venerdì 21 settembre 2012

(1) XXI.IX.MMXII/ Contadini senza terra = braccianti proletari.


Troppi «iper» senza prodotti foggiani in vendita negli scaffali
LA NUOVA SARDEGNA - Economia: Largo ai giovani in agricoltura per uscire dalla crisi
LA NUOVA SARDEGNA - Economia: Putzu: «Situazione sociale drammatica»
La rivoluzione dolce dei giovani pugliesi. Nuove idee in campo senza «guardiani»
Fiat, a Melfi la Sata si ferma
Crisi, Istat: calano le ore lavorate. Aumenta la cassa integrazione

Troppi «iper» senza prodotti foggiani in vendita negli scaffali
di MASSIMO LEVANTACI
Negli ultimi sei mesi hanno aperto in città cinque centri commerciali ed altri due si apprestano a farlo nel giro qualche settimana. U n’overdose certamente non sgradita ai consumatori per gli attesi ribassi dei prezzi e che potrebbe schiudere nuove prospettive di mercato a beneficio dei marchi locali in perenne affanno con la distribuzione commerciale. E invece tutto questo non è ancora accaduto, denuncia il consorzio Start Capitanata ovvero la prima associazione di imprese del territorio (sono cinquantuno) che da un anno cerca di tenerle unite contro tutti i luoghi comuni sull’incapacità di fare sistema che spesso ci contraddistingue. Purtroppo però bisogna dire che il caso denunciato da Start conferma la regola: nonostante la novità del consorzio, tutto resta come prima.
Volete qualche esempio? I primi produttori associati hanno depositato da un anno «Prodotti fidati», primo marchio di filiera sulle produzioni daune in accordo con l’università e le associazioni dei consumatori, e la Provincia che ti fa? Lavora alla presentazione di un altro marchio che nelle intenzioni - crediamo - vuole abbracciare tutte le tipologie di prodotto, ma ignorando ciò che un gruppo d’i m p re s e ha fatto prima. E poi: che c’entra la Provincia, non ci dovrebbe pensare la Camera di commercio? La confusione, come si vede, è totale.
Ma intanto nel mirino di Start Capitanata ci sono proprio quegli imprenditori locali, proprietari di supermercati, che continuano a snobbare le produzioni «made in Daunia», quasi una guerra fratricida. «Eppure - dicono a Start Capitanata - i nostri prezzi sono concorrenziali» e per dimostrarlo fanno anche qualche esempio di tre prodotti campione: una bottiglia di salsa, 700 grammi, da azienda agricola costa al pubblico 1 euro; il vino biologico Nero di Troia a 3.50, il prosciutto crudo stagionato non supera i 16 euro al chilo. «Perchè questa diffidenza nei nostri confronti?». La domanda però contiene già la risposta. Nel senso che gli imprenditori proprietari dei marchi sanno di dover recuperare ancora tanto del terreno perduto sul piano della credibilità commerciale, e non lo nascondono: «Siamo cambiati rispetto a qualche anno fa - si difendono - quando c’era ancora molta approssimazione e facevamo fatica a farci promozione da soli, pur sapendo di poter vantare già all’e poca un buon rapporto qualità/prezzo».
Tuttavia a far allarmare i produttori locali, l’offensiva dei nuovi centri commerciali per la vendita di alimentari che introduce una concorrenza forse mai vista prima d’ora in città e obbliga anche i produttori locali (ma questo non lo dicono) a schiacciare ulteriormente i prezzi. «Rischiamo in questo modo la morte dei produttori foggiani e un progressivo allontanamento della ricchezza pro-capite, tenuto conto che almeno il 60/70% di quello che il consumatore foggiano spende per mangiare, finisce lontano dalla Capitanata».
Le istituzioni dovrebbero intervenire - dice Start Capitanata - per fermare questa pericolosa deriva innescata da una concorrenza che prima non c’era. Ma come? «Invitando imprese e organizzazioni di categoria a fare gioco di squadra per un obiettivo comune, avviare percorsi comuni evitando doppioni improduttivi che rischiano di generare solo confusione (in riferimento al doppio marchio: ndr)». Saranno ascoltati? I dubbi rimangono.

