle libere associazioni. Ciò chiarito, in considerazione del rilievo che la città di Napoli ha in termini di immagine, la Regione si è da tempo dichiarata disponibile a sostenere iniziative al riguardo che fossero coerenti con il bando per gli eventi natalizi”, ha detto l'assessore al Turismo della Regione Campania Giuseppe De Mira in merito alle dichiarazioni rilasciate in questi giorni relativamente a presunti ritardi o inadempienze nella predisposizione delle luminarie di Natale nella città di Napoli.
(com/red) 23 nov 2010 14
23 novembre 2010
Fonti:
http://corrieredelmezzogiorno.corriere.it/napoli/notizie/politica/2010/23-novembre-2010/trent-anni-terremoto-consigliocommemorazione-disertata-tutto-1804228581235.shtml

15 GENNAIO 1968  SICILIA (BELICE ) , magnitudo 6, vittime 268. L'attività sismica ha cominciato a manifestarsi con una serie di eventi precursori di minore intensità che hanno avuto inizio il giorno precedente il terremoto principale e si sono protratti con una serie di repliche registrate fino all'estate dello stesso anno. Considerando nei dettagli le caratteristiche del sisma e' opportuno rilevare che nella fattispecie non si e' trattato di una singola scossa distruttiva ma di una sequenza costituita da almeno tre eventi di uguale intensità, due dei quali verificatisi il giorno 15 Gennaio, a mezzora l'uno dall'altro, seguiti da un terzo, verificatosi nel pomeriggio del giorno successivo. Un quarto evento, di intensità leggermente inferiore ma tuttavia in grado di produrre seri danni in un territorio già provato degli eventi precedenti, e' stato registrato nella mattinata del 25 Gennaio.
I centri abitati di S. Ninfa, Gibellina, Salaparuta, Montevago e S. Margherita Belice hanno subito effetti di distruzione pressoché totale, e gravemente danneggiati sono risultati anche gli abitati di Salemi, Poggioreale e Partanna.

23 NOVEMBRE 1980, IRPINIA - BASILICATA magnitudo 7,2 vittime 2800. Terremoto a carattere distruttivo. La prima scossa fu preceduta da un boato come di un forte vento, in 80" si registrarono tre scosse simultaneamente: la più forte di moto ondulatorio, durò circa 15". L'epicentro si registrò in Irpinia, nella zona di Conza estendendosi per 26.000 Km., coinvolgendo 126 Comuni di cui 52 in Basilicata e 74 in Campania. Nelle due Regioni si ebbero 2735 morti, circa 800 feriti e 300.000 case distrutte.

13 DICEMBRE   1990 SICILIA, magnitudo 7, vittime 17.

26 SETTEMBRE 1997 UMBRIA,  Magnitudo 5,7, vittime 11.

31 OTTOBRE 2002 MOLISE, Magnitudo 5,6 vittime 7.

A 25 ANNI DAL TERREMOTO. Il 23 novembre 1980, ore 19,35, un terremoto senza precedenti colpiva l'Irpinia, ma faceva pagare un conto salato anche alla Penisola sorrentina, soprattutto a Piano di Sorrento. Qui il sisma, di potenza superiore ai 7 gradi della scala Richter, della stessa forza che ha colpito il Pakistan, fece ben 10 morti. L'impressione fu che la furia naturale che doveva devastare il paese, venisse dal mare, poiché le vittime furono registrate tutte dalla parte bassa della cittadina: cinque morti nel crollo di un vecchio edificio in Via Cassano: quattro per la caduta di una palazzina in Via Ripa di Cassano; una vittima rimase sotto le macerie del crollo di Villa Fondi, mentre passava con la sua auto. Molti furono coloro che dovettero abbandonare le proprie abitazioni rimaste seriamente danneggiate. Per i primi soccorsi furono sistemate tende e roulotte nei campeggi. Poi incominciò la sistemazione delle famiglie negli alberghi e successivamente nelle case di villeggiatura requisite dai sindaci. Il problema, però, era della Costiera sorrentina, della Campania intera, ma maggiormente dell'Irpinia intera ed altre zone vicine. Qui paesi interi furono rasi al suolo: migliaia i morti, centinaia di migliaia i senza tetto. S. Angelo dei Lombardi, Conza della Campania, Calabritto, Lioni, Mirabella Eclano, Nusco, Montoro Inferiore, Montoro Superiore, Montella, Torella dei Lombardi, Solofra, Avellino, San Michele di Serino, Baronissi, Laviano e quindi altri comuni come Nocera Inferiore e Superiore, Castelnuovo di Conza, Salvitelli, Ripigliano, S. Gregorio Magno, Santomenna, Balvano, Potenza, e i paesi a ridosso della Costiera sorrentina: Gragnano, Castellammare di Stabia e il capoluogo di provincia, la bella Napoli. Per capire la giusta dimensione di quello che fu la più forte catastrofe dopo il 1930, basta visitare qualche paese dell'avellinese, come Montella, dove non c'è traccia dello antico; ormai è tutto cemento. Ma come succede per le guerre, anche in quella occasione non mancarono i furbi: falsi terremotati; proprietari che hanno ricostruito palazzi caduti senza far rientrare gli inquilini, come prevedeva la legge 219; gente con un reddito alto che usufruiva del pasto offerto dagli enti pubblici; generi alimentari, mercé varia, biancheria, abbigliamento che prendevano altre strade e non già quella dell'assistenza ai terremotati. Infine tanti professionisti che non avevano mai visto un fabbricato a stabilire la staticità degli edifici colpiti; imprenditori improvvisati arricchitisi miracolosamente. E mentre si progettavano affari, arrivarono in molti comuni i containers in attesa di costruire le case destinate ai terremotati veri.
A Piano di Sorrento, nell'84, l'Amministrazione retta dall'architetto Antonino Gargiulo, consegnava le chiavi dei prefabbricati sistemati alla frazione Trinità e le famiglie terremotate ringraziavano la Democrazia Cristiana. E mentre i comuni Irpini venivano ricostruiti, si dice, grazie al grande impegno di Ciriaco De Mita, nella vicina Gragnano, le famiglie sono rimaste nei containers fino a pochi anni fa. E' il caso di dire che in Italia anche le disgrazie fanno due pesi e due misure.
