martedì 17 gennaio 2012

Federali_mattino_17.1.12. Bari, Statoquotidiano.it: Una pesantissima tegola per la residua credibilità del governatore Vendola, se si pensa che il referendum caratterizzato dalla massiccia partecipazione popolare dello scorso Giugno aveva abolito la remunerazione del capitale investito, consistente nel noto ricarico del 7% sulle bollette, e malgrado per quel referendum lo stesso Vendola si fosse speso viaggiando strenuamente per tutto il territorio nazionale, si è poi clamorosamente dimenticato di applicare quel principio nella Regione da egli stesso governata.---Napoli: L'Italia rischia una multa di 516mila euro al giorno, cifra astronomica commisurata però alla gravità cronica del problema rifiuti campano.---Standard and Poor's ha tagliato il rating del Fondo europeo Salva stati (Fesf) ad AA+, aggiungendo pero' che ripristinera' la tripla A se al fondo verranno affidate risorse aggiuntive.---Il Portogallo e’ fallito.---In concreto, per tutto il 2012, le aziende altoatesine potranno continuare ad accedere al regime di aiuti previsto dalla Provincia, la quale ha puntato molto sugli ammortizzatori in deroga per consentire anche alle imprese di piccole dimensioni (meno di 15 dipendenti per l'industria, meno di 50 per il commercio) di accedere alla cassa integrazione o alla mobilità.

Napoli. Piano rifiuti, ultimatum scaduto. La Commissione Ue s'arrabbia
Bari. Chiarelli: “Il costo dell’acqua in Puglia somiglia a quello del carburante”
Bozen. Crisi: Bizzo, verso la proroga degli ammortizzatori
Parma, padania. Parmigiano-Reggiano: 5 stelle, formaggio con clostridi
Camusso: situazione grave, è declino industria
Crisi: aumenta il numero delle società fallite o in perdita
Crisi: Standard and Poor's taglia rating Fesf ad AA+
S&P taglia rating Efsf, Draghi: siamo in una situazione gravissima
Crisi: Germania pronta a velocizzare conferimento quote in fondo Esm
Crisi: Sarkozy la definisce ''senza precedenti''
Crisi: Premier Grecia, vicini ad accordo con banche su taglio debito
Crisi: Grecia, privatizzazione dei porti segna il passo
Volano i bond del Portogallo: titoli a tre anni al 16,8%. Lo spettro di una ristrutturazione del debito
Il risiko energetico dei paesi baltici



Napoli. Piano rifiuti, ultimatum scaduto. La Commissione Ue s'arrabbia
«Non abbiamo ricevuto niente» dice il portavoce . Si rischia fino a 500mila euro al giorno di multa
NAPOLI - L'ultimatum sul piano rifiuti è scaduto ieri, domenica 15 gennaio. Oggi, puntuale, arriva la tiratina d'orecchie della Commissione Ue che sostiene di «non ha ancora ricevuto» la risposta dell'Italia relativa alla procedura d'infrazione sui rifiuti a Napoli. Un ritardo accademico che deve aver irritato Bruxelles. «Stiamo ancora aspettando la risposta» ha detto un portavoce dell'esecutivo Ue, ricordando che la scadenza per il termine ultimo per l'invio era, appunto, alla mezzanotte di ieri.
LE RASSICURAZIONI DI CLINI - Fiduciosi, anche per le rassicurazioni del ministro Corrado Clini in merito, gli uffici della Commissione si aspettano di ricevere la lettera in giornata. «Una volta ricevuta ne analizzeremo il contenuto e poi commenteremo».
PESANTI SANZIONI - La situazione non è certamente semplice. L'Italia rischia una multa di 516mila euro al giorno, cifra astronomica commisurata però alla gravità cronica del problema rifiuti campano. Sanzione salatissima che la Commissione europea potrebbe comminare all'Italia, già notevolmente falciato dalla crisi economica. In tal senso il Consiglio dei ministri sabato scorso ha varato un decreto per creare la possibilità di trasferire i rifiuti trattati e ammassati negli Stir campani fuori regione in base al solo accordo con i gestori degli impianti che dovrebbero effettuare lo smaltimento.

