Colonna infamie.2

lunedì 29 novembre 2010
Guccione: «Il Piano per il Sud? Una presa in giro»
Lunedì 29 Novembre 2010 07:20 Redazione desk
Il Presidente del Consiglio Silvio Berlusconi sappia che i meridionali non hanno l’anello al naso e che, nonostante i Governatori delle regioni in cui ha vinto il centrodestra si siano immediatamente prodigati supinamente a sostenere un Piano per il Sud "fantasma", che utilizza i fondi europei destinati alle popolazioni meridionali esautorando, di fatto, la competenza delle Regioni e aumentando la sfiducia dei cittadini verso le istituzioni, questa volta non si lasceranno ingannare e presto gli renderanno pan per focaccia!.
Se analizziamo i tre momenti in cui si snoda l’annunciato e oggi varato Piano per il Sud da parte del’agonizzante Governo Berlusconi, cioè Strategie, Modalità Attuative e Risorse, ci accorgiamo che, attraverso di esso, si vuole consumare l’ennesima presa in giro ai danni dei cittadini che vivono in Calabria e nel Mezzogiorno d’Italia.
Un’attenta analisi contestuale ci svela, infatti, che questo strumento può essere definito come si vuole, tranne che Piano per lo sviluppo del Mezzogiorno.
Partiamo dalle priorità. Il Piano ne contiene otto grandi, tre strategiche e otto orizzontali. Le tre priorità strategiche sono Infrastrutture, Ambiente e Beni Pubblici; Competenze e Istruzione; Innovazione, Ricerca e Competitività a cui si aggiungono Pubblica Amministrazione, Banca Sud, Giustizia Civile, Agevolazioni alle Imprese.
E proprio a questo punto casca l’asino! Queste tre priorità coincidono perfettamente tra di loro e sono uguali alle dieci priorità strategiche previste dal Quadro strategico nazionale approvato nel 2008. E in esso non sono individuati nemmeno i progetti specifici che si intendono finanziare, a discapito di una maggiore capacità di concentrazione degli interventi rispetto al passato, considerato che le priorità sono sempre le stesse. Bisogna introdurre, infatti, meccanismi che evitino la spesa a pioggia delle risorse e la loro dispersione in tantissimi micro interventi. Lo stesso Piano Operativo manca totalmente della individuazione delle "linee di Azione". Non si è proceduto nemmeno a codificare, in uno spirito di collaborazione istituzionale, la concertazione tra Governo, Regioni ed Enti Locali che, negli ultimi anni, ha causato pesanti ritardi che hanno riguardato, allo stesso modo, le amministrazioni locali e quelle centrali. Per quanto riguarda le risorse va detto con molta chiarezza che non c’è un euro aggiuntivo, anzi è stato tagliato anche lo stanziamento complessivo.
A riprova di ciò il Cipe, mentre si annunciava il varo del Piano per il Sud, contemporaneamente operava un ulteriore taglio di cinque miliardi dal Fas e un dimezzamento dei fondi per la banda larga che, nello stesso Piano, viene individuata come una priorità.
Una parte delle risorse disponibili deriva dalla programmazione dei fondi non spesi 2000-2006 e il resto (ciò che è rimasto dopo i tagli degli ultimi anni), dalla programmazione 2007-2013. I cento miliardi di euro per il Sud sono un vero e proprio imbroglio, poiché si tratta di fondi che, dal 2007, vengono sempre annunciati e mai effettivamente stanziati. Anzi, se guardiamo meglio, i fondi disponibili realmente sono solo 75 miliardi di euro invece di 100. Venti miliardi provengono dal Fas regionale 2007-2013, quaranta miliardi fanno parte dei Fondi strutturali 2007-2013 e quindici miliardi sono, invece, fondi non spesi nel periodo 2000-2006. Tutte risorse, quindi, che il Sud ha in cassaforte da diversi anni e che ora, il grande prestigiatore Berlusconi vorrebbe moltiplicare, così come fece Gesù Cristo con i pani e i pesci e che, nonostante il Piano, non sappiamo con esattezza a cosa dovranno servire.
I meridionali e i calabresi non sanno che farsene delle roboanti promesse e dei falsi annunci di Silvio Berlusconi e dei suoi accondiscendenti sostenitori.
di Carlo Guccione, consigliere regionale Partito democratico
Fonte:

lunedì 29 novembre 2010
Ue, deficit Italia oltre il 3% anche nel 2012
ROMA - Crescita moderata, di poco oltre l'1% nel 2010 e nel 2011, ma soprattutto deficit non allineato ancora nel 2012.
Le previsioni economiche d'autunno della Commissione Europea prospettano un andamento mediocre dell'economia italiana almeno nei prossimi due anni. Secondo il rapporto, in Italia il Pil salirà nel 2011 dell'1,1%, lo stesso tasso di quest'anno, mentre nel 2012 la crescita sarà leggermente superiore (+1,4%), anche se resterà inferiore di circa mezzo punto rispetto alla media dell'Eurozona. Quanto al disavanzo, dopo il picco del 5,3% nel 2009, il rapporto deficit/Pil è destinato a scendere, ma più lentamente del previsto: quest'anno sarà al 5%, l'anno prossimo al 4,3% e nel 2012 al 3,5%.
Di conseguenza, le misure già previste nei provvedimenti sui conti pubblici potrebbero non essere sufficienti, ipotizza il commissario agli Affari Economici e Finanziari Olli Rehn. "E' fondamentale che l'Italia rispetti i suoi obiettivi fiscali. Se necessario - ha detto Rehn - dovranno essere presi ulteriori provvedimenti. Ne sapremo di più quando faremo le valutazioni su misure e obiettivi nella procedura per deficit eccessivo".

Piano per il Sud, Ue: "Sui fondi decidiamo noi". Non è detto che l'Unione Europea decida di finanziare.
Johannes Hahn, ha fatto sapere che prende nota "con interesse" del recente annuncio del governo italiano sul piano per il Sud e preannuncia che lo esaminerà con attenzione e in modo approfondito, ma ricorda che "un'eventuale riprogrammazione dei programmi operativi dei fondi strutturali" finanziati dall'Ue deve essere decisa da Bruxelles. "I servizi della commissione - spiega Hahn - dovranno analizzare insieme al governo e alle Regioni interessate l'impatto di una riprogrammazione degli interventi dei fondi strutturali sugli obiettivi condivisi e sul rispetto della tempistica comunitaria".

Disavanzo: previsioni peggiori di quelle del governo. Infatti le ultime stime del governo Le stime sul deficit, spiega il rapporto di Bruxelles, tengono conto sia della manovra finanziaria per il 2009/2011 adottata nell'estate 2008 sia di quella del maggio scorso che riguarda il periodo 2011/2013, anche se con "una valutazione meno ottimistica sull'efficacia di qualche misura per combattere l'evasione fiscale", indicano il 5% quest'anno, il 3,9% il prossimo e il 2,7% nel 2012.

Ue meno ottimista anche sul debito. Anche per quel che riguarda il debito pubblico, le previsioni dell'esecutivo europeo sono un po' meno ottimiste di quelle del governo: la Commissione Ue indica un 118,9% nel 2010, un 120,2% nel 2011 e un 119,9% nel 2012. Il governo prevede un calo al 117,5% ne 2012.

Pil, crescita "moderata". Il Pil italiano crescerà dell'1,1% nel 2011, restando quindi agli stessi livelli del 2010, e dell'1,4% nel 2012, circa 0,5% punti sotto la media dell'eurozona. Secondo Bruxelles, l'Italia avrà una "crescita moderata" di cui le esportazioni saranno il "principale veicolo". "Ci si aspetta che l'economia italiana ritorni ai tassi di crescita moderata pre-crisi", si legge nel documento di Bruxelles, in quanto "le debolezze strutturali dietro una insoddisfacente crescita della produttività nell'ultimo decennio peseranno ugualmente sulla capacità dell'economia di riprendersi velocemente dalla seria perdita di produttività registrata durante la recessione".

Eurozona, la Germania guida la crescita. Nell'Eurozona è la Germania a dare il la alla crescita con un incremento del Pil quest'anno del 3,7%. La Francia si deve accontentare dell'1,6%, l'Italia cresce ancora meno, all'1,1%. In recessione si trovano ancora Irlanda (-0,2%), Grecia (-4,2%) e Spagna (-0,2): l'anno scorso erano sotto zero tutti i Paesi dell'Unione Monetaria. Il Portogallo cresce dell'1,3%.

Media Ue superiore a dato italiano. Il Pil dell'Ue crescerà dell'1,75% nel 2010-2011 e arriverà al 2% nel 2012. La Commissione europea afferma che ci sarà una "continuazione della ripresa che è attualmente in corso nell'Ue", e una "performance migliore del previsto" ha motivato una "significativa revisione al rialzo della crescita annuale rispetto alle previsioni di primavera". Tuttavia, afferma Bruxelles, verso la fine dell'anno e nel 2011 ci sarà una "moderazione dell'attività" economica, per riprendere poi nel 2012 con il ritorno di una domanda interna rafforzata.
(29 novembre 2010) 15:16
Fonte:


lunedì 29 novembre 2010
AI DISTRETTI DEL SUD 900 MILIONI
Sbloccati i fondi Ue per i poli tecnologici di Calabria, Campania, Puglia e Sicilia
Francesca Barbieri
Dopo l`approvazione del piano per il sud, arrivano i fondi per rilanciare i distretti tecnologici delle quattro regioni «convergenza».
Con un`iniezione di oltre 900 milioni di euro il ministero dell`Università ha sbloccato le risorse europee dirette a Calabria, Campania, Puglia e Sicilia per rafforzare i migliori modelli di partnership pubblico-privato e sostenere la nascita di nuove unioni. Una dose massiccia dì capitali che contribuirà ad alzare il livello d`impiego dei fondi Ue 2007-2013, la cui spesa è al momento ferma sotto la soglia del 10 per cento.

La fetta maggiore (526 milioni) del budget sarà veicolata verso la creazione di nuovi distretti o aggregazioni che si andranno ad affiancare ai dieci poli tecnologici già operativi nelle quattro aree interessate: dall`Imast (ingegneria dei materiali compositi e polimerici) di Napoli al Dare (agroalimentare) di Foggia, dal distretto specializzato nel restauro dei beni culturali di Crotone al polo nanotech di Catania.
Sui poli esistenti le intenzioni del Miur sono chiare: poten- ziare solo i migliori modelli di aggregazione pubblico-privato, capaci di sviluppare la collaborazione tra grandi e piccole imprese su progetti innovativi.
La selezione dei distretti da rafforzare avverrà infatti attraverso l`esame di piani di sviluppo strategico di durata almeno quinquennale, abbinati a specifici progetti di ricerca, sviluppo e formazione.
«I poli fortemente radicati sul territorio - commenta Renato Ugo, presidente dell`Airi, Associazione italiana ricerca industriale - stanno producendo buoni risultati, altri invece appaiono come corpi estranei all`interno dei contesti di riferimento.
Sarà fondamentale assegnare in modo selettivo le risorse, non più a pioggia come è stato fatto in passato».

L`intensità degli aiuti comunitari prevede il cofinanziamento pari al 5o% dei costi sostenuti per l`attività di ricerca industriale e del 25% di quelli legati allo sviluppo sperimentale. Il contributo aumenta del 10% per le medie imprese e del 20% per le piccole.
Il costo di ogni singolo progetto dovrà essere compreso tra 5 e 25 milioni, con durata non superiore a tre anni.

Sul fronte dei nuovi poli tecnologici, in Sicilia si sta lavorando alla progettazione di un distretto biomedico, da affiancare a quelli già esistenti nel campo dei micro e nanosistemi, nell`agrobio e pesca eco-compatibile, dei trasporti navali commerciali e da diporto. «La giunta - riferiscono dall`assessorato regionale alle attività produttive dovrebbe dare il via libera anche al business plan per un nuovo distretto sull`energia».
La Campania potrebbe affiancare all`unico distretto già operativo (ingegneria dei materiali) altri poli negli ambiti definiti strategici dall`accordo quadro statoregione:
aerospazio-aeronautica, edilizia sostenibile, Ict, materiali avanzati, risparmio energetico, salute dell`uomo e biotecnologie, sicurezza e ambiente, trasporti e logistica avanzata.

In Puglia la maggior parte delle risorse (135 milioni su 225) andrà a potenziare i distretti già esistenti.
«Il grado di maturità dei nostri quattro centri è diverso spiega Davide Pellegrino, direttore dell`area Politiche per lo sviluppo economico, lavoro e innovazione : stiamo cercando di creare a livello regionale un sistema di valutazione per misura- re concretamente l`efficacia di questo modello di ricerca».

In Calabria, invece, il grosso delle risorse (136 milioni su 160) è focalizzato sulla creazione di nuovi distretti tecnologici.
«Stiamo cercando di identificare una serie di poli di innovazione - spiega il dirigente generale Massìmiliano Ferrara -: dai trasporti ai beni culturali, dalle energie rinnovabili alla salute. Gli ambiti che otterranno i finanziamenti dovranno essere gestiti in una logica di mercato per valutare l`effettiva redditività delle attività svolte».

La graduatoria degli studi di fattibilità dei nuovi distretti verrà determinata sulla base di una serie di caratteristiche individuate dal Miur: spiccata vocazione internazionale, interesse per il sistema delle imprese, elevato impatto economico sul territorio.
Dal 16 dicembre al 15 febbraio saranno raccolti i progetti. Poi si aprirà l`istruttoria. « È auspicabile - conclude Renato Ugo - una valutazione trasparente e tempestiva, che consideri i progetti in un`ottica nazionale, per non replicare esperienze già presenti nel resto del paese».
 Da "IL SOLE 24 ORE" di lunedì 29 novembre 2010

martedì 30 novembre 2010
VOLA BUND GERMANIA, BTP ITALIANI A 4,78%
Gli investitori cercano riparo sotto l'ombrello del debito pubblico della Germania, il paese più solido dell'eurozona, e il future del bund tedesco prende il volo (2,65%).
 Si allarga così lo spread di rendimento tra i titoli decennali tedeschi e quelli degli altri Paesi. La forbice con i btp italiani (4,78%) è a 213 punti, il massimo storico dall'introduzione dell'euro. Ma il record negativo in Europa è della Spagna, con una forbice di 311 punti base. Così il premier Berlusconi al CdM: "La Spagna sta peggio di noi".
Fonte:

martedì 30 novembre 2010
Cinquecento milioni per le imprese che investono in ricerca e innovazione
Le risorse disponibili dal 9 dicembre. Si tratta di contributi a fondo perduto e agevolazioni per 8 anni
PALERMO - Dal 9 dicembre 2010 saranno disponibili 500 milioni di euro per le imprese che vogliono investire in Sicilia o nelle altre regioni del Sud che fanno parte dell'obiettivo Convergenza (Campania, Puglia e Calabria). Il nuovo pacchetto di incentivi pubblici - previsto da tre decreti del ministero dello Sviluppo Economico del 6 agosto scorso - punta a sostenere programmi di investimento nei settori della ricerca, dell'innovazione e delle energie rinnovabili.
COME E QUANTO - Le aziende avranno 120 giorni per presentare progetti riguardanti la realizzazione di nuove unità produttive, l'ampliamento di quelle già esistenti, la diversificazione della produzione (in nuovi prodotti o servizi aggiuntivi) o il cambiamento dei processi di produzione. Le agevolazioni consistono in un contributo a fondo perduto e in finanziamenti agevolati della durata massima di otto anni a un tasso pari al 20% del tasso di riferimento Ue. I beneficiari sono tenuti a fornire garanzie ipotecarie o bancarie per il rimborso del mutuo agevolato e devono apportare mezzi finanziari pari ad almeno il 25% dell'investimento ammissibile. «I progetti - ha chiarito Francesco Sprovieri, responsabile Affari Normativi e Convenzioni di Invitalia - dovranno avere un importo di spesa compreso tra 1.5 e 25 milioni di euro. Gli incentivi non prevedono alcun bando, le domande saranno valutate da Invitalia secondo una procedura 'a sportello', in base all'ordine cronologico di presentazione».
CONFINDUSTRIA - «Si tratta di un'importante opportunità - ha sottolineato il presidente di Confindustria Palermo, Alessandro Albanese - soprattutto per le nostre piccole e medie imprese. Le energie rinnovabili, così come la ricerca e l'innovazione, sono terreni d'impegno strategici per il futuro dell'impresa siciliana e meridionale. Il nuovo pacchetto di incentivi favorirà un processo di sviluppo già in atto, in un territorio con tanti imprenditori ricchi di idee, dinamismo e voglia di cambiamento».

COME SONO DISTRIBUITI - I 500 milioni di euro a disposizione delle imprese provengono da risorse comunitarie della programmazione 2007-2013, e sono così distribuiti: 300 milioni per realizzare beni finalizzati alla produzione di energia rinnovabile e al risparmio energetico nell'edilizia; 100 milioni per industrializzare i risultati dei programmi di ricerca o sviluppo; 100 milioni per raggiungere specifici obiettivi di innovazione, miglioramento competitivo e tutela ambientale. Nel primo caso i fondi provengono dal Programma Operativo Interregionale "Efficienza energetica", negli altri due casi sono a valere sul Programma Operativo Nazionale "Ricerca e competitività".
30 novembre 2010
FONTE: 

mercoledì 1 dicembre 2010
Nicodemo Oliverio: «Il Piano per il Sud fermo a un palo»
Mercoledì 01 Dicembre 2010 07:33 Redazione desk
CROTONE - «Il Piano per il Sud bisogna proprio salutarlo canticchiando il ritornello della famosa canzone di Mina "Parole, parole, parole, soltanto parole". Per questo ci duole, e non poco, assistere allo strombazzare dei governatori del Sud che non riescono a reagire, o non possono, di fronte alle politiche centraliste del Governo che minaccia , neppure tanto velatamente, di espropriare le Regioni dalle funzioni di programmazione e di spesa, di togliere risorse e di commissariarle».
Lo afferma il parlamentare crotonese del Partito Democratico Nicodemo Oliverio, capogruppo in Commissione Agricoltura alla Camera. «Il Piano - aggiunge - è un documento programmatico in cui si fissano alcuni obiettivi sui quali convogliare le risorse europee e quelle nazionali. Entrando nel merito delle intenzioni del Governo, dobbiamo rilevare che questa operazione viene effettuata a costo zero, anzi arriva a sottrarre oltre 5 miliardi di euro dalla dotazione attuale dei fondi Fas, 3 miliardi dalla dotazione regionale e 2,1 dal residuo della quota nazionale. Siamo di fronte ad un vero e proprio maquillage elettoralistico, ad un fumoso tentativo di nascondere agli italiani quello che non può essere più nascosto: la irreversibile conclusione della stagione berlusconiana avvelenata dai miasmi dei dossier e attualmente caratterizzata da quotidiani lanci di stracci che volano da diverse direzioni. Per quanto ci riguarda - sottolinea il deputato del Pd - rileviamo che con questo pirotecnico Piano le infrastrutture del Mezzogiorno rimangono ferme al palo, non viene stanziato nulla dei 2,6 miliardi di euro che occorrono per completare l’autostrada Salerno - Reggio Calabria, tanto meno i circa 3 miliardi che servono per la linea di alta capacità ferroviaria Napoli- Bari né alcuna risorsa per velocizzare e potenziare la rete ferroviaria ordinaria Salerno- Battipaglia- Reggio Calabria. E, inoltre, che fine ha fatto la strada statale 106? Non rientra tra gli obiettivi strategici di questa maggioranza? Eppure il presidente Berlusconi nella sua ultima comparsa alla Camera aveva mirabilmente fatto intendere, ad un incredulo Parlamento, che sulla 106 lo stato dei lavori avanzava e che l’arteria ionica era in fase di completamento, come completata era , a suo dire, l’autostrada Salerno- Reggio Calabria. L’obiettivo strategico del Governo resta, invece, il ponte sullo Stretto che, come racconta l’ottimo Albanese a furia di mettere tante prime pietre l’acqua del mare verrà coperta».