Intanto pare che qualcosa si muove per questo venticinquesimo anno dal sisma. Se in Costiera il decennale passò sotto silenzio, per il venticinquesimo qualcuno si vuole ricordare.Dopo l'unica iniziativa presa a Piano di Sorrento, alcuni anni fa, la lapide con i dieci nomi dei morti, apposta nei giardinetti pubblici di Via delle Rose, quest'anno va lodata l'iniziativa di Mimmo Cinque (figlio del compianto artista Salvatore Cinque) il quale sta organizzando un'ampia documentazione, da consultare su Internet, giornalistica e fotografica del triste evento ricordato dalla stampa anche negli anni successivi al sisma. Tali iniziative servono per non dimenticare le tante situazioni che si vennero a creare dopo il triste avvenimento. Speculatori senza scrupoli che si arricchirono; palazzi che si resero pericolanti allo scopo di demolirli e ricostruirli, sfruttando il privilegio concesso dalla legge; inquilini che dopo il primo periodo dovettero poi arrangiarsi e trovarsi un'altra abitazione mentre altri furono privilegiati e si trovarono sistemati in case comunali. Una situazione che nel tempo si verificò un po' dappertutto. Anche la solidarietà durò l'arco di un mattino. Dopo che si erano aperti giardini e avviate cucine da campo. Poi tutto finì.

Vi ricordate? 1980, Terremoto in Irpinia e Basilicata… Lorenzo Piras (da "Peninsula" dell'ottobre 2005).  Vi racconto una storia, per non dimenticare. Alcuni dati, per chi lo avesse dimenticato.
Il 23 novembre del 1980 un fortissimo terremoto investe un’area di 17.000 Kmq. Le cifre della tragedia sono pesantissime: 2.914 i corpi recuperati, 10.000 i feriti, 280.000 i senzatetto. I Vigili del Fuoco intervengono sul territorio con 4.300 unità e oltre 1.000 mezzi.
Riepilogando, per la ricostruzione delle aree della Campania e della Basilicata colpite dal terremoto del 23 novembre 1980, che provocò morti e danni distribuiti in 687 comuni si è proceduto a tappe. In un primo tempo (con poteri straordinari affidati al commissario Giuseppe Zamberletti) furono approntate tendopoli e campi con roulotte. Succesivamente, si passò poi alla fase dei containers e, quindi, a quella dei prefabbricati. Solo successivamente si passò alla ricostruzione vera e propria del patrimonio abitativo. Nei giorni immediatamente successivi al sisma furono messi a disposizione dei terremotati alcune migliaia di tende da campo e fu fatto affluire da tutta Italia un consistente numero di roulottes per le prime urgenze. Una settimana dopo l’evento sismico, l’Esercito approntò i campi container, gli ultimi smantellati appena qualche anno fa. Furono installati circa 11mila container e poi realizzati oltre 26mila prefabbricati che, ancora oggi, accolgono qualche famiglia. Con il passare dei mesi cominciò l’insediamento, nei pressi dei centri abitati andati distrutti, di prefabbricati leggeri nei quali trovò sistemazione la maggior parte dei senzatetto. Nel novembre del 1981 – ad un anno dal sisma – il Parlamento approvò la legge 219, con ampia delega agli enti locali, che prevedeva ingenti finanziamenti destinati non solo alla ricostruzione, ma anche allo sviluppo delle aree terremotate. Lo Stato ha complessivamente impiegato per lo sviluppo e la ricostruzione delle aree colpite dal sisma del 1980 circa 50mila miliardi di lire. Una valanga di quattrini, molti dei quali non sono certo serviti alla causa della Ricostruzione. Con quella cifra oggi l’Irpinia e la Basilicata dovrebbero essere ipermoderne come Singapore!
Ventisette leggi, ventinove anni, fondi equivalenti a tre finanziarie, a due punti di prodotto interno lordo.. Una cifra stanziata che supera l’intero debito estero della Bulgaria, corrisponde al sestuplo dell’Alta velocità ferroviaria Bologna-Firenze, consentirebbe di costruire 30 aeroporti di Malpensa.
Eppure è certificata dal «supervisore» dei bilanci pubblici, la Corte dei conti, che ha appena compilato quattro pagine di tabelle per spiegare quando e come lo Stato ha versato soldi per quel sisma, più altre venti, nella relazione pubblicata il 25 luglio sulla «gestione dei fondi del terremoto dell’Irpinia e della Basilicata», per chiedersi perché si è speso tanto per una tragedia che ha portato morti in 2mila famiglie ma da cui è partita una ricostruzione inspiegabilmente lenta e costosissima.
«Dopo oltre 27 anni dal sisma che ha colpito alcune regioni meridionali – scrivono i giudici contabili nella relazione – continuano ad essere finanziati con nuovi stanziamenti gli interventi di ricostruzione».
Gli ultimi soldi, 157 milioni 500mila euro, sono arrivati con la Finanziaria 2007 del governo Prodi, che ha previsto un ulteriore «contributo quindicinale». Ma lo stanziamento, scrive la Corte, «è rimasto del tutto inutilizzato nel corso dell’anno non essendo stato emanato il previsto decreto del presidente del Consiglio, che doveva fissare puntuali criteri e modalità di distribuzione delle risorse tra i Comuni dell’Irpinia e della Basilicata». In pratica si è stanziato denaro fino al 2022, ma per la burocrazia italiana fatta di decreti attuativi senza i quali nulla si può spendere, nemmeno con una legge finanziaria, i 157 milioni di euro sono rimasti fermi.
Soldi che poi non sarebbe facile distribuire, dal momento che «ha subito ritardi la definitiva fissazione del fabbisogno di ciascuna amministrazione». Una «serie di complicazioni» sorte «in sede decentrata» che hanno plasmato la triste storia della ricostruzione dell’Irpinia, non solo quella più recente. Finalmente, il 13 giugno del 2008, è stato il nuovo governo a mettere la firma che consente di spendere i fondi bloccati «per la distribuzione delle risorse».
Come se non bastasse, la Corte dei conti si è ritrovata in mano una serie infinita di contenziosi «presso le diverse amministrazioni e organi subentrati», ancora non quantificabili in costi «per la carenza di un completo e aggiornato monitoraggio». Il fatto anzi che lo Stato, pur continuando a pagare, abbia ridotto gli stanziamenti per l’Irpinia negli ultimi anni, rischia di ritardare i pagamenti dei contenziosi e di «far lievitare i relativi oneri per gli interessi di mora da parte dei creditori». Una spesa di cui non si intravede il limite, che anche fosse ancora ridotta, creerebbe solo altre spese per lo Stato per cause vecchissime da saldare. Un buco nero del bilancio pubblico: un conto giudiziario, ammette la Corte dei conti, che «al momento non è nemmeno presumibilmente quantificabile…». E che potrebbe portare sorprese in negativo oltre al saldo certificato del costo generale.
Allora… ora sono costretto a fare, per la prima volta in questo blog una deroga, dovendo fare un accenno personale.