Bari. Chiarelli: “Il costo dell’acqua in Puglia somiglia a quello del carburante”
Bari – “LE statistiche pubblicate nei giorni scorsi in relazione alle tariffe stellari raggiunte per il costo dell’acqua in Puglia fanno emergere uno scenario assolutamente inquietante che non può che confermare il quadro di assoluta drammaticità che la gestione dell’ente regionale sta vivendo negli ultimi tempi”. Lo ha detto in una nota il Consigliere regionale e vicecoordinatore regionale PdL, Gianfranco Chiarelli.
 “Basti pensare che nel solo biennio 2007-2008 la tariffa era già stata aumentata del 10%, nel biennio scorso del 17,5%, a gennaio 2011 di un altro 10%. Ed in questo quadro si inserisce per il 2012 l’imposizione di un ulteriore aumento che fa schizzare la bolletta verso l’alto di un altro 3,9%. Parafrasando l’ironia già adottata da alcuni quotidiani nazionali, il costo dell’acqua in Puglia somiglia sempre più a quello del carburante, se si pensa che oggi un metro cubo d’acqua pugliese costa 1,60 euro, praticamente quanto un litro di benzina. Altrettanto inquietante il calcolo del costo medio del consumo per famiglia. Infatti per le famiglie pugliesi l’acqua arriva addirittura a costare 290 euro all’anno, il triplo della Lombardia, il doppio della vicina Basilicata”.
 “Una pesantissima tegola per la residua credibilità del governatore Vendola, se si pensa che il referendum caratterizzato dalla massiccia partecipazione popolare dello scorso Giugno aveva abolito la ‘remunerazione del capitale investito’, consistente nel noto ricarico del 7% sulle bollette, e malgrado per quel referendum lo stesso Vendola si fosse speso viaggiando strenuamente per tutto il territorio nazionale, si è poi clamorosamente dimenticato di applicare quel principio nella Regione da egli stesso governata. Tempi duri dunque per i cittadini pugliesi, sempre più costretti a stringere la cinghia e ad assistere inermi ad aumenti incontrollati di tasse e tariffe, subendo peraltro le insopportabili sortite demagogiche di un ‘Presidente’ sempre più distante dalla realtà”, conclude Chiarelli.
 Disabato e Losappio: “Con Vendola, per modificare le tariffe dell’acqua”. Dichiarazione congiunta dei Presidenti dei Gruppi Sel e PPV, Michele Losappio e Angelo Disabato. “Esprimiamo il nostro apprezzamento per il consenso ricevuto dalla proposta del Presidente Vendola di operare per ridurre le tariffe dell’acqua alle fasce sociali più deboli e bisognose. Non può che farci piacere il fatto che tale intendimento, con l’impegno della Regione a non deprimere gli investimenti grazie a maggiori quote di finanziamento europeo e a una revisione che AQP deve fare sui propri costi operativi, sia condiviso anche da forze politiche quali il Pd e il PdL che a livello nazionale hanno tutt’altra impostazione.
 E’ perciò immaginabile che l’input di Vendola non trovi ostacoli nell’Autorità Idrica Regionale, cioè l’unico luogo deputato ad assumere la decisione di una revisione delle tariffe, diretto da Sindaci che sono anche eminenti personalità di Pdl e Pd. Quanto alla necessaria riduzione dei costi operativi di AQP essa rientra in quell’orientamento sulle Agenzie della Regione che la Giunta e il Consiglio hanno già deliberato con legge di bilancio e che deve coinvolgere anche le Società partecipate con l’obiettivo di razionalizzare la spesa e di investire il risparmio a favore dei pugliesi, in questo caso con la riduzione delle tariffe”.
Redazione Stato