mercoledì 1 dicembre 2010
I TAGLI AI COMUNI PUNTANO A SUD
Gianni Trovati
MILANO. Arrivano i tagli "lineari" ai trasferimenti dei comuni con piu’ di 5mila abitanti, vista la mancata intesa fra sindaci e governo che avrebbe dovuto distribuire in chiave meritocratica i sacrifici. E’ alla firma del ministro dell'Interno Maroni il decreto che ripartisce la sforbiciata da 1,5 miliardi prevista dalla manovra correttiva, e che spalma le richieste in modo proporzionale all'assegno statale.
Il metodo e’ quello previsto dalla manovra di luglio, che concedeva tré mesi di tempo alla Conferenza unificata per individuare un criterio diverso, e finisce per colpire piů pesantemente nel Mezzogiorno. In linea generale, il taglio sara’ pari all'11,2% delle spettanze consolidate 2010 con l'eccezione della quota «dinamica» della compartecipazione Irpef, cioe’ lo 0,69% introdotto dalla finanziaria 2007 (articolo 1, commi 189 e 190 della legge 296/2006); uno «sconto» dovuto, perché l'applicazione dell'aliquota dal 2007 ha ridotto di una somma corrispondente al gettito il contributo ordinario ai comuni. Altre esclusioni dovrebbero riguardare casi particolari. La base di calcolo definitiva sara’ individuata solo con il consolidamento delle ultime voci, tra cui i 200 milioni riconosciuti per il 2010 dalla stessa manovra correttiva ai comuni che hanno rispettato il patto di stabilita’ (articolo 14, comma 13 del DI 78/2010) e il calcolo definitivo delle compensazioni per l’ici. I dati sulle spettanze disponibili presso il Viminale, aggiornati al 30 di novembre, permettono pero’ gia’ di delineare un quadro piuttosto preciso degli effetti nelle citta’: a Roma la sforbiciata sfiora i 146 milioni di euro, a Napoli si attesta poco sopra quota 72 milioni, a Milano (che ieri ha deciso di quotare in borsa il 33% di Sea e cedere le quote in Serravalle anche per far fronte ai tagli) supera 155,6 e a Torino si aggira intorno ai 40,6 milioni. In proporzione agli abitanti, la classifica degli enti piu’ colpiti punta decisamente a Sud: tra le grandi citta’, la stretta piu’ pesante si incontra a Napoli, che "paga" 75 euro a cittadino, seguita da Palermo (58 euro a residente), Catania e Messina (54; ad aggravare il dato delle citta’ nelle regioni a statuto speciale c'e’ il fatto che in questi territori non c'e’ la compartecipazione Irpef, e di conseguenza non scatta il piccolo "sconto" previsto dal decreto). A Milano il conto e’ da 43 euro ad abitante, mentre Brescia si ferma a 28,6, cioe’ meno del 40% rispetto alla cifra recapitata nel capoluogo campano, Questa distribuzione territoriale e’ la conseguenza diretta dei meccanismi di attribuzione dei contributi statali, che si sono stratificati nel tempo non sempre in modo razionale ma hanno in genere un effetto redistributivo rispetto alle diverse performance del fisco locale: in pratica, dove la capacita’ fiscale del territorio e’ inferiore aumenta l'incidenza dei trasferimenti statali, e di conseguenza cresce l'effetto del taglio. Restano da capire gli effetti di questi tagli sui livelli di finanziamento del federalismo fiscale, tema su cui manovra correttiva e decreti attuativi della riforma parlano due Iingue diverse. Sullo stesso tema si esercitano le regioni, che oggi dovrebbero avere un nuovo incontro con il governo.

giovedì 2 dicembre 2010
Io sono Totem ed Impregilo. Padrone a casa tua.
Il taglio ai trasporti e l’imbroglio del ponte
02/12/2010
di OSVALDO PIERONI e ALBERTO ZIPARO
Il bluff del “Piano per il Sud” fatto di risorse già spese, o altrove impegnate, oppure inesistenti è l'ultima, offensiva, beffa che il Governo opera ai danni del Sud, della Calabria e della Sicilia.
Tra i fatti gravi degli ultimi mesi - autentici disastri per le nostre regioni, particolarmente colpite di recente - ci sono i tagli per la difesa del suolo (490 milioni di euro già programmati e finalizzati in Calabria e 330 in Sicilia, bloccati e destinati ad altri capitali) nonché l'autentico depauperamento del settore infrastrutture e trasporti, goffamente coperti dall'agitarsi della - purtroppo costosissima - figurina del Ponte sullo Stretto. Tutto ciò raggiungerà il parossismo il prossimo 12 dicembre, allorché - con il nuovo orario ferroviario - si taglieranno tutti gli intercity da Reggio, quasi tutti i treni a lunga percorrenza, la metropolitana Melito-Reggio-Gioia, più della metà dei treni regionali siciliani e calabresi. Cui si aggiunge, la sostanziale chiusura dell'aeroporto di Reggio nei weekend, cui fa da contraltare il contemporaneo semiazzeramento dei trasporti sullo Stretto. La crisi di Governo esaspera le contraddizioni di tale situazione - e quindi i disagi dei cittadini - indebolendo ulteriormente un sistema decisionale già succube di grandi interessi, monopolistici e speculativi, evidentemente estranei alle domande di abitare, e di mobilità e in generale di vivere civile che viene espressa dalle nostre parti. Per quanto riguarda la difesa del suolo è certo positivo che le due regioni, Calabria e Sicilia, cerchino di recuperare dall'esecutivo nazionale una parte delle risorse sottratte con la distrazione di fondi già programmati e la mancata rifinalizzazione dei Fas. Tuttavia non si capisce perché la Regione Calabria tardi ad approvare definitivamente lo strumento principe di coordinamento e indirizzo delle strategie e dei progetti di tutela dell'ambiente - compresi dettagli e aggiornamenti del Pai -, cioè il Quadro territoriale regionale paesaggistico, già approvato dalla vecchia amministrazione, e poi bloccato, prima dell'approvazione definitiva, da quella attuale. Nelle condizioni odierne del territorio calabrese il Piano territoriale e paesaggistico regionale è necessità urgentissima: ormai ogni temporale di una qualche intensità diventa una tragedia. Se abbiamo gli strumenti e non li rendiamo operativi, dopo è inutile che ci stracciamo le vesti. Per quanto riguarda trasporti e infrastrutture va salutato che in questi giorni in tanti, cittadini, sindacati, partiti, esponenti politici, associazioni, comitati, stiano protestando contro i tagli. Ed è possibile - anche se non probabile - che gli effetti di qualche cancellazione vengano annullati o mitigati. Tuttavia è bene denunciare anche l'inaccettabile assurdità per cui, a fronte della “macelleria sociale” fatta di gravissime riduzioni alle strutture e ai servizi della difesa del suolo, ai collegamenti e alle infrastrutture fondamentali, a settori essenziali come sanità, scuola, università, che si aggiungono ai drammatici ulteriori problemi di lavoro e reddito, calabresi e siciliani debbano assistere alla perpetuazione dell'imbroglio del Ponte, “inutile, dannoso e, tra l'altro, infattibile”. Molti osservatori ed esperti di programmazione dei trasporti avevano detto da tempo che il rilancio del “Programma-Ponte” (oltre 400 milioni di euro spesi in quarant'anni, senza arrivare nemmeno a un progetto fattibile, a parte i pesantissimi impatti) era in sostanza una “figurina”, destinata a coprire le scelte reali; fatte dai citati tagli a territorio e trasporti. Non a caso tale fase fu inaugurata dalle decisioni del Governo Berlusconi dell'ottobre 2008, in cui si sottraevano a Calabria e Sicilia 1,3 miliardi di euro di fondi veri, già mirati alle infrastrutture urgenti e alle attrezzature territoriali, e sostituite con 1,3 miliardi di fondi finti per il Ponte: tutte le delibere Cipe destinavano infatti risorse di competenza, non di cassa, “legate alle verifiche di compatibilità di bilancio”. Finché di recente Tremonti stesso ha chiarito che “i flussi finanziari destinati alla realizzazione del Ponte potranno avviarsi dopo il primo gennaio 2013” ma ancora una volta “fatte salve le compatibilità di bilancio”. Nonostante questo, la partita-Ponte è passata dalla propaganda celebrativa, fatta di annunci mediatici, alla propaganda concreta, fatta di indagini geognostiche, vistose, invasive e ingombranti, ma inutili e discutibili nell'attuale fase di progettazione non esecutiva, e dell'attività “propedeutica” - annunciata nel dicembre 2009 e avviata nell'ottobre 2010 - per lo spostamento del binario di Cannitello (non si sa per cosa, visto che ancora non c'è progetto definitivo). Nonostante i blocchi finanziari del Tesoro, si raschia il barile e si accendono prestiti, sostanzialmente per un programma destinato a interrompersi, ma che intanto è utile a trasferire risorse pubbliche al General Contractor: che in realtà - al di là della denominazione del Consorzio - è l'eterna Impregilo, che sta già imperversando da lustri sugli infiniti cantieri dell'autostrada. E che è scoperta verso le banche di alcuni miliardi di euro, dovuti alla fallimentare gestione dell'inceneritore di Acerra: quello che avrebbe dovuto risolvere il problema dei rifiuti a Napoli, con i risultati sotto gli occhi di tutti. Impregilo aveva, in quel caso, dato in garanzia alle banche i milioni di ecoballe accatastati nell'Acerrano e dintorni e che sarebbero stati pagati dallo Stato all'incenerimento. Ma non si possono più bruciare, perché fuorilegge in quanto troppo inquinanti. Per sovrammercato si annuncia per fine anno il progetto definitivo del ponte, (con ulteriore fattura di decine di milioni di euro) anche se non esecutivo. Ma le notizie che trapelano dal Ministero fanno pensare all'ennesimo bluff: sono stati infatti allontanati i progettisti e consulenti che conoscevano realmente la questione, avendola studiata per anni (v. Calzona). Raccomandavano, infatti prudenza con molte ulteriori verifiche, e soprattutto di cambiare la configurazione del manufatto, essendo quella presente non realizzabile per problemi sismici, ambientali, di costruibilità. Invece si sta disegnando un elaborato “definitivo” costituito da un semplice “approfondimento” del preliminare, con tutte le contraddizioni tecniche irrisolte e i nodi critici già rilevati dagli stessi consulenti del progetto. Un progetto per l'esecuzione? Macché. Una nuova figurina utile alla prossima campagna elettorale e anche a continuare a trasferire fondi pubblici, già sottratti alla Calabria e alla Sicilia, alla “più grande impresa di costruzioni del Paese”. Dobbiamo pagare noi gli errori di Napoli, o no? Se ne discuterà oggi alle 17.30 in un’assemblea al centro Baden Powell a Villa San Giovanni, vicino all’imbarco dei traghetti privati.
L’imbroglio di Digilio
02/12/2010 La Basilicata al centro delle traiettorie strategiche dell’oro blu, una regione pivot tra Mediterraneo, Est ed Ovest, un anello di quella catena geopolitica che lega la Russia all’Italia e l’Italia alla Libia e alla Turchia, forse persino il vertice di un triangolo geopolitico oppure anche solo un segmento di quel corridoio commerciale grazie al quale vengono disegnate, almeno in questa fase storica, le traiettorie di una politica estera non conforme all’approccio atlantico.
La Basilicata hub di quell’intreccio di pipelines che assicureranno al Belpaese un’indipendenza energetica fondamentale per rilanciare lo sviluppo e la modernizzazione della penisola, ma soprattutto delle Regioni meridionali. La Basilicata perno di relazioni economico-politiche tra stati sullo scacchiere europeo. Nonostante questa sia la realtà dei fatti, nonostante siamo di fronte a positive potenzialità della nostra terra che le rivelazioni del sito Wikileaks hanno involontariamente confermato, i principali quotidiani locali del Sud e della Lucania di ieri sembravano cadere dalle nuvole con il loro sgomento ingenuo. Detti organi d’informazione hanno adombrato situazioni virtualmente criminogene, trascinate dal poco trasparente business del gas che non sarebbe condiviso pubblicamente dall’amministrazione territoriale e dagli organi centrali di Roma. Così il Quotidiano della Basilicata: “L’Affare sporco del gas russo in Val Basento”. Così rimbalzava la Gazzetta del Mezzogiorno: “Gas russo nella Val Basento, spunta l’affare top secret”. Ed ancora altre articolesse sui silenzi del governo e sulla mancanza di chiarezza rispetto a questi contratti. Se non ci fosse da piangere mi verrebbe da ridere. Siamo diventati la patria delle anime belle, degli uomini che credono a tutto ciò che gli viene raccontato dai media e dal politically correct degli apparati ideologici anglobalizzati. Mettiamo i puntini sulle i una volta per tutte. Ci sono legami, alleanze, intese, scambi economici che non potranno mai essere disbrigati alla luce del sole, non perché siano contornati da intenzioni malvagie o illegali ma in quanto si rischia di far saltare tutto per la rivalità e per la contrapposizione di interessi ostili, soprattutto stranieri, che non ammettono concorrenti in determinati campi fortemente redditizi o collegati alla stessa sicurezza nazionale. In quest’ottica meno infantile e più prosaica andrebbero riletti anche gli ultimi eventi che hanno toccato la Finmeccanica, umiliata da magistrati impazienti di mettere in pratica un principio astratto di legalità che danneggia il Paese e favorisce i competitors esteri del nostro gigante del settore aerospaziale.

Anche le comunità locali non stiano a preoccuparsi, nessuno le vuole gabbare, nessuno vuol far pagare ad esse le esternalità negative di certi investimenti che pure sono ad alto impatto ambientale. Se così dovesse essere, se effettivamente i loro rappresentanti politici si dimostrassero completamente insensibili al loro benessere, allora avrebbero tutto il diritto di bussare alla porta della direzione politica regionale (almeno ora che ne sono a conoscenza) e pretendere che le ricadute economiche di questi progetti siano equamente distribuite tra la popolazione. Ma non si agisca come i muli dicendo no a qualsiasi cosa solo perché le associazioni ambientaliste (o chiunque altro abbia interesse a che il sud resti sottosviluppato) diffondono, immancabilmente in questi frangenti, notizie tendenziose e senza prove su disastri ecologici ed epidemiologici. I politici lucani dovranno migliorare in questo senso ed in altri, visto che la regione sta arrancando paurosamente sotto il peso della crisi economica e la gente comincia ad infastidirsi e a protestare. Le rivelazioni di Wikileaks attestano che da noi ci sono le potenzialità per crescere e portare ricchezza in ogni angolo del territorio. I leader lucani hanno allora l'obbligo morale di lavorare in questa direzione, unanimemente e senza barriere ideologiche, da destra e da sinistra. In tutta questa vicenda c’è un elemento che in particolare vorrei rimarcare. Chi più di tutti sta cercando di fermare questa alleanza tra Gazprom ed Eni, tra l’Italia e la Russia, sono i corifei e i gregari di FLI, la nuova formazione politica di Fini. Il sen. lucano Digilio è stato quello più attivo nel tentare di stoppare o quanto meno ritardare (con interrogazioni pretestuose) il progetto di stoccaggio del gas russo in Val Basento. La cosa non deve sorprendere perché il suo capo e i dioscuri che lo fiancheggiano (Bocchino e Granata) fanno lo stesso a livello nazionale. Le ragioni non sono difficili da capire. Fini, come riportavano ancora ieri le principali testate italiane, ha ricevuto da tempo l’endorsement americano contro Berlusconi che per le teste d'uovo di Washington risulta un alleato infido ed incontrollabile. Più di tutto, gli statunitensi non gradiscono il consolidamento dell’asse Mosca-Roma e l’avanzamento del progetto di dotti Southstream (di cui sono partner Eni e Gazprom) che taglia fuori il loro Nabucco, sistema di condutture che prenderebbe materia prima dal Caucaso aggirando la Russia. Va da sé che gli uomini di Fini si gettino all'arrembaggio quando emergono informazioni di tale portata che agiscono nelle loro teste come un richiamo per uccelli addomesticati. Questi fanno di tutto per dimostrare ai loro sodali stellestrisce di essere in grado di svolgere a dovere il compito assegnatogli, quello cioè di mettere i bastoni tra le ruote all'economia e alla politica estera italiana che si proietta nel mondo con margini di autonomia decisionale, andando oltre i vecchi equilibri egemonici. E' quest'ultimo l'unico affare losco del quale dovremmo veramente preoccuparci.
di Gianni Petrosillo

Ambigui intrighi
02/12/2010 La questione energetica "gas-petrolio" in Basilicata si arricchisce di nuovi "baratti" e di nuove scottanti pubblicazioni.
Non abbiamo mai fatto mancare l'onesta e precisa denuncia del Presidente CSAIL Massaro, di Controsenso e dei parlamentari del PDL , dell'IDV e PD lucani.
Il wiki - Lucania ci confonde e ci rasserena. Ci confonde perchè siamo al centro di ambigui rapporti internazionali e di trasversali triangoli (Russia -Turchia- Germania)mai chiariti. Ci rasserena perchè fino a ieri il nostro greggio non era considerato tra... i "migliori". Ci si nascondeva dietro il dito delle cosiddette "riserve ergetiche nazionali".
Oggi le denunce sui contatori (contatori in grado di misurare le migliaia di barili estratti quotidianamente) mai attivati, e cadute nell'oblìo da secoli ... acquistano un sapore particolare. La Basilicata, mera espressione geografica, non ha mai conosciuto l'elementare correttezza di rapporti tra istituzioni regionali e di governo nazionale di centro-destra e centro-sinistra. Il Centro-sinistra ha sempre glissato sull'argomento. Poche informative e pochi approfondimenti seri.
Scajola, già ministro dello sviluppo economico, si è guardato bene dal rispondere alle interrogazioni a Lui rivolte dai parlamentari PDL. Berlusconi che conosce bene il Progetto South Streem non mai proferito un timido grazie alla Basilicata e alla sua popolazione disagiata da tanti "fumi". Eppure la notra regione ha conosciuto momenti iniziali di euforia e di esaltazione con relativa e "desueta" sudditanza.
Poi ha prevalso la legge del "Totem nero", come definito dal Prof Allegro dell'Università di Napoli sul Quotidiano di qualche settimana fa.Il Totem nero si è insediato indisturbato tra faggi e cerri, tra pascoli e sorgenti, tra campi coltivati e nuovi insediamenti artigianali, industriali e produttivi, in genere, senza pagare alcun fio e senza innalzare quel tenore e qualità di vita da tutti agognato. Oggi ci ritroviamo con momenti di gravissimo "sconforto sociale".
Dalle poche maestranze non specializzate e occupate nella prima fase ci siamo ritrovati, oggi, con le ultime 150 assunzioni tutte rigidamente ...fuori dalla Val d'Agri. La popolazione ha preso consapevolezza e sono nati tanti comitati civici spontanei che denunciano l'attuale status quo , caratterizzato da ..."Meno lavoro e più tumori", meno terre da coltivare e più espropriazioni...
Con la legge del totem nero e dei suoi incommensurabili difensori "ineggianti le meraviglie paradisiache della nuova stagione dell'economia petrolifera" si è completato un processo di un Texas lucano privo di una vera filiera. Oggi wikileaks ci fa ancora più GIUSTIZIA.
Lo sviluppo della Val d'Agri è una mera chimera. Gli ultimi dati sono disarmanti. Interi nuclei familiari hanno ripreso l'odiata valigia. Le royalties hanno fatto prevalere azioni municipali di piccolo cabotaggio e di interventi di basso profilo, senza alcun " respiro " e senza alcun effetto moltiplicatore. Sono nate piccole cattedrali nel deserto... con tanti impianti sportivi, senza il necessario bussiness plan e senza aver programmato i conseguenti alti costi di gestione. Le royalties quelle indirizzate economicamente all'innovazione e agli investimenti produttivi languono da tempo. A tal proposito bisogna far rilevare che oltre 300 milioni di euro giacciono inutilazzati nelle casse interessate. Completa questo quadro desolante la mancanza di una legge regionale al riguardo.
La Basilicata, la regione europea con maggiore concentrazione di attività petrolifera su terra ferma, non si è ancora dotata di alcuna strumentazione legislativa specifica. Lo denunciava il Prof Alliegro sul nostro Quotidiano della Basilicata. La "sbornia" iniziale, dopo le attese dei primi insediamenti faceva molto affidamento sulla Fondazione Mattei, sulla formazione dei quadri e del management locale e su un indotto capace di far crescere l'imprenditoria locale.
Tutto ciò non si è verificato, oggi wiki lucania, ci fa riflettere sulle parole del dirigente ENI Cristiano RE. Il management della Fondazione Mattei si è ben guardato dal coinvolgere l'Università lucana e i tanti ingegneri sfornati dalle nostre Facoltà (ingeneri meccanici, chimici, ambientali, elettro - strumentali ecc.). Il dr. Re pur auspicando il decollo della formazione specialistica con quadri locali non ha rassicurato nessuno come la geostock come l'ENI e come la Total. E' prevalsa un po' di disgustosa demagogia, sempre presente in queste dirigenze "nordiste" pronte a vanificare progetti e proposte rivenienti dal nostro SUD.
Il tutto senza una dovuta e giusta verifica politica sugli atti e sui fatti prodotti. Il già sindaco di Viggiano Vittorio Prinzi, anche lui, terribilmente deluso dalla Fondazione Mattei ha denunciato sempre sul nostro Quotidiano il fermo delle attività formative e le mancate promesse rivolte alla disoccupazione intellettuale della Val d'Agri.
A tutto ciò fa da contraltare una immotivata "gelosia" tra i territori e Sindaci interessati e territori contermini. Per rispondere a questa annosa questione devo far ricorso ad Alessandro Baricco e i suoi "Barbari". Lo slogan "Padrone a casa mia" e le già menzionate azioni municipali di basso cabotaggio non sono certamente forieri di progetti di ampio respiro.In un simile contesto i vari Re, Geostock, ENI e Total avranno... sempre Buon gioco.
I marciapiedi continueranno ad essere rinnovati e lucidi...i giovani intellettuali preferiranno il disgustoso e mai amato esodo. Un Patto e una sinergia condivisa tra territori cozzeranno con il modus operandi delle Amministrazioni Comunali interessate. Amministrazioni che,forse, ancora oggi, nonostante wiki lucania, intensificheranno i rapporti con le aziende estrattrici con accordi sempre più stretti e sempre più chiusi a discapito dei buoni propositi auspicati dal sindacato e delle "forze sane" lucane
In questa oggettiva situazione incresciosa resta il solo dato della ripresa dell'esodo e del miracolo che non si è verificato e non si è mai tradotto in Sviluppo Economico e Sociale. Il Totem nero del petrolio e del gas che non porta lavoro ha solo creato ..."La guerra tra i poveri", un' aria irrespirabile, qualche sospettoso aumento di malattie tumorali e tanti ambigui intrighi internazionali, poco chiari e poco comprensibili...alla maggioranza silenziosa dei lucani . Che amara consolazione...
di Mauro Armando Tita
Fonti: 
http://www.ilquotidianoweb.it/it/calabria/reggio_commento_taglio_trasporti_imbroglio_ponte_osvaldo_pieroni_alberto_ziparo_5464.html

