Troppi «iper» senza prodotti foggiani in vendita negli
scaffali
LA NUOVA SARDEGNA - Economia: Largo ai giovani in
agricoltura per uscire dalla crisi
LA NUOVA SARDEGNA - Economia: Putzu: «Situazione sociale
drammatica»
La rivoluzione dolce dei giovani pugliesi. Nuove idee in
campo senza «guardiani»
Fiat, a Melfi la Sata si ferma
Crisi, Istat: calano le ore lavorate. Aumenta la cassa
integrazione
Troppi «iper» senza prodotti foggiani in vendita negli
scaffali
di MASSIMO LEVANTACI
Negli ultimi sei mesi hanno aperto
in città cinque centri commerciali ed altri due si apprestano a farlo nel giro
qualche settimana. U n’overdose certamente non sgradita ai consumatori per gli
attesi ribassi dei prezzi e che potrebbe schiudere nuove prospettive di mercato
a beneficio dei marchi locali in perenne affanno con la distribuzione
commerciale. E invece tutto questo non è ancora accaduto, denuncia il consorzio
Start Capitanata ovvero la prima associazione di imprese del territorio (sono
cinquantuno) che da un anno cerca di tenerle unite contro tutti i luoghi comuni
sull’incapacità di fare sistema che spesso ci contraddistingue. Purtroppo però
bisogna dire che il caso denunciato da Start conferma la regola: nonostante la
novità del consorzio, tutto resta come prima.
Volete qualche esempio? I primi
produttori associati hanno depositato da un anno «Prodotti fidati», primo
marchio di filiera sulle produzioni daune in accordo con l’università e le
associazioni dei consumatori, e la Provincia che ti fa? Lavora alla
presentazione di un altro marchio che nelle intenzioni - crediamo - vuole
abbracciare tutte le tipologie di prodotto, ma ignorando ciò che un gruppo d’i
m p re s e ha fatto prima. E poi: che c’entra la Provincia, non ci dovrebbe
pensare la Camera di commercio? La confusione, come si vede, è totale.
Ma intanto nel mirino di Start
Capitanata ci sono proprio quegli imprenditori locali, proprietari di
supermercati, che continuano a snobbare le produzioni «made in Daunia», quasi
una guerra fratricida. «Eppure - dicono a Start Capitanata - i nostri prezzi
sono concorrenziali» e per dimostrarlo fanno anche qualche esempio di tre
prodotti campione: una bottiglia di salsa, 700 grammi, da azienda agricola
costa al pubblico 1 euro; il vino biologico Nero di Troia a 3.50, il prosciutto
crudo stagionato non supera i 16 euro al chilo. «Perchè questa diffidenza nei
nostri confronti?». La domanda però contiene già la risposta. Nel senso che gli
imprenditori proprietari dei marchi sanno di dover recuperare ancora tanto del
terreno perduto sul piano della credibilità commerciale, e non lo nascondono:
«Siamo cambiati rispetto a qualche anno fa - si difendono - quando c’era ancora
molta approssimazione e facevamo fatica a farci promozione da soli, pur sapendo
di poter vantare già all’e poca un buon rapporto qualità/prezzo».
Tuttavia a far allarmare i
produttori locali, l’offensiva dei nuovi centri commerciali per la vendita di
alimentari che introduce una concorrenza forse mai vista prima d’ora in città e
obbliga anche i produttori locali (ma questo non lo dicono) a schiacciare
ulteriormente i prezzi. «Rischiamo in questo modo la morte dei produttori
foggiani e un progressivo allontanamento della ricchezza pro-capite, tenuto
conto che almeno il 60/70% di quello che il consumatore foggiano spende per
mangiare, finisce lontano dalla Capitanata».
Le istituzioni dovrebbero
intervenire - dice Start Capitanata - per fermare questa pericolosa deriva
innescata da una concorrenza che prima non c’era. Ma come? «Invitando imprese e
organizzazioni di categoria a fare gioco di squadra per un obiettivo comune,
avviare percorsi comuni evitando doppioni improduttivi che rischiano di
generare solo confusione (in riferimento al doppio marchio: ndr)». Saranno
ascoltati? I dubbi rimangono.
LA NUOVA SARDEGNA - Economia: Largo ai giovani in
agricoltura per uscire dalla crisi
21.09.2012
CAGLIARI Più giovani in
agricoltura. Nei campi, il cambio generazionale è indispensabile per uscire
dalla crisi e restituire un futuro a «gran parte della Sardegna che rischia lo
spopolamento». Intorno a questa strategia, la Coldiretti Sardegna ha celebrato
la consegna degli «Oscar 2012», i premi per le eccellenze nelle idee e nelle
produzioni.. Sarà stata l’abilità della giuria nelle scelte, sta di fatto che
ieri, nel salone della Camera di commercio, a ritirare la targa sono stati
soprattutto giovani imprenditori. Il che vuol dire: gli agricoltori non sono
solo un popolo di vecchi e questo va bene. Ma non basta, il passaggio di
testimone , ha detto il direttore di Coldiretti, Luca Saba, è ancora troppo
lento e a rallentarlo è anche «una burocrazia capace di ricacciare indietro
chiunque». È vero, lo scontro è titanico, con rinunce obbligate che poi
sfociano nel peggiore dei mali per le campagne: l’abbandono. «È un fenomeno
triste e pericoloso – ha detto Pietro Luciano, docente del dipartimento di
Agraria dell’ateneo sassarese – che l’Europa deve aiutarci a contrastare». Il
ritorno all’agricoltura, a quell’agricoltura che sa fare impresa, va dunque
incentivato da Bruxelles, con «politiche comunitarie focalizzate negli
interventi soprattutto sulle nuove aziende gestite dai giovani». È una
scommessa su cui anche il sindacato punta, ha detto Giovanni Matta, segretario
regionale della Cisl: «Con amarezza oggi dobbiamo dire che la Sardegna è
ritornata a essere quella prima del Piano di Rinascita, cioè in crisi d’identità,
stavolta anche economica. Le industrie – ha proseguito – non hanno attecchito e
oggi paghiamo le conseguenze sociali di quell’innesto che è stato frettoloso. A
questo punto, noi sardi abbiamo due doveri: difendere l’esistente, inteso come
posti di lavoro, ma anche pensare in fretta ad altri modelli di sviluppo». Fra
questi, c’è proprio il ritorno all’agricoltura, che detto così potrebbe
sembrare persino un paradosso: cosa c’è di più antico della semina dei campi?
Nulla. Dunque, è sulla tradizione che la Sardegna deve insistere per
«ritagliarsi un suo spazio economico in questo mondo attanagliato dalla crisi».
Bisogna puntare su un nuovo innesto, ha insistito il segretario della Cisl, nel
ricordare che «altrove è ripresa l’esaltante corsa alla terra, mentre da noi
continua la fuga dai campi». Serve una sterzata, ma deve cambiare anche la
mentalità di «noi sardi», ha sottolineato Francesco Nuvoli, ordinario di estimo
rurale a Sassari: «Da noi manca la virtù dell’emulazione, non riusciamo a far
sistema, a condividere progetti e benefici. Col risultato che siamo sempre più
schiacciati dalle importazioni: il 60 per cento di quello che consumiamo a
tavola arriva ancora da Oltremare. Ed è un’assurdità per la Sardegna, che non
sa essere o non vuole essere quell’isola felice e di eccellenze invidiataci da
molti». Giusto, però per credere subito nell’agricoltura del domani bisogna
saper fare impresa, ma «è difficile – ha detto Giuseppe Deiana, giornalista
economico delll’Unione Sarda – in un’isola da sempre incapace di risolvere il
suo nodo più antico, i trasporti».
LA NUOVA SARDEGNA - Economia: Putzu: «Situazione sociale
drammatica»
21.09.2012
CAGLIARI Crisi industriale, mancato sviluppo e
adesso anche «una situazione sociale drammatica». Con questa fotografia dura ma
reale il presidente di Confindustria Sardegna, Massimo Putzu, si è presentato
all’ultima riunione della giunta delle imprese, a Roma. Prima dell’estate, a
Cagliari, durante la missione lampo del presidente nazionale Giorgio Squinzi,
Putzu aveva denunciato «la necessità di fermare subito il declino economico
dell’isola». Ma nel frattempo nessuno ha tirato il freno a mano. Anzi, il
baratro si è trasformato in precipizio e dopo l’estate bollente delle vertenze,
leggi Alcoa, Carbosulcis e Vinyls, il presidente regionale è ritornato
all’attacco. «Ormai nell’isola– sono state le sue parole all’assemblea delle
associazioni – si sono saldate in maniera drammatica i problemi sociali, con
quelli legati allo storico ritardo strutturale e a riforme regionali stentate o
assenti. Il tutto è stato poi accentuato dalla necessari riforma a livello
nazionale per ridurre la spesa, ma anche dalla lentezza con cui camminano i gli
interventi per lo sviluppo». Il risultato di questo mix esplosivo è che «di
giorno in giorno – ha detto ancora Putzu – aumenta la nostra preoccupazione.
Purtroppo il sistema economico della Sardegna è sempre più in ginocchio». Nella
sua relazione, il presidente ha ribadito anche il peso nazionale che deve avere
la vertenza Sardegna sui tavoli del governo: «Al ministro per la coesione
sociale, Fabrizio Barca, abbiamo ad esempio chiesto che le misure straordinarie
a favore delle Regioni in convergenza (sono Campania, Calabria, Sicilia e
Puglia, che per l’Unione Europea vanno super-sostenute visto il loro pessimo
prodotto interno lordo) devono essere estese anche alla Sardegna». Secondo
Putzu, con la riprogrammazione delle risorse comunitarie 2007-2013 e una
maggior spinta sia a livello nazionale che europee delle politiche di coesione
2014-2020, può essere possibile «colmare il gap regionale, favorire il sostegno
allo sviluppo delle infrastrutture, dei trasporti e della logistica, ma anche
ridare respiro alla politica energetica e industriale». Nella parte finale
della relazione, il presidente Putzu ha poi sposato la campagna della
Confindustria nazionale e delle associazioni a favore della semplificazione dei
rapporti fra le imprese e la pubblica amministrazione: «Gli attuali oneri – ha
detto – sono una zavorra per le imprese già appesantite dalla crisi economica e
finanziaria». Proprio in questi giorni la Confindustria del Sud Sardegna e
l’Anci hanno firmato un patto per ridurre gli effetti della burocrazia sul
sistema economico. (ua)
La rivoluzione dolce dei giovani pugliesi. Nuove idee in
campo senza «guardiani»
A Bari arriva la «PechaKucha
Night» | I progettiNella regione è nato un nuovo ecosistema culturale
BARI - Fermento creativo barese di
settembre, fase due: nella serata del 19 si è tenuta presso un affollato
Fortino Sant’Antonio la prima edizione cittadina e regionale della «PechaKucha
Night», organizzata dall’associazione Stabilimenti e dedicata interamente al
Mediterraneo («To Be Connected»). Bastava osservare il pubblico, composto da
relatori e spettatori, mentre veniva proiettato il video di saluto da Tokyo dei
due architetti dello studio Klein Dytham architecture, inventori del format
(declinato fino ad oggi in ben 562 città, 63 volte solo in questo mese): sui
visi c’era dipinta chiaramente l’emozione di essere proiettati in una rete
globale, un intero universo fatto anche di codici linguistici, di modi di dire
e di fare, di approcci e di atteggiamenti. La soddisfazione di essere
«connessi» a qualcosa di importante, e di avere l’occasione per mostrare la
propria stoffa. Certamente, la strada futura sarà irta di ostacoli e di
difficoltà, e non tutti ce la faranno: ma questi assaggi improvvisi e densi di
cosmopolitismo recapitati a casa, in diretta, sono scosse molto utili.
E danno la sensazione di fornire
un’opportunità effettiva per presentarsi a chi non può, per il momento,
accedere a importanti conferenze, gallerie e riviste esclusive: l’obiettivo è
dunque quello, se non di rompere, di superare almeno per una sera il rigido e
ipergerarchico sistema dei gatekeepers, dei «guardiani dei cancelli», di coloro
cioè che all’interno di ogni territorio stabiliscono chi entra e chi rimane
fuori. E di quei «circoli chiusi», che soprattutto in Italia frenano
l’emersione delle novità e dei talenti - rivelandosi forse il maggior ostacolo
interno per una società impegnata a superare la crisi e a ricostruire se
stessa. Come ha affermato durante la presentazione dell’evento Annibale D’Elia,
responsabile di Principi Attivi, la linea d’azione di «Bollenti Spiriti» con
cui la Regione Puglia sostiene l’innovazione giovanile: «A noi interessa quello
stadio molto particolare, quasi di sospensione, in cui l’idea si trova tra la
sua concezione e la prima traduzione nella realtà: quella condizione intermedia
tra 0 e 1, ricchissima di potenzialità e in cui di solito accadono le cose più
interessanti e inattese». L’aspetto più importante e positivo consiste nel
fatto che questa realtà di giovani creativi aspira ad aprirsi al mondo esterno
esponendo la riscoperta della propria identità culturale, della propria
tradizione.