Chi sta scrivendo questo post è originario (orgogliosamente) di quelle martoriate terre. Se vi dico che la casa in cui sono vissuto da piccolo (prima di trasferirmi in Toscana) ed in cui vive mio padre, è ancora in attesa di essere ristrutturata e messa a norma, mi credete? Sono passati ben 29 anni, la delibera è stata approvata, ma i soldi non sono mai arrivati e mai sono iniziati i lavori. Io ero ragazzo e ricordo che mio padre fece arrivare una gru enorme dalle Puglie (che costò la modesta cifra per quei tempi di 4.000.000 delle vecchie lire) per recuperare la copertura che pendeva e rischiava di cadere sulla casa, trascinando con sè tutto. Ancora una parte della casa è dichiarata inagibile, ma nulla si muove.
Ora… io dico… non credete che tutto ciò per un paese civile sia vergognoso? Ho sentito dire da qualcuno molto importante che, per il terremoto dell’Abruzzo, tutto verrà ricostruito in 2 anni. Ci credete?

Sisma Umbria, 12 anni dopo si vive ancora in container
Il 26 settembre 1997 un violento terremoto provocava undici vittime e migliaia di sfollati. Dopo una ricostruzione considerata un modello non tutti sono tornati nelle proprie case e per riscattarle dovrebbero pagare26 settembre, 2009
Fonte.

Terremotati, vivere per 30 anni in un container
17-12-2009 - di Don Vitaliano Della Sala 
La burocrazia ha chiuso in un container dell’Irpinia marito e moglie. Dal 1980 guardano la loro casa dove non possono tornare impediti da un labirinto di cavilli. Il marito non ce l’ha fatta; la moglie sopravvive in una gabbia piantata sulla terra nuda.
Nelle campagne di Sant’Angelo a Scala, Avellino, la mia ex parrocchia, un fatiscente e invivibile container ha ospitato una coppia di anziani contadini dal terremoto dell’80. La loro casa colonica è a due passi dal container, ma non può essere riparata per le solite beghe burocratiche che umiliano le persone quando non è la legge a servizio dell’uomo, ma l’uomo a servizio di essa. Due anni fa Antonio Pirone, a 58 anni di età, è morto per un tumore ai polmoni, aggravato se non causato dalle condizioni in cui ha vissuto per quasi trent’anni. Ora, nel container freddo e umido, poggiato sulla nuda terra, è rimasta Ernestina Cristiano, di 66 anni, da sola. La loro è una storia incredibile, la cui soluzione è nelle maglie della burocrazia e della giusta applicazione delle leggi. Lo Stato ha stanziato per la ristrutturazione della loro vecchia casa terremotata una ventina di milioni di vecchie lire, che però potranno essere utilizzati solo dopo il versamento dell’accollo spese che spetta al proprietario: circa trentacinque mila euro, che ovviamente è una cifra enorme per dei contadini. Questo perché nell’80 proprietaria della casa era la madre di Antonio, che è morta dopo pochi mesi dal terremoto, lasciando in eredità la casa ai figli. Antonio acquistò le quote dei fratelli, senza poter più usufruire dell’intero contributo per la ristrutturazione della casa, ma solo di una parte. La legge dice questo e gli amministratori che applicano questa legge stanno nel giusto, non potendo fare altrimenti.
Antonio ed Ernestina hanno chiesto per anni, inutilmente, che i diecimila euro spettanti allo Stato fossero sbloccati e utilizzati per ristrutturare una parte della casa in cui vivere dignitosamente: le ditte edili del paese avrebbero eseguito gratuitamente i lavori. Ci sono state sentenze del tribunale che invano hanno obbligato il Comune ad intervenire. Abbiamo scritto a Presidenti della Repubblica e del Consiglio, ai Sindaci e ai Prefetti che si sono succeduti in questi anni. Sarebbe bastato un po’ di buon senso! In una delle ultime lettere al Prefetto di Avellino, prima del Natale di tre anni fa e poco prima che Antonio morisse, chiedevo che per la soluzione del problema bisognava farsi guidare “dal senso di giustizia e dall’esigenza di dare un tetto dignitoso ad Antonio ed Ernestina: incontriamoci io Lei e il Sindaco di Sant’Angelo a Scala per trovare una qualche soluzione a questa triste storia che, anche se per una volta non vede responsabili diretti, comunque deve essere risolta al più presto. Duemila anni fa una coppia di coniugi a Betlemme non trovò posto in nessun albergo; facciamo in modo che per questo Natale questa coppia di coniugi abbia almeno la speranza che al più presto per loro ci sia un alloggio dignitoso”. Invece hanno lasciato morire Antonio in quello squallore, dove continuano a far vivere Ernestina.
Per il prossimo Natale tutti noi daremo solidarietà ai bimbi africani o ai migranti clandestini, ed è giustissimo. Non sarebbe però giusto non accorgerci che anche tra di noi ci sono persone che hanno bisogno della nostra solidarietà e del nostro aiuto. Ernestina è una di queste.
Fonte:

Irpinia. Rosaria, una vita da terremotata
Lunedì 08 Febbraio 2010 13:26
Montecalvo Irpino (AV), in una baracca nel 1962, in un container dopo il 1980, ora in una casetta asismica costruita per gli sfollati del terremoto del 1930. La storia di Rosaria.
Ci sono persone a cui una vita rischia di non bastare per vedersi riconosciuto un diritto. La signora Rosaria, che oggi ha più di ottantacinque anni, nel 1962 ebbe la casa distrutta dal terremoto. Abitava al Trappeto. Un posto caldo, riparato dal vento con la casa metà in muratura e metà scavata nel tufo, fresca d'estate e tiepida d'inverno. Per darle un tetto, visto che il suo quartiere era stato dichiarato zona d'abbandono, le fu assegnata una baracca in legno costruita dai soccorritori. Allora l'epicentro del sisma fu proprio nell'arianese, ai confini tra Montecalvo, Melito ed Ariano. A Montecalvo ci furono anche dei morti. Per diversi anni la signora Iebba ha vissuto nella baracca, in attesa che le fosse riconosciuto il contributo per ricostruire la casa. Un bel giorno, quando gli amministratori decisero di togliere le baracche di legno per farle diventare depositi, a Rosaria fu assegnato un container arrivato subito dopo il terremoto del 1980. Una struttura moderna e funzionale, costruita dalla Soprefin di Genova, società del gruppo Finsider.  La struttura, col passare degli anni, è diventata sempre più fatiscente. Per altro non risponde più alle norme sulla sicurezza cambiate con il tempo, i tetti forse sono fatti con l'amianto ed i servizi igienici completamente fuori uso. Per riscaldamento una vecchia stufa con i vetri che servivano solo a far entrare la luce ma non a contenere il vento. Spifferi ovunque. Le pareti non erano verniciabili ed erano diventate tutte nere. I materiali emanano un odore acre intenso. I figli di Rosaria, nel frattempo venuti al mondo, uno ad uno con il boom economico sono andati via di "casa" per cercare lavoro all'estero o nel nord Italia dove sono rimasti. Il marito è passato a miglior vita e Rosaria è rimasta sola nel suo container, passando le sue giornate calde al sole nel "giardino" di casa: una colata di cemento difronte ad un muro ammuffito, con un lato che affaccia su una strada del paese ed un altro su altri container dove ultimamente non abita più nessuno. D'inverno restava chiusa in casa. Nel tempo molti si sono interessati al suo caso, sempre nella speranza che gli venisse assegnato il contributo per ricostruire la sua casetta, ma il tempo passava ed il contributo non arrivava.