"Solo con una manovra draconiana si può incidere su un debito stellare"
Intervista ad A. Carpinella di Emanuela Zoncu
2 Dicembre 2010
Si allentano le tensioni sulle difficoltà di bilancio di alcuni paesi della zona euro. E la riduzione dello spread tra il Bund tedesco e il Btp decennale italiano a 190 punti dai 219 toccati appena due giorni fa sta lì a dimostrarlo. Qual è la causa delle oscillazioni che abbiamo visto in questi giorni? Pesa l'instabilità politica intesa come fonte di preoccupazione dei mercati o le cause sono da ricercarsi altrove?
Per Alessandro Carpinella, partner Kpmg Corporate Finance "l'instabilità politica c'entra davvero poco".
Perché?
Questi dati sono tendenzialmente virtuali nel senso che questi spread non sono quelli pagati dal Mercato a un'Asta, non è il cartellino col prezzo che il Ministero dell'Economia deve mettere sopra il proprio strumento quando lo emette: è il prezzo che viene pagato tra operatori che si scambiano questi titoli su un mercato secondario, avendoceli già in proprietà. La massima parte di queste transazioni viene fatta tra operatori molto specializzati quindi parliamo di un mercato che è una piccola parte del mercato del debito pubblico.
Quindi la lente di ingrandimento attraverso cui guardare lo stato di salute dell’Italia è l’Asta?
Certamente. Quando il Ministero del Tesoro emette dei titoli e fa un'Asta per collocarli offre allo stesso prezzo a tutti gli operatori del mercato uno strumento avendo fatto un ragionamento su quali sono le condizioni per venderlo, quindi tende a fare il prezzo più basso cercando di avere la certezza di portare a casa la vendita di tutti gli strumenti portati all'Asta (quindi il prezzo non potrà mai essere troppo basso). Ed è quella la sede propria nella quale il rischio di Un paese viene valutato dal mercato perché è il Paese stesso nel suo Ministero dell'economia a mettere in gioco attraverso un'Asta pubblica i propri titoli di debito. Quando parliamo invece di scambi di titoli tra soggetti molto specializzati, che sono in genere banche, a formare il prezzo non è soltanto il rischio dello strumento ma anche lo stato di chi glielo vende: se la banca che vende ha necessità di farlo, chi compra può chiedere condizioni più convenienti e questo si traduce in uno spread maggiore sullo strumento che non dipende solo dal fatto se l'Italia o la Spagna siano più o meno rischiose ma anche dalla lettura che il compratore dà della necessità dell'altro di vendere.
Le ultime Aste sono andate molto bene. Cosa significa?
Che non stiamo male. Se in quelle circostanze lo spread si alzasse sistematicamente ci sarebbe da preoccuparsi, ma abbiamo visto che così non è stato. E comunque c'è da dire che siccome abbiamo una politica di scadenze del debito molto lunghe (che abbiamo opportunamente fatto quando i tassi erano molto bassi), anche nel caso che questi differenziali aumentassero sistematicamente obbligando il Tesoro a proporre dei prezzi più alti al mercato, la media del costo del debito continuerebbe a rimanere abbastanza governata.
L'allarme per un possibile "contagio" è motivato quando si deteriorano il sistema bancario e lo stato dell'economia e quando la capacità del governo di ristrutturare i conti viene meno. Partiamo dal primo punto: come stanno le nostre banche rispetto a quelle degli altri paesi?
Il sistema bancario italiano è meno esposto rispetto agli altri perché i bilanci delle banche sono pieni di crediti: nella banca italiana c'è poca finanza e molto credito. Questo non significa necessariamente che i nostri istituti di credito stiano meglio perché il credito in un momento di difficoltà economica ha subito un deterioramento importante.
In che senso?
Nel senso che oggi c'è un problema di qualità dei bilanci delle banche. All'estero c'è almeno un 40% di attivi delle banche che è fatto di finanza (in alcuni paesi supera il 50%) quindi il rischio che ci siano dei titoli di cattiva qualità dentro il bilancio delle banche è molto più elevato rispetto all’Italia dove la componente di finanza dell’attivo di una banca è del 20, massimo 30% laddove il 70% rappresenta crediti nei confronti dell’economia reale. Le banche italiane rischiano di più delle altre se l’economia reale del paese di riferimento va male, rischiano di meno delle altre se qualche grande emittente internazionale di titoli va in default. Detto in altri termini, se salviamo qualche paese che ha emesso titoli che riempiono i bilanci delle banche di fatto stiamo facendo una politica che potrebbe essere antiselettiva nei confronti degli interessi italiani perché in via proporzionale stiamo dando una mano di più a banche internazionali.
La nostra economia è talmente debole da destare forti preoccupazioni?
Il nostro problema oggi è la dimensione del debito. Quello è il solo fattore di preoccupazione. Gli altri due fondamentali fattori sono sotto controllo: la situazione del deficit (che è abbastanza buona) e la dinamica dell’economia reale con i suoi impatti sulla banca. Oggi l’Italia come sistema avrebbe dei problemi se persistesse una forte crisi di adempienze creditizie proprio perché abbiamo le banche molto esposte con i crediti. Il problema del paese quindi, dal punto di vista dei suoi effetti finanziari  è rappresentato dalle eventuali difficoltà delle imprese a ripagare i crediti con le banche perché abbiamo un’economia che molto di più, rispetto ad altri paesi, passa dal credito bancario. La situazione vede qualche miglioramento.
Sicuro?
Certamente. Siamo in una fase di miglioramento per tutta la parte del manufacturing. I flussi di nuove sofferenze si stanno calmando e alcune ristrutturazioni stanno andando bene. Siamo nel pieno della tempesta però per quanto riguarda l’edilizia e l’immobiliare, che hanno un ciclo ritardato. Anche il credito alle famiglie è stato rimesso sotto controllo.
Abbiamo ristrutturato i conti, siamo al riparo? Crede ci sia bisogno di una manovra correttiva?
Se parliamo di una manovra correttiva per correggere il deficit, no! Abbiamo il rapporto deficit-pil migliore d’Europa. Se guardiamo al debito, allora sì! C’è bisogno di una manovra draconiana esattamente come ce ne era bisogno tre o quattro anni fa. Non sono affatto convinto che possiamo dormire tranquilli con il 120% del debito/pil. Non sono affatto convinto che possiamo dormire tranquilli con 1800 miliardi di debito.
E quali sono le strade per ridurre il debito in maniera immediata e significativa?
Sono tre. Un piano molto aggressivo di privatizzazioni, un consolidamento parziale del debito, una forte inflazione. L’euro ci impedisce quest’ultima strada (dovremmo svalutare la nostra moneta ma siccome noi non abbiamo una moneta nostra…). Idem per il consolidamento del debito, che non può certamente essere deciso nell’ambito dell’area euro da ogni singolo paese. Sulle privatizzazioni invece c’è da ragionare.
Di privatizzazioni si parla molto ma nel concreto si fa poco…     
Già, purtroppo. E in questo senso il tema della forza e della stabilità del Governo è decisivo, tanto che credo che in questo momento non ci siano le condizioni politiche per dare vita a un piano davvero strategico come quello. Si dovrebbe ipotizzare un percorso di tipo straordinario con strumenti straordinari, con leggi obiettivo, con percorsi che partano proprio dall’obiettivo da raggiungere e subordinino tutto il resto.
Come si fa a coniugare rigore e crescita?
Bisogna tornare a un vecchio adagio liberale: il rigore lo fa la politica, la crescita la fanno gli attori economici. Io trovo figlio di una concezione non realistica di cosa è la politica il chiedere più sviluppo nella Finanziaria.
Si sta riferendo ai finiani di Fli?
A loro ma anche alle opposizioni in genere. Chiedere lo sviluppo per decreto è un controsenso logico. La politica fa già tanto se si occupa del rigore, farebbe tantissimo se garantisse condizioni di assoluta tenuta almeno per la parte deficit perché per la parte debito non può fare nulla senza una di quelle iniziative straordinarie di cui abbiamo parlato. I problemi dell’Italia di oggi, delle speculazioni finanziarie, non possono essere affrontati chiedendo allo Stato di farsi carico dello sviluppo perché queste richieste si trasformano in una somma di piccoli incentivi o piccoli aiuti che possono incidere su circostanze specifiche ma che nulla hanno a che fare con lo sviluppo. Io ricordo che il Mezzogiorno ha avuto i tassi di crescita più significati in quel quinquennio successivo alla drastica fine del sistema della cassa del Mezzogiorno dal quale si sono liberate una serie di energie.
Ma lei crede davvero che gli attori economici oggi siano nelle condizioni di fare sviluppo?
Alcune condizioni ci sono. Dopodiché vedo anche io con preoccupazione l’assenza dell’Italia da alcuni scenari internazionali, la scarsa internazionalizzazione di alcuni attori che in Italia sono protagonisti del proprio business, il fatto che su due o tre settori produttivi negli anni ’70 eravamo leader nel mondo (penso alle grandi costruzioni, alla meccanica strumentale) e ora non lo sono più. I problemi ci sono eccome ma da qui a chiedere un protagonismo fuori tempo massimo dello Stato ce ne passa davvero tanto…
L’Italia è uno stato liberale?
E’ una grande questione. Come diceva Guido Carli lo è più per l’incapacità di fare lo Stato burocratico che pure l’Italia ha avuto l’ambizione di fare che non per avere strategicamente pianificato di esserlo.

Emigrati italiani, 50mila nuove partenze
02/12/2010 13:08
13.08 Sono di più gli emigrati italiani che gli stranieri che arrivano in Italia. Ogni anno, 50mila connazionali partono per andare a vivere fuori patria.
Sono quattro milioni i residenti all'estero. E' quanto rivela la quinta edizione del Rapporto italiani nel mondo della Fondazione Migrantes. Sempre più numerosi i "cervelli" in fuga. I ricercatori italiani all'estero sarebbero 2mila. Gli iscritti all'Aire, l'anagrafe italiani all'estero, sono 113mila in più rispetto al 2009.

Quelli che se ne vanno: il milione di connazionali che non sopporta l’Italia
L’Italia, nel 2010 ”è ancora un Paese di emigrazione”. E’ quanto si evince dal rapporto annuale stilato dalla Fondazione Migrantes sugli italiani nel mondo. Secondo il documento oggi i cittadini italiani iscritti all’anagrafe dei residenti all’estero sono 4.028.370, il 6,7% della popolazione totale residente nella penisola.
Cifre che dimostrano un aumento dell’emigrazione italiana all’estero dato che solo nel 2009 i residenti fuori dall’Italia erano 113 mila in meno. E quattro anni fa erano addirittura un milione in meno rispetto ai dati registrati nell’aprile di quest’anno dalla Fondazione Migrantes.
”Il rapporto testimonia che l’Italia, oltre ad essere un Paese di immigrazione, è ancora un Paese di emigrazione”, ha sottolineato monsignor Giancarlo Perego, direttore di Migrantes, ricordando che si tratta, oggi, ”soprattutto di una emigrazione giovanile e questo fa pensare alla necessità di politiche giovanili, universitarie, di rafforzare tutti i programmi di ricerca in maniera significativa nell’università ma anche nelle imprese”.
Ai cittadini iscritti all’anagrafe si aggiungono poi gli oriundi italiani, che secondo il rapporto rappresentano ormai ”un’altra Italia” essendo circa 80 milioni residenti soprattutto in Brasile, Argentina e Stati Uniti.
Migrantes sottolinea poi come a dispetto della riduzione della mobilità a carattere interno è aumentata la popolazione di pendolari all’estero e di persone che si spostano momentaneamente fuori dal Paese mantenendo la residenza in Italia.
”Circa 3 milioni di italiani all’anno si spostano per brevi periodi all’estero”, ha spiegato Franco Pittau, responsabile del rapporto precisando come per esempio in una città ad altra flusso immigratorio come Londra gli italiani ufficialmente residenti siano 60 mila, ma, in realtà, sono circa 100 mila i connazionali che vivono nella capitale inglese.
2 dicembre 2010 | 13:16
Fonti:
http://rassegnastampa.mef.gov.it/mefeconomica/Default.aspx
http://www.rainews24.it/it/news.php?newsid=147961
http://www.televideo.rai.it/televideo/pub/view.jsp?id=41&p=101
http://www.loccidentale.it/articolo/manu.0099431

venerdì 3 dicembre 2010
Dal Cipe nemmeno 1 euro alla Sicilia
di Raffaella Pessina
Cipe. “Comitato interministeriale per la perdita economica”.
Seduta del 18 novembre. Le opere sbloccate del Programma infrastrutture strategiche (Legge 433/2001) soddisfano soprattutto le regioni che si estendono al nord dello stivale.
Fas. Dal Fondo per le aree sottoutilizzate sono stati sottratti dal Cipe, nella stessa seduta del 18 novembre, 400 mila € per destinarli alla Scuola europea di Varese.

Nel leggere il titolo del quotidiano “la Padania” del 19 novembre scorso “Il Cipe apre i cordoni della borsa, ok a opere per 21 miliardi di euro” non possiamo che avvertire un pò di invidia, anche perchè scrivono pure: “La maggior parte dei fondi va al Nord”. è proprio così. Dei 21 miliardi, ben 16,2 vanno al Nord non solo per l’alta velocità, ma anche per gallerie, valichi e il Mose di Venezia che così giungerà al 75 per cento della sua realizzazione. Si tratta di benefici immediati, visto che le risorse andranno destinate ad interventi subito cantierabili cui lo Stato, appunto, garantisce la copertura finanziaria globale.
Dei progetti cantierabili per l’Isola nessuno in elenco da finanziare subito, si rimanda sempre come i fondi Fas, che nel frattempo si assottigliano. Basti pensare che dalla stessa seduta Cipe 400 mila euro sono stati dirottati alla scuola europea di Varese.

Il Comitato interministeriale per la programmazione economica nella seduta del 18 novembre scorso ha approvato il Programma delle Infrastrutture Strategiche per gli anni 2011/2013. La maggior parte dei progetti approvati riguarda le regioni del Nord Italia (Trentino Alto Adige, Liguria, Lombardia Veneto e Piemonte) e gli altri progetti approvati si fermano alla Campania, con la proroga della dichiarazione di pubblica utilità dell’Interporto di Battipaglia.

Più a Sud, dove le infrastrutture strategiche sono totalmente carenti, non è stato previsto alcuno stanziamento. Anzi dai Fondi Fas il Cipe ha sottratto 400.000 euro da destinare alla Scuola Europea di Varese. La notizia viene ripresa dai giornali, anche dal nostro “Quotidiano di Sicilia” il 23 novembre, che nota come al vertice del Cipe vi sia proprio un siciliano, Gianfranco Miccichè e ci si chiede come mai non sia arrivato un soldo in Sicilia. Subito il sottosegretario si affretta a diramare un comunicato (il 23 novembre) nel quale specifica di voler fare chiarezza. “Nel corso dell’ultima riunione del Cipe – scrive nella nota – abbiamo destinato al Sud nuove risorse per circa 477 milioni di euro, di cui 300 milioni alla Puglia e 177 milioni per interventi nel settore irriguo e della bonifica nelle Regioni del Mezzogiorno. Le opere al Nord – si affretta a chiarire Miccichè – non sono nuovi finanziamenti, ma riguardano lo stato di avanzamento di lavori già approvati o di opere già iniziate e da completare.

Dopo qualche giorno, il tempo di metabolizzare quanto accaduto, e il Governatore della Sicilia tuona contro Gianfranco Miccichè, sottosegretario con delega al Cipe e il 25 novembre, in una nota, scrive “i cittadini Siciliani vedano come sono stati assegnati i 21 miliardi di euro: le briciole, qualche decina di milioni, solo per alcune opere a Taranto e a Bari. Tutto il resto va al Nord. Questa è la fotografia di come il Governo nazionale tratta il Nord ed il Sud”. Secca la risposta di Miccichè che ha dichiarato che dalla Sicilia non era arrivata alcuna richiesta, anzi per “quanto riguarda la Ragusa-Catania il 30 agosto scorso abbiamo ricevuto una lettera firmata proprio dal presidente Lombardo, con la quale siamo stati informati che la Regione aveva deciso di ritirare il cofinanziamento, bloccando di fatto il finanziamento già assegnato”.

Una controreplica è arrivata da Giuseppe Reina, ex sottosegretario Mpa alle infrastrutture che ha dichiarato “La riunione del Cipe, con le sue conclusioni costituisce la summa della deriva politica di un governo che non è più solo strabico, ma rivolto ormai verso il Nord”. E prosegue criticando Miccichè che “dovrebbe spiegare ai siciliani la verità più che ratificare con una mera presenza acritica decisioni molto gravi per il futuro del Meridione e della Sicilia”.

E sempre il 24 novembre il governatore della Sicilia ha detto che “gli edili se ne vogliono andare perché il Cipe, dopo un anno e mezzo, non ha emesso nemmeno il decreto per dare la certezza che i fondi Fas saranno disponibili”. Un contenzioso ormai aperto da tempo perché lo Stato Centrale dichiara che la Sicilia non ha speso ancora i Fondi Fas degli anni precedenti e quindi non vuole erogare altri soldi che rimarrebbero “posteggiati”. Poi, l’intervento del Governo Berlusconi per il Sud: il 26 novembre scorso il Consiglio dei Ministri ha varato il Piano nazionale per il Sud. Il Piano, del valore complessivo di 80 miliardi di euro, rappresenterebbe un atto di impegno politico e di indirizzo strategico con lo scopo di ridurre il divario territoriale. Il Piano prevede otto priorità raggruppate in tre obiettivi strategici: infrastrutture, ambiente e beni pubblici; competenze ed istruzione; innovazione, ricerca e competitività. A queste si aggiungono altre cinque priorità strategiche di carattere orizzontale, da attuare rapidamente per creare nel Mezzogiorno un ambiente favorevole e precondizioni adeguate al pieno dispiegamento delle sue potenzialità di sviluppo: sicurezza e legalità; certezza dei diritti e delle regole; pubblica amministrazione più trasparente ed efficiente; Banca del Mezzogiorno; sostegno mirato e veloce per le imprese, il lavoro e l’agricoltura. Ma l’assessore regionale all’Economia, Gaetano Armao, ha osservato: “il piano per il Sud comporta un taglio del 10% ai fondi Fas, cosa che per la Sicilia determina 1 mld di euro in meno”.
Articolo pubblicato il 03 dicembre 2

Terroni perche’ strabici
Le riflessioni de Il Pitagorico ricominciano dal Mezzogiorno. Non soltanto per ragioni geografiche ma, politiche, culturali, di identità nazionale.
La banalità, la faciloneria, la mancanza di lungimiranza, è quanto sta caratterizzando questa fase di pseudo – meridionalismo, strumentale e vuoto, sia al centro che in periferia, portato di dirigenti inidonei figli delle circostanze, immersi nel presente, indifferenti al futuro.  L’impegno a sviluppare la progettualità per il Mezzogiorno, nella progettualità riformista del Paese, è stato sostituito dal nulla delle idee e dei programmi.
Chiuso con un saldo fallimentare del meridionalismo il lungo periodo di quasi un secolo, dall’Unità di Italia a tutto il periodo fascista, con l’avvento della Repubblica e della democrazia italiana, ogni grande stagione  di sviluppo e di riforme è stata caratterizzata da un’idea forza per il Mezzogiorno.
Il primo decennio della Repubblica fu caratterizzato dalla riforma agraria, che cambiò in modo significativo i rapporti sociali e la geografia economica delle terre del sud. I decenni successivi furono segnati dal grande obiettivo di industrializzare il Mezzogiorno, puntando sulla strategia dei poli di sviluppo e della grande industria di base. Venne poi il tempo della crescita nell’urbanizzazione, in un Mezzogiorno che cominciava ad essere percepito come una realtà in sviluppo differenziato, o più semplicemente “a macchia di leopardo”.     Oggi per parlare del Mezzogiorno in modo persuasivo, è necessario esprimere un’idea forza che dia funzione trainante all’Italia del Sud, capace di costruire un nuovo progetto di crescita dando respiro e concretezza ad un coordinato insieme di obiettivi finalizzati. Questa idea forza nasce dalla realtà e dalle cose oltre che dalla sua collocazione geoeconomica nel cuore del mediterraneo; e Taranto vi svolge una funzione di grande importanza.   
Come abbiamo più volte affermato, per l’evoluzione globale dell’economia e delle relazioni fra grandi sistemi territoriali; per l’ingresso dei grandi produttori e consumatori dell’Oriente nel mercato mondiale; per l’irreversibile integrazione del mercato europeo ed il suo allargamento alle realtà slave e balcaniche; per la crescita di un sistema di relazioni economiche sub-mediterranee fra Sud Europa, Nord Africa e Medio Oriente; per tutto questo ed altro, il Mediterraneo si avvia a diventare il più importante bacino di traffici del mondo, destinato a crescere nella domanda di snodi commerciali e sistemi di mobilità delle merci.
A questa crescita costante ed inarrestabile della domanda commerciale, non corrisponde ancora un’adeguata offerta di accoglimento, di smistamento ed, in sintesi complessa, di logistica integrata, con le attività industriali connesse e le nuove filiere produttive, di beni immateriali e di servizi. L’idea forza per il Mezzogiorno, nei primi anni del terzo millennio, è quella di essere la piattaforma economica e logistica, dal Sud, del più importante mercato mondiale, per quantità e qualità dei consumi, per il livello di assorbimento e di sviluppo, per quantità e qualità della produzione.
Questo mercato, che comprende l’Europa allargata, i Paesi slavi e la Russia, i Paesi balcanici ed il Medio-Oriente, l’Africa del Nord, ha bisogno urgentemente di queste strutture di servizio, che il Mezzogiorno d’Italia è in condizioni di fornire in tempi brevi, se adeguatamente sostenuto da una politica mirata e consapevole.
Di questa politica il governo centrale è un importante ma non esclusivo protagonista.
Fondamentali sono le regioni meridionali, perché hanno il potere e le risorse, soprattutto territoriali, per poter esercitare un ruolo determinante nella costruzione del nuovo soggetto strategico, destinato a cambiare equilibri e primati nel Mediterraneo.    
Le regioni meridionali hanno un’occasione che non possono perdere. Si lascino ad altri le parole vuote e le polemiche da salotto televisivo: chi vuole essere protagonista nelle regioni esprima un progetto per il Sud, che sia anche fattore di cambiamento e di sviluppo per il Paese, affermandosi sul campo come nuova classe dirigente riformatrice e non solo come espressione di una tendenza volatile e protestataria.
é grave che a distanza di 40 anni di istituzione delle Regioni, non si sia avvertita da nessuna parte politica - di destra, di sinistra e di centro – l’esigenza di una riflessione critica sul ruolo delle Regioni, soprattutto nel Mezzogiorno, sul risultato della loro missione, sul bilancio complessivo alla vigilia della riforma federale che affida nuovi poteri e nuove responsabilità mentre si continua a procedere senza progetti assorbiti dalla gestione quotidiana e conservatrice.
Il primo grande compito che devono necessariamente assumersi le forze dirigenti più accorte, aperte ed interessate al cambiamento con grande spirito critico sulle responsabilità e sulle vicende interne al Mezzogiorno è quello di arrestare il processo di demolizione sistematica, che si è reso ancor più acuto è pericoloso in questa stagione politica, della società meridionale considerato un tutt’uno omogeneo, un buco nero centro di malaffare, mala politica e malavita, da dissolvere per impedire che il male si estenda al corpo sano della nazione.
Una visione, quella di un Mezzogiorno irriformabile, irreale e strumentale, buona per la propaganda antiunitaria ma micidiale per il futuro dell’Italia.


