sabato 25 agosto 2012

(1) XXV.VIII.MMXII/ Foggia, Filippo Santigliano: «Abbiamo appreso dal presidente dell’APO, Giuseppe Grasso, che alcune industrie di trasformazione si accingono ad applicare al pomodoro conferito una penale di circa 3 euro/quintale per il mancato rispetto dei quantitativi contrattati», afferma Piero Salcuni, presidente della Coldiretti che aggiunge: «Siamo pertanto all’assurdo e come sempre gli agricoltori rischiano di rimanere becchi e bastonati. Non solo nonostante il notevole calo della produzione i prezzi non accennano a risalire, ma a questo si aggiunge la beffa delle penalità applicate dalle industrie per il ridotto conferimento».


Foggia, la «fine» del pomodoro
Vino: vendemmia in calo,-3,5% ettolitri
Ilva, nell'inchiesta entrano anche le cozze alla diossina
Il sindaco Stefàno: «Siamo in tempo per chiedere il risarcimento al siderurgico»
Palermo. Nuovi impianti per Fiasconaro

Foggia, la «fine» del pomodoro
di FILIPPO SANTIGLIANO
FOGGIA - Stressato dall’afa e rinsecchito dalla siccità: 2012 da dimenticare per il pomodoro della provincia di Foggia, il più grande bacino di produzione dell’oro rosso d’Europa. Le organizzazioni professionali stimano un calo della produzione intorno al 30%. Colpa del combinato afa-siccità che, tuttavia, sta colpendo anche altri settori dell’agricoltura foggiana, una delle più importanti in Italia per produzione lorda vendibile: dagli ortaggi alla vite; dall’olivicoltura alla zootecnia.
Per far fronte alla «calamità» che ha colpito le campagne foggiane il 28 agosto è in programma un vertice delle istituzioni territoriali con l’ufficio provinciale dell’Agricoltura e le organizzazioni professionali. Un incontro utile anche per fare il punto della situazione su quella che i produttori temono come un’altra calamità, e cioè la rottura degli accordi con le industrie di trasformazione del pomodoro.
La Coldiretti fa riferimento senza mezzi termini a possibili speculazioni che penalizzerebbero ulteriormente i produttori della Capitanata con ricadute negative per l’intera economia.
«Abbiamo appreso dal presidente dell’APO, Giuseppe Grasso, che alcune industrie di trasformazione si accingono ad applicare al pomodoro conferito una penale di circa 3 euro/quintale per il mancato rispetto dei quantitativi contrattati», afferma Piero Salcuni, presidente della Coldiretti che aggiunge: «Siamo pertanto all’assurdo e come sempre gli agricoltori rischiano di rimanere becchi e bastonati. Non solo nonostante il notevole calo della produzione i prezzi non accennano a risalire, ma a questo si aggiunge la beffa delle penalità applicate dalle industrie per il ridotto conferimento».
Anche di questo dunque si discuterà martedì nell’incontro in programma a Foggia e auspicato da tutte le organizzazioni agricole e professionali. «Il nostro obiettivo è sicuramente quello di accertare le condizioni che possano determinare la declaratoria di stato di calamità naturale, e per questo confidiamo nel fatto che i sopralluoghi effettuati proprio in questi giorni dall’Ufficio provinciale agricoltura abbiano acclarato u n’entità del danno che è sicuramente superiore al 30% e, nei casi delle produzioni più tardive, tocca punte superiori al 50%. Sperando ovviamente che questo possa in qualche modo mettere a tacere le assurde pretese delle industrie in termini di mancato rispetto dei contratti. Ma su questa storia siamo pronti a dare battaglia ed a chiedere l’intervento delle competenti Istituzioni», afferma infine il presidente della Coldiretti, Salcuni.