In compenso, però, le sono stati assegnati i benefici dell'assistenza domiciliare erogati dai servizi sociali. Nel 2009 alla signora Rosaria arriva la lettera che gli hanno assegnato un alloggio comunale nuovo di zecca in rione Serra. Il quartiere con tutti i comfort finalmente ricostruito sullo stesso suolo dove c'erano parte delle casette asismiche che ospitarono i terremotati del 1930 subito dopo il sisma.
La gente dice che quelle casette le fece costruire Mussolini. In un filmato d'epoca, ritrovato all'istituto Luce qualche anno fa, si vedono i terremotati (riconosciuti dai parenti ancora in vita) che a catena di montaggio lavorano alla loro costruzione.
Vi lavorano uomini e donne con il caratteristico abito locale. Una fornace del luogo costruì i mattoni che, uno sull'altro, costituiscono la struttura portante e sono tenuti insieme da un miscuglio di fango e cemento. Il tetto è in legno e sopra ci sono le tegole. Le finestre sono in legno con i vetri che con il vento tintinnano. Gli alloggi sono allineati come le baracche dei lagher. Una davanti all'altra. Sembrano vagoni di treni messi uno di fianco all'altro. Per terra c'era la terra ma col tempo i vari abitanti ci hanno messo le "riggiòle" così qui chiamano le piastrelle in ceramica smaltata.
La signora Rosaria era felice per la nuova casa che le avevano assegnato, ma c'era un ultimo problema: le opere di urbanizzazione del nuovo quartiere non erano ancora pronte, quindi bisognava attendere ancora un po'. La casa però, l'ha vista. Le furono mostrate le scale condominiali, la stanza da letto, il bagno, la cucina e pure l'impianto di riscaldamento a metano. Rosaria ha atteso nel container fino allo scorso autunno, quando la nuova amministrazione si è trovata difronte il problema di dover smantellare i container pericolosi per l'ambiente, tra cui anche quello della signora. Allora a Rosaria è stata assegnata una casetta asismica costruita dopo il terremoto del 1930 che conservava ancora buone condizioni e non è stata ancora abbattuta. Forse a ottobre avrà la sua abitazione decorosa. Lunga vita alla signora Rosaria!. Che peccato ha commesso?.
Fonte.

domenica 28 marzo 2010, 08:00
L’Umbria scatena la rabbia dei suoi terremotati
di Emanuela Fontana Roma. Le cartoline mostrano il contrasto tra due catastrofi naturali gestite in modo diverso. Terremoto dell’Umbria e delle Marche, 1997, foto di container, scritta «governo Prodi». Terremoto dell’Abruzzo, 2009, foto delle nuove case antisismiche, scritta «governo Berlusconi». La campagna elettorale è immagine, paragoni, suggestione. Il Pdl dell’Aquila ha fatto il suo lavoro, scaltramente: guardate la differenza, dicono quelle cartoline. Di qua i container da 13 anni, di là case vere, in meno di sei mesi. Le cartoline della verità. Ma all’Aquila qualcuno le ha viste e le ha segnalate alla regione Umbria: attenti, si parla di voi, dei container dello scandalo. Nel giro di poche ore, da Perugia partiva la querela all’indirizzo del Popolo della libertà dell’Aquila: «È inqualificabile quello che hanno fatto - la dichiarazione del portavoce della governatrice umbra Maria Rita Lorenzetti (Pd), Franco Arcuti -. Non pensavamo che il Pdl dell’Aquila, nella speranza di racimolare qualche voto in più, potesse scendere a una così bassa vergogna, che i cittadini abruzzesi, e quelli umbri e marchigiani. Sappiano che da anni i cittadini umbri e marchigiani sono rientrati nelle loro case».
Demagogia, mostra al pubblico di foto vecchie e quindi menzognere: questa l’accusa mossa al Pdl dalla giunta Lorenzetti, accompagnata dalla notizia di un’azione legale intrapresa e da una dichiarazione di «solidarietà» alla presidentessa della provincia dell’Aquila, Stefania Pezzopane, in corsa per il centrosinistra nelle elezioni di oggi.
Ma questo vigoroso contrattacco giudiziario ha scatenato il can che dorme, come dice il proverbio. Ossia i terremotati umbri che vivono ancora tra quattro pareti di plastica.
Valentina Armillei, presidentessa del comitato pro Giove, si è seduta alla scrivania e ha scritto una lettera colma d’indignazione: a Giove, in Valtopina, provincia di Perugia, ci sono ancora famiglie che abitano nei container a tredici anni dal terremoto. Ci sono calcinacci e mattoni per la strada, accatastati alla rinfusa. Altro che le macerie dell’Aquila, su cui ha marciato la protesta delle «carriole».
Questa della Valtopina è una piccola frazione di 58 abitanti che non raggiunge nemmeno le dimensioni di un isolato del capoluogo abruzzese e in tutto questo tempo, dall’autunno del 1997, non è mai stata ripulita di polvere e detriti. In mezzo all’erba sono accumulate le tegole che sarebbero dovute servire per riparare i tetti. Le foto di container e macerie sono state scattate il 25 marzo, tre giorni fa.
Nella sua lettera, la presidentessa del comitato pro Giove scrive che non è intenzione dei terremotati umbri «scendere sul terreno della diatriba politica pre-elettorale», ma «dobbiamo stigmatizzare con grande vigore l’offensivo negazionismo con cui la regione Umbria continua a autocelebrarsi, asserendo che la ricostruzione post-sisma del 1997 sia un modello da imitare. Palazzo Cesaroni non ha certamente la licenza di poter dare del bugiardo e nessuno».
Insomma, per querelare il Pdl, la giunta umbra ha creato grande dolore ai suoi terremotati ancora senza casa: «È moralmente e umanamente oltraggioso - continua la lettera - negare che in Umbria, intere famiglie vivano ancora nei container». Le foto comparse sulle cartoline abruzzesi «potrebbero essere non attuali, ma le case di latta e la gente umbra che ci vive dentro sono vere, e verificabili da chiunque abbia a cuore la verità». Il comitato pro Giove invita chi legge anche a visitare «Nocera Umbra che, dopo 13 anni è ancora una città fantasma dove le macerie fanno ormai parte del paesaggio».
