lunedì 18 aprile 2011

Federali-Mattino. 19 aprile 2011. Apriti sesamo verdi a forma di passaporto.---- Carriere a sbafo. Renzo Miroglio: «Il lavoro è poco, il lavoro è precario. Il Parlamento invece di discutere di questi problemi parla di giustizia e di bunga bunga. Non possiamo lasciare che il mercato si aggiusti da solo. La Liguria non ce la farebbe.---Contrariamente agli ottimismi di facciata che vengono profusi da più parti, la crisi è tutt’altro che finita. Per questo riteniamo che occorre contrastarla sostenendo le proposte della Cgil e la mobilitazione, con lo sciopero generale del 6 maggio e la manifestazione regionale che si svolgerà a Terni. E’ il chiaro messaggio di Mario Bravi, Segretario Generale Cgil Umbria.

Parlano male di Luis:
Durnwalder e la fatica di governare
Bozen. Brugger e Zeller: nomi, chiudiamo l’accordo

Amaro Maroni:
Maroni: anche la Ue ha riconosciuto che i nostri permessi sono regolari
Treni bloccati, l'Ue appoggia Parigi «Sui migranti ha rispettato le regole»
La lite tra Italia e Francia rivela il conflitto sull'immigrazione all'interno della Ue

In padania son clandestini, se vanno in Francia sono migranti, o profughi:
Belluno. Feltre. I migranti preferiscono la Francia
Treviso. Profughi rifocillati e ripartiti
Brescia. Lampedusa: arrivano i primi tunisini destinati alle zone del Bresciano
Pavia. Arrivati i profughi. «Siamo di passaggio»
Bologna. In arrivo da Manduria altri 35 profughi

L'economia padana del differenziale:
Venezia. Trecento vu' cumprà al giorno «Prima o poi ci scappa il morto»
Il fallimento delle ronde: al Nord sono solo dieci
Belluno. Pieve di Cadore: la cultura senza soldi, meno eventi
Pordenone. Il lavoro precario dilaga tra i giovani
Milano. Parmalat, assolte le banche straniere
Cassa Integrazione: nuova impennata in Umbria
Stranieri: percepiscono 319 euro in meno degli italiani
Crisi, in Liguria sempre più a “sud” ogni lavoratore perde 8000€


Durnwalder e la fatica di governare
di Sergio Baraldi
 È da settimane che si manifesta la fatica di governare di Durnwalder. Adesso il presidente vuole riunire in clausura la sua giunta per discutere di toponomastica. Un gesto che invece di mostrare la forza del suo governo, ne rivela la debolezza. Come ha fatto la sua uscita sulle visite private in ospedale: quando si è reso conto che le lunghe attese per gli esami clinici mostrano le falle della sanità in l’Alto Adige, è sceso in campo cercando di scaricare la responsabilità sui medici.

 Così ha sviato l’attenzione dal vero problema, vale a dire l’i mpantanarsi della sua «riforma», segnalato con lucidità dal nostro Mauro Fattor, e il delinearsi di una sconfitta politica del suo assessore, Theiner. Non deve sfuggire un elemento essenziale: Theiner è anche il segretario della Svp, la crisi della sua riforma è la crisi del capo della Svp alle prese con uno dei nodi decisivi del governo locale.

 Ancora una volta, Durnwalder è intervenuto perché ha capito che la sua squadra non gioca bene e non segna un goal. Guarda caso, proprio come l’Alto Adige Calcio. Se ci volgiamo all’aeroporto, alla cittadella di Laives, al bilinguismo, all’economia e alla sfida della modernizzazione, per ogni capitolo potremmo scrivere la stessa storia. Su quasi ogni questione importante ci incagliamo sulla difficoltà della politica e della giunta provinciale di trovare soluzioni soddisfacenti e una sintesi dei diversi interessi e identità che agiscono sullo scenario sociale. Così il rischio di sconfitta politica di Theiner diventa contemporaneamente il simbolo della crisi Svp e la spia dei problemi della giunta della quale fa parte. Lo stesso Durnwalder costruisce la sua opposizione.

 Anzi, questo è uno dei pochi tratti moderni dell’amministrazione provinciale: le decisioni che si vogliono porre in essere creano l’i nteresse che gli si oppone. Sapevamo che il Comune di Bolzano è malato, la novità è che anche la Provincia non sta molto bene. Potremmo dire che Durnwalder s’impegna a «declinare crescendo», perché coesistono nella sua azione una espansione quantitativa con una seria perdita di efficacia qualitativa e
politica. Qual è la ragione di questo avanzare indietreggiando?

 Secondo il professore Fazzi la malattia consiste nella debolezza della leadership: il nostro sociologo chiama direttamente in causa Durnwalder e ne mette in risalto il suo profilo di uomo del Novecento, quindi del passato, sempre meno adatto a gestire i tempi nuovi. Il professore Palermo, nell’altra analisi che pubblichiamo, concorda sui limiti della leadership, ma assegna un ruolo decisivo al mancato ridisegno istituzionale dell’Autonomia che ha permesso a una impalcatura giuridica preziosa nel passato di trasformarsi in una gabbia che blocca il processo modernizzatore.

 E vede nella mancata corrispondenza del processo decisionale alle esigenze della società il nucleo delle difficoltà. E’ difficile aggiungere qualcosa alle analisi di due intellettuali così prestigiosi. Il punto di crisi, a mio avviso, sta nel cortocircuito del rapporto tra la delega politica e il volto che cambia della nostra società. Il nostro Paolo Campostrini ha osservato che la politica in Alto Adige non fa i conti con la crisi della delega e con il nuovo cittadino che avanza. In effetti, fino a ieri i bisogni, le domande, le istanze della società confluivano nel bacino della delega che si pensava in grado di elaborare soluzioni sufficientemente efficaci da diventare «pubbliche», vale a dire generali.

 Oggi non è più così. Anche in Alto Adige la società esprime domande differenziate, bisogni di diversa natura, ed è sempre più arduo rispondere con formule semplificatrici. Anche perché queste spinte non sono più segnate solo dall’origine etnica, italiane o tedesche o ladine, ma spesso dividono trasversalmente i gruppi linguistici. La scuola è diventata il banco di prova di questa nuova realtà: la necessità di una scuola bilingue, che prefigura l’obiettivo di una società bilingue, nasce oggi nella scuola italiana, ma contagia il mondo tedesco urbano più avanzato. La prova viene dalle posizioni aperte e coraggiose delle imprese, come si sa a larga maggioranza tedesche. 17 aprile 2011