CRISI: BOCCONI, AZIENDE FAMILIARI HANNO REDDITIVITA' PIU' ALTA
11:46 01 DIC 2010
(AGI) - Milano, 1 dic. - Rispetto alle altre aziende, quelle a controllo familiare hanno redditivita' piu' alta.
Lo spiega il rapporto 2010 dell'Osservatorio Aub, promosso dall'Universita' Bocconi, da Unicredit e dall'Associazione italiana aziende familiari. "Nonostante la crisi - spiega un comunicato - le aziende familiari italiane producono performance di redditivita' superiori alle altre imprese. Negli ultimi anni hanno iniziato a contenere l'indebitamento, ma sono state meno aggressive nella riduzione dei costi". Dal 2000 al 2008 tali aziende hanno mostrato una redditivita' operativa (Roi) e una redditivita' del capitale proprio (Roe) superiori rispettivamente di 1,3 e 0,7 punti rispetto alle imprese non familiari. Valori che pero', sottolinea lo studio, "mascherano un dimezzamento del divario di Roi tra imprese familiari e non, sceso da +1,9 punti nel 2007 a 0,8 nel 2009, evidenziando la necessita' del recupero di sacche d'inefficienza che consentano una riduzione dei costi". Fra gli altri aspetti, il comunicato evidenzia come la governance delle aziende e' "soprattutto individualistica", anche se "il modello collegiale e' in aumento". Vincono le imprese giovani (se il leader ha meno di 50 anni la redditivita' e' piu' alta), mentre stenta ancora la presenza femminile ai vertici. L'analisi dell'Osservatorio, condatta su 2522 gruppi familiari con fatturato superiore ai 50 milioni operanti in Italia a fine 2008, "getta luce innanzitutto sulla reazione delle imprese alla crisi". Infatti, "se da un lato nel biennio 2008-09 la crescita si e' ridimensionata ai livelli 2005 (158% rispetto al 174% del 2007, facendo 100 i ricavi nel 2000)", dall'altro "la riduzione del capitale circolante dovuta alla contrazione dei ricavi ha determinato un incremento delle disponibilita' liquide, evidenziando una capacita' futura di investimento maggiore, determinante per agganciare il treno della ripresa". (AGI) .
Fonte:

di Raffaella Pessina
Cipe. “Comitato interministeriale per la perdita economica”.
Seduta del 18 novembre. Le opere sbloccate del Programma infrastrutture strategiche (Legge 433/2001) soddisfano soprattutto le regioni che si estendono al nord dello stivale.
Fas. Dal Fondo per le aree sottoutilizzate sono stati sottratti dal Cipe, nella stessa seduta del 18 novembre, 400 mila € per destinarli alla Scuola europea di Varese.

Nel leggere il titolo del quotidiano “la Padania” del 19 novembre scorso “Il Cipe apre i cordoni della borsa, ok a opere per 21 miliardi di euro” non possiamo che avvertire un pò di invidia, anche perchè scrivono pure: “La maggior parte dei fondi va al Nord”. è proprio così. Dei 21 miliardi, ben 16,2 vanno al Nord non solo per l’alta velocità, ma anche per gallerie, valichi e il Mose di Venezia che così giungerà al 75 per cento della sua realizzazione. Si tratta di benefici immediati, visto che le risorse andranno destinate ad interventi subito cantierabili cui lo Stato, appunto, garantisce la copertura finanziaria globale.
Dei progetti cantierabili per l’Isola nessuno in elenco da finanziare subito, si rimanda sempre come i fondi Fas, che nel frattempo si assottigliano. Basti pensare che dalla stessa seduta Cipe 400 mila euro sono stati dirottati alla scuola europea di Varese.

Il Comitato interministeriale per la programmazione economica nella seduta del 18 novembre scorso ha approvato il Programma delle Infrastrutture Strategiche per gli anni 2011/2013. La maggior parte dei progetti approvati riguarda le regioni del Nord Italia (Trentino Alto Adige, Liguria, Lombardia Veneto e Piemonte) e gli altri progetti approvati si fermano alla Campania, con la proroga della dichiarazione di pubblica utilità dell’Interporto di Battipaglia.

Più a Sud, dove le infrastrutture strategiche sono totalmente carenti, non è stato previsto alcuno stanziamento. Anzi dai Fondi Fas il Cipe ha sottratto 400.000 euro da destinare alla Scuola Europea di Varese. La notizia viene ripresa dai giornali, anche dal nostro “Quotidiano di Sicilia” il 23 novembre, che nota come al vertice del Cipe vi sia proprio un siciliano, Gianfranco Miccichè e ci si chiede come mai non sia arrivato un soldo in Sicilia. Subito il sottosegretario si affretta a diramare un comunicato (il 23 novembre) nel quale specifica di voler fare chiarezza. “Nel corso dell’ultima riunione del Cipe – scrive nella nota – abbiamo destinato al Sud nuove risorse per circa 477 milioni di euro, di cui 300 milioni alla Puglia e 177 milioni per interventi nel settore irriguo e della bonifica nelle Regioni del Mezzogiorno. Le opere al Nord – si affretta a chiarire Miccichè – non sono nuovi finanziamenti, ma riguardano lo stato di avanzamento di lavori già approvati o di opere già iniziate e da completare.

Dopo qualche giorno, il tempo di metabolizzare quanto accaduto, e il Governatore della Sicilia tuona contro Gianfranco Miccichè, sottosegretario con delega al Cipe e il 25 novembre, in una nota, scrive “i cittadini Siciliani vedano come sono stati assegnati i 21 miliardi di euro: le briciole, qualche decina di milioni, solo per alcune opere a Taranto e a Bari. Tutto il resto va al Nord. Questa è la fotografia di come il Governo nazionale tratta il Nord ed il Sud”. Secca la risposta di Miccichè che ha dichiarato che dalla Sicilia non era arrivata alcuna richiesta, anzi per “quanto riguarda la Ragusa-Catania il 30 agosto scorso abbiamo ricevuto una lettera firmata proprio dal presidente Lombardo, con la quale siamo stati informati che la Regione aveva deciso di ritirare il cofinanziamento, bloccando di fatto il finanziamento già assegnato”.

Una controreplica è arrivata da Giuseppe Reina, ex sottosegretario Mpa alle infrastrutture che ha dichiarato “La riunione del Cipe, con le sue conclusioni costituisce la summa della deriva politica di un governo che non è più solo strabico, ma rivolto ormai verso il Nord”. E prosegue criticando Miccichè che “dovrebbe spiegare ai siciliani la verità più che ratificare con una mera presenza acritica decisioni molto gravi per il futuro del Meridione e della Sicilia”.

E sempre il 24 novembre il governatore della Sicilia ha detto che “gli edili se ne vogliono andare perché il Cipe, dopo un anno e mezzo, non ha emesso nemmeno il decreto per dare la certezza che i fondi Fas saranno disponibili”. Un contenzioso ormai aperto da tempo perché lo Stato Centrale dichiara che la Sicilia non ha speso ancora i Fondi Fas degli anni precedenti e quindi non vuole erogare altri soldi che rimarrebbero “posteggiati”. Poi, l’intervento del Governo Berlusconi per il Sud: il 26 novembre scorso il Consiglio dei Ministri ha varato il Piano nazionale per il Sud. Il Piano, del valore complessivo di 80 miliardi di euro, rappresenterebbe un atto di impegno politico e di indirizzo strategico con lo scopo di ridurre il divario territoriale. Il Piano prevede otto priorità raggruppate in tre obiettivi strategici: infrastrutture, ambiente e beni pubblici; competenze ed istruzione; innovazione, ricerca e competitività. A queste si aggiungono altre cinque priorità strategiche di carattere orizzontale, da attuare rapidamente per creare nel Mezzogiorno un ambiente favorevole e precondizioni adeguate al pieno dispiegamento delle sue potenzialità di sviluppo: sicurezza e legalità; certezza dei diritti e delle regole; pubblica amministrazione più trasparente ed efficiente; Banca del Mezzogiorno; sostegno mirato e veloce per le imprese, il lavoro e l’agricoltura. Ma l’assessore regionale all’Economia, Gaetano Armao, ha osservato: “il piano per il Sud comporta un taglio del 10% ai fondi Fas, cosa che per la Sicilia determina 1 mld di euro in meno”.
Articolo pubblicato il 03 dicembre 2


Da dove viene la magia del sud?
David Signer, Autore
25.05.2010   Il turista all-inclusive trascorre le vacanze in Turchia, il grafico sogna una casa in Toscana, il professore universitario è rapito dall'antica Roma. L'esoterico si reca in pellegrinaggio in un ashram indiano, mentre la star hollywoodiana acquista un'isola caraibica. Ebbene sì: perfino il pensionato trascorre la terza età in Spagna. Pur nella loro diversità e presunta individualità, tutte queste figure cedono al fascino del sud come uno stormo di uccelli nel cielo autunnale.
Incline a considerare i sentimenti una manifestazione naturale e generica, l'essere umano non sembra consapevole della matrice sociale e storica di timori, sdegni, speranze, sogni e desideri. Benché la "magia del sud" evochi in ognuno di noi immagini immediate, tendiamo a dimenticare che questa sensazione è un'"invenzione" nordeuropea di cui gli storici conoscono l'esatta data di nascita: il 5 aprile 1768, quando Louis Antoine de Bougainville approdò a Tahiti. Nel diario di viaggio dell'esploratore si legge che, non appena ebbe gettato l'ancora, gli indigeni "presero a incitarci a sceglierci una donna e recarci a terra con lei, mentre con gesti inequivocabili ci davano a intendere come avremmo dovuto fare la loro conoscenza. Provate a immaginare!".

Comprensione per i disertori nei mari del sud
In occasione della spedizione successiva nei mari del sud, capitanata da James Cook, al momento di salpare uno dei marinai saltò fuori bordo e fece ritorno a nuoto sull'isola per restarci. Dimostrando piena comprensione per il disertore, nel suo resoconto intitolato "Viaggio intorno al mondo" Georg Forster annotò: "Il nostro vile popolo è condannato a fatiche disumane e lavoro senza tregua. Quant'è invece diversa la vita dei tahitiani! Che serenità, che quiete!".

Nel 1789 – anno della rivoluzione francese – un'azione liberatoria simile a quella del marinaio ebbe per protagonista un intero equipaggio. Dopo lunghe peregrinazioni gli ammutinati del Bounty sbarcarono a Pitcairn, un'isola deserta dei mari del sud in cui decisero di stabilirsi e dove i loro discendenti vivono ancora oggi. I resoconti delle condizioni di vita paradisiache sulle remote isole – "la vera Utopia, un giardino dell'Eden", scrisse Bougainville – destarono grande scalpore in Europa. A riprendere bramosamente le descrizioni dei selvaggi dallo spirito nobile e non corrotto dalla civilizzazione furono soprattutto artisti, scrittori e filosofi, non da ultimo per muovere una critica ad aspetti della propria società quali pruderie, mania dell'ordine, militarismo, repressione e chiesa. Ispirato da Bougainville, l'illuminista Denis Diderot redasse un manifesto sulla libertà sessuale, mentre nel 1808 venne snidata un'associazione studentesca clandestina desiderosa di vivere nei mari del sud "libera e indipendente, avulsa dai vincoli delle imposizioni esterne". I capibanda di questa antesignana combriccola di anticonformisti finirono in gattabuia.

Il fatto che ai fortunati abitanti del paradiso dell'Oceania fossero apparentemente riservati solo i piaceri dell'esistenza terrena trova conferma anche in una lettera su Tahiti scritta da Paul Gauguin nel 1890: "Per loro, la vita è tutta canto e amore". Ammaliato dalla magia del sud, l'anno seguente il pittore s'imbarcò alla volta dell'isola, dove morì nel 1903, alquanto disilluso.

L'Italia e la topografia interiore
In forma moderata, un modo per cedere alla magia del sud era il "Grand Tour", il viaggio in Italia, Spagna o Terra Santa pressoché di rigore tra gli aristocratici a cui nel XIX secolo subentrò il più borghese soggiorno d'istruzione a Roma, Firenze e Venezia, che Goethe non mancò di descrivere in "Viaggio in Italia". Va da sé che anche questa precoce espressione di turismo culturale era alimentata non già dal desiderio di ammirare statue antiche, rovine, chiese o musei, bensì da una vaga promessa di evasione, libertà, calore, abbandono, erotismo…

Affascinato dai colori del sud
Ancora più a sud si spinsero nel 1914 i pittori Paul Klee, August Macke e Louis Moilliet con il loro celebre "viaggio a Tunisi", che si rivelò estremamente fecondo sul piano artistico. "Il colore mi possiede", scrisse Klee entusiasta dal Nordafrica. "Non ho bisogno di impossessarmene… È questo il senso del momento magico: io e il colore siamo una cosa sola. Sono un pittore".

Ai giorni nostri, se noi residenti a nord delle Alpi decidiamo di approfittare del poco tempo libero a disposizione per metterci in viaggio alla volta del Ticino o dell'Italia incuranti delle lunghe code che ci attendono, è perché – volenti o nolenti – ripercorriamo le orme di Bougainville, Gauguin, Goethe e degli altri amanti del sole che ci hanno preceduto. La magia del sud, per quanto primordiale e spontanea ci possa apparire, segue schemi e immagini dalle profonde radici culturali.

"Il sud è un'idea, lo portiamo in noi", scrive Dieter Richter nell'opera di recente pubblicazione "Der Süden – Geschichte einer Himmelsrichtung" (disponibile in lingua tedesca). "Ma il sud è anche una realtà", prosegue. Ne è un esempio il fatto che oggi, per la prima volta nella storia, i movimenti migratori dal sud al nord superano quelli nella direzione opposta. "Tra sud immaginario e sud reale", sostiene Richter, "sussiste una perenne interazione, sogno e conquista sono le due facce della stessa medaglia".

L'ambivalente sud
Da oltre due secoli il sud è in parte sogno, in parte incubo. "È ovunque il paradiso in terra", scrisse nel 1930 lo scultore Ernst Rietschel nei pressi di Napoli, "o lo sarebbe se non ci fossero gli individui appartenenti alla stirpe più infima che abbia mai incontrato". Tale ambivalenza è in atto sin dagli albori del turismo: talvolta oggetto di ammirazione per la loro apparente capacità di cogliere l'attimo senza curarsi troppo del domani, i popoli del sud sono spesso stati disprezzati proprio per questa irresponsabilità e "pigrizia". Già ai tempi di Goethe tale critica è stata mossa agli italiani e più tardi, con ulteriore veemenza, agli africani e ad altri "indigeni". Dai primi scopritori fino ai colonialisti e ai turisti moderni, la percezione dei paesi lontani è stata caratterizzata da una mescolanza di fascino, invidia, compassione, disprezzo e avversione. A tutt'oggi trova sostegno una sorta di teoria climatica di cui ci serviamo per fornire una spiegazione intuitiva delle differenze di mentalità: il freddo rende l'uomo distaccato, razionale, sistematico e controllato, mentre il caldo lo rende cordiale, emotivo, spensierato e disinibito. "Ciascuno vive alla giornata, giacché ogni giorno è uguale agli altri e non vi è la necessità di prepararsi ai tempi di penuria o all'inverno", scrisse già Goethe da Napoli nel 1797.

I primi anticonformisti
Anche la figura dell'anticonformista, che per così dire prolunga la vacanza facendone uno stile di vita, risale a ben prima degli anni Settanta.

Oltre al Monte Verità sovrastante Ascona, ad attirare bohémien, rivoluzionari, pensatori, libertini e dandy agli inizi del XX secolo era soprattutto l'isola di Capri, patria d'elezione anche di Jacques d'Adelswärd-Fersen, un personaggio particolarmente estroso che fece onore al suo eccentrico nome. Abbandonata Parigi in seguito a un clamoroso processo per messe nere e "istigazione di minori alla dissolutezza", nel 1903 si fece costruire a Capri una villa in stile neoclassico con tanto di terme romane e fumoir per l'oppio sotto Villa Jovis, dove due millenni prima l'imperatore Tiberio aveva organizzato le sue leggendarie orge. Nel romanzo "Et le feu s'eteignit sur la mer", d'Adelswärd-Fersen narra di un giovane uomo che scopre la bellezza dell'amore omosessuale al cospetto delle statue di giovinetti nudi a Napoli. Sebbene Capri e il culto dell'antichità siano passati un po' di moda, i motivi che allora indussero molti visitatori a compiere un viaggio in Italia non erano poi così diversi da quelli di chi oggi si reca a Ibiza per partecipare a feste, cerca facili avventure sessuali in Thailandia e in Kenia o parte per il Marocco inseguendo la "bellezza dell'amore omosessuale".

Il sud è salutare?
Al giorno d'oggi, milioni di villeggianti si accalcano ogni estate su spiagge assolate – o quantomeno nel centro abbronzatura dietro l'angolo – nella convinzione che la salute tragga giovamento dalla tintarella. O sole mio. Al contempo, i medici mettono in guardia da scottature solari e tumori della pelle. Anche questa dicotomia non è una novità. Se già gli illuministi erano dell'avviso che i raggi solari a contatto con la pelle avessero un effetto vitalizzante per il corpo e la mente e l'aria calda fosse corroborante, circolavano innumerevoli teorie circa i danni causati da vapori pestilenziali ed esalazioni nel clima esotico. Naturalmente, nella valigia del viaggiatore colto non potevano mancare il termometro, il barometro e addirittura l'"aerometro", un arcano strumento per misurare la purezza dell'aria. Nel 1817 venne pubblicato un articolo "scientifico" che profetizzava l'estinzione dei popoli del sud a causa di miasmi: "Della scomparsa dei paesi, in particolare l'Italia, e del suo avvelenamento a opera dell'aria inquinata". Era inoltre convinzione diffusa – e forse in parte giustificata – che la disciplinata anima dei nordici potesse essere corrotta dall'influsso del sud. "Nessuno cammina impunemente sotto le palme", scrisse Goethe, "e certamente le idee cambiano in un paese dove elefanti e tigri sono di casa".

