domenica 30 ottobre 2011

Federali.mattino_30.10.11. Quindi, se davvero «Grande Sud» si propone di essere la terza gamba del Pdl insieme alla Lega, con Iannaccone perde un valore aggiunto.----Ora che le abitudini di investimento stanno cambiando - ha concluso la Cannata - anche la nostra offerta deve saper evolvere per non perdere, anzi per premiare la fiducia dei risparmiatori.----Gianandrea Gaiani: Per Parigi la competizione sul mercato libico ha una rilevanza assoluta almeno a giudicare dall'aggressività di Longuet nei confronti dell'Italia, importante competitore sul mercato libico.

Vacilla il progetto «Grande Sud»
Fisco, contribuenti.it: non in linea con il redditometro 4 italiani su 5
La mossa del Tesoro: Bot online ai risparmiatori
Bozen, oltrepadania. Manifesto contro i carabinieri: Knoll e Klotz soddisfatti per il "silenzio" del ministero
Parigi presenta il conto a Tripoli.
Svizzera. Il segreto bancario su misura



Vacilla il progetto «Grande Sud»
È la risposta alla Lega Nord
Alleanza Poli Bortone, Iannaccone e Miccichè
Il fronte campano: «Statuto unitario o andiamo via»
BARI - Si incrina e vacilla il progetto del «Grande Sud», la risposta meridionale alla Lega Nord. La fase costituente era stata avviata negli scorsi mesi mettendo a patrimonio l’elettorato di tre movimenti: Io Sud della senatrice salentina Adriana Poli Bortone, Noi Sud del campano Arturo Iannaccone e Forza Sud del siciliano Gianfranco Miccichè. Il progetto fu presentato, a Bari, il 14 luglio scorso alla presenza dei tre leader e dei parlamentari dei tre gruppi e fu annunciata una convention nazionale a Roma, al termine della fase costituente, per fine ottobre. Spiega Iannaccone, la cui componente vanta anche un sottosegretario: «Noi abbiamo proposto uno statuto fondativo del nuovo soggetto e non abbiamo ricevuto nessuna risposta. In assenza di segnali, andiamo avanti per la nostra strada». Nello statuto venivano fissate regole uguali per tutti: il simbolo doveva essere nelle disponibilità dei tre soggetti, le liste sottoscritte dai tre segretari nazionali e la direzione nazionale composta da trenta membri, dieci per ogni soggetto politico.
«O lo statuto è unitario - spiega Iannaccone - o non siamo interessati. Interpretiamo questo lungo silenzio, questo atteggiamento sfuggente come un dissenso e ne prendiamo atto. L’alternativa poteva essere solo un congresso, dopo il tesseramento, in piena democrazia». E mette sull’avviso, «il progetto di Grande Sud, autentico e non taroccato, comprende tutti e tre i movimenti. E va tenuto conto che nessuno di noi, al contrario dgli altri, è stato eletto nelle fila del Pdl, proveniamo da Mpa e Idv». Quindi, se davvero «Grande Sud» si propone di essere la terza gamba del Pdl insieme alla Lega, con Iannaccone perde un valore aggiunto. Butta acqua sul fuoco la senatrice Poli Bortone: «Problemi? No. Ho sentito Iannaccone anche ieri e abbiamo parlato del partito». Chiarisce Iannaccone: «Non sento la senatrice da un mese, da quando c’è stata la festa, a Lecce, del partito». L’altro ieri Noi Sud ha tenuto la direzione nazionale a Roma. «Ci stiamo organizzando per correre da soli. Abbiamo i nostri candidati sindaci e presenteremo liste dovunque». A Taranto, ad esempio, punteranno su Mario Cito (figlio di Giancarlo) come candidato sindaco, che aveva già tentato la corsa alle Europee con Mpa. «I risultati che raggiunse ci confortano», spiega Iannaccone. Alle regionali in Molise il simbolo «Grande Sud» ha raccolto il 6,5% delle preferenze e preso due seggi (l’Udc poco più del 6%). «Avvieremo il tesseramento dal primo dicembre e andiamo avanti nonostante questa ulteriore esperienza negativa».
Lorena Saracino