Vino: vendemmia in calo,-3,5% ettolitri
Assoenologi, seconda piu' scarsa da 1950, Italia divisa in due
25 agosto, 12:48
(ANSA) - ROMA, 25 AGO - Sara' la seconda vendemmia piu' scarsa dal 1950, con uve in calo del 3,5% rispetto all'anno scorso e dell'8% in confronto alla media dell'ultimo quinquennio. Quest'anno si produrranno 41,2 milioni di ettolitri di vino (42,7 milioni di ettolitri nel 2011). Ma non tutto e' perduto, secondo l'Associazione dei tecnici vitivinicoli italiani, cruciale sara' settembre, con margini di recupero per un buon millesimo. Italia divisa in 2: Centro Nord con cali da -5% a -15%, Centro Sud da 0 a +10%.

Ilva, nell'inchiesta entrano anche le cozze alla diossina
di MIMMO MAZZA
TARANTO - Da dove provengono gli inquinanti che hanno contaminato le cozze allevate nel primo seno del mar Piccolo? È la domanda che la Procura di Taranto ha posto all’Arpa, delegando all’ente guidato da Giorgio Assennato di verificare se ci siano tracce di diossine e Pcb riferibili all'Ilva. Il pool di magistrati guidato dal procuratore capo Franco Sebastio che si occupa delle indagini sullo stabilimento siderurgico si aspetta una risposta dalle analisi chimiche delle cozze provenienti dagli allevamenti del primo seno del mar Piccolo e destinate al macero per il secondo anno consecutivo.
Le procedure di rimozione dei mitili contaminati, avviate lo scorso 23 luglio in ottemperanza all’ordinanza di blocco e distruzione emanata dall’Asl e degli atti successivi dell’amministrazione comunale che ha posto in esecuzione le disposizioni delle autorità sanitarie, non sono ancora concluse. Fino allo scorso 18 agosto alla discarica Cisa di Massafra erano stati inviati 979 quintali di cozze. Scopo delle analisi delegate all’Arpa è quello di identificare, come già avvenuto in passato per formaggi e carni provenienti da allevamenti vicini al colosso siderurgico, le «impronte digitali» delle sostanze killer, come la diossina, in modo da stabilirne la provenienza e dunque identificare i responsabili. Sospettato numero uno, resta l’Ilva , pur se nel caso del mar Piccolo non si possono scartare del tutto altre ipotesi.
L’esito delle analisi commissionate all’Arpa potrebbe essere uno degli ultimi tasselli all’inchiesta, avviata nel giugno del 2010 con la richiesta di incidente probatorio. «Dal punto di vista dei capi d’imputazione non cambierebbe nulla - ha spiegato ieri il procuratore capo Franco Sebastio - si rientrerebbe sempre nel reato di avvelenamento di sostanze alimentari, già contestato agli indagati. Dopo carni e formaggi infettati, l’inchiesta si estenderebbe anche alle cozze, con effetti pratici dal punto di vista risarcitorio». Sarebbero una ventina le tonnellate di cozze destinate alla distruzione, per un valore di circa 4 milioni di euro. Soldi che il sindaco Ezio Stefàno si sta impegnando a trovare, tramite la Regione, che ha recuperato 2,6 milioni di euro dal Fondo europeo della pesca. Gli allevamenti delle cozze saranno trasferiti in mar Grande per evitare ulteriori episodi di inquinamento dei mitili.

Il sindaco Stefàno: «Siamo in tempo per chiedere il risarcimento al siderurgico»
di FABIO VENERE
TARANTO - «Il consigliere comunale, Mario Laruccia, si sbaglia. Non è vero che nell’azione risarcitoria nei confronti dell’Ilva, il Comune di Taranto sia completamente fermo». Lo assicura il sindaco di Taranto, Ezio Stefàno, che contattato dalla Gazzetta replica alle affermazioni del consigliere ambientalista (di opposizione). Laruccia, a sua volta, aveva polemicamente ricordato che, in seguito ad una sua proposta, il Consiglio comunale aveva approvato una mozione in cui si impegnava la giunta ad avviare l’azione risarcitoria nei confronti del gruppo Riva per i danni ambientali causati al territorio di Taranto ed alla sua popolazione. Era il maggio del 2010. Da allora, nulla si è mosso secondo Laruccia. Stefàno non ci sta assolutamente a far credere che questi due anni siano trascorsi invano senza che il Comune sfidasse a suon di carte bollate il re dell’acciaio. E, quindi, ricorda che «già a settembre del 2010, ho assegnato all’avvocato Paolo Miraglia l’incarico di avviare quest’azione interrompendo così i termini prescrittivi».
Sul punto, Stefàno ostenta tranquillità: «Sì - ripete - siamo nei tempi». D’accordo, ma poi cosa è accaduto? «Per legge, così peraltro ci è stato consigliato - osserva Stefàno - siamo stati costretti ad avvalerci di uno studio di un commercialista per la quantificazione del presunto danno».
Nella prima seduta del Consiglio comunale, peraltro, il segretario dei Verdi nel suo ruolo di consigliere comunale di minoranza, Angelo Bonelli, aveva polemizzato sul fatto che «per valutare il danno subito sia stato chiamato in causa uno studio di un commercialista e non uno in grado di fare, invece, delle valutazioni epidemiologiche». Tesi respinta da Stefàno che, in quell’occasione, si richiamò alla legge che assegnerebbe ad un commercialista questo compito. E proprio ieri mattina, il sindaco di Taranto ha contattato l’avvocato Miraglia.
«So - dichiara - che il lavoro dello studio per la quantificazione del danno economico è praticamente concluso. Ora, però, dobbiamo consumare una serie di passaggi burocratici e poi saremo pronti. Ma, tranquilli, siamo nei tempi».
Nei mesi scorsi, il Comune aveva comunque fatto un altro passo in avanti nell’azione risarcitoria da avviare contro l’Ilva. Un passaggio tecnico, nulla più, ma dalla valenza non trascurabile. Con la determina 377 il Comune aveva affidato all’avvocato Ang ela Maria Buccoliero l’incarico di valutare come l’ente possa inserirsi nell’azione popolare promossa da Nicola Russo. Il responsabile di Taranto Futura, quello che ha proposto il referendum cittadino per chiudere il siderurgico, lo scorso 17 febbraio, avviò l’azione legale, dinanzi al tribunale di Taranto, chiedendo al giudice il risarcimento dei danni subìti dai comuni di Taranto, di Statte e dalla Provincia di Taranto. Il compito dell’avvocato Buccoliero adesso è quello di valutare se tale procedimento possa essere inglobato con quello già avviato dall’ente attraverso i quali il Comune pose le basi per una autonoma richiesta di risarcimento in sede civile come ricordava lo stesso Stefàno.
Intanto, nelle scorse settimane, l’associazione dei consumatori Codacons ha già richiesto un risarcimento danni di 500 milioni di euro. Nell’esposto presentato si parla della «a gravissima omissione delle istituzioni italiane, centrali e locali - scrive il Codacons nella denuncia - consistita nel non aver dato alcun allarme ufficiale ma soprattutto il mancato seguito da parte delle Autorità competenti, di u n’adeguata campagna di informazione rivolta ai cittadini coinvolti e le azioni e gli interventi previsti, nonché la violazione del principio di precauzione ripetutamente connessa al principio di informazione a favore della popolazione, appare indice di negligenza grave considerato che solo la conoscenza può consentire - scrive il Codacons - di adottare sistemi di prevenzione. Del resto, il testo unico ambientale prevede, per questo tipo di situazioni, proprio l’omessa bonifica».