La contraddizione si manifesta anche nel fatto che, se da un lato imponiamo il nostro stile di vita più o meno aggressivamente nel mondo intero, dall'altro nutriamo la credenza che il segreto della felicità sia custodito proprio da coloro che si oppongono o riescono (ancora) a sottrarsi alla civilizzazione. E così, in migliaia di presunti turisti "individuali" e "alternativi", partiamo alla volta del loro giardino dell'Eden per prendere parte alla loro precaria felicità, che proprio così facendo contribuiamo a distruggere.

Il lato freddo della medaglia
A conclusione delle riflessioni sul sud non può mancare una destinazione paradossale. Com'è risaputo, più si procede verso sud, più le temperature s'innalzano, ma poi calano nuovamente. Bisognò attendere il 14 dicembre 1911 perché il primo uomo raggiungesse il polo sud: Roald Amundsen. Un mese più tardi giunse a destinazione anche il suo concorrente, Robert Falcon Scott, che sulla strada del ritorno morì assiderato assieme ai suoi quattro compagni di viaggio. Nel suo diario, pubblicato postumo, si legge: "Ci siamo trascinati faticosamente in questo luogo terribile e in compenso non ci viene nemmeno data la consapevolezza di essere stati i primi". Il polo sud: il luogo in cui si cade vittime del gelo, ma sicuramente non della magia del sud.


8 ottobre 2004
Val d'Agri, l'oro nero made in Italy
Il petrolio sgorga libero in un ruscello alle spalle delle piscine comunali di Tramùtola, paese di 3mila abitanti sulle colline della Val d'Agri. Nella Lucania Saudita c'è la sorgente del greggio, la fontana del petrolio: il sogno di ogni geologo e di ogni Rockefeller.
Fra gli alberi c’è la sorgente e un ruscello di acqua e greggio; a ogni sasso l’acqua iridescente gonfia una schiuma giallastra e tenace. L’erba sulle rive è nera e unta; fra i castagni non c’è profumo di funghi e di terra umida; l’odore è di un distributore di benzina. Un distributore naturale: durante la seconda guerra mondiale i camion Bl assetati del Regio Esercito facevano il pieno direttamente ai 41 pozzi trivellati dal 1934 a Tramutola dall’Agenzia generale italiana petroli. Questo è il Texas nostrano, è l’Arabia dell’Italia. È la val d’Agri, fra Potenza e Metaponto.
Qui si estraggono ogni giorno più di 70mila barili di petrolio da un giacimento di almeno 539 milioni di barili, che sembrano sempre crescere con il migliorare delle tecnologie. Quando saranno finite le nuove trivellazioni, le cui torri punteggiano monte Enoc, Viggiano, Marsico Nuovo e le alture ai margini della vallata, si arriverà sui 100mila barili. Il 6% della domanda italiana di petrolio.
Nella sola giornata di ieri ne erano stati estratti 71.644, pari a un valore ipotetico di 3,7 milioni di dollari. Dollari e petrolio: perfino il bar pizzeria vicino al campo sportivo di Tramutola si chiama «Il petrodollaro».
In val d’Agri il giacimento è dell’Eni in cordata con la Shell. Dai pozzi — poco visibili: una recinzione di rete, qualche tubo lucido, le valvole, la baracca piena di strumentazioni — esce un petrolio fine ed effervescente. Più pregiato del Brent. Via oleodotto, va allo stabilimento di Viggiano, nel fondovalle. A Viggiano, sotto il traliccio della torcia che fiammeggia giorno e notte, è raccolto il metano che conferisce l’effervescenza al greggio; il petrolio depurato va nelle condotte fino alla raffineria Agip di Taranto. E lì quel greggio lucano diventa la benzina e il gasolio che si bruciano nei motori della Puglia.
Poco lontano dalla val d’Agri — verso Corleto e Laurenzana — c’è un altro grande giacimento, quello di Tempa Rossa, con 420mila barili di un petrolio meno pregiato, più pesante. Sta sotto 5-6 chilometri di roccia. Ma è un greggio ricco di metalli che, a Taranto, dopo 2mila barili, manda in crisi i catalizzatori della raffineria. Bisognerà costruire un impianto di trattamento a Corleto e il petrolio sarà distillato in una raffineria meno sensibile di quella di Taranto, come per esempio la Saras dei Moratti.
Quanto vale il greggio pesante di Tempa Rossa? «A barile, 7-10 dollari in meno del Brent», dicono gli ingegneri. Il giacimento di Tempa Rossa è della Total insieme con ExxonMobil e Shell. Non è in produzione, tranne alcune partite sperimentali già estratte che fanno immaginare una produzione futura di 50mila barili al giorno. Non si produce greggio a Tempa Rossa perché manca ancora l’accordo con la Regione Basilicata sulle royalty.
Mercoledì il sottosegretario alle Attività produttive, Giovanni Dell’Elce, ha cercato di mediare con il presidente della Regione, Filippo Bubbico, un accordo per dare alla Total il via libera all’estrazione. La Regione cerca di usare la carta del petrolio per uscire dalla povertà, dalla disoccupazione, dal sottosviluppo, dall’emigrazione che ha trasferito in Germania e in Svizzera gli abitanti dei paesi arroccati sui monti.
Ma il sottosviluppo, in Basilicata e soprattutto in val d’Agri, sembra un luogo comune a confronto con i problemi veri del Mezzogiorno. In questa Svizzera del Mezzogiorno, in questa Lucania Felix, la cultura è profonda e vissuta; il diploma alle superiori non serve solamente per la ricerca di un lavoro e perfino il cineteatro Eden di Villa d’Agri (che proietta film dei festival di Cannes e Venezia) ha per motto «da noi la cultura è di casa». Con il petrolio i lucani non sono diventati sceicchi, ma le strade sono (in genere) pulite, i guidatori indossano (quasi sempre) la cintura di sicurezza, la mafia si vede (quasi soltanto) in televisione.
A chi vanno i soldi di questo petrolio? Una quota — per legge le royalty sono il 7% del valore del greggio estratto — va alla Regione e allo Stato. Il resto va tutto in tasca alla compagnia. Che deve però sostenere costi: per esempio il noleggio di una torre di trivellazione — avverte un ingegnere dell’ExxonMobil — costa 40mila euro al giorno, che lavori o che stia ferma in attesa dell’autorizzazione. L’Eni investe in val d’Agri 1.983 milioni di euro, «di cui 1.347 milioni sono stati già spesi a fine 2003 — osserva la compagnia di San Donato Milanese — e i restanti 636 saranno spesi nei prossimi quattro anni».
L’Italia ha costi di estrazione abbastanza contenuti, 7,2 dollari al barile, contro una media mondiale — secondo le stime di Salvatore D’Andrea, a capo della Total Italia — di 6 dollari. Fra i più bassi d’Europa, rileva lo studio di un altro esperto di petrolio, Giulio Paini. Meno dei costi per i giacimenti in Russia, Angola, Canada o Golfo del Messico.
Nel caso della Basilicata, le royalty vanno tutte alla Regione. Al 30 giugno la Basilicata aveva accreditato diritti per 93,8 milioni, più una piccola quota come spese di compensazione ambientale.
«Non ha senso parlare di compensazione ambientale — sbotta Marco De Biase, presidente della Legambiente Basilicata — quando a Caperrino la Total vuole perforare in una riserva naturale a 1.400 metri di quota. Il 70,3% della regione è sotto concessione petrolifera. Il greggio è un rischio, come quando due anni fa a Grumento un pozzo ha innaffiato due ettari di bosco pregiato».
Ne sa qualcosa il Comune di Laurenzana, che tentenna se entrare nel parco regionale. Da una parte il profumo sottile dello sviluppo sostenibile. Dall’altra, l’odore dei petrodollari: il greggio non olet.

La lobby del petrolio lucano
(17 dicembre 2008)
La signora Donata Lombardi era molto legata ai suoi terreni nel paesino di Corleto Perticara. Finché un giorno del 1994 arrivarono gli operai della Lesmo a fare le perforazioni a caccia di petrolio. Lo trovarono e finì la vita serena nella zona. Sarà una coincidenza, ma il padre della signora si ammalò di tumore e morì nel 1996. Il gip Rocco Pavese riporta i racconti del vicino: dopo avere mangiato l'erba accanto ai fanghi lasciati dagli scavi, gli animali si accasciavano e morivano con il fegato spappolato.

Anche il padre del vicino, Antonio De Lorenzo, morì di tumore, a 43 anni. Così, quando gli uomini della Total nel 2007 chiesero alle famiglie di vendere i terreni, tutti pensarono: se Total vuole portare via per sempre gli odori e i colori della nostra terra, costruendo il 'centro oli', dovrà pagarci il prezzo giusto. Invece arrivò una proposta che per Woodcock è una concussione: "Offriamo 5 euro al metro quadrato. Vi conviene vendere perché altrimenti il comune esproprierà tutto e pagherà la metà".

I contadini all'inizio hanno resistito pensando che i terreni industriali dovrebbero essere pagati come edificabili e che i comuni fanno gli interessi dei cittadini, non delle multinazionali. Pochi giorni dopo la proposta 'che non si poteva rifiutare' però arrivò una lettera dell'ufficio tecnico del Comune di Corleto: il prezzo era proprio 2,5 euro al metro, la metà di quello della Total. I due proprietari terrieri hanno denunciato tutto e ora Woodcock, grazie alle intercettazioni, ritiene di avere provato l'accordo tra il funzionario del Comune e la Total per schiacciare in una tenaglia i loro diritti. Ora sono parti lese nell'indagine.

Questa piccola storia è indicativa, secondo i magistrati, della 'svendita' della Basilicata alla Total attuata grazie alla complicità dei politici. I francesi in Italia si sarebbero comportati molto male. Oltre alla mega-gara da 35 milioni di euro per il 'centro oli' Tempa Rossa, Total, secondo i pm, avrebbe truccato anche le gare per il trattamento e per la fornitura dei fanghi di perforazione (attività delicatissime dal punto di vista ambientale, come dimostrano le storie del passato).

Illuminante, per i magistrati, la conversazione ambientale intercettata il 20 dicembre 2007 negli uffici di Potenza della Total. Dice l'amministratore delegato Lionel Levha: "Quando si arriva a far vincere Ferrara, è vinta". Come a dire, secondo Woodcock, che dopo aver fatto vincere la gara da 35 milioni a Ferrara, l'amico dei politici lucani, si sarebbe aperta un'autostrada per la Total in altri affari. E anche sulle ragioni dell'interessamento del deputato Pd Salvatore Margiotta, Woodcock non ha dubbi. Secondo il pm, è Ferrara stesso il 21 dicembre a confidare a una sua amica il suo dialogo con Margiotta: "Gli ho detto: Salvato' io voglio il lavoro. Io ti devo portare 200 mila euro il giorno che mi assegnano definitivamente".

Ferrara sostiene nelle conversazioni intercettate che a un certo punto il presidente della Regione, Vito De Filippo, avrebbe preferito che non vincesse l'appalto, perché sapeva che era indagato: "Eravamo sulla linea di partenza all'inizio", spiega Ferrara, "poi c'è stata un'inversione perché hanno avuto paura. Ritenevano che noi eravamo intercettati. Pare che il presidente si sia espresso così: sarebbe opportuno che non vincessero. E io, saputa questa notizia, sono andato a correre ai ripari".

Per correre ai ripari, Ferrara fa due mosse: per convincere la Total a chiudere un occhio sulle sue pendenze offre ai francesi il contratto per la fornitura del carburante ai suoi camion: "Gli ho detto: io ci metto sui camion il cartello: uso carburante Total, sono 15 milioni". La seconda mossa è sul deputato Margiotta: il 16 dicembre 2007, Ferrara e Margiotta si incontrano a Potenza alle 16,30. Lontano da orecchie indiscrete, e con un freddo glaciale, parlottano per diversi minuti. Cinque giorni dopo, Ferrara dice la frase sulla promessa a 'Salvato' di 200 mila euro'. Per Margiotta il pm ha chiesto i domiciliari ma per la Total Woodcock ha tirato fuori un'arma ancora più potente: la richiesta di interdizione. Se il gip approvasse, Total dovrebbe sospendere ogni attività nel nostro paese.

Una lobby
Gruppo di ricerca diretto da Paolo De Ioanna e
Pier Carlo Padoan
(Ricercatori: N. Curci, S. Levstik, S. Nicoletti Altimari)
DECISIONE ECONOMICO-FINANZIARIA PUBBLICA E SPESA
PER INVESTIMENTI IN GRANDI INFRASTRUTTURE

Quadro di contesto
1. Vi è largo accordo sul fatto che l’inadeguatezza della dotazione di
infrastrutture e soprattutto il forte rallentamento del processo di
adeguamento e modernizzazione di questa dotazione, sia uno dei fattori
chiave alla base della scarsa performance dell’economia italiana negli
ultimi quindici anni. Le statistiche internazionali pongono l’Italia in posizioni
poco lusinghiere sia in termini di livello che di qualità della nostra
dotazione infrastrutturale.
2. La quota di risorse pubbliche destinate alla spesa per investimenti
infrastrutturali ha subito un declino a partire dai primi anni ’90. Il calo ha
colpito soprattutto il Mezzogiorno (la quota della spesa in conto capitale
destinata al Sud è passata dal 41% nel 2001 al 36-37% del 2006). Esso,
inolre, non è stato compensato da un aumento degli investimenti del
settore privato. Appare comunque confermato da tutte le analisi che il
Mezzogiorno presenta un quadro sistemico segnato da livelli di efficienza
nettamente inferiori rispetto al resto del Paese e questo ha certamente
causato la crescente incapacità di trasformare le risorse economiche
ricevute in opere finite ed economicamente significative. In particolare, è
stato posto in rilievo (ISTAT, 2006, Le infrastrutture in Italia) il netto
vantaggio del Nord rispetto al Sud per quanto riguarda le infrastrutture
“core”: rete autostradale, rete ferroviaria elettrificata, reti di trasmissione
elettrica e rete secondaria di trasporto del gas, reti di distribuzione
dell’acqua.
3. A livello internazionale, la grave crisi economica sta aprendo una nuova
stagione di intervento pubblico nell’economia. Nei piani di intervento
approvati o annunciati dai governi dei maggiori paesi (Stati Uniti,
Germania, Francia e Inghilterra) gli investimenti in infrastrutture hanno un
peso di rilievo. Rispetto ad altre misure di sostegno all’economia, le spese
per investimenti, se ben indirizzate, presentano vantaggi sia in termini di
impatto di breve periodo sia in termini di potenziamento delle prospettive di
crescita e di competitività del Paese nel medio e lungo termine. Come
ricorda l’OCSE (OECD, Going for Growth, 2009) l’efficacia delle spese
per infrastrutture è accresciuta se avviene in un contesto regolatorio
efficace. Inoltre l’esperienza dei paesi OCSE conferma che è determinante
il grado di rapidità amministrativa e operativa affinché gli investimenti in
infrastrutture abbiano un effetto durevole sulla crescita potenziale. In
Italia, a parte il tentativo di velocizzare l’utilizzo di risorse già stanziate, non
si rileva ancora il cambio di marcia che sarebbe auspicabile. Chiaramente
le condizioni di finanza pubblica ed in particolare l’elevato debito pubblico
30
sono fattori imprescindibili che limitano enormemente le possibilità di
azione. Oltre a ciò, appare largamente condivisa nell’opinione pubblica e
negli operatori economici del settore, una diffusa sfiducia nella capacità
degli apparati pubblici di indirizzare in tempi ragionevoli e in maniera
efficiente eventuali risorse aggiuntive. Tempi lunghi di realizzazione e costi
sostanzialmente maggiori che in altri paesi avanzati affliggono la
realizzazione delle opere pubbliche in Italia, in particolare quelle di grandi
dimensioni che richiedono l’integrazione e il governo di processi tecnico
finanziari complessi.
Il valore aggiunto di questa riflessione
4. L’osservazione e l’esperienza degli ultimi quindici anni costituiscono il
valore aggiunto di questa riflessione che intende mettere a fuoco e fornire
indicazioni per alcune criticità che appaiono nel panorama europeo come
tipicamente italiane.
Le economie contemporanee competono anche (e forse soprattutto)
attraverso le politiche pubbliche; e le politiche pubbliche coincidono in
larga misura con la loro strumentazione tecnico organizzativa: ma questa
strumentazione, alla prova dei fatti, esprime in sé un valore normativo,
cognitivo, conformativo (dimostrativo) che trascende - spesso - le
intenzioni incorporate negli stessi strumenti. Costituiscono strumenti
delle politiche pubbliche: le procedure; le fonti normative; gli organismi; gli
specialismi necessari a farle operare, le prassi che danno corpo a queste
politiche.
Nella competizione prevale il sistema più idoneo a gestire e controllare
sistemi complessi. Ora, al fondo di questa riflessione vi è la convinzione
che l’anomalia italiana è più frutto di nodi e vincoli tecnico organizzativi,
espressione della maniera in cui i diversi strumenti si sono venuti
intrecciando e hanno dispiegato in concreto i loro effetti, che di un
disegno politico esplicito nei fini e nei mezzi; in altri termini, si tratterebbe
di sciogliere un nodo tecnico organizzativo (a monte anche culturale), più
che politico. Naturalmente si è ben consapevoli che gli strumenti non
sono neutrali e incorporano scelte di indirizzo e di valore politico; e
tuttavia ci sembra che nella fase attuale della vita italiana prevalgano
carenze e criticità di ordine tecnico organizzativo e valga la pena
concentrarsi su queste.
5. La decisione allocativa sulle risorse (prelievo/spesa/indebitamento) è la
madre di tutte le politiche pubbliche. Ma la necessità di integrare, in modo
trasparente, le regole europee con quelle interne – ovvero il Patto di
stabilità con la strumentazione ex art. 81 Cost., la Legge quadro sulla
contabilità e i Regolamenti parlamentari – è il tema che dal 1988 permea,
al fondo, il processo (troppo lento) di razionalizzazione della nostra
democrazia parlamentare.
Le principali criticità si identificano, ad avviso di chi scrive, nella
difficoltà a gestire le complessità:
a) a integrare specialismi diversi (rispetto dei profili di legalità formale;
esigenze di tipo organizzativo; analisi economica pubblica sul
trattamento di alcune componenti macro e micro delle operazioni di
finanziamento degli investimenti; etc.);
b) a realizzare nella tempistica programmata le innovazioni (di
processo, nel Governo e nel Parlamento, e di prodotto: struttura e
semplificazione dei documenti) necessarie a rendere trasparente e
performante il processo.
Il tempo spesso rende obsolete le soluzioni: pensiamo allo strumento dei
progetti e programmi pensati già con l’art. 6 della l. 468 del 1978 o alle upb
(unità previsionali di bilancio) introdotte nel 1997: solo nel 2008 le missioni e
i programmi sono stati introdotti per la prima volta nella struttura del bilancio
dello Stato; prendiamo il caso del SIOPE (Sistema informativo sulle
operazioni degli enti pubblici): dopo oltre dieci anni di preparazione questo
sistema di rilevazione telematica degli incassi e dei pagamenti sta
diventando, finalmente, operativo.
E’ un problema – a nostro avviso - non solo e non tanto della politica; è un
nodo che ha a che fare con le strutture culturali profonde dei nostri gruppi
dirigenti. Le innovazioni vengono sistematicamente piegate ad una logica di
mera legalità formale, di mero procedimento, che le rende controfattuali
rispetto agli obiettivi iniziali. Così, se riflettiamo sulla recente applicazione
dello strumento dei “programmi”, introdotti nel bilancio dello Stato nel 2008,
ci rendiamo conto che sono stati utilizzati come leva per dissimulare politiche
restrittive, di marca contabile, ma erano stati pensati come una linea di
innovazione progettuale, gestionale e di controllo della spesa.
Al cuore di tutto c’è il tema, cruciale nelle democrazie contemporanee,
della visibilità e, ancora, della monitorabilità delle tecniche di governo e
quindi del rapporto tra scelta politica e sua traduzione tecnica; ma le
tecniche di governo hanno molto a che fare con la strumentazione delle
politiche pubbliche e con il loro modo di operare.
6. Il cammino da fare è lungo e l’osservazione del passato non rende
particolarmente ottimisti. Eppure è un tema tipicamente istituzionale e
bipartisan che attende risposte, non illusoriamente risolutive, ma almeno
pragmaticamente orientate. E’ vero, c’è una certa confusione nelle nostre
istituzioni, a partire dalla decisione di bilancio, nella definizione del confine
tra politica e tecnica: la politica non rende esplicite le sue vere priorità e
spesso è prigioniera di una cattiva tecnica; la tecnica spesso è opaca perché
opera in un contesto di sistema che non premia la trasparenza e
l’innovazione. Da dove e come rompere questo gioco di specchi? Gli
strumenti per la programmazione, decisione, gestione e monitoraggio delle
politiche di infrastrutturazione del Paese potrebbero rappresentare un
contesto stimolante da cui ripartire per provare a superare queste criticità
generali.
Criticità generali del settore
7. La legge obiettivo, varata nel 2001 con l’intento di creare un canale
privilegiato per il finanziamento e la realizzazione delle grandi opere a
rilevanza strategica, ha in parte mancato il suo scopo anche se partiva da
una diagnosi corretta delle criticità. Nel 2007 solo circa il 7 per cento delle
opere previste risultava completata (8 opere per un valore complessivo
appena superiore ai due miliardi di euro). Tempi e costi appaiono spesso
dilatati rispetto ad opere non incluse nel piano di intervento straordinario.
8. Il processo decisionale degli investimenti pubblici, in generale e in particolare
per le opere comprese nella Legge obiettivo, appare soffrire di importanti
criticità che affliggono tutte le sue fasi: valutazione (ex ante, in itenere ed ex
post), selezione, esecuzione e monitoraggio.
a) Valutazione: spesso i progetti sono valutati in isolamento, non all’interno
di un piano programmatico che permetta di stabilire precise priorità e in
assenza di un’analisi dettagliata delle alternative progettuali o delle
possibili politiche che possano incidere sulla domanda che l’investimento
intende soddisfare. Mancano in sostanza vere procedure di valutazione
che garantiscano l’allocazione efficiente delle risorse tra i diversi
impieghi.
b) Selezione: in assenza di un processo organico di valutazione, le
decisioni di investimento sono assunte abitualmente sulla base di accordi
tra amministrazioni, piuttosto che con il supporto di una valutazione
economica. Manca quindi un chiaro ordine di priorità, fattore ovviamente
cruciale in un contesto di scarsità di risorse quale quello italiano.
c) Esecuzione: appare in generale insufficiente il sistema di
incentivi/disincentivi che caratterizza il processo di realizzazione degli
investimenti pubblici e carente la accountability dei diversi livelli
decisionali.
d) Monitoraggio: l’assenza di precise informazioni, in aggregato e sullo
stato di attuazione dei singoli progetti, e quindi di statistiche consolidate
e specifiche sulle diverse categorie di opere (tempi, costi, requisiti di
qualità), rende difficile elaborare chiari benchmarks di riferimento sulla
base dei quali si possano stabilire requisiti standard, determinare in
maniera più precisa e stringente il sistema di incentivi e penalità, e
chiamare i diversi attori a rendere conto del proprio operato.
Le evidenze raccolte convergono nella conclusione che al centro delle
criticità rilevate nel nostro sistema paese si colloca uno specifico problema
organizzativo: di strumentazione del coordinamento e di chiara
imputazione delle responsabilità.
Il luogo istituzionale dove queste due linee, del coordinamento e della
imputazione delle responsabilità, dovrebbero pervenire ad un punto di sintesi
è costituito dal CIPE.
Le riforme intervenute negli ultimi dieci anni hanno cercato di rafforzare la
fase istruttoria e l’integrazione delle diverse linee di competenze istituzionali,
chiamate in gioco nella realizzazione delle opere infrastrutturali di rilievo
nazionale. Tuttavia, non possiamo che constatare che i risultati non hanno
modificato in modo significativo la situazione.
Occorre dunque, ad avviso di chi scrive, affrontare in modo specifico
questo nodo organizzativo, secondo un’ottica che riconduca all’interno di
schemi di ordinaria amministrazione le migliori esperienze fatte in questi anni
con strumenti straordinari.
La via sembra essere quella di una rivisitazione organizzativa dei
supporti di cui si avvale il CIPE: si tratta di realizzare – rafforzando la
collocazione di questo organismo presso la Presidenza del Consiglio – un
centro di coordinamento e di “decisione istruttoria” che sciolga e integri le
diverse linee di competenze statali. E’ necessario, in altre parole:
a) un forte rafforzamento della componente tecnica in tutte le fasi istruttorie;
b) una stretta integrazione della progettazione tecnica e della progettazione -
attuazione del quadro finanziario;
c) una unificazione delle convenzioni contabili utilizzate in tutte le fasi della
progettazione - gestione - attuazione delle opere;
d) una revisione della disciplina contabile e gestionale per le spese di
investimento;
e) un innesto di questi schemi nella documentazione a supporto dell’indirizzo
(DPEF) e a supporto della decisone di bilancio (programmi);
f) una revisione degli schemi di imputazione della responsabilità dei dirigenti
e della misurazione dei risultati conseguiti.
Lo scopo di questa proposta è quello di rafforzare, approfondire e
stabilizzare la fase di integrazione delle diverse linee istruttorie (Ministero delle
infrastrutture, Ministero dell’economia – RGS, Ministero dell’ambiente) che
preparano e supportano la decisione politica, lasciando al CIPE la scelta delle
sole, ristrette, autentiche opzioni politiche. Non si tratta quindi di mescolare in
una unica sede, istruttoria e scelta politica, ma di rafforzare la fase della
istruttoria tecnica, restringendo al massimo l’area delle opzioni; una buona
politica rafforza e stabilizza la programmazione finanziaria, la integra con la
scelta dei progetti strategici e la mette al riparo, per quanto possibile, da
cambi radicali di indirizzo politico. E ciò sottolinea l’importanza cruciale
della effettiva partecipazione al processo decisionale di tutte le soggettività,
politiche, istituzionali e sociali coinvolte nella fase di scelta dei progetti.
Sciogliere i nodi strutturali (tecnico organizzativi) degli strumenti delle
politiche di investimento in opere strategiche non significa, ovviamente,
stabilizzare l’oscillazione legata al succedersi delle maggioranze e degli
indirizzi politici; significa tuttavia voler affrontare in modo deciso un
problema che, ad avviso di chi scrive, assume nel nostro sistema economico
un peso specifico cruciale, che appanna e appesantisce la fase della scelta
politica.
Non vi è dubbio che le questioni tecniche e politiche sono strettamente
intrecciate, ma il problema italiano sembra essere quello della delega ad un
fase politica anche di profili che dovrebbero trovare una soluzione
appropriata in sede tecnica.
In questo senso, la copiosa normativa sui commissari straordinari
succedutasi in questi anni andrebbe recuperata e ricondotta entro schemi
ordinari. Il commissario deve essere espressione di una struttura di
riferimento unica che guida, coordina e monitora tutta la fase attuativa dei
progetti.
Il nodo del finanziamento
9. Nel contesto di queste criticità gioca un ruolo specifico il sistema di
finanziamento delle opere pubbliche. Nell’esperienza di molti paesi la riforma
del sistema di finanziamento è stato un fattore di svolta per giungere a un
processo di spesa per investimenti (e - più in generale - per il complesso
della spesa pubblica) idoneo ad orientare il controllo e la gestione del
bilancio pubblico al conseguimento dei risultati, piuttosto che al mero
controllo contabile e finanziario. Non si tratta ovviamente di evocare
risorse che non ci sono, ma di utilizzare in modo razionale ed efficiente quelle
che ci sono. E, soprattutto, di evitare continui stop and go e rimodulazioni
pluriennali nelle linee di alimentazione delle autorizzazioni di spesa sulla base
di esigenze di controllo della dinamica dell’indebitamento netto della PA,
opache e disomogenee.
10. Nel caso italiano, il sistema di finanziamento delle opere strategiche si
presenta “incerto, frammentario e parziale, senza un disegno razionale di
programmazione finanziaria e con seri problemi di sostenibilità”
(Commissione tecnica per la finanza pubblica 2008). Certezza e stabilità del
quadro finanziario, da un lato, e molteplicità delle fonti, dall’altro, sono
elementi di particolare criticità, che devono essere ricondotti ad un
ragionevole contesto di trasparenza e controllo.
11. Tra i finanziamenti delle opere della Legge obiettivo figurano oltre ai fondi
specificatamente destinati allo scopo (l. 166/2002 e successivi
rifinanziamenti) e alle risorse del Fas, numerose altre poste esistenti sul
bilancio dello Stato, stanziamenti a favore dell’Anas e Fs, finanziamenti UE e
finanziamenti di operatori privati. La copertura finanziaria delle opere
approvate in sede CIPE è, tuttavia, parziale. A febbraio 2008, per quanto
riguarda il piano nel periodo 2008-2012, escludendo gli interventi cofinanziati
a vario titolo dalla UE, il costo complessivo delle opere strategiche era pari a
105 miliardi, le risorse disponibili circa 44 miliardi, e il fabbisogno di risorse da
reperire pari a quasi 53 miliardi (cfr. Tabella 12 rapporto CTFP). L’analisi di
dettaglio delle fonti indica inoltre che esiste una area “grigia” di risorse “da
confermare” pari a circa 10 miliardi (cfr. Tabella 11 rapporto CTFP), di risorse
censite ma non ancora confermate. Se la copertura finanziaria parziale
delle opere è fenomeno che si riscontra in tutti i paesi avanzati, è chiaro
che esso assume in Italia un’estensione allarmante. Inoltre, esempi anche
recenti (cfr. LF per il 2006) hanno evidenziato come i fondi per l’attuazione di
opere infrastrutturali di primaria importanza (ad esempio quelli destinati agli
investimenti di FS e Anas) hanno subito pesanti tagli.
12. La coesistenza di più fonti di finanziamento rappresenta ovviamente un
elemento critico dal punto di vista gestionale. L’eccessivo numero di
amministrazioni coinvolte, le interrelazioni esistenti tra i finanziamenti di
programmi diversi possono generare effetti negativi dal punto di vista della
responsabilità in merito all’attuazione dei progetti e della trasparenza.
I fondi sono gestiti da soggetti diversi e con modalità diverse: si crea
quindi uno scollamento tra fase di gestione finanziaria e fasi di attivazione,
realizzazione e controllo dei progetti. Si limita inoltre la possibilità di
utilizzare flessibilmente i finanziamenti per le diverse opere in modo da
impiegare le risorse efficientemente in base ai diversi stati effettivi di
avanzamento delle opere.
13. Variabilità, incertezza e dispersione delle fonti di finanziamento, e diverse
modalità di attivazione delle stesse, rendono quindi più difficile un disegno
razionale di programmazione e attuazione del programma di opere
strategiche. Possono inoltre disincentivare la partecipazione dei privati
alla realizzazione delle opere oltre che danneggiare le sinergie con i fondi
comunitari.
14. Appare quindi chiara la necessità di riportare a una concezione unitaria la
gestione finanziaria delle risorse pubbliche destinate alle grandi opere,
anche prendendo ad esempio la strada già intrapresa da altri paesi (cfr. il
Rapporto OCSE che considera il caso dell’Australia una best practice a livello
internazionale). Una modifica del sistema di gestione finanziaria, per lo meno
per quello che concerne il settore degli interventi infrastrutturali strategici in
Italia potrebbe essere adottata, utilizzando anche modalità già intraprese
da altri paesi.
15. Gli elementi di analisi disponibili sembrano inoltre dimostrare che la stretta
finanziaria avviata, per ragioni di equilibrio di bilancio, a partire dal 2005 e
proseguita fino alla fine del 2006, è stata, poi, riproposta con la manovra
2009 - 2011 (vedi dati ANCE); questa esigenza di controllo dei saldi, rilevanti
ai fini del rispetto dei criteri di convergenza UE, si scarica in modo rilevante e
spesso indiscriminato sulla spesa in conto capitale gestita dal centro
(TAV/AC; ANAS; etc.).
In un certo senso è la conferma di ciò che si sapeva da sempre: l’effetto
di restrizione sul bilancio frena subito la spesa di investimento e moltiplica
l’effetto negativo sulla crescita. La c.d. programmazione finanziaria degli
investimenti (delibere CIPE, etc.) viene travolta dalla annuale reimpostazione
della manovra di bilancio e deve essere, di conseguenza, continuamente
risistemata. Si tratta, pertanto, di mettere a punto un meccanismo di scelta
prioritaria che consenta di far convergere sui progetti “essenziali” le
risorse disponibili nelle fasi di stretta. Probabilmente il punto sta nel
ricalibrare il meccanismo delle grandi opere che passano per la Legge
obiettivo circoscrivendo la scelta sulla base di poche, vere e certificate
priorità, da tenere ferme per un periodo sufficientemente lungo.
16. Il trattamento giuridico contabile delle spese di investimento dovrebbe
essere oggetto di una radicale rivisitazione. Infatti, a prescindere dai
problemi analitici e definitori che pone la stessa configurazione di una spesa
che deve esser classificata e trattata come in conto investimento, va svolto
un discorso a sé per le spese (intese come erogazioni finanziarie a carico dei
bilanci pubblici) che entrano a comporre gli schemi di finanziamento di
infrastrutture fisse, la cui realizzazione copre un arco di anni pluriennale (a
fecondità differita).
17. La priorità, oggi, è quella di realizzare strumenti che consentano di
gestire, monitorare e controllare i flussi di cassa che vengono immessi
dal bilancio pubblico negli schemi di finanziamento delle opere; una
risposta a questa esigenza dovrebbe essere costituita dalla realizzazione,
come prima accennato, di un unico centro di imputazione e di
responsabilità tecnica, idoneo a superare le frammentazioni da più parti
lamentate.
Si potrebbe riprendere l’idea di un’unico centro cui affidare la gestione, il
controllo e il monitoraggio di tutti gli schemi di finanziamento , comunitari e
nazionali, relativi a un gruppo di progetti selezionati: questo centro dovrebbe
essere intestatario di tutti i poteri necessari a gestire i flussi e a canalizzare
sulle opere prioritarie le risorse necessarie a mantenere in tensione il quadro
finanziario programmato, in linea con l’avanzamento dei lavori.
Non dovrebbe trattarsi di una nuova struttura, quanto piuttosto dal
potenziamento degli organismi che operano a supporto del CIPE
presso la Presidenza del Consiglio. Un’idea simile è già stata
sperimentata presso l’allora Ministero del bilancio, con scarso successo, a
partire dal 1997, per i programmi comunitari dell’Obiettivo 2; ma il fallimento
sembra in larga misura da addebitare alla scarsa volontà di spostare sul
centro (si chiamava Cabina di regia) poteri che risultavano allora e sono
ancora oggi intestati ad una pluralità di altri organismi.
Il punto sta nell’imputare con chiarezza a questo centro poteri e
responsabilità che ora sono dispersi tra più filiere amministrative; o,
comunque, di intestare al centro il potere di chiudere – comunque - la fase
istruttoria con una decisione amministrativa che non demandi alla scelta
politica questioni e profili di ordine tecnico che non si è stati capaci di definire
in modo plausibile nel confronto-conflitto tra strutture burocratiche. Il rapporto
tra queste strutture deve essere improntato a regole di trasparenza e
controllabilità, soprattutto in ordine ai profili finanziari e contabili.
18. Le norme contabili, relative alla responsabilità dei dirigenti, alla
misurazione dei risultati, al monitoraggio e alla rappresentazione delle
autorizzazioni di spesa in bilancio (per programmi) dovrebbero tutte essere
rivisitate, riordinate e ricollocate in un unico corpus dedicato al ciclo:
finanziamento – progettazione – esecuzione – monitoraggio della
realizzazione delle grandi opere infrastrutturali; tutta la strumentazione di
questo segmento cruciale delle politiche pubbliche dovrebbe essere rimessa
a punto, resa trasparente e imputata ad un unico centro finale di
responsabilità.
19. Ciò che è cruciale è la finanziabiltà per cassa dell’opera nell’ambito dei
vincoli europei (in particolare: indebitamento netto della PA); ora questa
verifica avviene sia a monte, al momento della verifica del vincolo di
copertura, ai sensi dell’art. 81 Cost. (le cd compensazioni), che a valle, in
sede di chiusura dei conti, ai fini del rispetto del Patto di stabilità.
Le convenzioni contabili che vengono utilizzate in questa fase (e, poi,
nella loro proiezione sulla costruzione dei conti tendenziali della Pubblica
Amministrazione) sono molto opache. E questa opacità disorienta non solo i
decisori politici ma soprattutto i soggetti (ANAS; Ferrovie spa, Enti territoriali,
etc.) - pubblici e privati - che devono concorrere a realizzare le opere.
Il punto sta nell’organizzare una verifica ex ante, ai sensi dell’art. 81
Cost., coerente e non controproducente, rispetto al vincolo europeo.
Doppiare il vincolo ex ante (sia sul saldo netto di competenza che
sull’indebitamento netto) significa doppiare le complicazioni previsionali
appesantendo inutilmente i conti.
Se è vero che la adozione di una modalità di finanziamento rispetto ad
un’altra (limiti di impegno, contributi pluriennali, etc.) non assume
particolare rilievo dal punto di vista dell’indebitamento netto (nel senso
che i contributi vengono attualizzati e la spesa ripartita dovrebbe essere
iscritta per un ammontare pari all’effettivo tiraggio), non ha molto senso
trattare in modo differente queste diverse modalità dal punto di vista del saldo
netto da finanziare e, quindi, della copertura, ai sensi dell’art. 81 Cost.
In altri termini, sembrerebbe necessario ottimizzare il trattamento delle
forme e dei modi di finanziamento delle opere infrastrutturali, rendendoli
subito coerenti col vincolo ex post dell’indebitamento netto, che è poi il
vincolo che viene utilizzato (o dovrebbe essere utilizzato) per costruire il c.d.
bilancio tendenziale.
In particolare, le stesse caratteristiche dei saldi sui quali si parametra il
meccanismo di copertura ex ante (saldo netto di bilancio, fabbisogno del
settore statale e indebitamento netto), spesso rischiano di innescare
duplicazioni incongrue delle risorse evocate come copertura. Soprattutto
per le spese di investimento è dunque necessario valutare con estrema cura
la coerenza interna di tale modalità di compensazione – copertura che si
snoda attraverso tre saldi di riferimento e spesso impone, ex post, rivisitazioni
drastiche delle autorizzazioni annuali per cercare di riprendere la rotta ( fuori
controllo) dei criteri di convergenza europei.
20. La questione è di un certo rilievo ai nostri fini: l’ANAS, seppure organizzata in
forma di spa, fa parte del settore delle pubbliche amministrazioni; per le
Ferrovie occorre valutare la natura delle singole operazioni di finanziamento
per cifrare l’eventuale impatto sul conto della PA. Ogni singola operazione
di finanziamento presenta un valore diversificato di retroazione sul
conto della PA che va analizzato in modo specifico; ma una tale situazione
espone tutto il quadro degli schemi finanziari a continui ripensamenti e
rimaneggiamenti; essi emergono, in modo documentale, in sede di legge
finanziaria, ma in realtà provocano già in corso di gestione rallentamenti e
fermi dello stato di avanzamento delle opere.
Questa situazione di difficoltà a controllare gli effetti sui saldi emerge
anche dal recente decreto legge n. 185/2008 che all’art. 20, comma 6,
stabilisce che le ordinanze dei commissari straordinari delegati “ non
possono comportare oneri privi di copertura finanziaria in violazione dell’art.
81 Cost. e determinare effetti peggiorativi sui saldi di finanza pubblica, in
contrasto con gli obiettivi correlati con il Patto di stabilità dell’Unione
Europea”.
Dunque i commissari dovrebbero disporre delle competenze per valutare
tali complessi effetti sui saldi; è chiaro che essi chiederanno la consulenza
degli uffici deputati al rispetto del controllo sui saldi (leggi RGS); e dunque
tutto il processo di attuazione delle opere si ritroverà esattamente con gli
stessi nodi fin qui evidenziati.
Il fatto che il Presidente del Consiglio, con proprio decreto, individua i
progetti prioritari, definendo il crono programma di attuazione e il quadro
finanziario di riferimento è un dato molto interessante; tuttavia, se non vi è
una sede di gestione e controllo unica per seguire e monitorare la
connessione tra crono programma e quadro finanziario si rischia di
riprodurre tutte le criticità fin qui rilevate.
Il punto è capire se la soluzione sta nella predisposizione di strutture
emergenziali ( i commissari straordinari) ovvero nella ridefinizione più
nitida e compatta di un unico centro di responsabilità che riprenda, con gli
opportuni correttivi, l’idea della programmazione integrata: finanziaria e
fisica; e questo centro è il CIPE, opportunamente supportato; in questo
disegno i commissari si porrebbero come i soggetti che seguono e attuano
un disegno le cui priorità sono governate da un unico centro.
21. Emerge in modo nitido che le esperienze migliori, a livello comparato, sono
proprio quelle nelle quali la stabilità del quadro finanziario di riferimento è
ragionevolmente garantita nei documenti di bilancio dalla previa, accurata,
ricostruzione dei tempi di realizzazione delle opere (c.d. crono programma).
Le opere prioritarie devono dunque caratterizzarsi per una forte integrazione
tra analisi della tempistica di esecuzione e risorse messe a disposizione
per cassa, anche attraverso operazioni di finanziamento sul mercato.
Vi deve quindi essere un documento (la sede naturale è il DPEF) dove lo
schema di finanziamento dell’opera, lo stato dei lavori e la proiezione del
rapporto tra risorse disponibili e tempi per la conclusione siano resi coerenti.
Per il ristretto numero di opere dichiarate prioritarie questo contesto di
programmazione finanziaria e fisica deve essere mantenuto sempre
coerente e monitorabile.
22. Si potrebbe far coincidere la verifica ex ante della copertura delle
infrastrutture con una previsione di cassa che proietta sul primo anno e sul
triennio solo gli effetti delle operazioni di finanziamento già poste in essere e
perfezionate e quelle che si prevede saranno chiuse nel corso del primo anno
della nuova previsione; in questo caso si autorizza il netto ricavato
dell’operazione che si prevede affluirà nelle casse dell’ente titolare dell’opera
entro l’esercizio di riferimento e solo questa risorsa verrà rilevata anche ai fini
della costruzione del bilancio triennale e del tendenziale.
La scheda di finanziamento dell’opera dovrebbe poi essere trattata con la
stessa tecnica sia dall’Amministrazione che la propone, dal centro di
coordinamento che la istruisce e decide e dalle Camere, ai fini della
copertura e del controllo successivo sull’attuazione dei programmi. Questa
impostazione, peraltro, appare coerente con i criteri del SEC 95.
23. L’istituendo centro di coordinamento dovrebbe essere l’organismo che
canalizza e gestisce i flussi e consente di monitorare il volume effettivo
dell’indebitamento netto (flusso) e del debito (stock) associabili ad ogni
schema di finanziamento di ciascuna opera. La questione centrale resta
quella di una programmazione finanziaria che segua in modo preciso la
programmazione fisica dell’opera ed eviti dispersioni di risorse; dunque
il nodo è quello di una programmazione integrata (stato di avanzamento
delle opere e relativo quadro di finanziamento) che stringa su un quadro
effettivo e ben selezionato di priorità, mantenga fermo tale quadro e sia
dotata di strumenti idonei a segnalare le effettive ragioni che impongono
cambi nelle priorità; in questo caso il centro deve essere in condizione di
attivare strumenti che ricollocano rapidamente le risorse spostandole
dalle precedenti alle nuove priorità.
24. Questo quadro di programmazione integrata (fisica e finanziaria), costruito
con tecniche e convenzioni da tenere ferme in tutte le fasi del processo,
dovrebbe essere parte sia dei documenti a corredo del piano infrastrutture
che accompagna il DPEF che del programma che entra a comporre la
annuale decisione di bilancio (bilancio di previsione e legge finanziaria). Il
quantum di copertura aggiuntiva che si ritiene di finanziare e coprire con la LF
dovrebbe corrispondere esattamente all’effettivo nuovo tiraggio che per cassa
si prevede di realizzare sul mercato.
Linee di lavoro
�� Riunire le diverse fonti di finanziamento in un Fondo Unico per il
finanziamento delle opere ad alta priorità strategica.
�� Blindare le risorse destinate a questo scopo per favorire la programmazione di
medio termine in un quadro di certezza.
�� Affidare il controllo di questo fondo ad un unico organismo centrale che diventi
il responsabile in toto della programmazione finanziaria delle opere a più alto
contenuto strategico.
�� E’ evidente che questo segmento della programmazione finanziaria deve
mantenere uno stretto legame con le sede della formazione dell’indirizzo
politico e, precisamente, con il Consiglio dei Ministri; quindi la scelta di
collocare il CIPE presso la Presidenza del Consiglio appare molto corretta
e va rafforzata; questo rafforzamento dovrebbe essere realizzato proprio
introducendo tra le strutture di supporto questo centro di responsabilità
tecnico istruttoria; probabilmente, si tratta di operare attraverso un
opportuno riesame delle competenze (e delle strutture) che già oggi
supportano l’azione del CIPE, riorganizzando e integrando le risorse e le
competenze funzionali oggi in essere.
�� Tale organismo dovrebbe avere il controllo completo dell’attivazione di
cassa delle risorse del Fondo Unico e la possibilità di riallocare i fondi tra i
diversi progetti in base allo stato di effettivo tiraggio.
I compiti di tale organismo comprenderebbero:
�� la selezione di un numero ridotto di opere ad alta priorità (un
sottoinsieme di quelle ora previste dalla legge obiettivo) e di interesse
nazionale sulla base del quadro delineato nei principali documenti di
programmazione; Qsn – Piano nazionale dei Trasporti etc.
La selezione corredata da dettagliata valutazione dei costi e benefici
economico-sociali e dalla analisi delle alternative possibili dovrebbe
essere sottoposta all’approvazione del Consiglio dei Ministri e trasmessa
alle Camere con il DPEF;.
�� la elaborazione del piano finanziario, la gestione finanziaria dei
progetti approvati e la determinazione del sistema di incentivi e
penalità sulla base di standard o benchmarks basati sul confronto storico
e internazionale;
�� la formulazione degli standard e delle convenzioni contabili con cui
vanno trattate le operazioni finanziarie;
�� la predisposizione di un sistema di monitoraggio e di informazione
sullo stato di avanzamento dei lavori.

Letteratura di riferimento
Bardach E., 1977, The Implementation Game. What Happens After a Bill
Becomes a Law, Cambridge, the MIT Press.
Bardach E., 1980, “On Designing Implementable Programs”, in Majone G., E.
S. Quade (a cura di), Pitfalls of Analysis, New York, Wiley & Sons, 138-99.
De Cindio F., Sonnante L., 2005, “Technology for e-Democracy: a
Classification based on Italian Best Practices”, Electronic Government -
Workshop and Poster: Proceedings of the Fourth International EGOV
Conference, August 22-26, Copenhagen, http://hdl.handle.net/2434/13954
Kickert W.J.M., Klijn E.-H., Koppenjan J.F.M. (a cura di), 1997, Managing
Complex Networks. Strategies for the Public Sector, London, Sage.
Kingdon J.D., 1984, Agendas Alternatives and Public Policy, London, Little &
Brown.
Lindblom C.E., 1965, The Intelligence of Democracy: Decision Process
Through Adjustment , New York, the Free Press.
Regonini G., Capire le politiche pubbliche, Bologna, il Mulino.
Salamon L., 2002, “The New Governance and the Tools of Public Action: An
Introduction”, in Id. (a cura di), The Tools of Government, Oxford, Oxford UP, 1-
47.
Scharpf F.W., 1997, Games Real Actors Play, Boulder, Westview.
Materiali di riferimento
Comitato di Gestione Monitoraggio APQ, 2006, Progetto Monitoraggio.
Relazione annuale,
http://www.dps.tesoro.it/documentazione/docs/intese/Relazione%20annuali/P
M%202006%20Relazione%20annuale.pdf
Comitato Interministeriale per la Programmazione Economica, 2009,
Relazione sullo stato di attuazione del Programma Infrastrutture Strategiche,
http://www.cipecomitato.it/docs/Relazione%20Infrastrutture%20Strategiche.pdf
Ministero Infrastrutture e Trasporti, 2007, Programma Infrastrutture
Strategiche: Programmare il Territorio, le Infrastrutture, le Risorse,

Trasferimenti di residenza
ISTAT
Anno 2008
2 dicembre 2010

Tabella 2 – Trasferimenti di residenza interregionali per ripartizione di origine e di destinazione. Anno 2008

origine                                     Ripartizioni di destinazione
Nord-ov. Nord-est Centro Mezzogiorno Totale
Nord-ovest                             25.244     17.153     12.614      25.208       80.219
Nord-est                                 14.471     13.535     9.193        17.541       54.740
Centro                                    13.139     12.947     14.544      22.599       63.229
Mezzogiorno                          43.085     39.040     39.829      21.012     142.966
Totale                          95.939 82.675 76.180  86.360              341.154

FONTE: http://demo.istat.it

Crisi/Censis: Oltre 2 mln giovani non hanno lavoro nè lo cercano. In prevalenza sono donne e abitano nel Sud
Roma, 3 dic. (Apcom) – I giovani sono quelli che hanno più avvertito sulla propria pelle gli effetti della crisi. Poco fiduciosi nella possibilità di trovare un’occupazione, ma anche poco disponibili a trovarne una a qualsiasi condizione, almeno per una buona parte hanno definitivamente archiviato la pratica lavoro. Lo rileva il 44esimo rapporto del Censis sulla situazione sociale del paese.
Sono 2.242.000 le persone tra 15 e 34 anni che non studiano, non lavorano né cercano un impiego. Un universo ampio, pari al 16,3% del totale, il cui perso appare sempre più consistente nella fascia d’età tra i 25 e i 34 anni (19,2%).
Più della metà degli italiani (55,5%) pensa che i giovani non trovino lavoro perché non vogliono accettare occupazioni faticose e di scarso prestigio. “Una valutazione che potrebbe apparire ingenerosa e stereotipata – spiega il Censis – se non fosse che a esserne più convinti sono proprio i più giovani, tra i quali la percentuale sale al 57,8%”.

Ecco dove sono finiti i fas
di Gianfranco Viesti, Francesco Prota
27 gennaio 2011

La principale manovra di politica economica realizzata in questa legislatura è stata la riprogrammazione e l’utilizzo delle risorse del FAS, Fondo per le Aree Sottoutilizzate, nazionale. 

Tali risorse erano state destinate dal Quadro Strategico Nazionale 2007-13 e dalla delibera CIPE 166/2007, alle politiche di sviluppo territoriale: cioè spesa in conto capitale, per l’85% nel Mezzogiorno e per il 15% nel CentroNord. Questa manovra ha avuto luogo, fra il maggio 2008 e fine 2010, attraverso un insieme straordinariamente complesso di disposizioni di legge e di delibere dello stesso CIPE, che ha modificato progressivamente, ma radicalmente, il FAS. Il quadro d’insieme non è stato poi mai ricostruito in forma organica e trasparente. Tutta la materia è divenuta oscura, quasi impenetrabile. La discussione pubblica e la valutazione di questa manovra è stata assai modesta, certamente di molto inferiore all’importanza che essa ha per l’economia italiana.

Anche sulla scorta di analisi precedenti1, un gruppo di lavoro del Cerpem di Bari ha provato a ricostruirla. Obiettivo del lavoro è stato verificare quali effetti queste decisioni abbiano avuto sia sulla tipologia di spesa (corrente/conto capitale) sia sulla sua allocazione territoriale. Si è lavorato sui dati d’insieme di competenza, essendo quasi impossibile ricostruirne sia i flussi di cassa, sia la ripartizione fra diversi esercizi finanziari. A tal fine sono state individuati e analizzati tutti i documenti ufficiali relativi al FAS. Per ricostruire le nuove destinazioni di queste risorse sono state formulate alcune ipotesi. La principale è che le risorse oggetto di tagli, o destinate al risanamento della finanza pubblica, rientrando nel complessivo Bilancio dello Stato, si sarebbero poi ripartite come l’insieme della spesa pubblica italiana (90% spesa corrente, 10% spesa in conto capitale; 65% CentroNord, 35% Mezzogiorno). In alcuni casi (esenzione ICI, risorse per la CIG), la ripartizione territoriale è stata effettuata con parametri più fini (famiglie proprietarie, beneficiari). Nei casi dubbi, nei quali le disposizioni normative non consentivano di comprendere con certezza tipologia di spesa (come per l’emergenza rifiuti in Campania) e destinazione territoriale (le manutenzioni stradali e ferroviarie), si è adottato un approccio “conservativo”, ipotizzando che si tratti di spesa in conto capitale ripartita secondo i criteri originali del FAS (85/15). Una piccola quota non è stata definita (cfr. tabella).

Si tratta nell’insieme di 43,4 miliardi di euro. Come detto, si sarebbe dovuto trattare di spesa in conto capitale. L’effetto più importante della manovra è stato quello di dirottare almeno 23,6 miliardi da spesa in conto capitale a spesa corrente. A titolo di confronto si consideri che la spesa totale in conto capitale della P.A. nel 2008 è stata pari a 60 miliardi. Questa decisione non pare particolarmente lungimirante. A seguito della crisi internazionale, si sono certamente rese necessarie risorse aggiuntive per la finanza pubblica. Sottrarle però in misura così cospicua agli stanziamenti per infrastrutture di cui l’Italia ha estremo bisogno anche per rafforzare la competitività delle imprese, se può aiutare la finanza pubblica certamente non aiuta la crescita. Non a caso, la Banca d’Italia segnala che in Italia le spese in conto capitale nel 2010 si sono ridotte del 18,2%2.

Alcune rilevanti decisioni hanno comportato il taglio di fondi FAS per il generale obiettivo di stabilizzazione della finanza pubblica. Ma si sono stati anche utilizzi specifici, con effetti redistributivi più netti, con specifiche platee di beneficiari. E’ il caso dell’esenzione ICI per le famiglie più abbienti (oltre 1 miliardo); è il caso dei 4 miliardi per gli ammortizzatori in deroga, che hanno un impatto territoriale molto squilibrato3. Particolarmente rilevante per il suo significato politico è stato quanto disposto con il d.l. 154/08 (art. 5.3) che ha destinato 640 milioni alle amministrazioni comunali di Roma e Catania: in tempi di “federalismo fiscale”, e di dilagante retorica sulla necessità di premiare gli enti locali “virtuosi”, il Governo ha destinato risorse ad hoc per ripianare disavanzi correnti. Il messaggio alle amministrazioni locali, specie del Sud, è stato devastante: è stata premiata la cattiva, e non la buona, amministrazione.

L’altro effetto della manovra è stato di natura territoriale. Con la ripartizione iniziale del FAS 36,9 miliardi erano destinati al Mezzogiorno e 6,5 al CentroNord. La manovra alloca invece 18,9 miliardi al Mezzogiorno e 19,4 miliardi al CentroNord; 4,6 miliardi sono stati destinati a diversi interventi post-terremoto in Abruzzo. Con una decisione priva di equità, il carico dell’indispensabile solidarietà nazionale è quindi stato posto su risorse destinate per l’85% al Mezzogiorno. Ipotizzando gli interventi in Abruzzo finanziati da un “onere di solidarietà nazionale” proporzionale alla popolazione delle due circoscrizioni4, la manovra ha determinato uno spostamento dal Sud al CentroNord di 16,5 miliardi di euro5. La risposta del Governo alla crisi ha comportato un onere fortemente concentrato sui cittadini del Sud.

Non si sono però spostate risorse “da infrastrutture al Sud” a “infrastrutture al Nord”. La complessiva riduzione della spesa in conto capitale è tale, che nello stesso CentroNord si scende da 6,5 a 3,3 miliardi. Molto grave è naturalmente il quadro del Sud: la spesa in conto capitale scende da 36,9 a 11 miliardi. Questo dato, come i precedenti, è però ottimistico, perché presuppone che sia effettivamente rispettato il vincolo di spesa per l’85% nel Mezzogiorno per alcuni degli stanziamenti decisi, che non hanno una chiara indicazione geografica. Tale vincolo è stato reso meno stringente, perché, come recita la delibera CIPE 31/2010, non è più riferito alle specifiche allocazioni6. Prova ne è la ripartizione effettuata dal Ministero della Pubblica Istruzione delle risorse FAS per l’edilizia scolastica, che non rispetta affatto il vincolo di destinazione.

Il FAS si sarebbe dovuto concretizzare in programmi di interventi definiti ex ante, frutto – pur con tutti i limiti del caso – di decisioni trasparenti, concertate con Regioni e parti sociali, e soggette a valutazione e monitoraggio. Le decisioni di spesa del 2008-10 appaiono difficilmente riconducibili ad un quadro programmatico con chiare priorità; si tratta di un insieme di interventi frammentati (ad esempio molti lotti di strade). Quadro non privo di singolarità: si pensi ad esempio alla delibera CIPE 69/2009, che, per “misure di accompagnamento nazionale a favore dell’apertura nel Mediterraneo dell’area di libero scambio 2010”, assegna 150 milioni al Comune di Palermo, anche per interventi nell’igiene ambientale7. La programmazione FAS era poi aggiuntiva rispetto ad un livello “normale” di investimenti pubblici ordinari. Non si dispone più del Quadro Finanziario Unico, predisposto dal MISE-DPS che consentiva di verificare, quantomeno ex-post, questa circostanza. A giudicare però dalla tipologia di molte delle opere finanziate (edilizia scolastica, carceraria, sanitaria; manutenzioni stradali e ferroviarie), vi è la chiara impressione che i residui e limitati stanziamenti FAS al Sud siano non addizionali ma prettamente sostitutivi di mancata spesa ordinaria. D’altronde pare difficile classificare l’edilizia carceraria o le manutenzioni stradali fra le politiche prioritarie per lo sviluppo del Sud.

Nella difficile difesa di queste scelte, esponenti del Governo hanno più volte fatto riferimento alla circostanza che in passato l’impiego del FAS – specie da parte delle Regioni – sarebbe stato molto lento e frammentato in interventi non strategici. Ma in tutto questo scritto si fa riferimento solo a risorse nella disponibilità del Governo nazionale. Proprio per superare le difficoltà del passato, il Governo avrebbe potuto impiegarle direttamente, in pochi grandi interventi strategici (ad esempio per le ferrovie), stabilendo le proprie priorità, concentrando la spesa, dando un esempio della sua capacità di “fare”. Si è deciso diversamente.

La capacità di ripresa dell’economia del Sud dopo la crisi del 2008-09 è molto limitata, a causa della gravità della caduta dell’occupazione e dalla connessa sensibile debolezza della domanda delle famiglie; della contenuta capacità di investimento delle imprese; dei tagli operati alla spesa pubblica corrente; e soprattutto della modesta capacità di esportazione. Le scelte del Governo hanno sostanzialmente cancellato, fino al 2015, l’importante contributo, qualitativo e quantitativo, che sarebbe potuto venire dalla politica di sviluppo territoriale nazionale, e l’effetto di stimolo, anche per l’intera economia italiana, che ne sarebbe derivato. Nel silenzio più assordante della politica e delle rappresentanze degli interessi, la parte più debole dell’economia nazionale ha così – anche per questa manovra - probabilmente di fronte a sé un lungo periodo di stagnazione, dalle ricadute civili, sociali ed economiche difficilmente prevedibili.
http://www.nelmerito.com/index.php?option=com_content&task=view&id=1279&Itemid=141

1. SVIMEZ, Rapporto SVIMEZ 2010 sull’economia del Mezzogiorno, il Mulino, Bologna, 2010; A. Misiani, Il saccheggio dei fondi FAS e la finzione dei fondi anti-crisi, luglio 2009 www.nens.it; MISE – DPS, Rapporto Annuale 2008 e 2009.
2. Bollettino Economico, n. 63, gennaio 2011, pag. 40
3. A. Misiani, Ammortizzatori sociali, crescono gli squilibri territoriali, gennaio 2011, www.nens.it
4. Esso determina un contributo alla ricostruzione dell’Abruzzo per 1,6 miliardi dalla dotazione FAS Mezzogiorno e per 3 miliardi dalla dotazione CentroNord
5. Anche in assenza di questa ipotesi il quadro non muta significativamente.
6. Nella ipotesi più pessimistica la spesa in conto capitale al Sud potrebbe scendere fino a 9,5 miliardi, accrescendo per ulteriori 1,5 miliardi la redistribuzione territoriale di cui si è detto prima.
7. O alla circostanza che, chissà perché, la statale Sassari-Olbia non è finanziata dal Fondo Infrastrutture ma da quello “Economia Reale”
 







Infrastrutture: la Calabria terzultima in Italia
Con un indice di 77,1, la Calabria è terzultima nella graduatoria delle Regioni a statuto ordinario per le dotazioni infrastrutturali
18/04/2011  La Calabria è terzultima nella graduatoria delle Regioni a statuto ordinario, con un indice di 77,1, per le dotazioni infrastrutturali che prende in considerazione otto categorie: rete stradale, aeroporti, ferrovie,reti telefoniche e telematiche reti ed impianti energetico-ambientali, strutture sanitarie, scolastiche e culturali-ricreative.
 Il dato emerge dall’elaborazione fatta dal Sole 24 ore su dati dell’Istituto Magnacarne in vista dell’esame del decreto sul recupero di gap infrastrutturale previsto dal federalismo.
 In questa graduatoria, la Calabria è seguita solo da Molise (54,4) e Basilicata (43,8). Il Lazio, che è al primo posto, ha un indice di 162. A livello provinciale, la prima Provincia calabrese è Catanzaro, al 29/mo posto nazionale, con una indice di 101,1, seguita da Reggio con 86,4 (44/ma), Vibo con 78,7 (56/ma), Cosenza con 66,5 (70/ma) e Crotone con 57 (76/ma).
 Passando all’esame delle singole voci, i chilometri di autostrada in Calabria sono 295, contro gli 853 del Piemonte, mentre quelli di binari doppi elettrificati sono 259. Peggio della calabria, per le ferrovie, stanno Marche, Umbria, Abruzzo, Basilicata e Molise, ma con un’estensione territoriale inferiore. I metri quadrati di area parcheggio degli aerei, sono 150 mila, con la Calabria che si pone al nono posto della graduatoria. È al terzultimo posto, invece, per la raccolta differenziata (con 86.294 chili), al qunitultimo per numero di biblioteche (496 contro le 2.642 della Lombadia, prima), ed al noto come numero di aule nei licei (1.595).

Infrastrutture, Basilicata agli ultimi posti
18/04/2011  Dal punto di vista delle infrastrutture, Basilicata, Molise e Calabria «nell’indice generale raggiungono un punteggio spesso sotto la metà rispetto a Lazio, Lombardia e Liguria»: lo ha scritto oggi Gianni Trovati sul quotidiano «Il Sole 24 Ore», in un articolo dedicato al decreto sulle «risorse aggiuntive» e gli “interventi speciali» previsti dal federalismo, presto all’esame della Commissione bicamerale per l’attuazione della riforma.

