domenica 7 ottobre 2012

(1) VII.X.MMXII/ Passerata.


Matera vuole far parte della Puglia. Al via referendum
De Filippo: «Se volete il petrolio lucano, dateci lavoro e sicurezza»
Pressione fiscale, Passera: ''Ridurre le tasse a chi già le paga''
Con la crisi torna la vecchia cambiale Il 40% dei piccoli imprenditori la usa

Matera vuole far parte della Puglia. Al via referendum
di DONATO MASTRANGELO
MATERA - «Annettiamo la città di Matera alla Regione Puglia promuovendo un referendum popolare». Il vento di secessione, che guarda con interesse a quella che un tempo era la terra d’Otranto, non arriva da una sede istituzionale ma direttamente dalla strada. È il confine tra il territorio pugliese e lucano sulla statale 99, nei pressi della frazione Venusio al chilometro 11,200 quello che i giovani del comitato «Matera si muove» hanno idealmente eletto come avamposto di una battaglia che intendono concretizzare attraverso il quesito referendario. Destinazione Puglia, recitano i cartelli ostentati con orgoglio dai paladini di questa «crociata» in salsa apulo lucana la cui scintilla è scoccata con il disegno di soppressione della Provincia di Matera da parte del governo Monti e, sostengono, «dalla scarsa consistenza, credibilità e fattibilità della proposta della Regione di istituire a Matera la provincia unica della Basilicata».
Nelle dichiarazioni dei giovani si legge una voglia di riscatto ma anche di affrancamento da un capoluogo, Potenza, che da queste parti, è stato sempre concepito come centro del potere al quale la città dei Sassi era subalterno. «Siamo stufi - dichiara il presidente del comitato Angelo Angelastri, 21 anni, presidente del comitato “Matera si muove” - di essere soggiogati ad una regione “basilico-potentina” ch e ha sempre guardato ai propri interessi relegando ad un ruolo marginale la città di Matera».
Angelastri sente un legame con la Puglia non soltanto per i suoi studi universitari in Giurisprudenza a Bari. «Vogliamo voltare pagina - afferma - con l’annessione alla Puglia, una regione a noi più vicina non soltanto geograficamente ma anche per mentalità. Con la Puglia avremmo innumerevoli potenzialità di sviluppo, a partire dal turismo che aMatera non è ancora decollato completamente». Questione di identità territoriale? «Matera da sempre si è relazionata con la Puglia e poi non vanno sottovalutate le opportunità che Matera potrebbe avere dai progetti di area metropolitana e macro-regione. L’accorpamento della Provincia di Matera penalizzerà ulteriormente la città dei Sassi mortificandone lo sviluppo».
Ora parte la sfida referendaria con il gazebo del Comitato «Matera si muove» allestito in piazza Vittorio Veneto nei giorni di sabato e domenica. «Puntiamo a raccogliere 10 mila firme da presentare al Consiglio comunale affinché lo stesso possa deliberare sulla richiesta di Consultazione popolare da inviare alla Cassazione per il passaggio di Matera alla Regione Puglia». «Il modello lucano che ci hanno propinato da decenni, se mai fosse esistito - afferma Massimo Andrisani, 24 anni, studente alla Facoltà di lettere a Bari - crediamo sia del tutto fallito. Qual è il nostro futuro? In Basilicata viviamo soltanto di assistenzialismo e clientele. Invece noi giovani vorremmo essere artefici del nostro domani. Riteniamo che la Puglia possa darci tante più opportunità».

De Filippo: «Se volete il petrolio lucano, dateci lavoro e sicurezza»
di MASSIMO BRANCATI
POTENZA - Il governatore lucano, Vito De Filippo, l’ha definita una «rivoluzione copernicana» nei rapporti che ruotano attorno all’orbita del petrolio in Basilicata. Un’intesa che va in controtendenza rispetto alle rotte seguite dal mercato del lavoro, con le imprese (Fiat insegna) che tendono a smarcarsi da obblighi e vincoli territoriali. È in questo contesto generale che, secondo De Filippo, il «contratto di settore» per la Val d’Agri, sottoscritto a Viggiano (Potenza) da Regione, Eni, Cgil, Cisl e Uil, Confindustria Basilicata e associazioni datoriali, assume un significato «epocale».
Anche perché da quando l’Eni ha messo piede in Basilicata per estrarre petrolio (il primo giacimento è stato scoperto nel 1981) i rapporti di interscambio tra la compagnia petrolifera e il territorio non sono mai andati al di là delle «royalties », peraltro considerate dai più non proporzionate al flusso di greggio estratto e ai sacrifici della Basilicata sul fronte ambientale. L’intesa viggianese traduce in impegni scritti l’appello della Basilicata per un maggiore ritorno in termini di sviluppo economico.
Nel protocollo, che si compone di sei assi, l’industria del petrolio s’impegna a garantire occupazione - favorendo imprese e lavoratori locali attraverso il «frazionamento» dei grandi appalti - e investimenti, a cominciare dai 500 milioni di euro che consentiranno di completare le attività individuate nell'intesa del 1998: è prevista, in particolare, la realizzazione della quinta linea di trattamento del gas all'interno del Centro Oli (Cova) e di 9 pozzi produttori già previsti nell’accordo di 14 anni fa che consentiranno di raggiungere un livello produttivo di 104 barili al giorno. Un asse specifico del protocollo, inoltre, prevede l’impe gno di manodopera lucana nell'ambito delle attività poste in essere dagli appalti nel settore oil&gas. Con l’obiettivo di specializzare i lavoratori, particolare importanza è attribuita alla formazione sia per trasferire alta professionalità e conoscenze specifiche agli addetti e alla manodopera locale, sia per creare le professionalità necessarie alle attività geo-minerarie, oggi non disponibili nell'offerta dei Centri per l'impiego.