Palermo. Nuovi impianti per Fiasconaro
A Castelbuono un altro stabilimento produttivo per i fratelli, maestri del panettone siciliano. Fatturato dell’azienda in crescita. Non si escludono nuove assunzioni
di SALVO RICCO
PALERMO. Un nuovo stabilimento produttivo a Castelbuono per i fratelli Fiasconaro, i maestri del panettone siciliano. L'area di oltre 5mila metri quadrati si trova in contrada San Giovanni, a pochi metri dal laboratorio di contrada Santa Lucia, che per tredici anni è stato il centro della sperimentazione dei prodotti dell'azienda dolciaria.
La nuova struttura occupa una superficie di 4mila metri quadrati, di cui 1.200 dedicati alla produzione. I locali ospiteranno le aree di stoccaggio, gli uffici amministrativi e del marketing, la logistica. L'inaugurazione del nuovo stabilimento si è svolta lo scorso lunedì alla presenza dell'arcivescovo Paolo Romeo, profondo conoscitore delle delizie dolciarie della famiglia Fiasconaro, che ha benedetto la struttura.
Castelbuono è la culla di un'azienda nata una cinquantina di anni fa nel piccolo laboratorio di via San Nicolò e cresciuta sotto la conduzione di «don Mario» (lunedì è stata presentata la sua biografia) - così lo conoscono tutti in paese - e dei tre figli Martino, Fausto e Nicola Fiasconaro. Fino a diventare uno dei principali motori per l'economia delle Madonie e a sfidare il Nord Est, roccaforte del panettone.
E proprio nel cuore della produzione del panettone tradizionale, a Milano, Nicola Fiasconaro e la figlia Agata, dopo aver spedito migliaia di panettoni destinati a centri sociali, ospedali, orfanotrofi, hanno partecipato al progetto «Panettone a Ferragosto», una manifestazione solidale, frutto di una collaborazione con l'amministrazione comunale lombarda.
Il nuovo edificio è già operativo, mentre la sede di contrada Santa Lucia (800 metri quadrati) si trasformerà in show room. L'investimento è visto come la vera novità di crescita. «Eravamo indecisi se fare l'inaugurazione - dice Nicola Fiasconaro -, perché questo è un momento difficile per tante famiglie, a causa della crisi economica. Alla fine, abbiamo deciso che era giusto tagliare il nastro attorniati dai nostri cento impiegati di Castelbuono, in una cerimonia molto toccante». Da un decennio, la ditta Fiasconaro non conosce flessione. Il fatturato supera i tre milioni di euro (2010) e cresce del 10-15% ogni anno; con una produzione di oltre 200mila chili di panettone ogni anno, l'investimento in tecnologia e ricerca scientifica fanno la differenza.
«La nostra è una ricerca maniacale del prodotto siciliano, dell'eccellenza agroalimentare da utilizzare per i nostri dolci - continua Nicola Fiasconaro -. Così forse diamo speranza alla nascita di una filiera locale: dalle uova fresche pastorizzate, agli agrumi e al processo per trasformarli in canditi. Ma per fa ciò serve anche una classe politica attenta al futuro del settore agroalimentare, così come accade all'estero».
Più produzione significa anche più affari, e quindi non sono escluse nuove assunzioni. «È un’ipotesi che non scartiamo - dice Fiasconaro -, soprattutto per l'amministrazione».
I famosi panettoni arrivano in Trentino, Lombardia e Veneto, per quanto riguarda il mercato interno; nel periodo agosto e settembre comincia la produzione per il mercato a stelle e strisce, Australia, Nuova Zelanda, Cina e Giappone. In autunno inizia la produzione per l'Europa e l'Italia: il 40% del prodotto viene venduto in Sicilia. «Ma ancora dobbiamo migliorare - afferma Nicola Fiasconaro -. Spingeremo di più sulla ricerca e sull'acquisizione di materie prime che solo la Sicilia può fornire». E c'è ancora un sogno nel cassetto: la creazione di una Accademia delle Arti culinarie siciliane. «Ne ho parlato con il rettore dell'Università di Palermo - conclude Fiasconaro -. Vorrei che nascesse nel territorio madonita, una scuola per tanti giovani appassionati e per coloro che dall'estero potrebbero apprendere la nostra tradizione culinaria».



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