Bozen. Brugger e Zeller: nomi, chiudiamo l’accordo
I deputati della Stella alpina: i saggi hanno lavorato bene, accantonato Tolomei
BOLZANO. «Chiudiamo il capitolo della toponomastica e dedichiamoci alle sfide per questa provincia, dalla scuola all’apprendimento delle lingue, dalla questione sociale al lavoro, dai giovani all’innovazione». Così il deputato Svp, Siegfried Brugger, secondo il quale la commissione di saggi all’i nterno dell’intesa Fitto-Durnwalder sulla segnaletica di montagna ha lavorato bene. «Se poi potessimo usare questi criteri oggettivi per la prossima legge provinciale sulla toponomastica, non ci sarebbero più alibi per nessuno», ancora Brugger. «La grande valenza dell’accordo con il ministro Fitto è quella di aver messo nel cassetto il prontuario Tolomei», sottolinea il suo collega di partito, Karl Zeller. «Il principio del diffuso utilizzo dei toponimi per quanto riguarda quelli in italiano e dei nomi storici da lasciare solo in tedesco mi pare giusto, l’importante è non considerare più l’opera del Tolomei, un pugno nell’occhio per la popolazione di lingua tedesca in Alto Adige», afferma il deputato meranese. «La commissione paritetica di esperti ha lavorato in modo serio, prendendo decisioni su un tema ostico, per cui non mi soffermerei su singoli e specifici nomi: se ci sono correzioni da fare si facciano, ma con regole oggettive come mi pare siano state quelle con cui hanno lavorato gli esperti», spiega Siegfried Brugger. Sì, ma intanto il presidente Luis Durnwalder ritiene due punti irrinunciabili: i nomi delle malghe che derivano da nomi propri di masi che si trovano nelle vicinanze non possono essere tradotti in italiano. Allo stesso modo i rifugi alpini devono mantenere soltanto la loro denominazione originaria, non quella arrivata temporalmente dopo in italiano, ma diventata di utilizzo diffuso per quel gruppo linguistico. «So che il presidente Durnwalder non vuole accettare la traduzione di nomi dei masi, ove sia stata fatta, ma ripeto: guardiamo oltre e scrolliamoci di dosso questo problema per puntare a risolverne altri», sottolinea l’o norevole
Brugger.
 Di segnaletica di montagna se ne parlerà a questo punto nel corso della due-giorni di clausura della giunta provinciale prevista per giovedì e venerdì prossimi. All’interno del governo altoatesino si deve decidere come muoversi in concreto rispetto al lavoro uscito dalla commissione composta da Francesca De Carlini e Guido Denicolò per lo Stato e da Karl Rainer, Ferdinand Willeit e dal ladino Hugo Valentin per la Provincia.
LA RELAZIONE. I quattro esperti (5 con il ladino) si sono occupati di 1.526 indicazioni monolingui in tedesco (tra toponimi puri e indicazioni di carattere generale). Le determinazioni della commissione sono state prese all’unanimità. I toponimi rimasti esclusivamente in lingua tedesca rappresentano il 10% del totale, quindi 150 circa. Si tratta di nomi per i quali non esiste il corrispettivo in italiano neppure nel Prontuario del Tolomei, oppure in minima parte esistono denominazioni in lingua italiana, ma non sono diffusamente utilizzate. Non hanno neppure indicazioni di carattere generale come “Spitze” o “See” che potrebbero essere tradotte. Poi ci sono il 45% di toponimi tradotti in toto in lingua italiana perché diffusamente utilizzati dal gruppo italiano. L’altro 45 per cento è composto da toponimi tradotti in lingua italiana o lasciati in tedesco con l’indicazione di carattere generale in italiano: la gran parte è stata tradotta in italiano, quando esse siano indicazioni di carattere generale, generiche e/o legate a nomi di santi. Tutti i rifugi alpini hanno il loro nome in tedesco ed in italiano.
L’INTESA. L’intesa sottoscritta il 22 settembre scorso tra il ministrro Fitto ed il presidente Durnwalder prevedeva che la commissione di esperti si occupasse delle 1.526 indicazioni monolingui individuate dalle forze dell’ordine su un totale di circa 36 mila cartelli dell’Alpenverein. I saggi hanno lavorato seguendo il criterio del nome diffusamente utilizzato per quanto riguarda la forma bilingue, mentenendo invece in tedesco o ladino i nomi storici, a cui aggiungere le indicazioni come malga o torrente. Il protocollo d’intesa delaga alla politica la scelta finale, da consentire la sostituzione dei cartelli entro la stagione alpinistica 2013.

Maroni: anche la Ue ha riconosciuto che i nostri permessi sono regolari
 Lunedì 18 Aprile 2011 07:07  Redazione desk
ROMA - «Io mi sento vicino alla realtà dei fatti e dico che l’Europa della solidarietà ancora non c’è». Considerazioni amare da parte del ministro dell’Interno, Roberto Maroni intervistato da Maria Latella per Sky tg24 sull’emergenza immigrazione. «Se, quando l’Italia chiede aiuto nella gestione dell’emergenza, l’Europa risponde "è un problema vostro", non è l’Europa che tutti noi abbiamo in mente. L’emergenza immigrazione in Italia non è finita, stiamo superando la fase acuta, quella in cui in due settimane in mezzo sono arrivati in Italia oltre 20 mila immigrati», ha aggiunto  Maroni, precisando: «L’emergenza non è finita e non lo sarà fino a che la Libia sarà in guerra e la Tunisia, in cui sono cadute le barriere che fermavano l’esodo, non avrà un governo più efficace». Quanto ai rimpatri dei tunisini arrivati dopo il 5 aprile, data dell’accordo con Tunisi, sono già  330  quelli rimpatriati con i due voli giornalieri da Lampedusa, ha confermato il ministro dell’Interno parlando dell’emergenza immigrazione. Nel momento della fase acuta della crisi, ha spiegato il ministro, abbiamo allestito le tendopoli «che ora progressivamente stiamo svuotando». Quanto alle polemiche sui permessi temporanei, Maroni ha spiegato: «Noi siamo in regola con le norme europee per la libera circolazione di Schengen e con i permessi di soggiorno temporanei. Abbiamo dato agli immigrati i documenti di viaggio e tutto ciò che serve - ha aggiunto - e la Commissione europea ha detto ’l’Italia è in regola con le norme di Schengen’. Quindi la libera circolazione è possibile per tutti coloro che hanno il permesso di soggiorno temporaneo e vogliono andare in Francia». Le parole del Presidente del Consiglio non hanno mancato di provocare reazioni sia negli ambienti della magistratura che in quelli dell’opposizione.

Treni bloccati, l'Ue appoggia Parigi «Sui migranti ha rispettato le regole»
Fonti della Commissione Ue: certi provvedimenti possono essere presi se giustificati da motivi di ordine pubblico
MILANO - Bloccando temporaneamente il traffico ferroviario da Ventimiglia verso la Francia, Parigi non ha violato le regole europee. È questa la prima valutazione raccolta da fonti della Commissione europea su quanto avvenuto domenica al confine in Liguria. Le stesse fonti ricordano che provvedimenti di questo tipo possono essere adottati se giustificati da motivi di ordine pubblico. Le autorità francesi hanno già proceduto a spiegare ai competenti servizi della Commissione Ue le ragioni alla base della decisione di domenica. Il blocco per alcune ore del traffico ferroviario, sostiene Parigi, sarebbe stato deciso in seguito all'annuncio di tenere una manifestazione non autorizzata a sostegno dei migranti tunisini e quindi per prevenire il rischio di incidenti. Secondo le prime indicazioni trapelate da Bruxelles, ciò configurerebbe la sussistenza di uno dei casi - quello legato a motivi di ordine pubblico - per i quali è prevista la temporanea sospensione degli accordi di Schengen.

ROMA-PARIGI - Il blocco dei treni deciso da Parigi ha di fatto aperto un nuovo fronte di scontro tra Italia e Francia. Domenica il ministro degli Esteri Franco Frattini ha protestato formalmente, chiamando l'ambasciatore a Parigi e invitandolo ad un «passo diplomatico» per chiedere chiarimenti. E in una nota, la Farnesina ha spiegato di attendere chiarimenti per le misure prese da Parigi che appaiono - ha scritto il ministero - «illegittime e in chiara violazione con i generali principi europei». La Commissione europea ha però precisato di non aver ricevuto dall'Italia alcun reclamo riguardo a presunte violazioni delle regole Schengen da parte della Francia e che quindi «non c'è ancora una posizione ufficiale» di Bruxelles in attesa di raccogliere e valutare tutte le necessarie informazioni. All'indomani delle proteste italiane, comunque, il ministro dell'Interno francese, Claude Gueant, da Bucarest dove si trova in visita ufficiale, ha chiarito che la Francia non desidera avere tensioni con Roma sulla questione degli immigrati tunisini. E Roberto Maroni dal canto suo ha fatto sapere di confidare sul fatto che «nel vertice del 26 si possano risolvere amichevolmente questioni che non ha senso che continuino a permanere».