«Questa intesa - sottolinea De Filippo - va oltre l’idea iniziale di giungere ad un contratto di settore che tuteli i lavoratori del bacino lucano del petrolio, allargandosi a interventi in grado di coinvolgere ulteriormente il sistema locale delle imprese».

Presidente, si parla di aziende, economia, lavoro. E la sicurezza e la tutela dell’ambiente? «Abbiamo ribadito il principio che la coltivazione delle risorse energetiche presenti nel sottosuolo lucano deve rispondere al rispetto dei vincoli ambientali, geologici e territoriali e la strategia di crescita degli investimenti deve avvenire in un contesto di massima prevenzione per la salute e per l'ambiente».

Chi controlla che tutto proceda senza pericoli per i cittadini? «Il nostro Osservatorio ambientale è tra i più avanzati. Abbiamo anche stipulato un accordo con l'istituto Superiore della Sanità e con la «Bocconi» per l'interpretazione e comunicazione dei dati ambientali». Quando si parla di pericoli il riferimento va anche a chi oggi lavora a diretto contatto con i pozzi. Come saranno tutelati? «Nell’accordo c’è un capitolo dedicato a loro e alle imprese che operano in prossimità del Centro Oli. Il contratto di settore garantisce le condizioni di sicurezza anche prevedendo sul territorio postazioni sanitarie e dei Vigili del Fuoco».

Non c’è il rischio che l’intesa si riveli una semplice enunciazione di principi? Chi garantisce che l’Eni rispetti gli impegni? «C’è un documento sottoscritto. E per verificare lo stato di avanzamento dei programmi abbiamo istituito un «Tavolo della trasparenza» che si riunirà a partire da gennaio con cadenza semestrale e ogni qualvolta sopravvenute esigenze lo richiedano».

In concreto, cosa farà l’Eni per assicurare tangibili riflessi occupazionali ed economici sul tessuto produttivo lucano? «Si eviterà, come accaduto in passato, il rischio per i lavoratori di essere espulsi dal ciclo produttivo o di subire ridimensionamenti durante il passaggio da un’impresa appaltatrice a u n’altra. Nel rispetto delle normative, inoltre, l’Eni s’impe gna a massimizzare la partecipazione delle aziende lucane a gare regionali e nazionali e a curare la qualificazione delle aziende locali che ne facciano richiesta e che operano nei settori interessati dal piano di spesa di Eni».

Presidente, in attesa che l’intesa venga valutata per ciò che produrrà, c’è chi oggi l’accusa di averla sottoscritta troppo tardi... «Ci abbiamo lavorato per tre anni. Le imprese non accettano facilmente certi impegni ed è la prima volta che l’Eni firma un contratto di settore. Ad ogni modo, questo protocollo lo considero un punto di partenza. Non ritengo che sul petrolio la partita si possa chiudere qui».