Bozen. Crisi: Bizzo, verso la proroga degli ammortizzatori
In concreto, per tutto il 2012, le aziende altoatesine potranno continuare ad accedere al regime di aiuti previsto dalla Provincia
BOLZANO. Accordo in vista tra Provincia e parti sociali per la proroga di un anno degli ammortizzatori sociali in deroga previsti dallo scudo anti-crisi. L'assessore al lavoro Roberto Bizzo ha incontrato questo pomeriggio i rappresentanti del mondo economico e delle organizzazioni sindacali. "L'occupazione tiene - sottolinea Bizzo - ma gli scenari generali ci spingono ad avere la massima attenzione". Proroga in vista per gli ammortizzatori sociali in deroga previsti dallo scudo anti-crisi: questo il risultato dell'incontro del tavolo tecnico coordinato dall'assessore Roberto Bizzo, che in Giunta provinciale ha le competenze in materia di lavoro, al quale hanno partecipato rappresentanti del mondo economico e sindacale. L'accordo non è stato ancora definitivamente raggiunto, ma una volta apportate le ultime modifiche al testo, la proroga verrà sottoscritta da Provincia e parti sociali, che dovrebbero nuovamente incontrarsi nelle prossime settimane.
In concreto, per tutto il 2012, le aziende altoatesine potranno continuare ad accedere al regime di aiuti previsto dalla Provincia, la quale ha puntato molto sugli ammortizzatori in deroga per consentire anche alle imprese di piccole dimensioni (meno di 15 dipendenti per l'industria, meno di 50 per il commercio) di accedere alla cassa integrazione o alla mobilità. "Complessivamente il mercato del lavoro in Alto Adige tiene bene - commenta l'assessore Roberto Bizzo - visto che nel 2011 è stato registrato un +1% nell'occupazione dipendente. Credo che in un momento di difficoltà come questo sia un risultato più che positivo".
I settori maggiormente in difficoltà si confermano quelli dell'edilizia e dei trasporti, "e gli scenari che si prospettano con la crisi nazionale e internazionale - prosegue Bizzo - ci spingono a confermare gli ammortizzatori in deroga anche per l'anno appena iniziato". Nei tre anni di funzionamento degli ammortizzatori sociali in deroga (2009-2011) sono stati stanziati 4,9 milioni di euro, uno e mezzo dei quali a carico della Provincia e il resto a carico del Fondo nazionale.
Nell'anno da poco concluso, le aziende che hanno avanzato richiesta di accedere al regime di aiuti straordinario per le imprese in difficoltà sono state 105 (21 domande respinte), la cassa integrazione ha interessato 600 lavoratori per un totale di oltre 275mila ore di CIG e un importo di circa 1.780.000 euro (621mila messi a disposizione dalla Provincia). 16 gennaio 2012

Parma, padania. Parmigiano-Reggiano: 5 stelle, formaggio con clostridi
 «Ci chiediamo che senso abbia vietare gli impianti di energia a biomasse nella zona del Parmigiano-Reggiano se poi si importa il cibo per gli animali da altre zone dove ci sono impianti a biomasse». Così il consigliere regionale grillino Giovanni Favia annuncia un’interrogazione sulla presenza di 'clostridì nel foraggio, provieniente da Medicina (Bologna) dove sono attivi impianti da biomasse, per alcune stalle destinate a fornire il super-controllato latte della filiera del Parmigiano Reggiano.
«Non sappiamo se la Regione ne sia a conoscenza – prosegue Favia – per questo abbiamo presentato un’interrogazione: questa contraddizione mette a rischio una produzione di qualità che ci rende famosi nel mondo. È successo infatti in alcuni casi che i clostridi abbiano interferito con la fermentazione delle forme di formaggio, creando molta anidride carbonica e portando allo scoppio delle forme! Sicuramente una situazione da evitare, senza considerare che alcuni pareri scientifici ipotizzano che i clostridi siano pericolosi anche per l’uomo. Quindi ci aspettiamo che la Regione faccia chiarezza su tutta questa vicenda».

Camusso: situazione grave, è declino industria
"Il tema del declino del Paese rappresenta il declino dell'industria". Così il leader della Cgil, Susanna Camusso, commenta il downgrade di S&P sul rating sovrano dell'Italia suggerendo di "fare un passo indietro quando si è sull'orlo del baratro".
"Abbiamo tre anni persi alle spalle - osserva Camusso - con il Governo Berlusconi sono stati tre anni pesanti che hanno accentuato il declino del Paese. Ora nessuno sottovaluta la gravitá della situazione".

Crisi: aumenta il numero delle società fallite o in perdita
ID doc: 73361 Data: 16.01.2012 (aggiornato il: 16.gen.2012)
Cresce il numero dei fallimenti aziendali e aumenta quello delle società in perdita. Lo comunica il Dipartimento delle Finanze nei dati sulle dichiarazioni fiscali delle società relative all'anno d'imposta 2009. "La crisi economica può spiegare il forte incremento delle dichiarazioni presentate da società in situazione di fallimento (+61,67%) o estinte (+52,08%)", si legge in una nota. La situazione di "congiuntura negativa si riflette inoltre sulla quota di società in utile, calate di oltre due punti percentuali (ora al 57,9%) e, conseguentemente, aumenta il numero dei contribuenti in perdita (37%, contro il 35% del 2008)".

