lunedì 9 maggio 2011

La borghesia a rischio d'estinzione

Valerio Castronovo – Il Sole 24 Ore
Stando a una recente indagine della Confcommercio, gli italiani seguitano a mettere da parte sempre meno soldi. E, per di più, si tratta di una flessione che continua a manifestarsi, pressoché invariabilmente, ormai da vent'anni.



Dai risultati di questa radiografia emerge infatti che le famiglie italiane hanno risparmiato nel 2010 solo 1.700 euro in media rispetto alle 4.000 (in termini reali) del 1990, con un calo complessivo del risparmio da 119,2 a 100,2 miliardi di euro. E ciò a causa, soprattutto, del fatto che negli ultimi vent'anni il reddito procapite, rapportato ai prezzi del 2010, è rimasto quasi del tutto invariato, fermo intorno ai 17.200 euro. Di conseguenza, mentre in passato su ogni 100 euro di entrate familiari se ne risparmiavano 23, attualmente questa cifra s'è ridotta a non più di 10, se non meno. Oltretutto, un italiano su tre non è riuscito ad accantonare neppure un euro.
 Questi dati sono tanto più preoccupanti se si considera che la propensione al risparmio è sempre stata una delle attitudini preminenti del ceto medio e uno dei principali fattori della sua stabilità sul piano sociale. Al punto da figurare come un "popolo di formiche" altrettanto parsimonioso quanto previdente.
 Certo, era già passata da un pezzo, negli anni Novanta, l'epoca in cui, come ai tempi del "miracolo economico", gli italiani risparmiavano in media una somma pressoché pari a quella complessiva di un francese, un tedesco e un inglese; ma vent'anni fa il gruzzolo che riuscivano a mettere da parte era pur sempre largamente superiore a quello che si registrava in ognuno dei principali paesi europei.
 Adesso che non è più così, ciò su cui le famiglie del nostro ceto medio possono comunque vantare ancora a loro vantaggio è un indice più elevato quanto alla proprietà dell'appartamento in cui abitano. Ma intanto si sono assottigliate sia le opportunità per numerosi capifamiglia di remunerazioni più consistenti per le loro attività sia le possibilità di un impiego sicuro e non precario per i propri figli.
 A scapito della "middle class" hanno concorso anche le presunzioni e gli errori di valutazione in cui sono caduti molti suoi componenti. Sia perché gran parte di loro ha ritenuto di essere al riparo dalle radicali trasformazioni prodotte dalla globalizzazione e dalla rivoluzione informatica: come se esse mettessero a repentaglio unicamente o soprattutto le qualifiche e i posti di lavoro del ceto operaio. Sia perché hanno seguitato per lo più a credere che un qualsiasi titolo di studio a livello d'istruzione superiore garantisse di per sé un avvenire senza tanti patemi ai propri figli. Di qui, oltre a un eccessivo affollamento di certe Facoltà universitarie rivelatesi così prive di sbocchi professionali adeguati o più spendibili, la tendenza pregiudiziale a escludere la prospettiva di un sistema scolastico autenticamente selettivo, basato sulla premiazione del merito e della responsabilità individuale. D'altra parte, la scarsità della spesa pubblica anche nel campo della formazione, e non solo in quello della ricerca scientifica, ha finito, a sua volta, per ridurre le funzioni precipue dei nostri Atenei nella qualificazione e nell'arricchimento del capitale umano.
 Stando così le cose, c'è peraltro da chiedersi se si possa ancora parlare di un ceto medio come soggetto collettivo o se, invece, già da tempo non sia in via d'estinzione. Di certo, esso è andato sfrangiandosi in vari spezzoni e sono man mano sbiaditi alcuni suoi tratti distintivi e riferimenti culturali. Inoltre, la classe media rischia di perdere sempre più quota, di scendere di vari gradini nella scala sociale. Col risultato di un'inversione di rotta rispetto al passato, quando s'erano andate infoltendo, grazie a un processo di mobilità sociale verso l'alto, le sue file con una crescente schiera di professionisti, dirigenti d'azienda, piccoli imprenditori, tecnici e consulenti, accanto alle tradizionali categorie dei "colletti bianchi" privati e pubblici, degli artigiani e degli esercenti.
 Di fatto, oggi il ceto medio, se non vuole deperire, deve rimettersi in gioco, darsi da fare investendo nuove risorse ed energie per sintonizzarsi con i mutamenti in atto, cambiare mentalità e contegno, rinunciare a vecchie abitudini o ripulse. D'altra parte, dipenderà per tanti aspetti da una sua ripresa in forze se il nostro Paese non finirà per ripiegare su se stesso e avvizzirsi.


Il mercato italiano verso la débâcle
 Gian Primo Quagliano
Smentendo tutte le previsioni in aprile, dopo dodici cali consecutivi, è arrivato il tredicesimo. Le immatricolazioni di autovetture sono scese del 2,24% e ciò rispetto a un aprile 2010 già molto depresso. Il calo interessa soprattutto il mercato dei privati, mentre quello delle aziende è in discreta tenuta. Il mercato dell'auto sconta la debolezza dell'economia che, dopo la crescita decisamente modesta del 2010, nel 2011 non sembra avere accelerato, ma semmai ha rallentato come emerge dai primi dati statistici resi noti. Il verdetto lo emetterà l'Istat il 13 maggio pubblicando la stima ufficiale sul Pil nel primo trimestre. Non si può escludere che si registri un calo congiunturale dovuto proprio alla debolezza del mercato interno e in particolare alla scarsa propensione agli acquisiti dei consumatori italiani. Se si proiettano i risultati degli ultimi sei mesi su base annua si ottiene un volume di immatricolazioni di 1.777.000. È questa l'attuale velocità di crociera del mercato italiano. Se non vi sarà un'accelerazione, il 2011 farà registrare un calo del 9,37 per cento.
 È sempre più evidente che allo stato attuale una ripresa della domanda di auto potrebbe derivare solo da interventi governativi di immediata efficacia per dare più risorse ai consumatori. Nell'attesa che qualcosa succeda le valutazioni espresse dai concessionari nel quadro del l'inchiesta congiunturale mensile di aprile del Centro Studi Promotor GL events sono non solo fortemente negative, ma anche in peggioramento.
 Presidente Centro Studi Promotor
GL events
 

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