Nel quadro sintetico finale riservato alle regioni a statuto ordinario, la Basilicata ottiene un indice 43,8, l’ultimo della classifica (preceduta dal Molise, con 54,4). La Basilicata occupa l’ultimo o il penultimo posto nelle classifica di categoria (29 chilometri di autostrade rispetto ai 36 del Molise; 24 chilometri di binari doppi elettrificati rispetto ai 23 del Molise; nessun aeroporto, come il Molise; solo 19.856 chilogrammi di raccolta differenziata, in netto vantaggio però sul Molise, che è a quota 6.350; 189 biblioteche rispetto alle 169 del Molise; e 423 aule nei licei rispetto alle 224 del Molise). Nella classifica delle province, l’indice di quella di Potenza è 44,3 e la colloca al terz'ultimo posto; l’indice della provincia di Matera, dove «la ferrovia semplicemente non c'è, unico capoluogo d’Italia in questa condizione», è 42,7 e la colloca all’ultimo posto. I dati sono dell’Istituto Tagliacarne e sono stati elaborati dal «Sole 24 Ore»


Istat: nel 2008 dai Comuni oltre 6 mld per i servizi sociali
Roma, 19 apr (Il Velino) - Nel 2008 i Comuni italiani, in forma singola o associata, hanno destinato agli interventi e ai servizi sociali 6 miliardi e 662 milioni di euro, un valore pari allo 0,42 per cento del Pil nazionale. Lo rende noto l’Istat. Rispetto all’anno precedente la spesa sociale gestita a livello locale è aumentata del 4,1 per cento, in linea con il trend di leggera crescita osservato dal 2003. La spesa media pro capite, sottolinea l’istituto di statistica, è passata da 90 euro nel 2003 a 111 euro nel 2008, ma l’incremento è di soli 8 euro pro capite se calcolato a prezzi costanti. Ci sono ancora sensibili differenze territoriali nelle risorse impiegate dai Comuni in rapporto alla popolazione residente: la spesa per abitante varia da un minimo di 30 euro in Calabria a un massimo di 280 euro nella provincia autonoma di Trento. Al di sopra della media nazionale si collocano tutte le regioni del Centro-Nord e la Sardegna, mentre il Sud presenta i livelli più bassi di spesa media pro capite (52 euro), circa tre volte inferiore a quella del Nord-est (155 euro). I principali destinatari sono famiglia e minori, anziani e persone con disabilità: su queste tre aree di utenza si concentra l’82,6 per cento delle risorse impiegate. Le politiche di contrasto alla povertà e all’esclusione sociale incidono per il 7,7 per cento della spesa sociale, mentre il 6,3 per cento è destinato ad attività generali o rivolte alla “multiutenza”. Le quote restanti riguardano le aree di utenza “immigrati e nomadi” (2,7 per cento) e “dipendenze” (0,7 per cento). Nelle regioni del Sud vengono destinate alle politiche di contrasto alla povertà e all’esclusione sociale quote di spesa significative: il 12,3 per cento nel complesso dell’area, con un picco del 24 per cento in Calabria. Nelle regioni del Nord c’è una maggiore concentrazione di risorse a favore degli anziani e, soprattutto nel Nord-est, dei disabili.
(red/mpi) 19 apr 2011 10:31













Federalismo avvelenato

Marco Esposito, Scrittore e giornalista, autore (con G. Pittella) del libro Federalismo avvelenato (Zefiro, Roma) - 03 Maggio 2011.
La riforma federalista italiana prosegue a grandi passi, ma si tratta di un “federalismo avvelenato” [1].
Il decreto su fisco regionale e sanità – il principale dal punto di vista dell’impatto finanziario – ha ricevuto un consenso molto ampio nella Commissione bicamerale per il federalismo fiscale. Con il voto del 24 marzo 2011 (reso agevole dall’astensione del Pd) molti hanno parlato di una “bella pagina” per la politica italiana, le Regioni hanno affermato di aver ottenuto “tutto” e ad applaudire non è stata soltanto la Lega Nord.

Eppure i contribuenti, del Sud e non solo, hanno poco da festeggiare. Infatti con il compromesso del 24 marzo la clausola di salvaguardia prevista nel testo originale del decreto contro gli aumenti dell’Irpef regionale per i redditi del secondo scaglione, ovvero la fascia tra i 15.000 e i 28.000 euro all’anno, è saltata. Le Regioni - e il Pd che le sosteneva - hanno affermato di aver ottenuto “tutto”, e in questo “tutto” c’è l’opportunità di aumentare l’addizionale Irpef regionale (oggi allo 0,9%) fino al 3% anche su redditi oggettivamente bassi. Evidentemente, per le Regioni la possibilità di aumentare l’Irpef è considerata una conquista. Eppure ridurre la pressione fiscale sui redditi dovrebbe essere un obiettivo comune. Non è in fondo questo che si riprometteva la riforma federalista?

Certo, nel compromesso finale gli enti locali hanno ottenuto molte altre cose. Sono arrivati fondi liquidi per il trasporto pubblico. C’è l’impegno a rivedere i tagli decisi nel 2010. Ma questi sono provvedimenti spot, una tantum, che dovrebbero trovar spazio in una manovra finanziaria se non in un milleproroghe e che non hanno nulla a che vedere con la costruzione dell’architettura federalista, ovvero di regole che gradualmente - tra il 2013 e il 2018 - cambieranno il rapporto tra i contribuenti, gli enti locali e lo stato centrale.

Le regole di base sono rimaste perciò quelle immaginate dal governo. In particolare ci sono due formule che consentono di vanificare il principio costituzionale di servizi minimi di cittadinanza uniformi sul territorio e indipendenti dal reddito.

La prima regola consiste nel cancellare trasferimenti statali a Regioni, Province e Comuni assegnati in base al fabbisogno e sostituirli con una somma identica nel suo complesso ma ricavata grazie a una quota di Irpef vincolata al reddito “riferibile” a un determinato territorio. I bisogni sono proporzionati alla popolazione mentre il gettito Irpef è correlato alla ricchezza, per cui in un paese dualistico come l’Italia è matematico che con tale sistema si crei una disparità nell’erogazione di risorse, che saranno così in eccesso in alcune aree e in difetto in altre. Per le Regioni, in particolare, i trasferimenti da cancellare nel 2013 ammontano a 9 miliardi l’anno, con un beneficio netto per quattro Regioni (Lombardia, Veneto, Emilia Romagna e Lazio) e una perdita più o meno vistosa per le altre undici (non va mai dimenticato che i decreti sul federalismo fiscale si applicano soltanto alle 15 Regioni a statuto ordinario). Certo, un meccanismo perequativo attenuerà il bonus per le Regioni avvantaggiate e ridurrà il danno per quelle taglieggiate, ma la direzione di marcia è chiara.

Sarebbe bastato coprire il taglio di trasferimenti statali invece che con l’Irpef con l’accisa sui tabacchi e il risultato sarebbe stato molto diverso, perché il consumo di sigarette è abbastanza omogeneo sul territorio e nessuna Regione avrebbe perso o guadagnato troppo. Un emendamento in tal senso è stato avanzato da me e Pittella [2], per essere poi ripreso dal “Sole 24 Ore”, che il 23 marzo ha titolato proprio sul nodo dei tabacchi come possibile compromesso per allargare il consenso in vista del voto decisivo del 24. L’emendamento, però, è stato affossato, con un danno netto per le regioni del Mezzogiorno stimabile in 700 milioni all’anno.

Eppure l’idea dei tabacchi non era strampalata, se la si guarda dal punto di vista di un sistema di fisco federale, dove c’è il massimo legame possibile tra imposte pagate e servizi erogati. L’accisa sui tabacchi infatti si spiega con il fatto che il fumatore si ammala con maggior frequenza e quindi contribuisce così a pagare la cura per le malattie che rischia di procurarsi. E le Regioni hanno l’assistenza sanitaria come proprio “core businnes”.

Se l’idea dei tabacchi è stata bocciata, quindi, non è per la sua estemporaneità ma perché non risponde all’obiettivo fondamentale della Lega: trasferire al Nord più soldi possibile. Non a caso le imposte che sono state assegnate alle Regioni, l’Irpef e l’Irap, sono le più sperequate nel gettito territoriale, mentre sono state scartate quelle relativamente più equilibrate e cioè l’accisa sui tabacchi, quella sui carburanti e i proventi dalle lotterie.

C’è poi la seconda formula contabile, che avrà effetti devastanti per il Mezzogiorno. Nella distribuzione dei fondi sanitari la Costituzione obbliga alla copertura del 100% del fabbisogno. Il trucco consiste nel calcolare in modo anomalo il fabbisogno. Come si procede? Si individuano delle Regioni campione (tre, di cui una del Sud in modo da sviare l’attenzione dal vero artifizio contabile) e si calcola il costo medio per l’assistenza sanitaria procapite. Non tutte le persone però hanno il medesimo fabbisogno sanitario: in particolare gli anziani e i malati cronici hanno necessità di cure più massicce. Gli anziani sono in proporzione più numerosi al Nord, i malati cronici tra le fasce sociali deboli e quindi al Sud. Il trucco è semplicissimo: si pesano gli anziani e si ignorano i malati cronici. Un trucco che sposterà a regime, cioè nel 2018, cinque miliardi di euro annui dal Sud al Nord.

Va sottolineato che la formula utilizzata per la sanità non ha nulla a che vedere con l’obiettivo di controllare la qualità del servizio e di intercettare gli sprechi. I famosi costi standard non sono calcolati sui singoli servizi perché per le tre regioni di riferimento si prende il piè di lista. In pratica con tale formula una Regione del Sud sprecona finirà le risorse ad agosto e una Regione del Sud che raggiunge la piena efficienza e rispetta gli obiettivi le finirà a novembre. Infatti, visto che non sono conteggiati i maggiori costi dei malati cronici, nessuna potrà più garantire il 100% dei servizi minimi essenziali per tutto l’anno.
 [1] Questo è il titolo del libro a firma di Gianni Pitella e mia appena pubblicato dalla Zefiro (Roma).
[2] Nel libro già citato.

http://www.economiaepolitica.it/index.php/mezzogiorno/federalismo-avvelenato/

Ecco dove Governo e Cipe hanno dirottato i Fas del Mezzogiorno 














L'Italia dei malati di cancro sempre più spaccata in due
di Celestina Dominelli – Il Sole 24 Ore
L'Italia dei malati di cancro, che oggi sono 2,2 milioni (circa il 4% della popolazione, quasi il doppio rispetto al 1992), continua a essere un paese a due velocità. In cui il 39,6% dei cittadini non ha fiducia nella sanità della propria regione e preferisce emigrare, preferibilmente al Nord, per inseguire una speranza di guarigione.
 
Ed è una tendenza che cresce spostandosi nel Meridione dove quasi la metà degli intervistati (il 48%) si dice pronto al pendolarismo della salute per ottenere cure migliori. Senza contare che una buona fetta di italiani, il 39,1%, sarebbe disposto anche ad andare all'estero per curarsi e il 3% lo ha già fatto. Ecco la fotografia scattata dal Censis e presentata oggi a Roma, al Senato, in occasione della VI Giornata del malato oncologico organizzata dalla Favo, la Federazione italiana delle associazioni di volontariato in oncologia.

Il divario tecnologico tra Nord e Sud
Insomma, l'Italia dei tumori è ancora un paese segnato da una fortissima disparità territoriale. E, basta dare un'occhiata anche al censimento promosso dall'Associazione italiana radioterapia oncologica (Airo), per capire che il gap è innanzitutto tecnologico: solo 6 regioni (quasi tutte al Nord) hanno infatti raggiunto l'obiettivo fissato nel 2002 di portare il numero degli acceleratori lineari, cruciali nella cura dei tumori, a circa 7-8 unità per milione di abitante.

La speranza dei farmaci innovativi
Altro fronte delicatissimo quello dei farmaci innovativi che, sempre secondo il Censis, miglioreranno la vita più dell'energia pulita, delle auto ecologiche e delle nuove tecnologie. Il 54,3% degli italiani è infatti convinto che i nuovi farmaci rappresentino le innovazioni tecnologiche e sociali che daranno maggiore impulso al cambiamento della vita in Italia nel prossimo futuro, superando le energie rinnovabili (54%), il riciclaggio dei rifiuti (49,4%), l'auto elettrica e i mezzi di trasporto ecologico (31,3%). Ma anche i nuovi modelli di welfare (26%), la banda larga (9,8%) e innovativi strumenti wireless e mobili (9,2%). «È evidente - sottolinea Elisabetta Iannelli, segretario della Federazione italiana delle associazioni di volontariato in oncologia (Favo) - che questa dinamica coinvolge in modo particolare i tumori, perché costituiscono l'area terapeutica in cui più si stanno concentrando gli sforzi di investimento per l'innovazione. Migliora la sopravvivenza dei pazienti oncologici e la consapevolezza che guarire dal cancro è possibile».

Verso terapie sempre più personalizzate
Inoltre, il 68% degli intervistati indica come priorità assoluta la scoperta di farmaci per guarire da patologie ancora incurabili, poco meno del 29% l'esigenza di individuare molecole meno rischiose con minori effetti collaterali, mentre il 12,6% ambisce a terapie più personalizzate. Metà degli intervistati poi ritiene che il farmaco abbia contribuito alla sconfitta delle malattie mortali e quasi il 76% al miglioramento della qualità della vita dei pazienti.
 12 maggio 2011


Istat: Rapporto sul paese 2008-2010. Risultanze specifiche sul Mezzogiorno. Le frasi riportate non sono state modificate, sono originali.
1. Tra il 2008 e il 2010 il numero di occupati è diminuito di 532 mila unità: in più della metà dei casi si tratta di persone residenti nel Mezzogiorno, cosicché in quest’area l’occupazione è tornata sui livelli dell’inizio del decennio. La contrazione ha riguardato anche il Nord (-1,9 per cento, pari a 228 mila unità in meno), mentre le regioni centrali sono passate sostanzialmente indenni attraverso la crisi.

2. Nonostante il diffuso ricorso alla Cig, la perdita di manodopera industriale (-404 mila unità tra 2008 e 2010) ha contribuito per i tre quarti alla caduta occupazionale totale. Il fenomeno ha assunto dimensioni di estrema gravità nel Mezzogiorno, con un ritmo di discesa doppio (-13,8 per cento) rispetto a quello del Centro-Nord (-6,9 per cento).

3. Nel 2010 era occupato circa un giovane su due nel Nord e meno di tre su dieci nel Mezzogiorno.

4. La caduta dell’occupazione è stata particolarmente significativa tra i giovani: nella quasi totalità dei casi si tratta di persone che vivono in famiglia con i propri genitori. Neanche l’istruzione più elevata ha protetto i giovani dagli effetti della recessione: infatti, il tasso di occupazione è diminuito sia per chi è in possesso di un basso titolo di studio (dal 38,8 al 36,0 per cento del 2010), sia per i diplomati (dal 45,6 al 43,9 per cento) e i laureati (dal 50,6 al 48,5 per cento).
Per i giovani si è ridotta la probabilità di passare da un lavoro atipico a uno standard:
ogni 100 giovani con contratto atipico nel primo trimestre 2009, solo 16 sono occupati stabilmente dopo un anno (10 in meno dell’anno precedente)…..
Un terzo dei Neet è disoccupato, un terzo è non disponibile a lavorare e un terzo fa parte della “zona grigia”: quindi, la grande maggioranza di questi giovani (con una punta dell’80 per cento tra i maschi del Mezzogiorno) mostra un interesse alla partecipazione al mercato del lavoro, perché disoccupati o inattivi disponibili a lavorare.
Poco più della metà dei Neet che vive con i genitori proviene dalla classe operaia, a fronte di percentuali del 30 per cento tra gli studenti e del 42 per cento tra gli
occupati.

5. A sperimentare le interruzioni forzate del rapporto di lavoro sono soprattutto le giovani generazioni (il 13,1 per cento tra le madri nate dopo il 1973) e le donne residenti nel Mezzogiorno, per le quali più frequentemente le interruzionisi trasformano in uscite prolungate dal mercato del lavoro e la quasi totalità di quelle legate alla nascita di un figlio può ricondursi alle dimissioni forzate.

6. I profili familiari e territoriali che caratterizzano le famiglie deprivate sono del tutto simili a quelli rilevati negli anni precedenti: famiglie numerose, con tre o più figli, abitazione in affitto, residenza nel Mezzogiorno.

7. Se il Nord-est spicca per una rete di aiuto informale più diffusa e attiva, il Mezzogiorno appare particolarmente penalizzato da una rete più esigua – con meno care giver e meno famiglie aiutate – pur a fronte di bisogni derivantida una povertà materiale più diffusa e da peggiori condizioni di salute della popolazione anziana.

8. (….) le poche madri lavoratrici del Mezzogiorno si trovano a dover ricorrere ad aiuti a pagamento più delle donne del Nord a causa della limitata disponibilità di servizi pubblici, di un minore aiuto da parte della rete informale e della necessità di attivarsi verso anziani in peggiori condizioni di salute rispetto al resto del Paese. Oltre agli aiuti per la cura e l’assistenza, il 12 per cento delle famiglie con bambini
riceve aiuti di tipo economico, con un significativo aumento rispetto al 1998 (quando era il 5,5 per cento). Le famiglie con bambini che possono contare su un sostegno economico sono più numerose nel Nord-est (14,4 per cento), mentre nel Mezzogiorno si attestano al 10,2 per cento, il valore più basso del Paese, pur essendo questa la zona con il maggior numero di bambini in condizione di povertà.

9. Tra i bisognosi di assistenza, oltre ai bambini, vi è un numero elevato di persone
gravemente o parzialmente limitate nell’autonomia personale che non sono raggiunte da alcun tipo di aiuto e non sono adeguatamente sostenute in casa: si tratta di circa due milioni di individui, soprattutto anziani, che non trovano adeguata
protezione all’interno della famiglia perché vivono soli o con altre persone con problemi di salute. Questo segmento di popolazione presenta anche condizioni economiche mediamente più svantaggiate, soprattutto nel Mezzogiorno. Il Nord-est è la zona in cui le famiglie di anziani sono aiutate di più, soprattutto quelle con persone in gravi condizioni (55,8 per cento), mentre il Mezzogiorno è quella dove le famiglie di anziani in gravi condizioni sono aiutate meno (46,9 per cento), benché le condizioni di salute degli anziani siano comparativamente peggiori.

10. La presenza di forme miste di aiuto per la cura e l’assistenza (pubblico, privato,
informale) è più alta nel Nord-est dove è maggiore l’aiuto agli anziani, mentre nel Mezzogiorno il carico delle situazioni difficili è più frequentemente appannaggio esclusivo della rete informale. Dove i servizi pubblici sono in crescita e le condizioni
economiche della popolazione consentono il ricorso ai servizi privati, come nel Nord-est, la rete informale (in particolare le donne) riesce maggiormente a contenere i carichi del lavoro di cura, ritraendosi da quelli più onerosi, ma garantendo la vicinanza affettiva attraverso la compagnia e l’accompagnamento. Al contrario, nelle aree in cui gli aiuti pubblici sono meno diffusi, come avviene nel Mezzogiorno, la rete informale è schiacciata sotto il peso delle esigenze degli anziani e si fa maggiormente carico di aiuti sanitari e di assistenza, raggiungendo comunque
una quota più contenuta di famiglie in difficoltà.

11. I cittadini che risiedono al Sud ricevono dai Comuni circa un terzo delle risorse erogate nel Nord-est sotto forma di interventi e servizi sociali (si va da un minimo di 30 euro in Calabria a un massimo di 280 euro nella provincia autonoma di Trento). Nelle regioni del Sud non solo si registrano i valori pro capite più bassi, ma anche la minore compartecipazione alla spesa da parte degli utenti e del Sistema sanitario nazionale.

12. Nel 2008 per una persona disabile residente in Italia la spesa media per assistenza è stata di 2.500 euro, oscillando dai 658 euro del Sud ai 5.075 del Nord-est; per l’assistenza agli anziani si va dai 59 euro di spesa media pro capite al Sud ai 165 euro nel Nord-est e per le famiglie con figli l’impegno dei Comuni varia dai 47 euro pro capite del Sud ai 165 del Nord-est. Nel 2009 la quota di bambini che si sono avvalsi di un servizio socio-educativo pubblico è del 13,6 per cento, ma mentre in alcune regioni (Emilia-Romagna, Umbria e Valle d’Aosta) si raggiunge quasi il 30 per
cento dei bambini fra 0 e 2 anni, quasi tutte quelle del Mezzogiorno presentano percentuali inferiori al 10 per cento.

13. Inoltre, la prima fase del federalismo municipale, prevista dal 2012-2013, dovrebbe procedere alla soppressione di alcuni trasferimenti ai Comuni a fronte della devoluzione di alcuni tributi. Nel Mezzogiorno, dove il welfare locale risulta finanziato in misura maggiore dai trasferimenti statali, le modifiche prefigurate – in assenza di interventi perequativi – potrebbero tradursi in un contenimento delle risorse impiegate nel settore dell’assistenza sociale. Alla sofferenza delle reti di aiuto informale, dunque, rischia di aggiungersi quella delle politiche sociali, con il possibile aumento, in un contesto di forti differenziali territoriali, di bisogni non soddisfatti provenienti dai segmenti di popolazione più vulnerabile.

14. (…) se nel Mezzogiorno il tasso di occupazione è pari al 47,8 per cento, nel Nord e nel Centro si colloca su livelli prossimi a quello medio europeo (rispettivamente, 69,2 e 65,7 per cento), con divari più accentuati per la componente femminile: in diverse regioni meridionali la quota delle donne occupate è circa la metà di quella registrata in quelle settentrionali con le migliori performance.
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