«ATTEGGIAMENTO DISUMANO» - Assai critico nei confronti di Parigi è invece il governatore della Lombardia Roberto Formigoni , secondo il quale l'atteggiamento della Francia sugli immigrati è anti europeista, disumano e inaccettabile.

La lite tra Italia e Francia rivela il conflitto sull'immigrazione all'interno della Ue
di Elysa Fazzino
L'immigrazione è il "pomo della discordia" tra Italia e Francia, la "patata bollente" che ci si passa l'un l'altro per paura di scottarsi. I due governi hanno scelto la "linea dura" e in questo scontro "la crisi Ue si aggrava". Dopo il blocco da parte della Francia dei treni provenienti da Ventimiglia, la stampa francese mette in evidenza che per la Commissione europea, la Francia "non ha fatto niente di illegale".

"L'Ue conforta la decisione di Parigi", titola Le Figaro sulla copertina del suo sito internet. Roma aveva denunciato la misura come "unilaterale" e "illegittima", ma la Commissione "non ha convalidato i rimproveri italiani", nota il quotidiano, domandandosi "la polemica si calmerà?".
Le Figaro, nella corrispondenza di Richard Heuzé intitolata "Clandestini: il conflitto franco-italiano si avvelena", racconta come la tensione è di nuovo salita domenica, quando la prefettura di polizia delle Alpi marittime ha ordinato la sospensione provvisoria di tutti i convogli che dovevano attraversare la frontiera, "per motivi di ordine pubblico, poiché era in corso una manifestazione" a favore dei "clandestini tunisini".

Mentre gli immigrati tunisini si muniscono dei permessi di soggiorno temporanei e dei titoli di viaggio per stranieri rilasciati dall'Italia – che Le Figaro definisce come "apriti sesamo verdi a forma di passaporto" – il ministero dell'Interno francese riafferma che restano necessari un documento d'identità rilasciato dal paese d'origine (in questo caso, la Tunisia) e risorse sufficienti. Tra gli oltre 200 commenti dei lettori, viene enunciato il "principio della patata bollente": l'Italia non vuole gli immigrati e dà loro un lasciapassare perché vadano in Francia, i francesi li rimandano indietro.

"Migranti tunisini, la Francia respinge le critiche italiane" scrive in evidenza Le Monde sulla homepage del suo sito: il ministro dell'Interno Claude Guéant ritiene che la Francia abbia rispettato "alla lettera" gli accordi di Schengen.

Il ministro francese, interrogato dall’Afp, sottolinea che la decisione dell’Italia di accordare permessi di soggiorno temporanei “è stata contestata da molti paesi dell’Unione europea”. “Ma noi – dice ancora Guéant – abbiamo accettato questa disposizione. Tuttavia, ci sono delle condizioni”. Le Monde e altri media francesi, come Les Echos, hanno messo in risalto la “collera” di Roma per il blocco dei treni e la “protesta formale” presso Parigi annunciata dal ministro degli Esteri Franco Frattini.

È il Nouvel Observateur che sulla copertina dell’edizione online ha chiamato l’immigrazione “pomo della discordia” tra Italia e Francia. La cronaca del Nouvel Obs dà spazio alla manifestazione all’origine della sospensione dei treni da parte francese. Circa 200 militanti per i diritti dell’uomo (“ dei francesi e molti italiani") erano saliti a bordo di un "treno della dignità" a Genova per accompagnare i migranti tunisini a Nizza. Quando il loro treno è stato bloccato a Ventimiglia – si legge sul Nouvel Obs - "indignati, i militanti si sono raggruppati in corteo, a fianco di numerosi immigrati tunisini, per gridare la loro collera". Hanno tentato di recarsi al consolato di Francia, ma poiché i carabinieri lo hanno impedito, hanno deciso di occupare i binari gridando "Siano tutti dei clandestini".

"La crisi Ue si aggrava per lo scontro tra Italia e Francia" titola El Pais sulla homepage del suo sito.
"Il blocco francese e la veemente reazione italiana", scrive il quotidiano spagnolo, "fanno affiorare con violenza alla superficie il conflitto interno all'Ue sulla politica migratoria, in un momento politico segnato dall'ascesa di partiti xenofobi e dall'indurimento delle posizioni in materia di immigrazione dei vari partiti conservatori europei". Queste nuove frizioni si sommano alle "gravi divisioni" nel continente provocate dall'intervento in Libia.

Anche El Pais segue da vicino gli sviluppi di giornata: "La Commissione studierà la decisione francese di chiudere il traffico ferroviario con l'Italia". Parigi e Roma difendono le proprie posizioni mentre cercano di minimizzare il conflitto bilaterale.
Al centro della disputa tra Parigi e Roma - ricorda il Financial Times – è la questione se i migranti arrivati in Italia dopo lo scoppio dei disordini in Nord Africa debbano essere autorizzati a trasferirsi in altri paesi dell'Unione europea, in particolare in Francia, dove molti hanno dei familiari.

I due ministri dell'Interno, Guéant e Roberto Maroni "adottano la linea dura" sull'immigrazione, con il sostegno dei rispettivi leader, nota il Ft. Nicolas Sarkozy e Silvio Berlusconi ne discuteranno di persona il 26 aprile.

Il litigio sui migranti tunisini è una delle principali notizie dall'Italia delle ultime ore anche su altri siti britannici. Bbc: "Francia e Italia in lite su migranti"; Guardian: "L'Italia protesta mentre la Francia blocca i treni che portano migranti tunisini"; Telegraph: "La Francia ferma tutti i treni italiani che portano i migranti nordafricani".
 18 aprile 2011