Fisco, contribuenti.it: non in linea con il redditometro 4 italiani su 5
ROMA - Quattro contribuenti su cinque non risultano congrui al redditometro, cioè non rispetterebbero quanto richiesto dall'Amministrazione finanziaria in termini di reddito imponibile e conseguentemente di tasse da versare all'erario. Applicando il metodo di accertamento sintetico denominato "redditometro", che ricostruisce il reddito attraverso i consumi ed il tenore di vita, solo 1 italiano su 5 risulterebbe in linea con le pretese del fisco.
Secondo la stima elaborata da KRLS Network of Business Ethics conto di Contribuenti.it Magazine dell'Associazione Contribuenti Italiani, risulta che per l'anno d'imposta 2010 non sono in linea con il redditometro il 77,2% degli italiani e si stima che con il nuovo redditometro, alla fine del 2011, arriveranno all' 79,8%, con punte record nella fascia giovanile dove 86,4% non è congruo.
"L'evasione fiscale non si combatte, ne con gli spot televisivi, né con il redditometro o altri strumenti di catastalizzazione del reddito - afferma Vittorio Carlomagno presidente di Contribuenti.it Associazione Contribuenti Italiani - Bisogna riformare il fisco italiano introducendo la tax compliance, seguendo ciò che avviene nei principali paesi europei che hanno ridotto le aliquote fiscali, migliorato la qualità dei servizi pubblici e sopratutto hanno reso trasparenti i conti facendo comprendere ai contribuenti come si amministrano i propri soldi. L'evasione fiscale a causa degli sprechi della P.A. è diventato lo sport più praticato dagli italiani. Fino a quando non migliorerà l'efficienza dell'amministrazione finanziaria e si taglieranno le spese della casta, il governo avrà bisogno di emanare nuovi condoni per far cassa ad ogni costo. E si premieranno sempre i grandi evasori fiscali, che preferiscono pagare le tasse a forfait e con il massimo sconto".
CONTRIBUENTI.IT - ASSOCIAZIONE CONTRIBUENTI ITALIANI
L'ufficio stampa Infopress 3314630647 - 0642828753.

La mossa del Tesoro: Bot online ai risparmiatori
MILANO - Anche il Bot diventa una «dot.com». Era da anni che i Buoni ordinari del Tesoro avevano perso la propria materia cartacea per divenire un semplice transazione finanziaria tra sistemi informatici. Ma adesso, come anticipato ieri da Maria Cannata, responsabile del Debito pubblico al Tesoro, si sta studiando il modo per far emigrare l' offerta dei Bot rivolta ai piccoli risparmiatori online. Non sono emersi altri dettagli se non che il collocamento avverrebbe attraverso i sistemi di trading online bancari aderenti alla piattaforma Mot di Borsa Italiana. Nella sostanza si potrà acquistare i titoli online, magari anche con delle applicazioni dedicate, traendone un vantaggio in termini di commissioni. «Ora che le abitudini di investimento stanno cambiando - ha concluso la Cannata - anche la nostra offerta deve saper evolvere per non perdere, anzi per premiare la fiducia dei risparmiatori». La strategia potrebbe aiutare il mercato dei titoli di Stato, creando un canale privilegiato per la domanda domestica delle famiglie italiane.


Bozen, oltrepadania. Manifesto contro i carabinieri: Knoll e Klotz soddisfatti per il "silenzio" del ministero
BOLZANO. "Per l'Italia sarebbe troppo grosso l'imbarazzo di vedersi confermato in un processo che i carabinieri hanno torturato in Alto Adige". Lo sostiene Sven Knoll, consigliere provinciale di Südtiroler Freiheit, il partito di Eva Klotz, che commenta "con soddisfazione" la notizia secondo cui il ministero della giustizia non ha ancora risposto alla richiesta della procura di Bolzano di aprire un'inchiesta su un manifesto del partito che, a 50 anni dalla "Notte dei fuochi", accusa di torture i carabinieri. "E' un fatto che parla da sè", sostiene Knoll, secondo il quale "questa è una vittoria tardiva della giustizia per le vittime, che ora possono parlare apertamente delle torture subite da parte dei carabinieri". In occasione del 50/o anniversario della "Notte dei fuochi", quando gli irredentisti fecero saltare in aria 37 tralicci dell'alta tensione, il partito della pasionaria del Sudtirolo aveva diffuso una manifesto che ricordava presunte violenze contro i terroristi allora detenuti da parte dei carabinieri. Senza l'autorizzazione del ministero di procedere per vilipendio nei confronti dell'Arma l'inchiesta della procura di Bolzano sarebbe invece destinata a essere archiviata. 29 ottobre 2011

Parigi presenta il conto a Tripoli.
Pressioni sulla Libia dopo il forte calo delle commesse militari
di Gianandrea Gaiani
Non ha mostrato certo molta delicatezza o "savoir faire" il ministro della Difesa francese Gerard Longuet quando il 22 ottobre ha dichiarato a Le Monde che «i nuovi dirigenti della Libia sanno che devono molto alla Francia» affermando che Parigi «punterà a svolgere un ruolo di partner principale». Una dichiarazione palese della volontà francese di acquisire il maggior numero dei commesse nella torta (che si preannuncia molto ricca) rappresentata dalla riorganizzazione e ricostruzione delle forze armate libiche.
Con le forze di Gheddafi pressoché annientate da oltre 26 mila raid della Nato (quasi 10 mila da attacco) la Libia si trova oggi priva di capacità militari, anche quelle basiche necessarie a controllare gli spazi aerei e marittimi e i lunghissimi confini terrestri. Anche trasformare le 70 milizie che si riconoscono nel Consiglio Nazionale di Transizione in un esercito richiederà forse anni durante i quali i Paesi amici della Libia faranno a gara a fornire servizi, programmi d'addestramento, armi, equipaggiamenti, radar, navi, velivoli, mezzi terrestri. Londra valuta di mantenere i propri jet in Italia dopo la fine della missione della Nato, il 31 ottobre, perché qualcuno dovrà pur garantire il controllo dei cieli libici.
L'affare del supporto militare alla nuova Libia ha valore complessivo valutabile in qualche decina di miliardi di dollari nei prossimi dieci anni, finanziabili grazie all'export di gas e petrolio, che vedrà protagonisti britannici, francesi, italiani ma a quanto pare non i russi, fornitori privilegiati durante il regime di Gheddafi. Per Parigi la competizione sul mercato libico ha una rilevanza assoluta almeno a giudicare dall'aggressività di Longuet nei confronti dell'Italia, importante competitore sul mercato libico. «I Paesi della coalizione cercheranno probabilmente di adottare posizioni più bilaterali nelle loro relazioni con la Libia. Ognuno cercherà di trarre vantaggio dal gioco» ha dichiarato ma per rafforzare il ruolo militare giocato dai francesi il ministro ha spiegato con un evidente riferimento all'Italia che «non ci siamo impegnati in modo tardivo, mediocre, incerto. E non abbiamo nulla da farci perdonare'.
Un "coup de finesse", come direbbero a Parigi ma il motivo dell'atteggiamento aggressivo, fuori luogo e certo sopra le righe del ministro francese (che dimentica come i suoi jet abbiano potuto attaccare in forze la Libia solo grazie alla disponibilità italiana a concedere l'uso della base di Sigonella) è legato al pessimo andamento dell'export militare francese che, unito ai tagli alla Difesa apportati dallo stesso Longuet, rischiano di mettere in crisi (anche occupazionale) buona parte dell'apparato industriale del settore Difesa d'Oltralpe, per lo più a controllo statale.
Il "Rapport au Parlement sur les exportations d'armement de la France pour 2010" presentato nei giorni scorsi dal Ministero della Difesa registra infatti il crollo delle commesse militari calate nel 2010 a 5,1 miliardi di euro contro gli 8,1 del 2009 e i 6,5 del 2008. La Francia resta il quarto esportatore mondiale di armi ma l'obiettivo di raggiungere i 10 miliardi di export annui, equivalenti alle commesse interne delle forze armate nazionali, sembra destinato a naufragare. Comprensibile quindi il nervosismo di Longuet, impegnato negli ultimi anni come il presidente Nicolas Sarkozy a fare il "commesso viaggiatore" per l'industria nazionale e consapevole che nei prossimi mesi si giocherà le ultime carte per rilanciare l'export militare.
Il cacciabombardiere Rafale, protagonista della guerra libica e proposto l'anno scorso allo stesso Gheddafi, non è stato finora mai esportato ma entro l'anno verranno definite le commesse in India, Emirati Arabi Uniti (Eau) e Svizzera, Paesi dove il jet della Dassault è entrato nella "short list". Le speranze maggiori riguardano gli Emirati che sembrano pronti ad acquistare 60 Rafale (per un valore di una decina di miliardi di euro inclusa l'assistenza logistica e l'addestramento) ma solo se verrà trovato un acquirente per altrettanti Mirage 2000 ancora in ottime condizioni in servizio con la forza aerea emiratina. Secondo i piani di Parigi e Abu Dhabi, in prima linea a sostenere gli insorti il Cnt di Bengasi, proprio la Libia dovrebbe acquistare i cacciabombardieri usati dagli Emirati Arabi consentendo di sbloccare il contratto per i Rafale.
Un buon affare per tutti: la Francia incasserebbe due importanti contratti che garantirebbero introiti rilevanti per i prossimi decenni, gli EAU risparmierebbero sul costo dei Rafale e la Libia si doterebbe di un velivolo moderno, più aggiornato dei Mirage F-1 che aveva in servizio durante il regime di Gheddafi ma senza sostenere le spese richieste per una flotta di velivoli nuovi. La concorrenza, anche italiana ed europea è però molto forte come dimostrano i nervi tesi di Longuet.
 29 ottobre 2011