LA NUOVA SARDEGNA - Economia: Largo ai giovani in agricoltura per uscire dalla crisi
21.09.2012
CAGLIARI Più giovani in agricoltura. Nei campi, il cambio generazionale è indispensabile per uscire dalla crisi e restituire un futuro a «gran parte della Sardegna che rischia lo spopolamento». Intorno a questa strategia, la Coldiretti Sardegna ha celebrato la consegna degli «Oscar 2012», i premi per le eccellenze nelle idee e nelle produzioni.. Sarà stata l’abilità della giuria nelle scelte, sta di fatto che ieri, nel salone della Camera di commercio, a ritirare la targa sono stati soprattutto giovani imprenditori. Il che vuol dire: gli agricoltori non sono solo un popolo di vecchi e questo va bene. Ma non basta, il passaggio di testimone , ha detto il direttore di Coldiretti, Luca Saba, è ancora troppo lento e a rallentarlo è anche «una burocrazia capace di ricacciare indietro chiunque». È vero, lo scontro è titanico, con rinunce obbligate che poi sfociano nel peggiore dei mali per le campagne: l’abbandono. «È un fenomeno triste e pericoloso – ha detto Pietro Luciano, docente del dipartimento di Agraria dell’ateneo sassarese – che l’Europa deve aiutarci a contrastare». Il ritorno all’agricoltura, a quell’agricoltura che sa fare impresa, va dunque incentivato da Bruxelles, con «politiche comunitarie focalizzate negli interventi soprattutto sulle nuove aziende gestite dai giovani». È una scommessa su cui anche il sindacato punta, ha detto Giovanni Matta, segretario regionale della Cisl: «Con amarezza oggi dobbiamo dire che la Sardegna è ritornata a essere quella prima del Piano di Rinascita, cioè in crisi d’identità, stavolta anche economica. Le industrie – ha proseguito – non hanno attecchito e oggi paghiamo le conseguenze sociali di quell’innesto che è stato frettoloso. A questo punto, noi sardi abbiamo due doveri: difendere l’esistente, inteso come posti di lavoro, ma anche pensare in fretta ad altri modelli di sviluppo». Fra questi, c’è proprio il ritorno all’agricoltura, che detto così potrebbe sembrare persino un paradosso: cosa c’è di più antico della semina dei campi? Nulla. Dunque, è sulla tradizione che la Sardegna deve insistere per «ritagliarsi un suo spazio economico in questo mondo attanagliato dalla crisi». Bisogna puntare su un nuovo innesto, ha insistito il segretario della Cisl, nel ricordare che «altrove è ripresa l’esaltante corsa alla terra, mentre da noi continua la fuga dai campi». Serve una sterzata, ma deve cambiare anche la mentalità di «noi sardi», ha sottolineato Francesco Nuvoli, ordinario di estimo rurale a Sassari: «Da noi manca la virtù dell’emulazione, non riusciamo a far sistema, a condividere progetti e benefici. Col risultato che siamo sempre più schiacciati dalle importazioni: il 60 per cento di quello che consumiamo a tavola arriva ancora da Oltremare. Ed è un’assurdità per la Sardegna, che non sa essere o non vuole essere quell’isola felice e di eccellenze invidiataci da molti». Giusto, però per credere subito nell’agricoltura del domani bisogna saper fare impresa, ma «è difficile – ha detto Giuseppe Deiana, giornalista economico delll’Unione Sarda – in un’isola da sempre incapace di risolvere il suo nodo più antico, i trasporti».