Belluno. Feltre. I migranti preferiscono la Francia
Inutile attesa in città, per loro erano pronti gli alloggi della Caritas
di Raffaele Scottini
FELTRE. I volontari si sono attivati di prima mattina per sistemare i sei mini appartamenti della Caritas destinati a ospitare i profughi. Ma i migranti dal Nordafrica non sono arrivati e non arriveranno. A Feltre hanno preferito la Francia.  Gli immigrati giunti ieri in Veneto, 106 tutti tunisini e con il permesso di soggiorno temporaneo, una volta scesi dal pullman a Verona per essere smistati (secondo il sistema dell'ospitalità diffusa) in vari centri caritatevoli della regione, hanno mangiato un boccone, si sono riposati e poi la maggior parte di loro si è avviata alla stazione dei treni per proseguire il viaggio quasi sicuramente verso Nizza. Per Feltre è l'epilogo di una giornata di attesa, preparativi, disponibilità, un po' di incertezza e frenesia, telefonate, arrivi fissati, rimandati e poi disdetti, fino all'epilogo più inaspettato. I migranti sospinti dalla guerra in Nordafrica preferiscono altri lidi. Il Veneto, a quanto pare, è solo una tappa.  Ricominciando dalla fine, sono circa le 16 quando il capo gabinetto della prefettura Nicola De Stefano annuncia che i profughi «sono scesi dal pulmino di volontà propria e non vengono più a Feltre. La comunicazione è arrivata da Venezia, dalla protezione civile regionale. Grazie ai volontari che hanno fatto un lavoro non da poco». Così non resta che richiudere i balconi dei minialloggi della Caritas in via Nassa. Erano sei quelli destinati ad accogliere dodici persone, ognuno con due letti, bagno e una stanza con angolo cottura, tavolo da pranzo e divano.  La giornata di ieri inizia presto. Gli appartamenti sono disponibili perché negli ultimi mesi sono stati oggetto di ristrutturazione, rappresentano la soluzione ideale per rispondere alla richiesta giunta venerdì dalla prefettura, però non sono ancora pronti all'uso. Quindi l'associazione di solidarietà, che fa capo alla diocesi, si mobilita e fa arrivare anche due donne delle pulizie. Ci vogliono un paio di viaggi con un camioncino riempito di un po' di tutto per liberare i locali, mentre i volontari rifanno i letti e preparano l'accoglienza ai migranti attesi a metà mattina.  Non si sa ancora da quale paese vengano i profughi, se ci siano solo uomini oppure anche donne con bambini. A un certo punto sembra che il gruppo sia composto da giovani sopra i vent'anni. Ci si chiede come saranno gestiti i pasti e l'assistenza, visto che gli ospiti con il permesso di soggiorno umanitario (valido sei mesi) non possono lavorare ma sono liberi di muoversi. Comunque la Caritas, dice don Diego Bardin, «è disponibile ad offrire qualche pacco alimentare e vestiti, in caso di necessità».  Sarà il decreto attuativo del Governo a stabilire la competenza, momentaneamente in mano alla prefettura, e intanto la situazione resta incerta. «Vedremo l'ordinanza», diceva Nicola De Stefano in contatto telefonico con la protezione civile regionale. «Cercheremo un intesa con le varie associazioni per apprestare cautele e assistenza». Ma le 11 diventano le 16 e l'appuntamento di Feltre è saltato.

Treviso. Profughi rifocillati e ripartiti
Cinque tunisini hanno sostato a Motta per un'ora assistiti dalla Caritas
MOTTA DI LIVENZA. Sono arrivati e subito ripartiti. I cinque profughi tunisini destinati ad essere ospitati dalla Caritas di Motta, hanno sostato in città poco più di un'ora. I cinque profughi, tutti uomini adulti, dopo essere stati rifocillati, sono ripartiti alla volta di Parma e di Padova, dov'erano attesi da famiglie amiche. L'appartamento della Caritas di Motta è libero per nuovi arrivi.  Erano attesi in città i cinque tunisini che, lasciato il centro di Lampedusa, avrebbero dovuto prendere alloggio in un appartamento della Caritas. Sono arrivati verso le 15 di ieri scortati da uomini della Protezione Civile. «Sono arrivati, ma poco dopo sono anche ripartiti - spiega Giancarlo Baldo, della Caritas di Motta - noi li abbiamo accolti. Abbiamo fatto in modo che potessero mangiare, riposarsi e rifocillarsi. Ma nell'appartamento i cinque nostri ospiti sono rimasti un'oretta. Poi sono subito ripartiti: tre sono andati a Parma e due a Padova. Quindi l'appartamento è di nuovo libero», spiega Giancarlo Baldo. In questi giorni l'argomento dei profughi tunisini che devono essere accolti in piccoli gruppi in tutto il territorio nazionale e quindi anche nel Veneto, è stato molto dibattuto. Non si sa se, i cinque tunisini che erano stati destinati a Motta, con il permesso di soggiorno temporaneo resteranno in Italia o si recheranno in Francia, come sembra vogliano fare quasi tutti i loro connazionali. A Motta non si sono fermati, neppure per un giorno, assicura Giancarlo Baldo. L'appartamento messo a disposizione dalla Caritas potrebbe dunque accogliere altri profughi.
17 aprile 2011
(g.p.)

Brescia. Lampedusa: arrivano i primi tunisini destinati alle zone del Bresciano
Immigrati appena sbarcati a Lampedusa in attesa di conoscere la loro sorte futura
Ore: 16:06
lunedì, 18 aprile 2011
Pare scongiurato il rischio della tendopoli, ma anche della concentrazione di un numero eccessivo di immigrati nella stessa struttura. Con l'arrivo, nel pomeriggio di domenica, della prima parte dei tunisini destinati alla nostra provincia inviati dal Ministero dell'interno, continua lo smistamento a piccoli gruppi delle migliaia di persone giunte nelle scorse settimane a Lampedusa.
 Domenica, nel Bresciano, ne sono state accolte sette in strutture messe a disposizione dalle Caritas zonali, ma altre potrebbero giungere nei prossimi giorni grazie ad una disponibilità che la stessa Caritas ha dato alla Prefettura che l'ha coinvolta nella fase di programmazione dell'accoglienza.
 Si tratta di persone che hanno ricevuto - o stanno per ricevere - il permesso di soggiorno temporaneo per motivi umanitari che dà loro il diritto di rimanere regolarmente nel nostro Paese per almeno sei mesi. Ma, accanto a questi «regolari», seppur a tempo determinato, si aggiungono altri arrivi, per altre strade e con la stessa disperazione.

 Nell'ultima settimana, infatti, in città sono stati fermati quattro minorenni (tre tunisini e un egiziano) - anche loro sbarcati a Lampedusa dopo aver sfidato la morte attraversando il Mediterraneo - che sono stati presi in carico dai Servizi sociali e ospitati nelle comunità protette. «Minori stranieri non accompagnati», questo il loro «status» in attesa che vengano identificati.

 Dal Comune - in particolare dall'assessore ai Servizi sociali e alla Famiglia Giorgio Maione - giunge un grido d'allarme: «Siamo saturi: nei nostri centri ospitiamo 65 minori e siamo ormai ai limiti delle nostre capacità. Alla luce anche dei tagli economici che il nostro servizio ha subìto per effetti del Patto di stabilità, non siamo più nelle condizioni di garantire un'accoglienza adeguata ad eventuali altri nuovi arrivi. I Servizi sociali, per i minori stranieri non accompagnati, è impegnato a sostenere un costo giornaliero che va dai 15 ai 70 euro al giorno in base all'intensità dell'intervento e al tipo di struttura che li ospita».
 Ma chi sono i ragazzi che vivono nelle differenti comunità di riferimento dei Servizi sociali del Comune? Dai dati emerge che la maggior parte di quelli accolti lo scorso anno proviene dall'Egitto, seguito dal Marocco e dal Pakistan. Ci sono, poi, presenze significative dal Kosovo, dalla Nigeria e dall'Afghanistan.
 Di questi, otto hanno un'età che va dagli undici ai 14 anni; undici hanno 15 anni ed il rimanente dai sedici ai diciotto anni non ancora compiuti. Ancora, del totale (i dati si riferiscono sempre allo scorso anno), coloro che hanno presentato richiesta di asilo sono tre: due afghani ed un immigrato da El Salvador.
 «Indipendentemente dalla richiesta di asilo, per tutti i ragazzi viene predisposta una serie di interventi sia a tutela della loro persona sia mirati alla loro integrazione sociale - conclude l'assessore Maione -. Dunque, al di là del vitto e dell'alloggio, si opera anche per un loro inserimento scolastico, per l'insegnamento della lingua italiana e per la formazione professionale. Il nostro impegno è anche mirato a favorire l'affidamento famigliare qualora è possibile».
Anna Della Moretta