Mercoledì scorso il coordinatore del Pdl aquilano, Massimo Verrecchia, ha invitato «la presidente Lorenzetti e la sua giunta a recarsi, in compagnia della Pezzopane», in Valtopina: «O la regione Umbria ignora i problemi della sua popolazione - ha attaccato - o mente sapendo di mentire. E sinceramente non sappiamo cosa sia peggio».
A Giove dodici famiglie vivono ancora nei container. Tra loro una donna di 87 anni, senza casa da quando ne aveva 74.
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POTENZA – trent’anni di sofferenza e degrado
notizie POTENZA, ultimissime — By tonio.claps on giugno 4, 2010 at 08:38
Bucaletto trent’anni dopo la sua nascita è ancora lì. E’ lì con il suo carico di sofferenza e degrado, rabbia e rassegnazione, macerie morali e materiali.Macerie appunto, magari non quelle che i “pionieri” della Cittadella videro all’alba del 24 novembre 1980, ma quelle in cui i loro figli e nipoti vedono sgretolarsi case nate per l’emergenza e divenute, nel corso di tre lunghissimi decenni, le loro prigioni fatte di sbarre antifurto alle finestre, di “cemento amianto” e legno marcio. Bucaletto è un vaso di Pandora, una bomba ad orologeria sul punto d’esplodere, un caso vergognoso di cattiva politica locale e nazionale. Altro che l’Aquila, altro che Bertolaso (a cui la gente di qui si rivolgerebbe volentieri), altro che ricostruzione. A Bucaletto la ricostruzione non è mai cominciata, e quei trentaquattro alloggi assegnati in modo “improprio”, quella scuola nuova di zecca e quelle torri alzate, tra la Basentana e il quartiere degli “sfollati”, non sono che specchietti per le allodole. Solo che a Bucaletto di allodole non ce ne sono più. Qui restano 2.000 residenti accampati da trent’anni e non più disposti ad essere ingannati da una classe politica che li utilizza come serbatoio di voti lasciandoli, infine, al loro triste destino d’eterni “terremotati”. Così succede che un incontro saltato all’ultimo minuto, tra i membri del Comitato di quartiere uscente (l’Organismo non è mai stato rinnovato per via del “rosso” in cui versano le casse comunali) ed alcuni Consiglieri comunali d’opposizione, diventa un momento di sfogo in cui, senza mezzi termini, i cittadini di Bucaletto versano il loro fiele sull’operato delle amministrazioni comunali e regionali susseguitesi negli ultimi sei lustri. Ce n’è per tutti, ma la premessa è un documento sottoscritto il 9 gennaio del 2007 dalla dottoressa Enza Polani della Asl 2 di Potenza ed inviato, per conoscenza, all’allora “sindaco più votato d’Italia”: Vito Santarsiero. Il documento recita che, dopo attenta verifica delle strutture prefabbricate di Bucaletto, i locali «non rispondono ai requisiti igienico  sanitari per la civile abitazione». Altezze minime interne, superfici dei singoli ambienti, rapporto superficie – abitante, illuminazione e ventilazione non sarebbero a norma; inoltre, prosegue il documento «alcuni ambienti visitati presentano umidità permanente» non eliminabile con normali interventi di manutenzione. Dulcis in fundo, «il parametro esterno di alcune strutture, contenente amianto, presenta lesioni, rotture e crepe». Così vivono a Bucaletto. In una situazione di totale isolamento, tra l’altro, che non farebbe invidia neppure agli “ospiti” della Casa circondariale della limitrofa via Appia.
Tornando alle ragioni che avevano portato in questo “desolante” quartiere a nord del capoluogo di regione (l’incontro tra i rappresentanti dei residenti e parte dell’opposizione in Consiglio comunale), a Bucaletto spiegano: «l’avevamo chiesto perché sappiano tutti, in Consiglio, delle condizioni in cui continuiamo a vivere». A rischio di malattie ed epidemie, dicono, con abitazioni che vanno a fuoco per poco e causano morti, danni, paura; con insetti che nidificano nei muri, con furti e atti vandalici d’ogni tipo contro i quali, concludono, non è stato neppure possibile avere un presidio di polizia permanente. «E’ arrivato il momento  spiegano i membri del comitato  che si faccia chiarezza sul Piano Riqualificazione di Bucaletto». Una riqualificazione che l’ex sindaco Fierro aveva promesso entro la conclusione del suo mandato, che l’attuale primo cittadino Santarsiero aveva garantito nel giro di dieci anni (ma se tre sono serviti per 34 alloggi, quanti ce ne vorranno per gli altri 600?), che lo stesso governatore De Filippo aveva garantito (dal punto di vista economico) entro la scadenza del suo primo mandato.  E invece? Invece l’ennesima estate dei residenti di Bucaletto si preannuncia ricca soltanto dei soliti problemi.  Dell’afa e dei serpenti, degli insetti e dei muri che si sgretolano, della paura d’uscir di casa lasciandovi gli effetti personali e del degrado esasperato, nel quartiere, da numerosi residenti abbandonati finanche dai servizi sociali.  Sì perché, raccontano i membri del Comitato, «è dal primo febbraio che attendiamo una convocazione da parte del sindaco. Convocazione prevista e rinviata proprio in quella data. Da allora, però, sono passati oltre 4 mesi. Un’intera stagione senza che si sia fatto più cenno alla questione».
La convinzione dei residenti è quella d’essere stati abbandonati. E’ quella che la vergognosa questione Bucaletto non voglia essere risolta né raccontata se è vero, confidano, «che anche parecchie dirette televisive dal quartiere sono state bloccate all’ultimo momento dalla Capitale o, quanto meno, edulcorate per una serie svariata di motivi».
Ora sono stanchi a Bucaletto e dicono: «la nostra è una questione da risolvere a Roma. Ci rivolgeremo alla Protezione civile e ai ministeri competenti». Come dargli torto? Trent’anni sono lunghi da passare in certe condizioni ma Bucaletto non ha eletto rappresentanti politici e quelli in carica, di come si vive trent’anni in un prefabbricato, che ne possono sapere?