LA NUOVA SARDEGNA - Economia: Putzu: «Situazione sociale drammatica»
21.09.2012
 CAGLIARI Crisi industriale, mancato sviluppo e adesso anche «una situazione sociale drammatica». Con questa fotografia dura ma reale il presidente di Confindustria Sardegna, Massimo Putzu, si è presentato all’ultima riunione della giunta delle imprese, a Roma. Prima dell’estate, a Cagliari, durante la missione lampo del presidente nazionale Giorgio Squinzi, Putzu aveva denunciato «la necessità di fermare subito il declino economico dell’isola». Ma nel frattempo nessuno ha tirato il freno a mano. Anzi, il baratro si è trasformato in precipizio e dopo l’estate bollente delle vertenze, leggi Alcoa, Carbosulcis e Vinyls, il presidente regionale è ritornato all’attacco. «Ormai nell’isola– sono state le sue parole all’assemblea delle associazioni – si sono saldate in maniera drammatica i problemi sociali, con quelli legati allo storico ritardo strutturale e a riforme regionali stentate o assenti. Il tutto è stato poi accentuato dalla necessari riforma a livello nazionale per ridurre la spesa, ma anche dalla lentezza con cui camminano i gli interventi per lo sviluppo». Il risultato di questo mix esplosivo è che «di giorno in giorno – ha detto ancora Putzu – aumenta la nostra preoccupazione. Purtroppo il sistema economico della Sardegna è sempre più in ginocchio». Nella sua relazione, il presidente ha ribadito anche il peso nazionale che deve avere la vertenza Sardegna sui tavoli del governo: «Al ministro per la coesione sociale, Fabrizio Barca, abbiamo ad esempio chiesto che le misure straordinarie a favore delle Regioni in convergenza (sono Campania, Calabria, Sicilia e Puglia, che per l’Unione Europea vanno super-sostenute visto il loro pessimo prodotto interno lordo) devono essere estese anche alla Sardegna». Secondo Putzu, con la riprogrammazione delle risorse comunitarie 2007-2013 e una maggior spinta sia a livello nazionale che europee delle politiche di coesione 2014-2020, può essere possibile «colmare il gap regionale, favorire il sostegno allo sviluppo delle infrastrutture, dei trasporti e della logistica, ma anche ridare respiro alla politica energetica e industriale». Nella parte finale della relazione, il presidente Putzu ha poi sposato la campagna della Confindustria nazionale e delle associazioni a favore della semplificazione dei rapporti fra le imprese e la pubblica amministrazione: «Gli attuali oneri – ha detto – sono una zavorra per le imprese già appesantite dalla crisi economica e finanziaria». Proprio in questi giorni la Confindustria del Sud Sardegna e l’Anci hanno firmato un patto per ridurre gli effetti della burocrazia sul sistema economico. (ua)

La rivoluzione dolce dei giovani pugliesi. Nuove idee in campo senza «guardiani»
A Bari arriva la «PechaKucha Night» | I progettiNella regione è nato un nuovo ecosistema culturale
BARI - Fermento creativo barese di settembre, fase due: nella serata del 19 si è tenuta presso un affollato Fortino Sant’Antonio la prima edizione cittadina e regionale della «PechaKucha Night», organizzata dall’associazione Stabilimenti e dedicata interamente al Mediterraneo («To Be Connected»). Bastava osservare il pubblico, composto da relatori e spettatori, mentre veniva proiettato il video di saluto da Tokyo dei due architetti dello studio Klein Dytham architecture, inventori del format (declinato fino ad oggi in ben 562 città, 63 volte solo in questo mese): sui visi c’era dipinta chiaramente l’emozione di essere proiettati in una rete globale, un intero universo fatto anche di codici linguistici, di modi di dire e di fare, di approcci e di atteggiamenti. La soddisfazione di essere «connessi» a qualcosa di importante, e di avere l’occasione per mostrare la propria stoffa. Certamente, la strada futura sarà irta di ostacoli e di difficoltà, e non tutti ce la faranno: ma questi assaggi improvvisi e densi di cosmopolitismo recapitati a casa, in diretta, sono scosse molto utili.

E danno la sensazione di fornire un’opportunità effettiva per presentarsi a chi non può, per il momento, accedere a importanti conferenze, gallerie e riviste esclusive: l’obiettivo è dunque quello, se non di rompere, di superare almeno per una sera il rigido e ipergerarchico sistema dei gatekeepers, dei «guardiani dei cancelli», di coloro cioè che all’interno di ogni territorio stabiliscono chi entra e chi rimane fuori. E di quei «circoli chiusi», che soprattutto in Italia frenano l’emersione delle novità e dei talenti - rivelandosi forse il maggior ostacolo interno per una società impegnata a superare la crisi e a ricostruire se stessa. Come ha affermato durante la presentazione dell’evento Annibale D’Elia, responsabile di Principi Attivi, la linea d’azione di «Bollenti Spiriti» con cui la Regione Puglia sostiene l’innovazione giovanile: «A noi interessa quello stadio molto particolare, quasi di sospensione, in cui l’idea si trova tra la sua concezione e la prima traduzione nella realtà: quella condizione intermedia tra 0 e 1, ricchissima di potenzialità e in cui di solito accadono le cose più interessanti e inattese». L’aspetto più importante e positivo consiste nel fatto che questa realtà di giovani creativi aspira ad aprirsi al mondo esterno esponendo la riscoperta della propria identità culturale, della propria tradizione.