Pressione fiscale, Passera: ''Ridurre le tasse a chi già le paga''
ultimo aggiornamento: 06 ottobre, ore 21:02
Assisi, 6 ott. (Adnkronos/Ign) - "Dobbiamo pensare di ridurre la pressione fiscale per coloro che le tasse le pagano". E' l'indicazione che dà il ministro dello Sviluppo economico, Corrado Passera, intervenendo ad Assisi al dialogo tra credenti e non credenti organizzato dal Cortile dei Gentili.
"Una delle conseguenze dell'evasione fiscale - spiega Passera - è che il livello di imposizione fiscale, dove le tasse si riesce a farle pagare, è molto elevato. E allora, la lotta all'evasione deve essere lo strumento per ridurre la pressione fiscale, garantendo l'impegno che ci siamo presi a livello internazionale di tenere i nostri conti sotto controllo. La riduzione del peso fiscale su famiglie, lavoro, imprese - prosegue il ministro - va presa in considerazione, anche per favorire la creazione di nuovo sviluppo".
Da Passera arriva anche un monito: "Guai a considerare il mercato quale realtà a sé stante che domina tutto il sistema dell'economia". "Ci siamo portati dietro crisi non passeggere, non superficiali ma profonde, che dobbiamo capire a fondo se ne vogliamo uscire. Mancanza di regole, controlli non adeguati, squilibri, malaffare hanno inciso, ma - sottolinea Passera - ci sono ragioni più profonde, legate a una sorta di ideologia del mercato quale unico meccanismo interpretativo della realtà, che si autoregola ed esprime giudizi che fanno funzionare non solo l'economia ma l'intera società. Questo è un guaio".
Per il ministro dello Sviluppo economico, "se la crisi è stata affrontata male, è perché si è cercata sempre la causa nell'altro, spesso cercando ragioni autoconsolatorie e indicando un nemico che viene da fuori. Invece nessuno può tirarsi fuori e questo vale anche per il nostro Paese. L'Italia uscirà dalla crisi con un progetto, sia esso esplicito o anche solo implicito, che, come nel dopoguerra o come negli anni bui del terrorismo, riguardi l'intera società in tutti i suoi settori".
Osserva il ministro Passera: "Il bene comune è soprattutto creare lavoro. Oggi, questo è il problema più profondo della nostra società. Dobbiamo misurarci su questo enorme disagio che va ben oltre la disoccupazione ufficiale e riguarda gli inoccupati, i sottoccupati, i cassintegrati: cioè - sintetizza - tutte quelle famiglie, tutte quelle comunità, che hanno timore per il futuro".
Quanto al welfare, avverte, ''va modificato, va governato, va gestito. Ma guai a ridurlo. L'Italia, all'interno dell'Europa ha uno dei modelli più forti e riusciti anche se con mille cose da aggiustare".
Il ministro sottolinea che "il welfare è la conquista più differenziante dell'Europa rispetto a qualunque altro sistema mondiale. E noi dobbiamo essere orgogliosi di volere un sistema così organizzato, anche se per più aspetti a rischio e dunque da modificare".
Poi, chiudendo il suo intervento, Passera ha ammonito a non ''farci prendere dalle tante demagogie, anche subliminali ma che sono pericolosissime, le quali creano aspettative e fanno promesse che non sono sostenibili e realizzabili: non c'è nessuna bacchetta magica".

Con la crisi torna la vecchia cambiale Il 40% dei piccoli imprenditori la usa
ultimo aggiornamento: 06 ottobre, ore 17:40
Roma, 5 ott. (Adnkronos) - Torna la vecchia cambiale. Sono soprattutto i piccoli imprenditori, sempre più spesso in difficoltà per il ritardo nei pagamenti, sia della Pa sia di altre imprese, e per la stretta nella concessione del credito da parte delle banche, a riscoprire uno strumento che sembrava ormai superato dai tempi. E' quanto emerge da un sondaggio effettuato dall'Adnkronos: quattro piccoli imprenditori su dieci dichiarano di averne firmata una nell'ultimo anno e sei su dieci ritengono 'possibile' il ricorso alla cambiale nell'arco del prossimo anno
Quella che viene tradizionalmente rappresentata come una finta banconota gigante che a caratteri cubitali riporta la data, l'importo e la firma del possessore, torna quindi ad essere uno strumento comunemente usato per rimandare un pagamento. Il creditore può far circolare la cambiale o può tenerla, per poi presentarla all'incasso una volta scaduto il termine. Il problema però, sempre più spesso, è che l'imprenditore possa essere costretto all'insolvenza. Ovvero, che non riesca a pagare il credito entro il termine stabilito. In questo caso, quasi sempre, scatta il protesto. E i dati raccolti dall'Adnkronos non sono incoraggianti anche su questo fronte. La metà degli imprenditori che dichiara di aver usato cambiali, circa il 20% del totale, ammette anche di aver ricevuto nel corso della sua storia imprenditoriale almeno un protesto. Indicazioni che sono coerenti con i dati complessivi , quelli raccolti da Cerved e Unioncamere: nell'ultimo anno i dati sui protesti sono in crescita.
Gli ultimi dati Cerved sui protesti e sui ritardi nei pagamenti evidenziano una situazione di difficoltà particolarmente grave nelle regioni del Mezzogiorno e tra le imprese che operano nelle costruzioni e nel terziario. Nel primo trimestre del 2012 si contano oltre 21mila società cui è stato protestato almeno un assegno o una cambiale: il dato segna un deciso aumento rispetto allo stesso periodo del 2011 (+8,1%) e risulta di quasi un terzo maggiore rispetto ai livelli medi osservati in un singolo trimestre pre-crisi. Nei primi tre mesi del 2012, i protesti risultano infatti in aumento con tassi a due cifre nelle regioni centro-meridionali (+13,5% nel Sud e nelle Isole e +10,6% nel Centro), con una diffusione del fenomeno che ha raggiunto livelli preoccupanti nel Mezzogiorno: l'1,4% delle società operative sul territorio ha avuto almeno un assegno o una cambiale protestata tra gennaio e marzo, con un picco dell'1,9% in Calabria. Gli ultimi dati disponibili elaborati da Unioncamere confermano il trend. Indicano per i primi quattro mesi di quest'anno, un incremento del 3% del numero complessivo degli effetti protestati (tra assegni, cambiali e tratte) rispetto allo stesso periodo dell'anno precedente, passando dagli oltre 429mila dei primi 4 mesi del 2011 agli oltre 442mila dello stesso periodo del 2012.


Nessun commento: