martedì 23 novembre 2010

Castel Volturno e la rivolta di GOMORRA


di Maria Pirro
Pacata, meditata, ma anche netta e persino spregiudicata: è la rivolta antiracket, inattesa, che sferza i clan di Gomorra.
Accade a Castel Volturno (Caserta): otto commercianti hanno denunciato i loro vessatori e, dopo un anno di riunioni, hanno appena costituito la prima, storica associazione contro il pizzo. Spiegano Tano Grasso e Silvana Fucito, i due promotori: «L’iniziativa è un segnale concreto di riscatto e speranza. In questa terra tanto martoriata non c’era mai stata una ribellione collettiva contro la camorra».

Raccontano le inchieste giudiziarie che i residenti sembravano rassegnati a pagare. Storditi e vinti. Gli imprenditori che avevano osato opporsi alle tangenti erano stati isolati. Ed erano diventati bersaglio dei killer.

Ora è cambiato tutto. La battaglia si fonda sulla solidarietà tra commercianti, gli otto di Castel Volturno fanno quadrato, l’azione è corale, stimolata dal lavoro d’intelligence delle forze dell’ordine e della procura. Obiettivo: rompere il muro di omertà. Non a caso l’associazione è dedicata all’imprenditore del coraggio, Domenico Noviello, ucciso dai Casalesi per essersi rifiutato di pagare il pizzo.

Prima uscita pubblica dell’associazione lunedì 22 novembre, insieme con il sottosegretario all’Interno Alfredo Mantovano. Intanto Panorama ha incontrato i commercianti, li ha fotografati e ha raccolto le loro storie inedite, pubblicandole nelle pagine che seguono, proprio mentre a Castel Volturno, il 15 novembre, scattavano decine di perquisizioni. Un’inchiesta con 43 indagati e tre arrestati ha investito il sindaco Antonio Scalzone, il suo predecessore Francesco Nuzzo (noto come sostituto procuratore a Brescia), dipendenti del comune, imprenditori, boss ed esponenti dei Casalesi.

DANIELE MANZO, 33 anni, bar pasticceria Crazy Horse
Stampati sulla saracinesca del bar pasticceria ci sono sei colpi di mitra. «Sono il segno tangibile delle intimidazioni subite ma, per favore, non chiamatemi eroe. Non lo sono, ho denunciato perché c’è attorno la rete di protezione dei carabinieri» dice il titolare Daniele Manzo, una laurea in psicologia e mille sogni nel cassetto. A lui e a suo fratello i padroni di Gomorra avevano anche tentato di imporre il pizzo sul caffè. Attraverso le forniture. Ricorda il trentatreenne: «Ci avevano portato diverse confezioni da testare, tutte senza né marca né data di scadenza. Assaggiammo la miscela ma rifiutammo di acquistarla: era imbevibile, oltre che più costosa delle altre». Qualche giorno dopo, il raid a colpi di mitra.

GIANFRANCO PAOLO, 36 anni, caseificio Ponte a mare
Quando lo sequestrarono, i killer di Gomorra avevano appena ripreso a sparare. Due omicidi in 15 giorni: avevano ucciso Umberto Bidognetti e Domenico Noviello, il padre di un pentito e l’imprenditore del coraggio. «Era mezzogiorno, metà maggio 2008» racconta Gianfranco Paolo. «Due persone entrarono nel laboratorio di mozzarelle, dicendo che dovevano parlarmi in privato. Mi incappucciarono e, disteso all’interno di un’auto, mi condussero in un sottoscala». Lì c’erano due camorristi. Rivela l’imprenditore: «Oreste Spagnuolo, oggi collaboratore di giustizia, mi chiese una “mano” per la loro organizzazione: 40 mila euro. D’accordo con mio fratello, iniziai a pagare; ma poi la polizia acquisì il filmato delle telecamere nel caseificio, e la storia venne a galla».

MASSIMO NOVIELLO, 33 anni, ex autoscuola Mimmo
Ha venduto l’autoscuola di famiglia, è andato via da Gomorra. Vive sotto scorta. Ma quando torna a Castel
Volturno, sul luogo dell’agguato, i suoi ricordi si ricompongono. All’improvviso, Gomorra torna. Massimo Noviello pensa alla propria vita, a neanche tanto tempo fa. Il 16 maggio 2008 era per strada, paralizzato dal dolore. Davanti a lui il corpo del padre Domenico sfigurato dai proiettili. Ucciso perché, sette anni prima, alla camorra aveva negato 100 mila euro. «Firmai anch’io l’atto di accusa contro la banda di estorsori» reclama Noviello. «Tornassi indietro? Denuncerei di nuovo, nonostante tutto. La costituzione dell’associazione antiracket dimostra che la morte di mio padre non è stata inutile. Da oggi non mi sento più da solo nella battaglia per la legalità».

GIANLUCA D’AURIA, 41 anni, negozio Stop & Shop
Da una parte gli estorsori lo costringevano a pagare la tangente. Dall’altra i carabinieri lo mettevano sotto torchio. «Confermare le tesi degli investigatori è stato il risultato di un percorso travagliato» rivela Gianluca D’Auria.  «All’inizio io e gli altri commercianti ci sentivamo stretti tra due fuochi. Avevamo paura. La prima volta che fui chiamato in caserma mi salì la febbre a 40». D’Auria ritiene che «il merito della nostra denuncia collettiva sia dipeso anzitutto dal metodo Cagnazzo. Tra di noi così chiamiamo il pressing del maggiore dei carabinieri che ha seguito l’inchiesta». Ovvero Fabio Cagnazzo, durissimo nei modi, soprattutto al primo approccio, però attento a non lasciarli mai soli. «La notte ci convocava in caserma a gruppi di dieci. La mattina era al negozio, da me. Alla fine parlare è stata un po’ una liberazione».

MASSIMO VENZA, 43 anni, ferramenta Master
Il racket ammazza il commercio. L’esperienza di Massimo Venza, titolare di un negozio di ferramenta, è questa: «Avrei voluto ingrandire l’attività familiare. E, invece, non l’ho mai fatto, anche quando ne avevo la possibilità». Il motivo? «Ho preferito continuare a volare basso e rinunciare agli affari per non dare nell’occhio». Insomma, «evitavo anche di cambiare l’insegna per paura che potessero aumentare le pressioni della malavita. Ma questa condizione di soggezione è stata una doppia sofferenza: sono estremamente legato a Castel Volturno. Fino al terremoto dell’80, il suo lungomare era un autentico paradiso frequentato da villeggianti famosi». Pensare che «qui aveva una villa anche Nino Taranto».

LUIGI FERRUCCI, 45 anni, birreria Bambusa
La trappola è scattata davanti alla sua birreria. In manette due giovani estorsori. Gli avevano intimato: «Se non ci dai 1.000 euro, ti tagliamo la testa. Domani torniamo a riscuotere». Ma il giorno dopo, in vista dell’appuntamento, i carabinieri si erano infiltrati all’interno del pub, travestiti da clienti: pronti a intervenire per bloccare i taglieggiatori. Della sua personale odissea Luigi Ferrucci sottolinea un aspetto: «Ho scoperto da poco che le stesse minacce le avevano ricevute altri commercianti della zona. Tra di noi già allora c’era un rapporto di amicizia. Eppure, non parlavamo mai di questi argomenti. Erano un tabù, a vantaggio della camorra. Da quando è crollato il muro di omertà, ci sosteniamo l’uno con l’altro».

VITO RAIMONDO, 64 anni, Raimondo viaggi
L’ultima minaccia risale a metà del dicembre 2009: «Gli estorsori mi chiesero un “regalo” per i carcerati». Io già pagavo 800 euro, tre volte l’anno, in occasione delle festività. Fosse stato per loro, avrei dovuto indebitarmi per sostenere le rate del pizzo: con la crisi degli ultimi tempi, non era semplice far quadrare i conti» ricorda Vito Raimondo. Da allora il tour operator non ha più versato un euro nelle casse dei Casalesi. Quel Natale, infatti, avvenne un episodio destinato a scompaginare per sempre i piani dei taglieggiatori. «Nel corso di un arresto, i carabinieri sequestrarono una lista che indicava il mio nome e quello di altri commercianti». Era l’elenco dei negozi sotto scacco: una prova inappellabile.

GIOVANNI D’ANGELO, 49 anni, panetteria Doppio zero
Pagavano da generazioni. Quasi fosse una voce ordinaria di bilancio. «Mio padre non ne parlava in famiglia, ma quando io e mio fratello siamo subentrati nella gestione, abbiamo dovuto fare i conti con gli esattori del racket» svela il panettiere Giovanni D’Angelo. In un’occasione, ricorda, «uno di loro mi strappò 3 mila euro, dicendo che dopo non avrei dovuto più versare rate. Fu un investimento a perdere: a distanza di pochi giorni lessi sul giornale che il taglieggiatore era stato ucciso». D’Angelo è il presidente della nuova associazione antiracket di Castel Volturno. E attraverso Panorama lancia un appello a nome di tutti i soci: «La speranza è che anche altri commercianti denuncino perché da soli si perde. Insieme, si vince». La scommessa è cambiare il volto di Gomorra.
redazione
Martedì 23 Novembre 2010
Fonte:
http://blog.panorama.it/italia/2010/11/23/castel-volturno-e-la-rivolta-di-gomorra/

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