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Pimonte - «Sono stanco di essere un prete da container»
29/09/2010
«Sono stanco di essere un prete da container». Lo sfogo di don Gennaro Giordano, parroco di Pimonte, parte dal 23 novembre del 1980. Dal terremoto che devastò la chiesa pimontese, infatti, la statua di San Michele Arcangelo non ha più il suo luogo “naturale”, e il Santo Patrono di Pimonte (protettore dei poliziotti) è ospite in un container-chiesa. «Da trent’anni – spiega il parroco – questa città viene illusa puntualmente ad ogni campagna elettorale, senza mai poter essere accontentata. Per questo motivo, ho fatto un appello alle istituzioni e alle forze dell’ordine affinché si possa dare nuovamente una “casa” vera a San Michele». La chiesa parrocchiale, con tutta probabilità risalente al XII secolo è in stile romanico originario ma fu profondamente modificata
nel XVII secolo. L’antico edificio fu tuttavia gravemente lesionata dal terremoto del 23 novembre 1980. L’interno è in fase di ristrutturazione ed anche le altre statue, di cui alcune di pregevole fattura, sono state spostate nella struttura provvisoria. Ieri pomeriggio, però, nella chiesa-container di Pimonte si è recato un ospite speciale. Infatti, il Questore di Napoli Santi Giuffrè (nella foto), che ha accolto l’invito di don Gennaro recandosi nella piccola parrocchia pimontese per una funzione religiosa in onore del Santo Patrono della cittadina dei Monti Lattari ma anche protettore dei poliziotti. La visita di Giuffrè, oltre a rappresentare un momento importante per tutta la comunità pimontese, potrebbe finalmente dare una svolta ai lavori mai realmente effettuati per restaurare la chiesa patronale dedicata a San Michele Arcangelo.
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Terremoti, la ricostruzione infinita
Nell' ultima Finanziaria nuovi fondi per il Belice Case pronte ma vuote in Irpinia, dove manca il lavoro
Dei 70 mila sfollati dell' Aquila, 40 mila sono ospitati in hotel e case sulla costa adriatica. Secondo la Protezione civile, si spendono 500 mila euro al giorno per mantenerli. Gli abruzzesi cercano di tornare alla normalità dopo il sisma dell' aprile scorso, ma da un viaggio nelle zone colpite da terremoti più remoti, in tutta Italia, emergono strascichi di sofferenza e rassegnazione. Valle del Belice, Sicilia, 1968. Più di 360 morti e danni che si contano ancora adesso a Poggioreale, Gibellina e Salaparuta, paesi simbolo della devastazione. In quel che resta della vecchia Poggioreale, Giuseppe Tornatore girò Nuovo Cinema Paradiso. Il simbolo della new-town invece sono tre palazzine di case popolari vuote, che il sindaco non sa a chi dare. Perché molti soldi sono stati spesi per una ricostruzione incompiuta, pochi per lo sviluppo economico e la gente è stata costretta a partire per lavorare. «La ricostruzione è stata gestita direttamente dallo Stato senza contattare le amministrazioni locali», lamentano i sindaci che oggi organizzano fiaccolate a Roma. Chiedono 303 milioni di euro di arretrati da accordi già presi e confidano nell' ultima Finanziaria, che ha riaperto il capitolo dei fondi per il Belice. Le delegazioni sono capitanante da Vito Bonanno, oggi sindaco di Gibellina, paese completamente distrutto e riedificato a 23 chilometri dal precedente sito. Della vecchia Gibellina resta solo il «Cretto di Burri», tra le opere artistiche più grandi al mondo: una colata di cemento bianco che copre le macerie. Iniziati nell' 85 i lavori sono stati interrotti dopo quattro anni, per mancanza di fondi. Il problema dello sviluppo economico colpisce anche le zone ricostruite dopo il terremoto del 1980 in Irpinia. Qui l' emergenza abitativa è stata risolta, anche se i residenti si lamentano per la bassa qualità degli edifici (costruiti con pannelli di cemento preconfezionati). La legge 219 del 1981 che disciplinava il piano di ricostruzione e sviluppo ha allargato l' area del terremoto fino a Napoli e Matera dilatando e disperdendo le risorse. Da qui molti irpini sono andati via perché mancavano occasioni di lavoro, molte case costruite ex novo sono rimaste vuote. Dei 21 nuclei industriali avviati per portare lavoro dove mancava non tutti hanno funzionato. Tuscania, nel viterbese, è stata colpita da un violento terremoto nel febbraio 1971. In assenza di Sovraintendenze e per troppa fretta, dai palazzi del 1200 sono spariti pavimenti e soffitti a cassettoni, sostituiti da materiali di fortuna. La Chiesa di San Francesco ha il tetto precario. C' è il progetto di istituire un' accademia di alta cucina, ma i lavori sono bloccati. Il lato più triste di quel terremoto è tangibile oggi a 700 metri dal centro storico, nel quartiere delle case ex Gescal, costruite dopo il sisma come edilizia popolare. All' epoca era campagna, oggi ci sono 300 alloggi ancora abitati nel degrado totale. I negozi hanno chiuso e pure la scuola media versa in uno stato di totale incuria. La stessa incuria che dilaga a Giove di Valtopina, piccolo borgo del ' 400 dimenticato dopo il terremoto che nel 1997 colpì l' Umbria. Quattro famiglie sono state alloggiate in case ricostruite, le altre stanno trascorrendo il tredicesimo inverno in container di sei metri poco distanti da una discarica di 12 mila metri cubi con sotterrati resti di piombo ed eternit. Nella vicina Nocera Umbra la situazione non è migliore. Il centro storico non esiste più e si va ancora a scuola nei container. A San Giuliano di Puglia invece la terra tremò il 31 ottobre del 2002. Crollò una scuola portandosi via 27 bambini e una maestra. L' edificio ricostruito è stato definito dal ministro Gelmini e dal premier Berlusconi «la scuola più sicura d' Italia». È il simbolo di una San Giuliano rinata al 90 per cento. Non si può dire lo stesso dei paesi intorno. A Colletorto alcune attività commerciali si svolgono ancora nei container. A Bonefro si vive ancora nel villaggio (provvisorio) di legno e i più vecchi tra i terremotati ripetono: «Qui siamo venuti e qui moriremo». Sempre nel 2002, un sisma colpì il nord-est di Palermo. I segni si vedono ancora oggi nella sede del Comune. Restaurato due anni dopo il terremoto, il Palazzo delle Aquile è stato evacuato a ottobre scorso a causa delle crepe dovute alle piogge. L' ultimo piano è ancora parzialmente inagibile e il Consiglio comunale è talvolta costretto a fare le valigie a seconda del meteo. La Sicilia tremò anche nel ' 90. Dai vicoli dell' Ortigia, centro di Siracusa, molti vennero spostati nel quartiere popolare Mazzarona in «case parcheggio» attrezzate a uso civile: box rinforzati col cemento che dovevano costituire una soluzione abitativa provvisoria. A distanza di vent' anni molte persone vivono ancora lì, in una zona con una farmacia ogni 25 mila persone. Alcuni palazzi dell' Ortigia, invece, sono ancora sostenuti da impalcature di legno. La zona più colpita fu quella a nord di Siracusa. Ad Augusta, nel settore delle saline, si vedono ancora alcuni container. Carlentini, completamente distrutta dal terremoto, è stata ricostruita adeguando strutture pubbliche e private a misure antisismiche. A Lentini, che dista soli 500 metri, le stime parlano di ricostruzione avvenuta al 20 per cento e l' ex Cattedrale di Sant' Alfio è ancora velata da reti di protezione per i calcinacci. Quella delle ferite al patrimonio artistico è una piaga che si porta dietro anche il terremoto che colpì la Valnerina, in Umbria nel ' 79. A Castel Santa Maria di Cascia, il tempio bramantesco della Madonna della Neve, dove Papa Giovanni Paolo II atterrò in elicottero dopo il sisma, è ancora in stato d' abbandono: ci sono 250 metri quadrati di affreschi in fase di sbriciolamento. Dopo il terremoto del 1976, in Friuli emergenze abitative e occupazionali sono state risolte in breve tempo. Restano solo ritardi nel restauro di alcuni castelli: a Gemona, come a Colleredo di Monte Albano, dove visse Ippolito Nievo.