Svizzera. Il segreto bancario su misura
Di Andreas Keiser, swissinfo.ch
I tempi in cui il ministro delle finanze elvetico definiva "non negoziabile" il segreto bancario, sono ormai acqua passata. Da allora, la Svizzera lo ha allentato con vari stati, in misure diverse a seconda della pressione e degli interessi.
 Così anche la conclusione di nuove convenzioni di doppia imposizione (CDI) ha assunto un senso diverso. All'origine per la Svizzera, l'obiettivo principale di questi accordi bilaterali, che impediscono di tassare due volte il reddito di cittadini e imprese generato in un altro paese, era di evitare alle aziende elvetiche di essere svantaggiate rispetto ai concorrenti esteri.
Negli ultimi tre anni, però, quando si dice CDI si parla piuttosto di assistenza amministrativa per reati fiscali e di evasori fiscali esteri che hanno depositato denaro nelle banche svizzere.
Il via a questo processo di trasformazione è stato dato il 13 marzo 2009 con l'annuncio dell'allora ministro delle finanze Hans-Rudolf Merz che la Svizzera voleva rinegoziare le CDI con gli stati più importanti e applicare l'articolo 26 del modello di Convenzione dell'OCSE. Concretamente ciò significava estendere l'assistenza amministrativa anche all'evasione fiscale e non più limitarla alla sola frode fiscale.
L'annuncio è stato in un certo senso una fuga in avanti. In tal modo il governo federale voleva evitare che la Svizzera finisse sulla lista nera dell'OCSE dei paradisi fiscali.
Di fatto il cambiamento si è tradotto in un allentamento del segreto bancario che Merz fino all'ultimo dichiarava "non negoziabile". Nel frattempo, la Svizzera ha negoziato con 35 Paesi delle nuove CDI conformi agli standard OCSE
La maggior parte delle 80 CDI continua a soddisfare gli standard OCSE in vigore nel marzo 2009. Nel frattempo, tuttavia, l'OCSE ha cambiato le regole per accordare l'assistenza. Pertanto, al governo svizzero nel febbraio 2011 è stato chiesto rinegoziare e ridefinire una parte delle nuove CDI.

Il caso UBS negli Stati Uniti
In base al nuovo standard dell'OCSE il nome e l'indirizzo dei clienti bancari sospettati non è più una condizione obbligatoria affinché la Svizzera debba offrire assistenza.
Il numero di conto con il codice IBAN o – come ha precisato la ministra delle finanze Eveline Widmer-Schlumpf al recente annuncio di un nuovo ammorbidimento del segreto bancario– "altre informazioni sufficienti per consentire un'adeguata identificazione" bastano per avviare una pratica di assistenza amministrativa.
A complicare la situazione si aggiunge il fatto che le CDI si differenziano le une dalle altre su dettagli tutt'altro che insignificanti. Inoltre, gli Stati Uniti – soprattutto dopo che è venuto alla luce che l'UBS ha aiutato clienti americani ad evadere il fisco negli USA – continuano a chiedere che la CDI sia adattata in modo da rendere possibile le domande di assistenza amministrativa per gruppi di persone.
D'altra parte, con paesi come la Germania, la Gran Bretagna, la Francia e l'Italia, la Confederazione mira ad avere delle CDI che contemplano la cosiddetta imposta liberatoria.

Braccio di ferro con gli USA
Anche per gli esperti il quadro non è semplice. "Attualmente, è effettivamente difficile avere una visione globale. La situazione cambia in continuazione. Siamo in una fase di sviluppo", dice Rolf Benz, professore di diritto tributario presso la Scuola universitaria professionale di Winterthur.
I cambiamenti più frequenti si riscontrano nelle relazioni con gli Stati Uniti. Le richieste delle autorità fiscali degli Stati Uniti vanno oltre la CDI in vigore. Washington vuole che il segreto bancario sia ulteriormente annacquato prima che la nuova CDI entri in vigore.
Il parlamento svizzero ha rinviato alla prossima legislatura, che inizia in dicembre, il dibattito sulle nuove CDI. Le richieste degli Stati Uniti sono ancora sul tavolo.
"Con gli Stati Uniti, è praticata una applicazione retroattiva. Ufficialmente gli americani motivano questo con il fatto che la vecchia CDI era più severa della prassi, ossia che era interpretata in modo diverso da quel che si sarebbe dovuto fare. La Svizzera adatta dunque la CDI in modo che sia interpretata allo stesso modo dagli Stati Uniti", dice Benz. "Con altri stati, invece, non è così".

Interessi diversi
A seconda del paese e a seconda del risultato dei negoziati, il segreto bancario svizzero ha così assunto un significato diverso, un diverso grado di severità.
"D'altra parte gli interessi variano da stato a stato. Non vogliono tutti la stessa cosa da noi", aggiunge Benz:
Dal canto suo anche la Svizzera ha priorità diverse nelle relazioni bilaterali. "Il nostro interesse di cedere di fronte a certi stati è maggiore rispetto a quei paesi con i quali abbiamo meno scambi economici".
 Andreas Keiser, swissinfo.ch
(Traduzione dal tedesco: Sonia Fenazzi)
http://www.swissinfo.ch/ita/politica/Il_segreto_bancario_su_misura.html?cid=31457660&rss=true

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