Pavia. Arrivati i profughi. «Siamo di passaggio»
Dodici a Pavia, 4 ripartiti. Alla coop sociale Convoglio: i parenti li hanno portati a casa
di Anna Ghezzi
PAVIA. Sono arrivati ieri pomeriggio verso le tre e un quarto dopo una traversata via terra da Caserta durata oltre 12 ore. Quattro pullmini, 36 persone smistate verso Vigevano, Voghera, Retorbido e Pavia. Molti già pronti a ripartire: «Sono persone libere, con tutti i documenti a posto», dicono dalla prefettura. A Pavia sono arrivati 11 ventenni e un pasticcere cinquantenne. I 2 ospiti del Convoglio sono già a Lodi dai parenti; dei 5 alla Casa del Giovane, 2 andranno alla comunità Mulino di Suardi. E dei 5 di Villa Ticinum, in via Oberdan, due sono di nuovo in viaggio, direzione Germania. Ancora strada, in auto con il fratello. Niente alberghi a ospitarli in città: a Cura Carpignano lavori in corso, al Residenziale Il Naviglio stanze solo da lunedì. Appena arrivano chiedono dov'è la stazione, poi tutti sotto la doccia.  Giovani e diplomati. Il più vecchio è Said Ben Ali, 51 anni, una moglie, tre figli e una carriera di cuoco: «Cerco un lavoro - racconta in arabo, in testa ha il suo cappellino rosso, ai piedi lo zaino blu dell'Invicta con il quale sono arrivati dai campi - Il Paese si è fermato, le banche sono chiuse e chi aveva dei soldi, li ha spesi». Malek Dchicha, 23 anni, ha un diploma da perito informatico, Belgacen Bouagila, 25 anni, è meccanico e vuole andare in Francia. Mokles Belhouchat, è un saldatore 25enne: «Tu troverai lavoro», predice don Dario Crotti, Caritas, che ha accolto i profughi con gli interpreti della comunità tunisina.  Milan e diritti. Moncef Chenib, muratore, ha 28 anni e in Italia cerca «la libertà, i diritti finora solo sognati». Per tutti l'Italia è «un paese sviluppato, dove ci sono diritti umani», vale appieno un mese di viaggio e condizioni precarie. Poi c'è il calcio: il Milan nel cuore, di juventino ce n'è uno solo.  I consigli. «Gli italiani hanno paura di voi - spiega don Dario - perché temono l'arrivo di delinquenti, spacciatori, ladri. Rispetto e buona volontà vi aiuteranno a farvi aprire le porte». E per chi vorrà restare, la Casa del giovane in accordo con l'ufficio immigrazione promuoverà un corso d'italiano. Per comprendere e farsi
comprendere.  Arrivati e già partiti. Douglas Di Modica, volontario del
Convoglio, ci è quasi rimasto male: «Avevo comprato coperte, lenzuola, dentifricio e fatto la spesa per la cena», racconta di fronte allla cooperativa sociale Il Convoglio, a Fossarmato. Ma Khaled e Mohamed, 35 e 24 anni rispettivamente, non hanno fatto in tempo a finire la doccia che sono arrivati gli amici di fratelli e cugini da Lodivecchio e Graffignana, che li hanno portati via. Khaled è pasticcere e parla un po' di italiano: «Mio fratello è veterinario in Tunisia - racconta - e ha a che fare con molti italiani che vivono lì». Gli amici scuotono la testa: «Io sono qui da vent'anni, è difficile - racconta l'amico muratore -. E da lontano non credono alla crisi». 

Bologna. In arrivo da Manduria altri 35 profughi
Dopo una prima accoglienza al centro logistico della Protezione civile, saranno distribuiti nelle province di Piacenza, Parma, Bologna, Ravenna e Forlì-Cesena
Bologna, 18 apr. - E’ previsto per il primo pomeriggio di oggi l’arrivo in Emilia-Romagna di 35 immigrati provenienti dal centro di accoglienza di Manduria (TA), in base a quanto comunicato dal Dipartimento nazionale della Protezione Civile.
Dopo una prima accoglienza a Bologna, presso il centro Logistico della Protezione Civile regionale, gli immigrati saranno ripartiti nelle Province di Piacenza, Parma, Bologna, Ravenna e Forlì-Cesena, sulla base dei criteri di assegnazione concordati dalla cabina di regia regionale, in raccordo con le Prefetture, la Caritas e le Diocesi emiliano-romagnole.
I trasferimenti dei migranti avverranno con i mezzi della Protezione Civile regionale in collaborazione con il volontariato.
 Il vestiario necessario, all’arrivo a Bologna, è fornito dall’organizzazione non governativa Gvc. I 35 immigrati in arrivo nella giornata di oggi vanno ad aggiungersi ai 102 arrivati in Emilia-Romagna lo scorso sabato, come previsto dal piano nazionale di accoglienza.

Venezia. Trecento vu' cumprà al giorno «Prima o poi ci scappa il morto»
«Il problema degli extracomunitari è un problema senza fine, identico a se stesso da anni, che nessuno ha mai voluto affrontare sul serio. Qualcuno si deciderà a muoversi solo quando ci scapperà il morto». Il presidente di Confesercenti Piergiovanni Brunetta non fa sconti a nessuno, annuncia di «essersi arreso» e di non voler partecipare più a nessuna forma di protesta contro i venditori abusivi perchè «se non c'è la volontà di risolvere il fenomeno alla radice, e tutti sanno che si può fare benissimo, non si va da nessuna parte».  E così, alla vigilia di Pasqua, i vu' cumprà presenti quotidianamente in centro storico sarebbero oltre 300, equamente distribuiti tra il ponte degli Scalzi, Strada Nuova, campo San Zulian, Riva degli Schiavoni, Riva Sette Martiri, Ascensione, campo San Moisè, via XXII Marzo, Santo Stefano, ponte dell'Accademia.  «Com'è ormai noto a tutti si sono spartiti le zone - continua Brunetta - ciasun venditore ha i suoi masegni sui quali vende tranquillamente le borse contraffatte anche perchè c'è sempre qualcuno che fa da vedetta e avvisa gli altri se arrivano carabinieri o vigili urbani. In questo modo quasi sempre riescono a scappare e a nascondersi nelle callette fino a quando le forze dell'ordine girano l'angolo; poi ritornano fuori, si piazzano con le lenzuola per terra e rincomincia tutto come prima».  L'arrivo della bella stagione ha aggravato il fenomeno che ora, specialmente in Riva degli Schiavoni, sta rischiando di esplodere. Nei giorni scorsi, esasperati da una convivenza che ogni giorno si fa più stretta e quindi più difficile, i venditori di souvenir e i pittori di piazza hanno messo di traverso i loro banchetti «occupando» così lo spazio tra il ponte della Paglia e il ponte dell'hotel Danieli dove normalmente si piazzano almeno una trentina di extracomunitari.  La presenza di pattuglie di vigili urbani e carabinieri ha congelato per un paio di giorni il problema facendo ritornare una sorta di calma apparente. Ma, come fa notare un pittore di piazza, i vu' cumorà si sono semplicemente spostati altrove e per l'esattezza tra l'Ascensione, l'ex cinema San Marco, San Moisè e via XXII Marzo.  Per la settimana prossima, intanto, è atteso l'incontro che l'Ascom ha domandato al prefetto per chiedere pattuglie fisse nell'area marciana prima di Pasqua.