La rivoluzione di coloro che a più
riprese sono stati definiti con disprezzo «bamboccioni» è dolce, sicura,
immaginativa. Il punto fondamentale è la passione coltivata a lungo e con cura
per lo stare insieme, per ogni forma di collaborazione paritaria («fare le cose
con gli altri è una faccenda estremamente seria», dice uno dei protagonisti), e
per la curiosità. Nel complesso, la sensazione è che a Bari e in Puglia - dopo
un significativo processo di incubazione durato anni - si stia finalmente
mettendo a punto quel contesto adatto alla nascita e alla crescita delle idee
innovative: un vero ecosistema culturale e creativo, con tutte le ingenuità e
le sbavature del caso (ma questo, come tutti sanno, è parte integrante del
gioco).
Christian Caliandro
Fiat, a Melfi la Sata si ferma
120 giorni di stop: ora Melfi
rischia grosso. La Fiom: «Domani l’ennesimo tentativo di scippo». La Uil:
«L’unica via d’uscita è il fitto degli stabilimenti»
21/09/2012 MELFI - Non c’è bisogno di spingersi troppo
in là con la fantasia. Lo stabilimento Fiat di Melfi, in assenza di interventi
significativi, rischia grosso. La sensazione è che ci sia veramente poco tempo
da perdere. Mentre cresce l’attesa per l’incontro di domani tra
l’amministratore delegato Fiat, il premier Monti e il ministri Fornero e
Passera, dallo stabilimento lucano arriva l’ennesimo segnale di estrema
debolezza: ieri il management locale ha annunciato alla rsu della Sata un nuovo
lungo periodo di cassa integrazione. Melfi non è sola, stessa sorte è toccata
allo stabilimento di Cassino, e alla Sevel di Atessa. La crisi di vendite sui mercati
europei della casa torinese non risparmia nessuno. La fabbrica lucana rimarrà
chiusa dal 17 ottobre al 6 novembre e ancora il 9 novembre. Tre settimane di
sospensione delle attività per adeguare i flussi produttivi al calo della
domanda della Punto Evo attualmente unico modello made in Basilicata.
Dall’inizio del 2012 sono già quasi 120 i giorni (quattro mesi) di ricorso alla
cassa integrazione ordinaria da parte dell’azienda. Con tutte le conseguenze
che il continuo ricorso agli ammortizzatori sociali ha sugli stipendi dei
dipendenti. L’ultimo annuncio è la conferma di un anno in salita anche per lo
stabilimento lucano che fino all’anno scorso aveva avuto una capacità di
reazione alla crisi delle vendite superiore agli altri siti produttivi. Ma il peggio
deve ancora arrivare. L’annuncio di Marchionne sulla sospensione degli
investimenti previsti con il Piano Fabbrica Italia non lascia intravedere molte
possibilità di sopravvivenza di una fabbrica già in grosse difficoltà.
L’indotto, diretto e indiretto, ha già perso pezzi importanti e rischia il
collasso. L’impatto sociale che ne deriverebbe in Basilicata, dove il polo
dell’automobile è la più importante realtà produttiva, sarebbe pesantissimo.