Crisi: Standard and Poor's taglia rating Fesf ad AA+
16 Gennaio 2012 - 20:00
 (ASCA-AFP) - Parigi, 16 gen - Standard and Poor's ha tagliato il rating del Fondo europeo ''Salva stati'' (Fesf) ad AA+, aggiungendo pero' che ripristinera' la tripla A se al fondo verranno affidate risorse aggiuntive. La decisione e' conseguenza del downgrade deciso la scorsa settimana verso Francia e Austria.
sen/

S&P taglia rating Efsf, Draghi: siamo in una situazione gravissima
Presidente Bce: 'Attuare tempestivamente le decisioni dei leader sui fondi salva-Stati'
16 gennaio, 20:08
NEW YORK - L'agenzia internazionale Standard & Poor's taglia il rating dell'European Financial Stability Facility (Efsf) a 'AA+' da 'AAA' dopo l'ondata di downgrade di paesi europei decisa venerdi' scorso.
BRUXELLES - Il declassamento di Esfs operato da S&P ''non riduce la capacita' di prestito di 440 miliardi di euro'' del Fondo che ha ''mezzi sufficienti per rispettare i suoi impegni'': cosi' una nota del presidente dell'Eurogruppo Jean-Claude Juncker sulla decisione di Standard&Poor's.
STRASBURGO - "Siamo in una situazione gravissima". Lo ha detto Mario Draghi nelle vesti di presidente dell'autorità europea per i rischi sistemici in audizione davanti alla commissione parlamentare economico-finanziaria. Trichet, ha ricordato Draghi, aveva parlato di 'dimensioni sistemiche' ma "da allora la situazione è peggiorata"
E' "vitale" che le decisioni prese dai leader europei sui fondi salva-Stati siano attuate "tempestivamente e completamente". Bisognerebbe "imparare a vivere senza le agenzie di rating" o quanto meno "imparare a fare meno affidamento" sui loro giudizi.
Gli interessi ed i rischi sui debiti sovrani europei "sono sovrastimati" così come erano "sottostimati prima di Lehman Brothers" ha detto Draghi spiegando la necessità di un "firewall" che possa "far fronte alla fragilità dei mercati" del debito sovrano che "non è solo europea ma mondiale".

Crisi: Germania pronta a velocizzare conferimento quote in fondo Esm
16 Gennaio 2012 - 18:37
 (ASCA-AFP) - Berlino, 16 gen - La Germania sta pensando di conferire in un'unica soluzione la propria quota al futuro fondo di salvataggio Ue. E' quanto si evince dalle dichiarazioni di due alti esponenti politici tedeschi. Alla domanda se Berlino avrebbe pagato il suo contributo (circa 21 miliardi di Euro) in una sola volta, Michael Meister, un alleato della cancelliera Angela Merkel, ha dichiarato: ''Siamo pronti a fare qualsiasi cosa, se i nostri partner europei sono pronti a fare altrettanto''. Martin Kotthaus, portavoce di ministro delle Finanze Wolfgang Schaeuble, ha sottolineato che la Germania vuole ''mettere capitale il piu' rapidamente possibile'' nel meccanismo europeo di stabilita' (Esm) per dare ''un segnale'' ai mercati. ''Dobbiamo vedere quali sono le possibilita' con gli altri Stati'', ha detto Kotthaus nel corso di un consueto briefing del governo, aggiungendo che Berlino spera che una decisione in tal senso possa essere presa nella riunione dei ministri delle Finanze dell'Ue il 24 gennaio.
red/sam/

Crisi: Sarkozy la definisce ''senza precedenti''
16 Gennaio 2012 - 17:04
 (ASCA-AFP) - Madrid, 16 gen - ''Siamo di fronte a una crisi senza precedenti che ci impone di ridurre le spese, di ridurre i nostri deficit ma anche di trovare il cammina di una nuova crescita risolvendo i nostri problemi di competitivita'''.
 Lo ha detto il presidente francese, Nicolas Sarkoy, ricevuto oggi a Madrid dal premier spagnolo Mariano Rajoy. Il presidente ha anche risposto a una domanda sul declassamento decretato da Standard and Poor's nei confronti della Francia: ''In fin dei conti non cambia nulla''.
red-uda/

Crisi: Premier Grecia, vicini ad accordo con banche su taglio debito
16 Gennaio 2012 - 13:59
 (ASCA-AFP) - Atene, 16 gen - La Grecia e' ''vicina'' all'accordo sulla svalutazione della parte del suo debito pubblico in mano agli investitori privati, cioe' alle banche.
Lo assicura il premier greco Lucas Papademos, aggiungendo che l'abbandono dell'euro ''non e' un'opzione'' per Atene.
 Parlando alla televisione Cnbc, Papademos ha spiegato che ''le discussioni, che stanno proseguendo, credo ci abbiano aiutato a raggiungere un punto'' tale che ormai siamo ''vicini all'accordo'', anche se ''e' necessaria qualche ulteriore riflessione su come mettere insieme tutti gli elementi''. Per Papademos, la sospensione dei negoziati con le banche avvenuta venerdi' e' stata ''una piccola pausa nelle discussioni, ma sono fiducioso che continueranno e che raggiungeremo in tempo un accordo che sia accettabile per entrambe le parti''.
 L'accordo prevederebbe un taglio (definito ''haircut''), cioe' una svalutazione, del 50% del debito pubblico della Grecia in mano alle banche, circa 100 miliardi di euro, rispetto al debito totale di Atene, che si attesta a circa 350 miliardi di euro.
red/sam/

Crisi: Grecia, privatizzazione dei porti segna il passo
Ritardi causati da troppa burocrazia e indecisione politica
16 gennaio, 14:37
(di Furio Morroni) (ANSAmed) - ATENE, 16 GEN - Il tanto atteso e sperato sviluppo del porto ateniese del Pireo e degli altri porti della Grecia destinati ad essere privatizzati nell'ambito del programma economico del governo per salvare il Paese dalla bancarotta sta segnando il passo. Infatti si sta rivelando molto piu' complicato da realizzare di quanto previsto a causa dei ritardi creati dall'onnipresente burocrazia ellenica e da una diffusa atmosfera di indecisione che stanno cominciando a scoraggiare i potenziali investitori stranieri.
 A meta' dicembre, l'Ufficio per la privatizzazione delle proprieta' dello Stato (Taiped), la nuova agenzia pubblica incaricata di attuare il piano di privatizzazioni del governo, aveva avviato ufficialmente le procedure per la valorizzazione di una serie di immobili e di infrastrutture di proprieta' del demanio. Le previsioni del ministero delle Finanze circa l'interesse degli investitori stranieri erano ottimiste in particolare per tre grandi ''pacchetti'' tra cui uno attinente alla privatizzazione di 12 porti (fra cui quelli di Pireo e di Salonicco) per i quali il governo di Atene si era impegnato con i rappresentanti della troika a vendere rispettivamente il 23,1% e il 23,3%, con ulteriore vendita di azioni o di concessione dei diritti per lo sfruttamento entro i primi tre mesi del 2012.
 Da allora, pero', come ha riferito il quotidiano ateniese Kathimerini, nulla si e' fatto e nessuna decisione concreta e' attesa prima di fine febbraio, data entro la quale era previsto che fossero gia' stati fatti progressi sul progetto denominato ''Sistema portuale dell'Attica'' dopo la presentazione al Taiped dei relativi rapporti dei consulenti legali e finanziari sulla fattibilita' del progetto stesso.
 Nel frattempo si e' appreso che la Cosco (China Ocean Shipping Company), il gigante cinese della navigazione mercantile mondiale che ha espresso un vivo interesse per il porto del Pireo e vuole salvaguardare i notevoli interventi che vi ha gia' fatto, sta ancora aspettando dallo Stato greco un rimborso di circa 32 milioni di euro di Iva per gli investimenti gia' realizzati. La questione e' diventata il pomo della discordia con Pechino come ha ammesso di recente l'ambasciatore cinese ad Atene, Du Qiwen, parlando dei problemi che la Cosco si trova ad affrontare a causa dell'esasperante lentezza della burocrazia greca.
 Il mese scorso, il premier Lucas Papademos ha incontrato Constantinos Mitropoulos, direttore generale del Taiped, il quale a sua volta aveva avuto gia' colloqui con i segretari generali e i funzionari di governo interessati - fra cui il vice ministro della Marina Mercantile Adonis Georgiadis e il segretario generale dei porti, Thanos Pallis. Come ha reso noto quest'ultimo, governo e Taiped sono ora in attesa delle valutazioni dei loro due consulenti finanziari - Morgan Stanley e Banca del Pireo - previste per fine febbraio o primi di marzo.
Saranno i loro rapporti a determinare se sia piu' vantaggioso vendere solo il 23,1% delle azioni dell'Authority del Porto del Pireo (gia' sotto la giurisdizione del Taiped) oppure attendere il completamento del progetto ''Sistema portuale dell'Attica'' (una fusione delle imprese dei porti di Pireo, Rafina, Lavrio ed Elefsina) e poi vendere una partecipazione nella nuova societa'.
 Un altro scenario non improbabile e' che possa essere venduta l'intera azienda. Nell'ambito di tale prospettiva, l'Authority del Porto del Pireo dovra' decidere se dividersi in due separate entita' (una normativa ed una esecutiva) e poi vendere la seconda conservando per se' la prima. La stessa strategia che e' stata adottata dal governo di Berlino per il porto di Amburgo.
 ''Stiamo facendo pressioni per ottenere le relazioni finali dei consulenti finanziari entro la fine di febbraio, ma e' probabile che saranno pronte a marzo'', ha detto Pallis, il quale non ha escluso la possibilita' che la Grecia debba rinegoziare i termini per la privatizzazione dei porti con i suoi creditori internazionali. A complicare la situazione c'e' anche la scadenza delle imminenti elezioni anticipate in primavera mentre a confondere ancor piu' le acque - qualora ce ne fosse stato bisogno - e' arrivata pochi giorni fa una dichiarazione del direttore generale dell'Authority del Porto del Pireo, Giorgos Anomeritis, secondo cui il 51% della societa' restera' sotto il controllo dello Stato. (ANSAmed).

Volano i bond del Portogallo: titoli a tre anni al 16,8%. Lo spettro di una ristrutturazione del debito
Il rendimento dei Bond portoghesi a 10 anni ha toccato oggi il picco storico al 13,8%, in rialzo di 180 punti base rispetto alla chiusura di venerdì. In rialzo i rendimenti anche sulla curva a breve: i titoli a due anni balzano al 13,49% e i bond a tre anni al 16,8%.
Contemporaneamente il costo dei cds (credit default swap, una sorta di polizze che assicurano dal rischio di fallimento dei titoli sottostanti, in questo caso i bond emessi dal governo di Lisbona) è balzato di 60 punti base a 1.143 punti, secondo Markit (costa 1,14 milioni di dollari assicurare 10 milioni di debito emesso dal Portogallo).
Dopo il taglio di S&Poor's di venerdì il debito portoghese è considerato sotto la categoria "investment grade" all'unanimità dalle tre agenzie statunitensi (per Moody's è Ba2, per Fitch + BB+ e per S&P BB).
«Adesso il bond del Portogallo sono considerati junk (spazzatura, ndr) - spiegano alcuni analisti intervistati dalla Dow Jones - dalle tre agenzie di rating. Ciò significa che è stato rimosso da molti panieri».
Gli investitori temono adesso che il Portogallo - entrato nell'orbita dei piani di salvataggio della Bce grazie ai quali accede a finanziamenti a tassi agevolati - abbia rotto un argine e, al pari della Grecia, sia direzionato verso una procedura di ristrutturazione del debito.
www.twitter.com/vitolops
 16 gennaio 2011