Il fallimento delle ronde: al Nord sono solo dieci
Antonello Cherchi
La voglia di ronde è rimasta solo a Varese e dintorni. Lì le cosiddette associazioni di osservatori volontari iscritte nel registro della prefettura sono ben sette: una in città e il resto sparso sul territorio. Alcune ronde servono più comuni, che in nome della sicurezza si sono consorziati. Usciti, però, dalla provincia di Varese, di volontari dell'ordine pubblico si trova traccia solo a Milano (due associazioni di poliziotti) e in provincia di Treviso (una a Oderzo).
 Per il resto, niente. Le pagine di tutte le altre prefetture del Nord – dove la Lega ha il proprio cuore pulsante – sono rimaste bianche. Immacolate. Nessun iscritto a Torino, Asti, Cuneo. Zero associazioni a Bergamo, Brescia, Como, Lecco, Lodi, Novara, Pavia, Sondrio, Verbana. Il vuoto assoluto a Venezia, Vercelli, Vicenza, Bolzano, Trento, Udine, Pordenone. Neanche a parlarne, poi, a Bologna e Reggio Emilia. È il quadro che risulta dalle risposte delle singole prefetture. Inutile, infatti, cercare un monitoraggio sistematico presso il ministero dell'Interno, dove sostengono che la loro rilevazione per ora è parziale.
 Insomma, all'appello voluto dal partito di Umberto Bossi – che per avere le ronde ha fatto un forsennato pressing anche di fronte ai maldipancia della stessa maggioranza, tanto da inserirle nella primavera 2009 nel decreto legge sulla sicurezza, salvo poi dirottarle in un disegno di legge – non ha risposto praticamente nessuno. Sarà anche per questo che di recente la Lega ha proposto un disegno di legge sugli eserciti regionali, poi ritirato.
 Eppure all'epoca sembrava che gran parte del Nord non aspettasse altro: scendere in strada per garantire ordine e sicurezza. E ormai è trascorso quasi un biennio da allora, perché è nell'agosto 2009 che il regolamento ha dato piena attuazione alla norma sulle ronde. O, come si è deciso di ribattezzarle, degli "osservatori volontari".
 Il decreto ha fissato rigidi paletti: le associazioni devono essere iscritte nel registro tenuto dalla prefettura, non devono essere riconducibili a movimenti politici o a tifoserie, devono svolgere la loro attività senza fini di lucro. I gruppi, poi, che vanno per strada devono essere formati al massimo da tre persone (di cui una con più di 25 anni di età), non devono avere con sé armi o altri oggetti, né cani, ma solo la ricetrasmittente o il telefonino con i quali mettersi in contatto con le forze di polizia. E devono essere riconoscibili mediante un giubbotto senza maniche di cui il decreto ha fissato le caratteristiche.
 Regole che hanno spento gli entusiasmi di chi non vedeva l'ora di trasformarsi in un guardiano della sicurezza assai più operativo. Da qui il fallimento. Che non si può certo imputare allo stop della Consulta, intervenuto, tra l'altro, l'estate scorsa. La Corte ha, infatti, censurato solo la parte che riconosceva agli osservatori la possibilità di segnalare anche situazioni di disagio sociale, settore che non può essere disciplinato dallo Stato, ma dalle regioni.
 È rimasto, dunque, intatto tutto il fronte della sicurezza pubblica. Ma le ronde continuano a latitare.

Belluno. Pieve di Cadore: la cultura senza soldi, meno eventi
Coletti: «Pieve avrebbe bisogno di 100.000 euro, ne abbiamo 4.000»
PIEVE DI CADORE. Con la conferenza "Nuovi spunti di ricerca sul fratello di Tiziano, Francesco", tenuta dal laureato in Storia dell'Arte originario di Sedico, Elia D'Incà, nella sala consigliare della Magnifica Comunità domenica pomeriggio, si è conclusa in Cadore la "XIII settimana della cultura".
 La Magnifica Comunità e i Comuni hanno messo a disposizione un programma di manifestazioni e di strutture culturali. Purtroppo, la disponibilità di strutture e lo spiegamento di volontari, non ha trovato nel pubblico locale ed in quello turistico una risposta adeguata.

 «E' vero - ha affermato la presidente della "Fondazione Centro Studi Tiziano e Cadore" e assessore comunale alla cultura Maria Giovanna Coletti - le manifestazioni, le chiese, i musei, non sono stati molto frequentati e solo in alcuni casi hanno segnato dei numeri di visitatori consistenti».

 Quali possono essere le cause?

 «Essendo ormai la 13esima volta che organizziamo questa manifestazione, molti cadorini vi hanno già partecipato, e quindi difficilmente rivistano il museo o la chiesetta, a meno che non ci siano degli eventi in grado di attrarne l'attenzione. Ci sono, poi, altri motivi: il depliant che raccoglie le iniziative viene stampato troppo tardi perché le amministrazioni comunali inviano con troppo ritardo alla Magnifica Comunità, ente coordinatore del progetto, i loro programmi. Di conseguenza la promozione delle iniziative diventa poco efficace. Quest'anno, ad esempio, il pieghevole è stato disponibile solo dal gorno precedente l'inizio delle manifestazioni. Infine, non essendoci risorse a disposizione, non esiste la possibilità di fare nessun tipo di pubblicità sui giornali o negli altri mezzi d'informazione».

 Perché manca il denaro per la pubblicità?

 «Principalmente perché la Magnifica Comunità ha il bilancio ridotto all'osso e poi perché, a parte qualche rara eccezione, i Comuni hanno tagliato nei loro bilanci, gli stanziamenti per la cultura. Anche Elia D'Incà, il conferenziere di oggi, scrive nella sua biografia, che da studioso e laureato in Storia dell'arte, è stato costretto,
per vivere, a trovare un altro lavoro che nulla ha a vedere con la cultura».

 Qual è la situazione a Pieve?

 «Tragica: Pieve, "città della cultura", che per non sfigurare avrebbe bisogno di almeno 100.000 euro all'anno, nel 2011 si trova a gestire una somma di soli 4.000 euro, meno dei contributi assegnati alle associazioni di volontariato. Sono così saltate tutte le manifestazioni che sono state programmate gli anni scorsi: niente più presentazioni di libri di autori noti, come avveniva alla fine degli anni'90 e inizio millennio; nessuna rappresentazione teatrale, pochi concerti e solo a pagamento; finite tutte le manifestazioni legate al Cadore Film Festival. Insomma la cultura è stata azzerata».

 State per inaugurare la grande mostra sui 150 anni dell'Unità d'Italia. Come avete trovato i fondi necessari?

 «In questa occasione abbiamo potuto contare sul un contributo della Cariverona e su un'altro di un privato. Abbiamo ridotto tutte le spese all'osso e nonostante ciò pensiamo di farcela ugualmente, anche se abbiamo dovuto prevedere un biglietto d'ingresso a pagamento. Non sarà una somma elevata, ma solo il contributo di due euro».

 Quali sono le esigenze della Fondazione Centro Studi Tiziano Cadore?

 «Nei cassetti della Fondazione ci sono progetti per circa 3 milioni di euro. Siamo consapevoli che non è possibile averli tutti, ma in questo momento stiamo navigando a vista: ogni volta che c'è un progetto da realizzare, dobbiamo cercare i finanziamenti appositi, com'è successo di recente con gli atti della Battaglia di Rusecco, che è stato stampato grazie a sponsor privati».


Pordenone. Il lavoro precario dilaga tra i giovani
di Elena Del Giudice
Solo un terzo dei neolaureati ha un posto fisso. In cinque anni è raddoppiata la disoccupazione tra i 15 e i 24 anni
PORDENONE. Sempre più sono i giovani ad essere senza lavoro se è vero, come rileva l'Istat, che in provincia di Pordenone in cinque anni il tasso di disoccupazione giovanile, ovvero quello dei ragazzi tra i 15 e i 24 anni, è pressoché raddoppiato. Si passa dal 10,8 per cento del 2005 al 19 per cento del 2009 nel Friuli occidentale, e non va meglio in regione dove si sale dal 10,5 al 18,9 per cento. Meglio che nel resto d'Italia, dove la media arriva al 25,4 per cento, ma è ovviamente una ben magra consolazione.