La rivoluzione di coloro che a più riprese sono stati definiti con disprezzo «bamboccioni» è dolce, sicura, immaginativa. Il punto fondamentale è la passione coltivata a lungo e con cura per lo stare insieme, per ogni forma di collaborazione paritaria («fare le cose con gli altri è una faccenda estremamente seria», dice uno dei protagonisti), e per la curiosità. Nel complesso, la sensazione è che a Bari e in Puglia - dopo un significativo processo di incubazione durato anni - si stia finalmente mettendo a punto quel contesto adatto alla nascita e alla crescita delle idee innovative: un vero ecosistema culturale e creativo, con tutte le ingenuità e le sbavature del caso (ma questo, come tutti sanno, è parte integrante del gioco).
Christian Caliandro

Fiat, a Melfi la Sata si ferma
120 giorni di stop: ora Melfi rischia grosso. La Fiom: «Domani l’ennesimo tentativo di scippo». La Uil: «L’unica via d’uscita è il fitto degli stabilimenti»
21/09/2012  MELFI - Non c’è bisogno di spingersi troppo in là con la fantasia. Lo stabilimento Fiat di Melfi, in assenza di interventi significativi, rischia grosso. La sensazione è che ci sia veramente poco tempo da perdere. Mentre cresce l’attesa per l’incontro di domani tra l’amministratore delegato Fiat, il premier Monti e il ministri Fornero e Passera, dallo stabilimento lucano arriva l’ennesimo segnale di estrema debolezza: ieri il management locale ha annunciato alla rsu della Sata un nuovo lungo periodo di cassa integrazione. Melfi non è sola, stessa sorte è toccata allo stabilimento di Cassino, e alla Sevel di Atessa. La crisi di vendite sui mercati europei della casa torinese non risparmia nessuno. La fabbrica lucana rimarrà chiusa dal 17 ottobre al 6 novembre e ancora il 9 novembre. Tre settimane di sospensione delle attività per adeguare i flussi produttivi al calo della domanda della Punto Evo attualmente unico modello made in Basilicata. Dall’inizio del 2012 sono già quasi 120 i giorni (quattro mesi) di ricorso alla cassa integrazione ordinaria da parte dell’azienda. Con tutte le conseguenze che il continuo ricorso agli ammortizzatori sociali ha sugli stipendi dei dipendenti. L’ultimo annuncio è la conferma di un anno in salita anche per lo stabilimento lucano che fino all’anno scorso aveva avuto una capacità di reazione alla crisi delle vendite superiore agli altri siti produttivi. Ma il peggio deve ancora arrivare. L’annuncio di Marchionne sulla sospensione degli investimenti previsti con il Piano Fabbrica Italia non lascia intravedere molte possibilità di sopravvivenza di una fabbrica già in grosse difficoltà. L’indotto, diretto e indiretto, ha già perso pezzi importanti e rischia il collasso. L’impatto sociale che ne deriverebbe in Basilicata, dove il polo dell’automobile è la più importante realtà produttiva, sarebbe pesantissimo. Difficile, se non impossibile, ipotizzare uno strenuo tentativo di resistenza in attesa di quella ripresa produttiva che l’Ad Marchionne attende prima di lanciare nuovi modelli. Per il segretario della Uil lucana, Carmine Vaccaro, l’unica strada percorribile è quella del fitto degli stabilimenti. «In questi giorni si sta parlando di interesse da parte di Volkswagen - ha commentato il segretario con una lunga esperienza professionale diretta all’interno della Sata - A me non interessa che siano tedeschi o giapponesi. Quel che veramente importa è muoversi subito, Marchionne deve individuare grandi player del comparto disponibili al fitto. A Melfi si può pensare a cedere il 50 per cento dello stabilimento per consentire ai lavoratori il mantenimento dei livelli salariali». Vaccaro ritiene sterile la discussione intorno ai contributi pubblici di cui ha goduto il Lingotto. «A mio avviso lo Stato in questo momento deve stare al fianco delle aziende strozzate dalla crisi, e quindi anche al fianco di Fiat. Mi auguro che dall’incontro di sabato possano emergere buone notizie». Nel frattempo la sollecitazione al governatore De Filippo è a promuovere un coordinamento tra le regioni interessate dalla vertenza per definire un piano comune di investimenti. Chi teme, invece, che l’incontro di domani sia solo un modo per Fiat per “strappare” l’ennesimo aiuto al Governo senza restituire niente in cambio al Paese, è la Fiom di Basilicata. «Fabbrica Italia - commenta il segretario Emanuele De Nicola - si è rivelato quello che avevamo previsto: solo un bluff per peggiorare le condizioni di lavoro all’interno delle fabbriche, e per cancellare la democrazia. Alla luce di quello che temevamo e di cui abbiamo avuto conferma in questi giorni bisognerebbe annullare il contratto separato firmato da Cisl e Uil e riprendere le regole che vigevano prima in fabbrica». L’unica verità - per De Nicola - è che da tempo il Lingotto ha deciso di delocalizzare le proprie attività all’estero. E le speranze che l’incontro di sabato possano arrivare buone notizie sono veramente basse. Per il segretario della Fiom, l’unica strada possibile è quella di puntare sull’auto elettrica in un progetto comune che veda coinvolte le regioni interessate dagli stabilimenti Fiat. Anche il segretario regionale dell’Ugl, Giuseppe Giordano, teme una chiusura dello stabilimento e parla di «momento storico in cui potrebbe essere messa in discussione e finire l'era dell'automobile nel nostro territorio». Mentre, per il segretario nazionale della Fismic, Roberto Di Maulo, la nuova cassa integrazione non è una strumentalizzazione in vista dell’incontro a Palazzo Chigi. Per Di Maulo occorrono provvedimenti a livello europeo per diminuire il peso eccessivo della tassazione che grava sul settore automotive.
 A ribadire l’urgenza di interventi a sostegno del lancio di nuovi prodotti, soprattutto per Melfi e Cassino, anche il segretario nazionale Fim Cisl, l’ulteriore richiesta di cassa negli stabilimenti del gruppo Fiat riflette la nota situazione di calo di mercato ed evidenzia l’urgenza di interventi a sostegno del lancio di nuovi prodotti.

Crisi, Istat: calano le ore lavorate. Aumenta la cassa integrazione
ultimo aggiornamento: 21 settembre, ore 12:48
Roma, 21 set. - (Adnkronos/Ign) - In Italia si sta sempre meno al lavoro. secondo quanto rileva l'Istat, nel secondo trimestre 2012 le ore lavorate per dipendente diminuiscono del 2,6% rispetto allo stesso trimestre del 2011. "Nell'industria le ore mostrano una flessione tendenziale del 3,2%, con riduzioni del 3,4% nell'industria e dell'1,9% nel settore delle costruzioni''.
Nel comparto dei servizi le ore diminuiscono dell'1,8%. La riduzione piu' marcata si registra nel commercio, nel trasporto e magazzinaggio e nel settore del noleggio, agenzie di viaggio e servizi di supporto alle imprese (-2,5% in tutti e tre i settori). "L'unico comparto in cui si osserva un aumento delle ore - sottolinea l'Istat - e' quello delle attivita' professionali, scientifiche e tecniche, con un +1,4%''.
Quanto alla cassa integrazione, le aziende dell'industria hanno utilizzato 67,8 ore ogni mille ore lavorate, con un incremento di 21,5 ore ogni mille rispetto allo stesso trimestre del 2011. L'Istat rileva infine che "l'incidenza delle ore di straordinario e' pari al 3,6% delle ore lavorate, in diminuzione di 0,1 punti percentuali rispetto al secondo trimestre 2011''.


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