Il risiko energetico dei paesi baltici
di Alessandro Di Simone
Nonostante il Third energy package dell’Unione Europea, o forse proprio a causa di questo, Estonia, Lettonia e Lituania sembrano esser entrate in rotta di collisione sulla tematica a loro più cara: l’indipendenza energetica.
Il processo di disancoraggio energetico dei paesi baltici dalla Federazione Russa sta portando alla luce conflitti sotterranei dai risvolti politico-strategici difficilmente prevedibili. Dietro l’apparente unanimità di intenti i tre Stati sembrano voler perseguire politiche autonome. Gli attori coinvolti si fronteggiano su diversi campi di battaglia.
Il nucleare è morto, viva il nucleare
Come conseguenza dello shutdown della centrale nucleare di Ignalina, avvenuto il 31 dicembre 2009 in ottemperanza agli accordi di adesione all’Ue, la Lituania si è trovata ad esser completamente dipendente dalle forniture di gas russo.
Fra le contromisure adottate figura in primis l’accelerazione impressa al progetto della nuova centrale nucleare di Visagina, non lontano dalla precedente in via di decommissionamento. Impegno trascinatosi a onor del vero per un decennio, coronato l’8 marzo del 2006 dalla ratifica di un Memorandum of understanding fra i vertici delle utility (Lietuvos energija, Eesti energia e Latvenergo) dei tre Stati baltici coinvolti nella costruzione della nuova centrale. Al progetto si sono successivamente aggiunti i polacchi di Polska grupa energetyczna. È stata creata una società di progetto ad hoc, la Visagino atominė elektrinė, partecipata dagli investitori istituzionali e dal governo lituano.
Proprio dalla Polonia è tuttavia giunto il primo intoppo. Il 9 dicembre, il presidente della Pge Tomasz Zadroga ha ritirato la partecipazione della sua società parlando di “condizioni […] inaccettabili nella fase attuale”. Nonostante il ministro dell’Energia lituano Arvydas Sekmokas si sia affrettato a dichiarare che la decisione polacca non avrebbe avuto conseguenze sull’avanzamento del progetto, il Chief operating executive della società di progetto Vae Rimantas Vaitkus si è detto “sorpreso” della decisione, come del resto i rappresentanti dell’investitore strategico, i giapponesi di Hitachi-General electric.
Altra contromossa varata dalla Lituania è stata l’adozione “in anteprima” del Third energy package dell’Ue. Tra le varie disposizioni, il pacchetto prescrive per le società attive nel settore del gas la separazione (unbundling) fra proprietà delle reti e attività operative. Lo smembramento è fortemente osteggiato dalla Gazprom, che controlla il 37,1% di Lietuvos dujos, principale società attiva nel trasporto, distribuzione e vendita di gas. Nei piani lituani, l’unbundling - da portare a compimento entro il 31 ottobre 2014 - ha una funzione molto chiara: consentire a più fornitori di accedere al mercato, tramite la rete di condotte già esistenti di cui la Lietuvos dujos sarà costretta a cedere la proprietà. Nodo cruciale per la praticabilità dell’iniziativa è la costruzione di un terminale Gnl (Gas naturale liquefatto), assurto a pomo della discordia fra i tre paesi baltici.
Il rigassificatore della discordia
Il progetto di un rigassificatore nel bacino baltico è di vecchia data. Per parte russa, la Gazprom ne avviò gli studi di fattibilità sin dal 2004, ponendosi l’obiettivo di installarlo a Primorsk (Oblast’ di Leningrado). Venne a tal fine costituita la Baltic Lng Ag (joint-venture svizzera fra Gazprom e Sovkomflot). Dopo quattro anni trascorsi fra studi di fattibilità e valutazioni d’impatto ambientale, con l’aggiunta del concreto interesse manifestato da diverse società (tra cui l’Eni), si decise di cassare il progetto per via di rischi ambientali e ancor più per il montante interesse verso la pipeline Nord Stream.
Dall’altro lato della barricata, Estonia Lettonia e Lituania coltivano da par loro la speranza di ospitare sul proprio territorio un terminale Lng, impegnandosi in una lotta senza quartiere nella speranza di avocare a sé i finanziamenti europei disponibili per realizzare il rigassificatore.
Nonostante Estonia e Lettonia siano espressamente dispensate dalle procedure di unbundling in quanto non direttamente collegate alle reti di altri membri dell’Ue, il governo estone ha seguito l’esempio lituano varando un disegno di legge per procedere allo scorporo delle reti. Vittima sacrificale in questo caso sarebbe Eesti gaas As, i cui principali stakeholder sono Gazprom (37,02%) ed E.On Ruhrgas (33,66%). Il motivo conduttore non è cambiato rispetto a quanto già visto in Lituania, con i rappresentanti della società pronti a salire sulle barricate e il governo estone affaccendato nel difendere il disegno di legge mirato a diversificare le fonti di approvvigionamento energetico. Piano da coronare, ovviamente, tramite la costruzione di un terminale Gnl.
La querelle fra gli Stati baltici è giunta al massimo livello politico. L’ex ministro dell’Economia lettone Artis Kampars ha avanzato pochi mesi fa la proposta di costruire il rigassificatore in Lettonia, dipingendo il proprio paese quale naturale hub per la regione per via della collocazione geografica e delle caratteristiche geologiche: la conformazione del sottosuolo nei pressi della località di Inčukalns ben si presterebbe allo stoccaggio del gas. L’autocandidatura si è scontrata con il fermo niet della presidente lituana Dalia Grybauskaitė, cui ha fatto eco il mese scorso anche il primo ministro Andrius Kubilius. Costui ha sentenziato che entro il 2014 la Lituania avrà il suo terminale Gnl. Per non essere da meno l’utility estone Eesti energia aveva già reso pubblico uno studio secondo il quale la costruzione di un rigassificatore fuori dal territorio del paese non avrebbe portato alcun giovamento economico. Nel più settentrionale dei tre Stati l’azienda Balti gaas Oü sta progettando un terminale Gnl a poca distanza da Tallinn.