Non bastasse la difficoltà ad entrare nel mondo del lavoro, ci sono poi le modalità con cui questo avviene. «I dati dell'agenzia regionale del Lavoro - spiega infatti Giuliana Pigozzo, segretaria provinciale della Cgil - ci dicono che in questa fascia di età, l'avviamento passa in larghissima parte attraverso i contratti a termine». Anche se ad essere assunti sono i laureati.

Un'indagine degli atenei rileva infatti che, a distanza di un anno dalla laurea, su una percentuale di più del 50 per cento di persone che lavorano, i contratti a tempo indeterminato sono poco meno di un terzo. Questo per dire che «la flessibilità, apparentemente nata per rendere protagonisti i giovani, non ha prodotto i risultati auspicati - è l'opinione di Pigozzo -, ha reso incerta anche la costruzione di un progetto di vita producendo una lunga dipendenza economica dai genitori. Il precariato è poi indice di una bassa qualità del sistema produttivo - prosegue il segretario della Cgil -, ma soprattutto è la dimostrazione che il lavoro viene considerato solo come un fattore di costo e la logica che sottende è quella che meno costa e meglio è ed è più facile disfarsene».

All'interno di questo quadro, si evidenza anche un'altra considerazione riferita al genere: «L'indagine di Almalaurea mette in evidenza come il fattore guadagno segna nel breve termine un differenziale retributivo che penalizza le donne a vantaggio dei giovani uomini laureati, del 20 per cento. Una distanza che si allunga con il passare del tempo - ancora Pizzo - facendo sì che a precarietà si aggiunge disuguaglianza».

Lo scenario non cambia di molto se dal settore privato si emigra in quello pubblico. Nella scuola in questa provincia «i precari hanno raggiunto il 35 per cento nel personale Ata e il 15 per cento tra i docenti. Negli enti locali il precariato è rappresentato da permanente e non occasionale ricorso al lavoro interinale. Nella sanità è emblematico il caso del Cro di Aviano dove circa 50 ricercatori hanno uno stabile rapporto occasionale», elenca Giuliana Pigozzo.

Altro aspetto non trascurabile, riguarda le esternalizzazioni di servizi «che producono condizioni di lavoro più precarie e tutele contrattuali più sfavorevoli per le lavoratrici impiegate nelle ditte appaltate». Rispetto a tutto ciò, «è necessario ragionare su strumenti in grado di modificare lo status quo e le proposte - conclude Pigozzo - non mancano. Secondo noi vanno ridotte a quattro le forme di lavoro diverse dal tempo indeterminato con causali precise e percentuali di utilizzo non derogabili; vanno aumentati i costi del lavoro precario per ridurne il potere attrattivo sulle imprese; vanno trasformati i finti stage o i finti part time in rapporti di lavoro dipendente; va esteso a tutti i precari il sistema attuale di ammortizzatori sociali».

Milano. Parmalat, assolte le banche straniere
 18 aprile 2011
Milano - I giudici della seconda sezione penale del Tribunale di Milano hanno assolto oggi tutte e quattro le banche straniere e tutti i funzionari degli istituti di credito imputati nel procedimento per aggiotaggio nel crack Parmalat.

Le quattro banche coinvolte -- Deutsche Bank, Citigroup, Bank of America e Morgan Stanley, imputate per aggiotaggio in base alle legge 231 sulla responsabilità aziendale -- sono state assolte perché il fatto non sussiste.

 Assolti anche tutti i funzionari degli istituti di credito Paolo Basso e Carlo Pagliani, funzionari di Morgan Stanley; Tommaso Zibordi e Marco Pracca, funzionari di Deutsche; Paolo Botta di Citigroup, e Giaime Cardi funzionario di Credit Suisse First Boston, in parte perché il fatto non sussiste e in parte perché il fatto non costituisce reato.
Soddisfazione per la sentenza è stata espressa da Citigroup, che in una nota ha detto di aver «sempre sostenuto di essere stata defraudata da Parmalat. La sentenza del tribunale conferma inequivocabilmente che Citigroup e i propri collaboratori non ebbero alcun ruolo nella perpetrazione della più significativa bancarotta fraudolenta della storia italiana». Bank of America ha commentato la sentenza dicendo che «non solo il reato non sussisteva ma Bank of America disponeva di modelli organizzativi idonei come chiesto dalla 231. È stato confermato che nessuno dei dipendenti sapesse dello stato di dissesto» di Parmalat.

Lo scorso 17 gennaio, la procura aveva chiesto la condanna degli istituti di credito a una sanzione di 900.000 euro ciascuno e la confisca dei profitti ritenuti illeciti: in particolare, 14 milioni di euro a Deutsche Bank, 70 milioni di euro a Citigroup, 30 milioni e 705.000 euro a Bank of America e 5,9 milioni di euro a Morgan Stanley. La procura aveva inoltre chiesto la condanna a un anno e un anno e quattro mesi rispettivamente per Basso e Pagliani di Morgan Stanley. Anche per i due funzionari di Deutsche, Zibordi e Pracca, sono stati chiesti rispettivamente un anno e un anno e quattro mesi. Un anno e quattro mesi era anche la richiesta per il funzionario di Citigroup, Botta, mentre per il funzionario di Credit Suisse First Boston, Cardi, era stato chiesto il riconoscimento della prescrizione del reato.

Cassa Integrazione: nuova impennata in Umbria, a marzo oltre 20mila lavoratori coinvolti
“Contrariamente agli ottimismi di facciata che vengono profusi da più parti, la crisi è tutt’altro che finita. Per questo riteniamo che occorre contrastarla sostenendo le proposte della Cgil e la mobilitazione, con lo sciopero generale del 6 maggio e la manifestazione regionale che si svolgerà a Terni”. E’ il chiaro messaggio di Mario Bravi, Segretario Generale Cgil Umbria.

Crisi senza fine. “I dati recentissimi dell’Osservatorio nazionale della Cgil - spiega la nota - e relativi al mese di marzo 2011 confermano che si continua a vivere una drammatica emergenza sul versante del lavoro e la nostra Regione sta subendo pesantemente i colpi della crisi”. Secondo Bravi, “non esiste una politica economica di contrasto alla crisi, mentre 500 aziende a livello nazionale hanno cambiato proprietà con acquisizioni effettuate da proprietà straniere”, a dimostrazione “dell'assenza di una politica industriale a livello nazionale”.

La Cig accelera. Nel preoccupante quadro illustrato dalla Cgil umbra, c’è un'impennata consistente nel mese di marzo della Cig rispetto all’anno scorso mentre le aziende fallite sono aumentate del 122%. Inoltre, la ripresa che qualcuno intravede è di dimensioni minime e non ha nessun effetto sull’occupazione. “In Umbria - ricordano ancora dal sindacato - nell’anno corrente e precisamente a marzo 2011 i lavoratori coinvolti dalla Cassa Integrazione sono 20.859, dei quali 13.958 nella Cassa in deroga. Mentre per quanto riguarda i lavoratori cassintegrati a 0 ore, sempre a marzo 2011, questi sono 10.295 dei quali 6.979 in deroga”.