Landi Stefano (27 febbraio 2010) - Corriere della Sera

martedì, 10 agosto 2010
IL TERREMOTO DELL'IRPINA, UN SISMA CHE DURA DA TRENT'ANNI. IL CASO DI SALVITELLE (SA)
Ci sono terremoti che durano decenni, lasciando dietro di sé una scia di false promesse, inutili attese, fondi pubblici arrivati solo ai politici che li hanno gestiti e non ai legittimi destinatari. Uno di questi è senza dubbio il terremoto dell’Irpinia del 23 novembre 1980, che ebbe come epicentro Conza della Campania (AV) e che interessò ben 679 Comuni appartenenti a ben otto Province: Avellino, Benevento, Caserta, Matera, Napoli, Potenza, Salerno e Foggia. Il sisma, iniziato alle 19:34 e durato circa 90 secondi, con magnitudo 6,9 della scala Richter, causò ben 8.848 feriti e 2.914 morti. Senza poi dimenticare quanti furono costretti a lasciare le proprie case, molti dei quali in modo definitivo, essendo queste inagibili o ridotte a misere ceneri; gli sfollati sono stati stimati intorno alle 280 mila unità.
Molti di questi hanno vissuto per decenni, e in taluni casi vivono ancora, in container freezer d’inverno e forni d’estate, fatti di cemento e amianto, soggiogati come detto, da anni di inutili attese e false promesse di politicanti locali susseguitisi come democrazia vuole. E’ il caso ad esempio di Salvitelle, Comune situato quasi a metà strada tra Salerno (Provincia in cui rientra) e Potenza, che prima del sisma registrava più di mille abitanti, oggi quasi dimezzati: appena 606.
La gran parte degli abitanti che è rimasta (in prevalenza anziani) ha vissuto in container fino al 2007, quando il Sindaco Pd Mimì Nunziata, succeduto ad un “demitiano doc”, Geremia Stanco, in carica da un’eternità senza prendere posizioni a riguardo (come tradizione democristiana vuole), ha deciso di far demolire il villaggio dei container per liberarli da quella vita, non certo scelta, di eterni rom; loro, che una casa vera e propria ce l’avevano. Agli abitanti rimasti ancora senza una vera abitazione, sono stati finalmente assegnati nuovi alloggi: 15 fabbricati con luce, gas, telefono e acqua potabile, per un totale di 45 alloggi tra i 45 e i 110 mq; un vero quartiere dotato di viali alberati e spazi liberi. Nunziata ha affermato di aver trovato 18 miliardi di vecchie lire inutilizzati e di averli sbloccati con una legge apposita (la 219). Meno male che qualcuno si è accorto di quel denaro pubblico “dormiente”, non certo “quisquiglie” come avrebbe detto Totò.
Il terremoto irpino ha senza dubbio tutte le referenze per rientrare nelle tante vergogne del nostro Paese. Tanti oggi (giustamente) si scandalizzano per il fatto che molti abruzzesi ad un anno e mezzo dal terremoto vivono ancora in tende o in hotel sulla costa. E cosa dovrebbero dire le vittime di quel terremoto? In quell’occasione lo scandalo si consumò fin da subito: clamorosi furono i ritardi nei soccorsi ai terremotati, vuoi per le difficoltà di accesso dei mezzi di soccorso nelle zone dell'entroterra dovute al cattivo stato della maggior parte delle infrastrutture, e alla mancanza di un'organizzazione qual è oggi la Protezione Civile (che di fatto nacque successivamente con il decreto legge nº 57 del 27 febbraio 1982, convertito poi nella legge n. 187 dello stesso anno). Tali mancanze nei soccorsi (in alcuni casi arrivarono dopo ben cinque giorni) furono contestate anche dall’allora Presidente della Repubblica Sandro Pertini, giunto sui luoghi colpiti dal sisma, e le cui parole, riferite con un messaggio tv rivolto agli italiani, provocarono l'immediata rimozione dell’allora Prefetto di Avellino Attilio Lobefalo, e le dimissioni dell'allora Ministro dell'Interno Virginio Rognoni.
Ma a parte questi problemi organizzativi, il sisma irpino ha avuto anche risvolti giudiziari: nel marzo del 1987 alcuni giornali, tra cui l'Unità e L'Espresso, rivelarono che le fortune della Banca Popolare dell'Irpinia erano strettamente legate ai fondi per la ricostruzione dopo il terremoto in Irpinia del 1980. Tra i soci che traevano profitto dalla situazione c'era la famiglia di De Mita con Ciriaco proprietario di un cospicuo pacchetto di azioni che si erano rivalutate grazie al terremoto. I titoli erano posseduti anche da altri parenti. Seguì un lungo processo che si concluse nell'ottobre del 1988 con la sentenza: «Secondo i giudici del tribunale romano chiamato a giudicare sulla controversia, era giusto scrivere che i fondi del terremoto transitavano nella banca di Avellino e che la Popolare è una banca della Dc demitiana». Appresa la sentenza, l'Unità pubblicò il 3 dicembre un articolo in prima pagina dal titolo eloquente: «De Mita si è arricchito con il terremoto». Nell'inchiesta “Mani sul terremoto” (un filone dell’inchiesta “Mani pulite”) sono state coinvolte 87 persone tra cui l'on. Ciriaco de Mita, l'on. Paolo Cirino Pomicino, il sen. Salverino De Vito, l'on. Vincenzo Scotti, l'on. Antonio Gava, l'on. Antonio Fantini, l'on. Francesco De Lorenzo, l'on. Giulio Di Donato e il commissario on. Giuseppe Zamberletti. Basta citare qualche notizia emersa su questo autentico “Irpiniagate”, alcune davvero tristemente assurde: il caso della “Fondovalle Sele” costata 24 miliardi di lire al chilometro; lo stadio comunale di San Gregorio Magno ( paese di circa 3 mila abitanti in provincia di Salerno) costato più dello stadio San Paolo di Napoli; alcuni giornalisti riuscirono a dimostrare che Avellino era la provincia italiana dove si vendevano più Mercedes e Volvo e dove, dopo il sisma, i possessori di yacht erano passati da 4 a oltre 100. Inoltre, nel calderone dei beneficianti del fondo pro-terremoto, vi è rientrato un numero sovrastimato all’inverosimile: i comuni effettivamente colpiti erano relativamente pochi, qualche decina quelli disastrati, un centinaio i danneggiati in modo più o meno grave; nel maggio dell'81 però un decreto dell'allora presidente del Consiglio Arnaldo Forlani classifica come «gravemente danneggiati» (con un grado di distruzione dal 5 al 50% del patrimonio edilizio) oltre 280 comuni: viene ricompresa tutta la provincia di Avellino, Napoli e la popolosissima area metropolitana, 55 comuni del salernitano, 34 del potentino. Pertanto, due intere Regioni, la Campania e la Basilicata, e un pezzetto di una terza, la Puglia, risultano «terremotate»: in totale i comuni ammessi alle provvidenze sono 687; il Parlamento, infine, ha sfornato trentadue provvedimenti legislativi.