Difficile, se non impossibile, ipotizzare uno strenuo tentativo di resistenza
in attesa di quella ripresa produttiva che l’Ad Marchionne attende prima di
lanciare nuovi modelli. Per il segretario della Uil lucana, Carmine Vaccaro,
l’unica strada percorribile è quella del fitto degli stabilimenti. «In questi
giorni si sta parlando di interesse da parte di Volkswagen - ha commentato il
segretario con una lunga esperienza professionale diretta all’interno della
Sata - A me non interessa che siano tedeschi o giapponesi. Quel che veramente
importa è muoversi subito, Marchionne deve individuare grandi player del
comparto disponibili al fitto. A Melfi si può pensare a cedere il 50 per cento
dello stabilimento per consentire ai lavoratori il mantenimento dei livelli
salariali». Vaccaro ritiene sterile la discussione intorno ai contributi
pubblici di cui ha goduto il Lingotto. «A mio avviso lo Stato in questo momento
deve stare al fianco delle aziende strozzate dalla crisi, e quindi anche al
fianco di Fiat. Mi auguro che dall’incontro di sabato possano emergere buone
notizie». Nel frattempo la sollecitazione al governatore De Filippo è a
promuovere un coordinamento tra le regioni interessate dalla vertenza per
definire un piano comune di investimenti. Chi teme, invece, che l’incontro di
domani sia solo un modo per Fiat per “strappare” l’ennesimo aiuto al Governo
senza restituire niente in cambio al Paese, è la Fiom di Basilicata. «Fabbrica
Italia - commenta il segretario Emanuele De Nicola - si è rivelato quello che
avevamo previsto: solo un bluff per peggiorare le condizioni di lavoro
all’interno delle fabbriche, e per cancellare la democrazia. Alla luce di
quello che temevamo e di cui abbiamo avuto conferma in questi giorni
bisognerebbe annullare il contratto separato firmato da Cisl e Uil e riprendere
le regole che vigevano prima in fabbrica». L’unica verità - per De Nicola - è
che da tempo il Lingotto ha deciso di delocalizzare le proprie attività
all’estero. E le speranze che l’incontro di sabato possano arrivare buone
notizie sono veramente basse. Per il segretario della Fiom, l’unica strada
possibile è quella di puntare sull’auto elettrica in un progetto comune che
veda coinvolte le regioni interessate dagli stabilimenti Fiat. Anche il
segretario regionale dell’Ugl, Giuseppe Giordano, teme una chiusura dello
stabilimento e parla di «momento storico in cui potrebbe essere messa in
discussione e finire l'era dell'automobile nel nostro territorio». Mentre, per
il segretario nazionale della Fismic, Roberto Di Maulo, la nuova cassa
integrazione non è una strumentalizzazione in vista dell’incontro a Palazzo
Chigi. Per Di Maulo occorrono provvedimenti a livello europeo per diminuire il
peso eccessivo della tassazione che grava sul settore automotive.
A ribadire l’urgenza di interventi a sostegno
del lancio di nuovi prodotti, soprattutto per Melfi e Cassino, anche il
segretario nazionale Fim Cisl, l’ulteriore richiesta di cassa negli
stabilimenti del gruppo Fiat riflette la nota situazione di calo di mercato ed
evidenzia l’urgenza di interventi a sostegno del lancio di nuovi prodotti.
Crisi, Istat: calano le ore lavorate. Aumenta la cassa
integrazione
ultimo aggiornamento: 21
settembre, ore 12:48
Roma, 21 set. - (Adnkronos/Ign) -
In Italia si sta sempre meno al lavoro. secondo quanto rileva l'Istat, nel
secondo trimestre 2012 le ore lavorate per dipendente diminuiscono del 2,6%
rispetto allo stesso trimestre del 2011. "Nell'industria le ore mostrano
una flessione tendenziale del 3,2%, con riduzioni del 3,4% nell'industria e
dell'1,9% nel settore delle costruzioni''.
Nel comparto dei servizi le ore
diminuiscono dell'1,8%. La riduzione piu' marcata si registra nel commercio,
nel trasporto e magazzinaggio e nel settore del noleggio, agenzie di viaggio e
servizi di supporto alle imprese (-2,5% in tutti e tre i settori).
"L'unico comparto in cui si osserva un aumento delle ore - sottolinea
l'Istat - e' quello delle attivita' professionali, scientifiche e tecniche, con
un +1,4%''.
Quanto alla cassa integrazione, le
aziende dell'industria hanno utilizzato 67,8 ore ogni mille ore lavorate, con
un incremento di 21,5 ore ogni mille rispetto allo stesso trimestre del 2011.
L'Istat rileva infine che "l'incidenza delle ore di straordinario e' pari
al 3,6% delle ore lavorate, in diminuzione di 0,1 punti percentuali rispetto al
secondo trimestre 2011''.
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