La Lettonia d’altra parte sembra poter disporre di ulteriori leve per fiaccare le velleità energetiche lituane. Una di queste è la minacciata mancata implementazione del Baltic energy market interconnection plan (Bemip), ambizioso progetto di sincronizzazione delle reti energetiche baltiche nel contesto della strategia Europa 2020. Integrazione particolarmente ambita dalla Lituania, che potrebbe proprio per questo rientrare in una partita di scambio con il rigassificatore di Riga. Il ministro dell’Economia lettone Daniels Pavluts ha usato il bastone dichiarando al Consiglio dei ministri dell’energia Ue che la Lettonia cercherà di rimanere connessa al sistema energetico russo.
Il suo parigrado lituano Sekmokas ha invece tentato poche settimane addietro di gettare acqua sul fuoco, sollecitando uno studio della Commissione europea per dirimere i conflitti fra i paesi baltici sulla collocazione del terminale Gnl. Ancora a fine dicembre, il primo ministro lettone Valdis Dombrovskis ha criticato l’Estonia e la Lituania per aver messo in discussione la scelta "ovvia" di Riga quale location ideale per l’agognato rigassificatore.
La presa di posizione della Lettonia si presta a differenti interpretazioni. A seguito di un incontro istituzionale tenutosi a metà novembre, il premier Dombrovskis aveva suggerito di cestinare il progetto del rigassificatore lituano in favore di una pipeline fra Polonia e Lituania, spiazzando i suoi vicini con una proposta apparentemente dotata di una propria ratio. La Polonia è infatti già connessa alla rete tedesca, ed estendere il collegamento al più meridionale dei paesi baltici porterebbe ad una diversificazione delle fonti energetiche - come da desiderata lituani.
Il piano, volto probabilmente a sgomberare il campo dagli ostacoli che si frappongono tra Lettonia e terminale Gnl, presenta tuttavia alcune idiosincrasie sotto il profilo pratico, politico e strategico.
Dal primo punto di vista, i rapporti tra Polonia e Lituania sono tesi per via dell’affaire Orlen lietuva. Quella che un tempo si chiamava Mažeikių nafta è ad oggi l’unica raffineria baltica, controllata dalla Pkn Orlen che recentemente ha tentato di disinvestire nel sito lituano provocando una levata di scudi istituzionale a difesa dell’operatività dell’impianto.
Sotto il profilo politico, mentre la Lituania e l’Estonia non sono ancora disposte a rinunciare definitivamente al proprio terminale Gnl, merita osservare che la Lettonia - senza dubbio lo Stato baltico che ha conservato i legami più stretti con Mosca - sembra aver formulato la proposta con l’obiettivo di disarticolare il fronte pro-rigassificatore, giustificando i timori espressi dai paesi confinanti di una sua possibile eterodirezione da parte del gigante eurasiatico.
Infine, la proposta sembra strategicamente “nata morta”, non tenendo in adeguata considerazione gli scenari futuri. La Federazione russa ad oggi detiene il 30% del mercato tedesco del gas e la progressiva messa a regime del Nord Stream [vedi mappa], che congiunge Vyborg in Russia a Greifswald in Germania tramite un percorso sottomarino, accrescerà ulteriormente l’interdipendenza reciproca fra Unione Europea e Russia: a partire da quest’anno il gasdotto trasporterà fino a 55 miliardi di metri cubi di gas all’anno. Come sovrappiù, resta sullo sfondo la pianificata controproliferazione del nucleare tedesco.
La connessione Polonia-Lituania, semmai venisse realizzata, sarebbe quindi un’opera svuotata del suo intimo significato, dato che non farebbe altro che congiungere, mutatis mutandis, nazioni via via maggiormente dipendenti dalle forniture russe.
Terzo atto: il Nord Stream
Come se non bastasse, l’operatività del Nord Stream rischia in prospettiva di privare la Lituania di un’importante rendita di posizione, assicuratale dal gasdotto che rifornisce l’exclave russa di Kaliningrad transitando sul suo territorio. I russi potrebbero infatti decidere di costruire una derivazione del Nord Stream che possa servire direttamente la loro porzione di terra incuneata fra Lituania e Polonia, bypassando il più meridionale dei paesi baltici e isolandolo ulteriormente sotto il profilo energetico. Non si tratta di machtpolitik votata al sensazionalismo; i russi hanno già fatto sapere che lo scorporo della proprietà delle reti di Lietuvos dujos previsto dal Tep potrebbe portare a misure ritorsive nelle forniture di gas alla Lituania, che intanto saluta il nuovo anno con rincari generalizzati delle tariffe energetiche.
Conclusioni
La battaglia per l’indipendenza energetica vede commilitoni infidi in prima linea (i paesi baltici), un’armata nemica in posizione dominante conscia della propria forza (la Federazione russa), e un comandante distante (l’Ue) che, infiacchito da note vicissitudini, non disdegna di intavolare trattative con l’apparente avversario. Saranno i soldati sul campo a pagare il prezzo dell’accordo?

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