Insomma, il terremoto del 23 novembre 1980, ha avuto un effetto duplice e di direzione opposta: da un lato migliaia di terremotati che hanno vissuto per anni e anni in container dimenticati dalla politica che a loro si rivolge solo per ottenere consensi; dall’altro una lista di politici che con i fondi destinati ai primi, si sono arricchiti ed hanno arricchito i propri cortigiani.
Su tutti, manco a dirlo, Ciriaco De Mita, vecchio volpone democristiano, che a 82 anni è ancora lì a muovere i fili della politica campana, trasferitosi dall’uscente amministrazione di centro-sinistra alla subentrate di centro-destra (lui, essendo il centro, c’azzecca sempre); piazzando anche il suo delfino (anche se sarebbe più opportuno chiamarlo balena), il figlio Giuseppe, alla vicepresidenza della Regione con delega al Turismo e Beni Culturali.
Oltre a De Mita però, altri nomi tra i responsabili di questo scempio, circolano ancora nella politica campana ed hanno ruoli istituzionali nazionali o locali: Pomicino, Scotti, Gava (anche se si tratta di Angelo, nipote di Silvio e figlio di Antonio, tutti ex democristiani di spicco, succedutisi come accade nelle migliori dinastie monarchiche).
Comunque, agli abitanti della ridente Salvitelle facciamo gli auguri per le nuove abitazioni, arrivate “appena” dopo trent’anni di lunga attesa. Sperando, per i tanti che vivono ancora nei container in qualche sperduto angolo dell’area colpita dal terremoto dell’80, che qualche amministratore locale si accorga di qualche miliardo giacente inutilizzato nelle casse pubbliche e gli procuri una casa. Che almeno sulla carta sarebbe un diritto ascritto, come esseri umani prima, e cittadini italiani poi.
(Fonti: L’Unità del 6 agosto 2010, Wikipedia, Il Tempo)


Bucaletto story. «Dateci i suoli, ci costruiremo le case»
11 Novembre 2010
di SANDRO MAIORELLA
L’idea non è originalissima ma ha una sua logica. Almeno per il comitato spontaneo di cittadini sorto a Bucaletto in difesa dei diritti dei residenti della Cittadella. Una proposta intrigante che già tempo fa, verso la metà degli anni novanta venne lanciata dall’allora Comitato di Quartiere ma non ebbe risultati apprezzabili. In sostanza il Comitato di cittadini punta ad avere dal comune la proprietà gratuita di alcuni suoli liberi della zona per permettere direttamente ai cittadini di costruire in forma privata (cooperative) le proprie abitazioni.
«Ci sembra - ha spiegato Angelo Quaratino, tra i fautori dell’iniziativa - in questo modo di venire incontro anche ai problemi di natura economica che l’amministrazione comunale ha più volte evidenziato riguardo la conclusione della riqualificazione del quartiere ». Una proposta nata a tavolino che ha avuto un certo successo.
«Sono già una cinquantina - ha spiegato Quaratino - i i nuclei familiari che si sono espressi in maniera favorevole ma siamo certi che una volta presentata la proposta all’amministrazione comunale tanti altri saranno coinvolti in questo progetto. Se come dice il sindaco per chiudere la questione riqualificazione servono 60, 70 milioni di euro, fondi che il Comune di Potenza non può mettere a disposizione, considerando che il governo regionale è totalmente assente e da quello nazionale non si ottiene il finaziamento, permettere ai cittadini di fare da se le proprie case agevolando solo per l’acquisizione dei suoli. Questo chi ovviamente vuole e può scegliere questa strada. Anni fa non fu possibile portare avanti questa idea perchè questi non erano di proprietà del Comune ma oggi è diverso e l’operazione si può fare. Ci siamo già mossi con esperti per capire quali possono essere i costi e ci sembra che si possa trovare un soglia ragionevole».
Bucaletto ed i suoi cittadino non vogliono più aspettare. Sono stanchi di una riqualificazione a «singhiozzo» per la quale si prevedono ancora tempi biblici. «Stiamo aspettando da quest’estate - ha continuato il rappresentante del comitato spontaneo di cittadini - l’ini - zio dei lavori per il secondo lotto di cento alloggi ma la situazione è bloccata. Anche dalla regione non abbiamo avuto risposte. Il presidente De Filippo ci aveva promesso un suo intervento dopo l’incontro di alcuni mesi fa. Addirittura durante il suo mandato precedente si era impegnato per reperire i fondi a copertura di metà riqualificazione ma è rimasto tutto fermo sulla carta. Per questo ci siamo mossi con questa proposta. I suoli ci sono basta solo un po’ di buona volontà da parte dell’amministrazione. Ne abbiamo parlato con l’assessore alle politiche sociali, Donato Pace che ci ha promesso di valutare la questione e la possibilità di portare questa proposta, che formalizzeremo nei prossimi giorni, in Giunta e al sindaco». Positivo almeno nella sostanza il pensiero dell’assessore Pace che nei giorni scorsi si è recato personalmente nella Cittadella per parlarne con i residenti interessati al progetto.
«Credo - ha commentato - possa essere una strada che permetta di risolvere il problema. Finanziamenti tanto cospicui difficilmente potranno arrivare all’amministrazione comunale per cui ogni altra possibilità va studiata attentamente e perseguita con decisione. Ho accennato al sindaco Santarsiero i termini essenziali del progetto, ci torneremo con maggior attenzione nei prossimi giorni per capire la fattibilità dello stesso. A primo impatto credo di poter dire che mi sembra un piano percorribile. È chiaro che sarà poi la giunta a decidere».