Emergenza lavoro. Il tasso di disoccupazione in Umbria è salito dal 7,1% al 8,4%. Tutti questi dati per Bravi non sono altro che la conferma del fatto che “l’Umbria subisce pesantemente la crisi che c’è a livello nazionale, e non è un caso che rispetto all’anno scorso siamo la seconda Regione, dopo la Calabria, per l’aumento del numero dei cassintegrati”. Alla luce di quanto detto nella nota sindacale, la causa principale del tutto è, senza dubbio, “la fragilità del nostro assetto produttivo che richiede di impegnarsi con forza per fare in modo che il lavoro, attraverso il piano straordinario, diventi la priorità vera della nostra Regione”. Bravi ricorda, infine, i prossimi appuntamenti di protesta: “Occorre unificare proposta ed iniziativa di mobilitazione contro le politiche recessive del Governo nazionale. Per tutti questi motivi, la giornata del 6 maggio diviene fondamentale, per fare in modo che in quel giorno l’Umbria si fermi per poter ripartire in condizioni diverse”.
 Mauro Sedda

Stranieri: percepiscono 319 euro in meno degli italiani, ma i senza lavoro hanno toccato l' 11,4%
Vengono pagati meno degli italiani (mediamente 319 euro al mese), ma il livello di disoccupazione ha toccato l’11,4% (contro una media nazionale presente in Italia che si attesta all’8,4%).
La CGIA di Mestre, dopo le dichiarazioni rilasciate dal ministro Tremonti, ha analizzato il livello retributivo ed occupazionale degli stranieri regolarmente presenti nel nostro Paese. Da questa analisi emerge che gli immigrati percepiscono mediamente 965 euro netti al mese; 319 euro in meno rispetto agli italiani.

“Questo differenziale – segnala il segretario della CGIA di Mestre Giuseppe Bortolussi – è dovuto al fatto che l’esperienza lavorativa tra gli immigrati è mediamente molto inferiore di quella maturata dagli italiani. Pertanto, i primi hanno scatti di anzianità più contenuti dei secondi.”
Il tasso di disoccupazione degli stranieri regolarmente presenti in Italia, invece, ha raggiunto l’11,4% (contro una media della disoccupazione nazionale pari all’8,4%). A livello territoriale è la Basilicata la Regione che presenta la percentuale di stranieri disoccupati più elevata (18,9%). Seguono il Piemonte/Valle d’Aosta (15,4%), la Liguria (13,8%), l’Abruzzo (13,6%) e il Friuli V.G. (13,2%).

Dall’inizio della crisi ad oggi, sono quasi 110.000 gli stranieri che hanno perso il posto di lavoro. Il numero complessivo degli immigrati alla ricerca di un posto di lavoro si attesta attorno alle 265.800 unità.

Crisi, in Liguria sempre più a “sud” ogni lavoratore perde 8000€
18 aprile 2011   | B.Ris.
Genova - Il dato dal report annuale della Cgil ligure: nelle piccole aziende e artigianato, la cassa integrazione regionale i deroga è “esplosa” a conferma di una crisi strutturale con una umento dal 2009 superiore al 2680%.Nel 2010 45.000 persone hanno cercato lavoro, 18mila lo hanno perso e pesa anche il dato demografico con una regione sempre più sud del nord ovest, con parametri sociali ed economici in negativa controtendenza rispetto al parametro nazionale e a quello del nord ovest e del nord est. Con un doppio cappio, come hanno evidenziato il segretario regionale Cgil Renzo Miroglio e Bruno Spagnoletti, responsabile dell’ufficio economico sindacale: le decisioni su progetti e piani della grande industria come la cantieristica scontano il relativo poco peso della liguria in chiave politica e i ritardi del governo mentre a livello regionale si deve fare fronte con iniziative di sostegno, pur positive come il miglioramento dell’accesso al credito e sostegno alle aziende, che, però, da solo non basta.

Come preoccupazioni desta, per la Cgil, l’attuale concezione del federalismo: così come è concepito e nella attuale situazione, creerebbe molti problemi alla nostra regione. Dove la crisi con le sue ricadute è costata, mediamente, 8007 € in meno di guadagno ai dipendenti con un settore, quello pubblico e dei trasporti, dove la crisi è sbarcata in modo pesante con le vicende gli ultimi mesi delle aziende di trasporto pubblico genovese e savonese oltre che per le vicende del precariato della scuola.
Contro la crisi economica che continua a pesare sull’Italia, la Cgil ha proclamato uno sciopero generale per venerdì 6 maggio.

I dati presentati nella sede genovese del sindacato, riferiti alla Liguria, evidenziano una condizione della nostra regione in linea con il resto del Paese sotto il profilo dell’economia e della società ma con parametri specifici che confermano un trend preoccupante perché «la Liguria uscirà in ritardo di due o tre anni dalla crisi perché é entrata in ritardo rispetto alle altre regioni -spiega Bruno Spagnoletti, responsabile ufficio economico Cgil Liguria - per quattro motivi: peso relativo dell’apparato industriale, particolare infrastrutturazione pubblica, ipertrofia nel senso di presenza del terziario e dei servizi, quota rilevante di pensionati che beneficiano delle prestazioni previdenziali».

Nel 2010 quindicimila lavoratori hanno usufruito delle varie forme di cassa integrazione. In aggiunta, i numeri relativi al primo trimestre del 2011 esplicitano un boom delle richieste di ore di cassa integrazione, con un totale che passa da 2.966.382 del primo trimestre 2010 a oltre 4.624325 del primo trimestre. Il dato che fotografa la pesante crisi delle piccole realtà economiche è quello appunto della cassa in deroga, coperta dalla Regione, che è schizzata dai oltre il 2860 dal 2009 a oggi. «La crisi nella nostra regione - continua Spagnoletti - ha agito in cinque fasi: partendo dal 2008 quando si è registrata una perdita di occupazione, fino al 2010, di tredicimila unità, la metà dei quali nel comparto dei servizi e del terziario, fino alla quinta fase dell’anno in corso in cui ci aspettiamo un aumento dell’utilizzo degli ammortizzatori sociali che si vanno progressivamente esaurendo. Inoltre ci aspettiamo una sofferenza di nuove aree di lavoratori storicamente estranei alle ricadute della crisi nei comparti del pubblico impiego, della scuola e della conoscenza».

La considerazione politica dei dati è affidata a Renzo Miroglio: «Il lavoro è poco, il lavoro è precario. Il Parlamento invece di discutere di questi problemi parla di giustizia e di bunga bunga. Non possiamo lasciare che il mercato si aggiusti da solo. La Liguria non ce la farebbe».

Alcuni dati nel dettaglio: Il tasso di disoccupazione medio nel 2010 si attesta al 6,5% rispetto al 5,7% del 2009 e al 5,4% del 2008 e rappresenta il valore assoluto superiore a tutte le regioni del Nord con l’eccezione del Piemonte.

Le persone in cerca di occupazione aumentano nel 2010 a quarantacinquemila rispetto alle trentanovemila del 2009 e alle trentasettemila del 2008.

Occupazione media (dati in migliaia tra i 15 e i 64 anni): maschi 360 (71,1%), femmine 278 (55%), maschi e femmine 638 (63%).

Assunzioni nel 2010: 24.210 di cui 15.530 non stagionali di cui 27,9% a tempo indeterminato, 65,2% a tempo determinato. L’apprendistato riguarda il 5,2% delle assunzioni, mnetre quote residuali hanno il contratto di inserimento e altre forme di contratto. Sul totale delle assunzioni non stagionali il 24,3% è a par-time.

Nessun commento: