mercoledì 17 luglio 2013

XVII.VII.MMXIII - Rosanna Lampugnani: Non ci piove, l’unico settore che negli ultimi due anni ha retto bene alla crisi è quello agroalimentare, che con l’export ha raggiunto nel 2012 la cifra importante di 32 miliardi. Ma per le realtà meridionali, compresa quella pugliese, l’importanza dei dati si coniuga anche sul fronte occupazionale, perché in questo segmento produttivo il numero di lavoratori, soprattutto giovani, è in crescita.===Mariateresa Labanca: La notizia, ai profani, è sembrata nuova e pure buona. Total assume. Cinquantaquattro unità. Tutte lucane. Peccato che per i sindacati - che di recente hanno minacciato di portare la compagnia petrolifera davanti ai magistrati - si tratta solo dell’ennesimo bluff. Non che la notizia non sia vera. Ma di nuovo non ha proprio nulla. E soprattutto non cambia il giudizio assolutamente negativo sulla società francese.

Due anni di battaglie e poi la Pac. Salvi vino, olio e grano di Puglia
L'UNIONE SARDA - Economia: L'agricoltura sarda è più giovane
In Calabria lavorano quasi 15 mila extracomunitari. Ed è boom di imprenditori: più 7% durante il 2012
Basilicata. La Total annuncia 54 assunzioni per Tempa Rossa. Ma è una beffa, i posti sono vecchi
Legambiente dice no alle trivelle nello Ionio «Fermate le compagnie»
Nuovo allarme dell’Istat: povertà più diffusa in Sicilia
Italia, 9,5 milioni di poveri
Quote latte: Italia, Ue boccia proroga 2011 pagamento multe
Ocse: nel 2014 in Italia più disoccupati
Slovenia, perdite banche 117 mln primi 5 mesi
Croazia: Banca nazionale prevede -1% pil in 2013
Rottura tra Bruxelles e la Macedonia




Due anni di battaglie e poi la Pac. Salvi vino, olio e grano di Puglia
Per cinque anni garantiti gli aiuti ai giovani agricoltori
La firma a ottobre su 5,5 miliardi di fondi europei
ROMA - Non ci piove, l’unico settore che negli ultimi due anni ha retto bene alla crisi è quello agroalimentare, che con l’export ha raggiunto nel 2012 la cifra importante di 32 miliardi. Ma per le realtà meridionali, compresa quella pugliese, l’importanza dei dati si coniuga anche sul fronte occupazionale, perché in questo segmento produttivo il numero di lavoratori, soprattutto giovani, è in crescita. Dunque occhio a quanto sta avvenendo a Bruxelles, dove il 26 giugno si è chiuso l’accordo politico sulla nuova Pac (Politica agraria comunitaria), mentre ad ottobre si metterà punto al capitolo finanziario: così si potrà dire che la procedura sarà definitivamente completata, ad uso e consumo del settennato 2014-2020. La Pac, dunque, è stata illustrata ieri alla Camera dagli europarlamentari Giovanni La Via, il siciliano del Ppe che sta seguendo il capitolo finanziario, e Paolo De Castro, l’ex ministro pugliese che ha guidato la commissione parlamentare con polso fermo fino alla positiva conclusione del negoziato. Perché, va ricordato, quando la partita è iniziata nell’autunno di due anni fa, per i produttori di olio, grano duro, vino, agrumi la situazione era nerissima, non solo per la riduzione complessiva dei fondi destinati all’Italia, ma anche per i criteri e le procedure degli aiuti.
Invece è di ieri la notizia data dalla ministra Nunzia De Girolamo: l’Italia dovrebbe mantenere per i prossimi sette anni la quota di 5,5 miliardi ottenuta nel settennato in conclusione. E, inoltre, come hanno spiegato De Castro e La Via, la Pac - dopo il passaggio fondamentale nell’aula di Bruxelles - ha incassato alcune modifiche di sostanza: i contributi andranno solo agli agricoltori attivi, quelli che dai campi ricavano reddito perché li lavorano e ci sarà invece una black list di coloro che non potranno più ottenere vantaggi spacciandosi per produttori (assicurazioni, campi da golf, persino aeroporti). L’aiuto ai giovani agricoltori ci sarà, soprattutto nei primi cinque anni di attività. Fino al 2020 non ci sarà nessuna liberalizzazione selvaggia dei vigneti; quanto alle coltivazioni arboree come gli oliveti non saranno vincolate alle norme del cosiddetto greening, cioè l’ottenimenti di aiuti diretti alle pratiche ecologiche. Cosa è più efficace, come barriera all’inquinamento, un pascolo olandese o un uliveto pugliese? Per fortuna l’agricoltura mediterranea ha fatto sentire la propria voce. Infine - il testo è composto da centinaia di pagina - l’organizzazione del mercato comunitario darà una mano, dopo il formaggio e il grano duro, anche ai prosciutti, per rendere più forti sui mercati internazionali - ha concluso sempre De Castro - «le nostre produzioni». Una parola sulla protezione dei prodotti protetti Dop e Igp. Ha spiegato La Via che nella trattativa sull’accordo commerciale con gli Usa, anche l’Italia, come la Francia, si batterà sulla reciprocità: se gli americani vogliono i nostri prodotti devono difenderli dalle contraffazioni, dalle finte mozzarelle di bufala, dal finto olio d’oliva pugliese.
Rosanna Lampugnani

L'UNIONE SARDA - Economia: L'agricoltura sarda è più giovane
17.07.2013
Cambia l'agricoltura in Sardegna: in dieci anni il comparto ha subito gli effetti della crisi, lasciando per strada il 43,4% delle aziende, ma ha rappresentato anche un'opportunità per i giovani, intenzionati a crearsi il proprio posto di lavoro. A offrire una lettura esaustiva sono i dati del 6° Censimento generale dell'agricoltura, presentato ieri a Cagliari, realizzato dall'Istat in collaborazione con la Regione: i dati fanno riferimento al 2010. Le aziende censite, agricole e zootecniche, sono 60.182, in calo rispetto al 2000, ma a fronte di questo è aumentata la superficie agricola utilizzata: oltre un milione di ettari. «Abbiamo uno strumento importante per calibrare le azioni», dice Oscar Cherchi, assessore regionale dell'Agricoltura, «le aziende sono più qualificate e reggono quelle che riescono a sostenersi da sole».
SUPERFICI Il calo del numero delle aziende segue un andamento diffuso su tutto il territorio nazionale, in controtendenza con l'aumento degli ettari medi per azienda e della superficie utilizzata. Negli anni c'è stato un processo di concentrazione dovuto al trasferimento delle superfici da aziende non più operative a quelle in attività. La provincia che ospita le aziende con la dimensione media più alta è quella di Nuoro (28,2 ettari), mentre la maggiore crescita si è verificata in Ogliastra: da 7,1 ettari per azienda a 20,9.
GESTIONE Le aziende individuali, o familiari, sono il 96,5% e la gestione diretta è la più diffusa (98%). Sempre la famiglia risulta essere il bacino più utilizzato per la mano d'opera: 86,6% contro il 13,4% extra familiare, mentre 120mila sono state le persone coinvolte nel 2009 e 2010. Sbilanciata la proporzione tra uomini e donne impegnati nelle aziende: i primi rappresentano il 68,2% della manodopera, le seconde il 13,8%. Aumenta, però, il numero delle donne tra coloro che guidano un'azienda (+4,1%) mentre, nonostante l'aumento dell'incidenza dei giovani fino a 49 anni (+3,6%), cresce anche la percentuale degli imprenditori con oltre 75 anni (+1,7%) frenando il processo del ricambio generazionale.
ISTRUZIONE In dieci anni aumenta il livello di istruzione degli imprenditori. I laureati, seppure con cifre non esorbitanti, crescono così come i diplomati. In Sardegna il titolo di studio prevalente è la licenzia media: nel 2000 era quella elementare.
OVICAPRINO Il comparto rappresenta uno dei punti di forza del sistema agricolo sardo. Il numero dei capi supera i 3 milioni, prevalentemente pecore (95,1%). La media dei capi per azienda è di 239 ed è cresciuta in maniera consistente in dieci anni.
CAMBIAMENTI Pietro Pulina, docente dell'Università di Sassari, evidenzia «il ritorno alla terra da parte dei giovani che cercano in questo settore prospettive». Rimangono alcune criticità legate ai fondi europei che «hanno causato un eccesso di burocrazia», spiega Pulina, «si dovrebbero evitare i pagamenti parcellizzati e programmare in base alle reali esigenze del mercato». Su questo aspetto si è soffermato l'assessore Cherchi, annunciando «particolare attenzione al cambiamento del comparto per migliorarne la produttività». Infine, la Politica agricola comunitaria (Pac) sarà focalizzata su «giovani e minore burocrazia delle pratiche». E proprio la macchinosità delle procedure rappresenta, secondo l'assessore, «un disagio nell'accesso alle pratiche del Psr che sarà più flessibile». Matteo Sau

In Calabria lavorano quasi 15 mila extracomunitari. Ed è boom di imprenditori: più 7% durante il 2012
Impennata di contratti: aumentano del 14% rispetto al 2011. Trovano impiego soprattutto nel settore agricolo, dove la presenza di manodopera extra Ue è tripla rispetto alla media nazionale. Ma anche come badanti e domestici nelle case o come personale per ristoranti e alberghi. E molti decidono di mettersi in proprio: sono quasi novemila quelli che hanno aperto un'azienda
UN esercito, in aumento rispetto al passato. Impiegati nell'agricoltura, nel settore del turismo. E sempre più spesso imprenditori in prima persona. Sono stati 14.706 - una fetta consistente rispetto ai numeri nazionali - i rapporti di lavoro attivati in Calabria nel 2012 che hanno interessato lavoratori stranieri con cittadinanza extra Ue. Quasi la metà sono stagionali nel settore dell’agricoltura (45,8%) a fronte di un dato medio nazionale pari al 16,5%. Come dire che in Calabria gli extracomunitari vengono impiegati nei campi il triplo di quanto avviene nel resto d'Italia. I dati emergono dal terzo rapporto annuale su ''Gli immigrati nel mercato del lavoro in Italia 2013'' presentato a Roma e curato dalla Direzione generale dell’Immigrazione e delle Politiche di Integrazione del Ministero del Lavoro e delle Politiche Sociali.
Secondo lo studio, gli altri settori economici in cui sono stati assunti lavoratori extracomunitari nella regione sono le attività svolte da famiglie e convivenze (21,1%): sono le legioni di badanti e di domestici che entrano nelle case per assistere la gente. Poi alberghi e ristoranti (8,8%), commercio e riparazioni (7,3%), costruzioni (5,7%), trasporti, comunicazioni, attività finanziarie e altri servizi alle imprese (4,3%), industria in senso stretto (3,6%), altri servizi pubblici, sociali e personali (2,6%), pubblica amministrazione, istruzione e sanità (0,7%). Per quanto riguarda le imprese individuali appartenenti a cittadini non comunitari, dal rapporto emerge che quelle registrate in Calabria rappresentano il 2,9% del totale nazionale. A fine 2012 risultano essere 8.779, in aumento di 572 unità rispetto al dato registrato il 31 dicembre 2011, quando erano 8.207 (+7%). UN esercito, in aumento - e di molto - rispetto al
passato. Mentre la disoccupazione raggiunge picchi consistenti, gli extracomunitari che nel 2012 hanno trovato lavoro in Calabria sono cresciuti del 14 per cento rispetto al 2011. Impiegati nell'agricoltura, nel settore del turismo, molto spesso per i compiti che nessun altro vuole svolgere. Ma c'è anche chi decide di fare l'imprenditore in prima persona. 
Sono stati 14.706 - una fetta consistente rispetto ai numeri nazionali - i rapporti di lavoro attivati in Calabria nel 2012 che hanno interessato lavoratori stranieri con cittadinanza extra Ue. Quasi la metà sono stagionali nel settore dell’agricoltura (45,8%) a fronte di un dato medio nazionale pari al 16,5%. Come dire che in Calabria gli extracomunitari vengono impiegati nei campi il triplo di quanto avviene nel resto d'Italia.
I dati emergono dal terzo rapporto annuale su ''Gli immigrati nel mercato del lavoro in Italia 2013'' presentato a Roma e curato dalla Direzione generale dell’Immigrazione e delle Politiche di Integrazione del Ministero del Lavoro e delle Politiche Sociali. Secondo lo studio, gli altri settori economici in cui sono stati assunti lavoratori extracomunitari nella regione sono le attività svolte da famiglie e convivenze (21,1%): sono le legioni di badanti e di domestici che entrano nelle case per assistere la gente. Poi alberghi e ristoranti (8,8%), commercio e riparazioni (7,3%), costruzioni (5,7%), trasporti, comunicazioni, attività finanziarie e altri servizi alle imprese (4,3%), industria in senso stretto (3,6%), altri servizi pubblici, sociali e personali (2,6%), pubblica amministrazione, istruzione e sanità (0,7%).
Per quanto riguarda le imprese individuali appartenenti a cittadini non comunitari, dal rapporto emerge che quelle registrate in Calabria rappresentano il 2,9% del totale nazionale. A fine 2012 risultano essere 8.779, in aumento di 572 unità rispetto al dato registrato il 31 dicembre 2011, quando erano 8.207 (+7%).

Basilicata. La Total annuncia 54 assunzioni per Tempa Rossa. Ma è una beffa, i posti sono vecchi
Contratti a settembre e formazione all'estero, si inizierà a lavorare solo nel 2015. I 54 posti sono frutto dell’accordo del 2004, quando governatore era ancora Bubbico.   I sindacati: «Solo briciole, ci trattano come terra di conquista». Cgil, Cisl e Uil lamentano il silenzio sugli impegni occupazionali che Regione e parti sociali chiedono da tempo sui lavori di realizzazione del Centro Oli
di MARIATERESA LABANCA
Total E&P Italia rende noto di “aver completato il processo di selezione dei 54 futuri operatori che
lavoreranno presso il Centro Oli e il Centro Gpl di Tempa Rossa, nella Concessione Gorgoglione”.
“L’ultima fase della selezione – spiega la società in una nota - era stata avviata nel dicembre 2012. I candidati selezionati sono tutti lucani. L’assunzione è prevista all’inizio di settembre 2013. A tal fine è stata inviata una comunicazione ai candidati prescelti per l’espletamento delle ultime, obbligatorie, procedure di assunzione. A partire dall’assunzione e sino all’inizio delle operazioni di produzione, che avverranno nel corso del 2015, tutti gli operatori seguiranno un intenso e specifico programma di formazione. La prima parte dell’attività formativa della durata di circa un anno avrà luogo presso il Centro di Formazione Total nel Comune di Corleto Perticara (PZ) con tappe intermedie all’estero per attività di Job Orientation; successivamente la formazione teorico-pratica si svolgerà all’estero, presso differenti siti produttivi di Total”.
“Nell’ultimo periodo di formazione – conclude la nota - gli operatori affiancheranno i tecnici incaricati delle attività di collaudo degli impianti di Tempa Rossa per poi iniziare il loro lavoro da operatori con l’avvio della produzione”.
LA notizia, ai profani, è sembrata nuova e pure buona. Total assume. Cinquantaquattro unità. Tutte lucane. Peccato che per i sindacati - che di recente hanno minacciato di portare la compagnia petrolifera davanti ai magistrati - si tratta solo dell’ennesimo bluff. Non che la notizia non sia vera. Ma di nuovo non ha proprio nulla. E soprattutto non cambia il giudizio assolutamente negativo sulla società francese.
Total lancia la notizia come fosse  una svolta storica nei difficili rapporti con il territorio. In realtà i posti di lavoro non sono affatto una novità. Bensì frutto dell’accordo del lontano 2004, quando governatore era ancora Bubbico. Si tratta di assunzioni dirette, cioè derivanti dall’entrata in funzione del Centro Oli.
Quindi di occupazione vera e propria non se ne parlerà prima del 2016. Nel frattempo, questi 54 futuri operatori che lavoreranno presso tema Rossa a Gorgoglione saranno sottoposti a formazione. E questo è comunque è un bene. Ma la beffa sta nel fatto che Total - nonostante “le minacce” di Cgil, Cisl e Uil - nulla dice su quegli impegni occupazionali che Regione e parti sociali chiedono da tempo sui lavori di realizzazione del Centro Oli.
Dopo la diffida presentata dai sindacati, e dopo il coinvolgimento del viceministro agli Interni, Filippo Bubbico, quello che la Basilicata strappa a Total è l’incontro che si terrà il prossimo 22 luglio con il prefetto. Nel corso del quale sarà sottoscritto il protocollo di legalità, finora completamente assente. Ma per ora null’altro.
«Se abbiamo ottenuto questo risultato - commenta il leader della Cgil lucana, Alessandro Genovesi - è solo grazie alle denunce del sindacato e alla sensibilità delle istituzioni. Per Total il problema non si pone neppure».
Così come, la compagnia francese, elude del tutto la richiesta avanzata in termini occupazionali: che almeno l’80 per cento dei circa 1500 lavoratori che saranno necessari per realizzare l’investimento da 1,3 miliardi a Gorglione sia costituito da manodopera lucana. Le sollecitazioni sono state numerose. Ma Total semplicemente ignora le ragioni del territorio.
«Nell’unico recente incontro che abbiamo tenuto in regione - commenta il segretario regionale della Uil, Carmine Vaccaro - abbiamo potuto registrare tutta l’arroganza della compagnia petrolifera». «Continuano a trattare la Basilicata come terra di conquista, e i lucani come popolo senza dignità», affonda Genovesi. Il segretario della Cisl, Nino Falotico, aggiunge: «Fino a questo momento è stato impossibile costruire un dialogo costruttivo con francesi del petrolio. Con Eni abbiamo realizzato cose buone come “il contratto di sito”. Total non mostra alcuna attenzione al territorio».
Insomma, se non cambia qualcosa in termini rapporti società territorio difficile immaginare un ammorbidimento delle posizioni.
Una ulteriore occasione di confronto potrebbe arrivare dall’incontro del 22 in Prefettura. Nello stesso giorno il sindaco di Gorgoglione ha organizzato un incontro con gli amministratori dell’area e con le stesse parti sociali per tornare a porre la questione occupazione. Nel frattempo, l’unica cosa certa rimangono i 54 “vecchi” posti di lavoro. L’ultima fase della selezione era stata avviata nel dicembre 2012.
L’assunzione - fa sapere Total - è prevista all’inizio di settembre 2013.
A partire dall’assunzione e sino all’inizio delle operazioni di produzione, che avverranno nel corso del 2015, tutti gli operatori seguiranno un intenso e specifico programma di formazione. La prima parte dell’attività formativa della durata di circa un anno avrà luogo presso il Centro di Formazione Total nel Comune di Corleto Perticara con tappe intermedie all’estero per attività di job orientation. Successivamente la formazione teorico-pratica si svolgerà all’estero, presso differenti siti produttivi di Total. Nell’ultimo periodo di formazione gli operatori affiancheranno i tecnici incaricati delle attività di collaudo degli impianti di Tempa Rossa per poi iniziare il loro lavoro da operatori con l’avvio della produzione. I profili professionali selezionati sono vari. Ma per ora si tratta solo di briciole. Nulla a che vedere con le più di mille assunzioni che potrebbero arrivare dai lavori del Centro oli di Tempa Rossa, se solo Total lo volesse.

Legambiente dice no alle trivelle nello Ionio «Fermate le compagnie»
BARI - Sono 5mila i chilometri quadrati di fondali del mar Ionio sotto la minaccia delle trivelle. Un tratto di mare che non è stato risparmiato dalla nuova dissennata corsa all’oro nero, ripartita grazie agli atti normativi degli ultimi due anni che annullano i vincoli per la tutela delle aree marine di pregio e per le coste approvati dopo il disastro causato nel Golfo del Messico dall’incidente della piattaforma della BP.
 Oggi nel mar Ionio sono attive 10 richieste per la ricerca di petrolio per un totale di 5.041,23 kmq. Di queste, 8 sono in corso di Valutazione di Impatto Ambientale per un totale di 4.046,93 kmq. Una è in fase di rigetto (si tratta della richiesta della NorthernPetroleum, che riguarda oltre 700kmq al largo di Cirò Marina) e una è in fase decisoria, ovvero ha finito il suo iter ed è in attesa dei decreti autorizzativi (si tratta della richiesta di Apennine Energy per un’area di 63 kmq a ridosso della costa tra le Marine di Sibari e Schiavonea).
 Chilometri di fondali che, se sommati a quelli richiesti in tutt’Italia, restituiscono una fotografia agghiacciante: sono, infatti, decine di migliaia i kmq di aree marine oggetto di richieste delle compagnie petrolifere per le loro attività di ricerca o di coltivazione dei giacimenti concentrate nello Jonio, nell’Adriatico centro meridionale e nel Canale di Sicilia. Progetti che se approvati aggiungerebbero decine di nuove trivelle alle 10 piattaforme che già oggi estraggono petrolio dai mari italiani. Una scelta scellerata di politica energetica.
 È per questo che da Goletta Verde, la storica campagna di Legambiente che da ventotto anni è in prima linea a difesa del mare e delle coste italiane, arriva un appello a Governo e Parlamento affinché vengano riviste le scellerate scelte politiche in materia energetica.

Nuovo allarme dell’Istat: povertà più diffusa in Sicilia
17 luglio 2013 - 12:38 - Cronaca Regionale,Economia
La poverta’ relativa e’ piu’ diffusa in Sicilia, Puglia e Calabria. Osservando il fenomeno con un maggior dettaglio territoriale, evidenzia l’Istat, la provincia di Trento (4,4%), l’Emilia Romagna (5,1%) e il Veneto (5,8%) presentano i valori piu’ bassi dell’incidenza di poverta’. Si collocano su valori dell’incidenza di poverta’ pari al 6% la Lombardia e Il Trentino Alto Adige. Ad eccezione dell’Abruzzo (16,5%), dove il valore dell’incidenza di poverta’ non e’ statisticamente diverso dalla media nazionale, in tutte le altre regioni del Mezzogiorno la poverta’ e’ piu’ diffusa rispetto al resto del Paese. Le situazioni piu’ gravi si osservano tra le famiglie residenti in Campania (25,8%), Calabria (27,4%), Puglia (28,2%) e Sicilia (29,6%) dove oltre un quarto delle famiglie sono povere.

Italia, 9,5 milioni di poveri
Roma - In Italia sono 9,563 milioni le persone in povertà relativa, pari al 15,8% della popolazione; di questi, ben 4,814 milioni (l’8% della popolazione) sono i poveri assoluti, che non riescono ad acquistare beni e servizi essenziali per una vita dignitosa.
Secondo quanto fatto notare dall’Istat, l’incidenza della povertà assoluta in Italia aumenta di anno in anno, dal 5,7% della popolazione del 2011 all’8% del 2012, un “record” dal 2005; ma anche l’incidenza della povertà relativa è aumentata, passando dal 13,6% del 2011 al 15,8% dell’anno scorso.
Nel dettaglio, le famiglie in povertà assoluta sono il 6,8% del totale: dal 2011 al 2012, l’incidenza è aumentata fra le famiglie con tre componenti (dal 4,7% al 6,6%), quattro (dal 5,2% all’8,3%) e cinque o più (dal 12,3% al 17,2%); tra le famiglie composte da coppie con tre e più figli, quelle in povertà assoluta passano dal 10,4% al 16,2%; se si tratta di tre figli minori, dal 10,9% si raggiunge il 17,1%.
Non è finita, perché sempre secondo l’Istat il 2,8% della famiglie residenti in Italia è a rischio povertà, avendo un livello di spesa per consumi equivalente o appena superiore alla linea di povertà; la quota sale al 4,7% nel Mezzogiorno.

Quote latte: Italia, Ue boccia proroga 2011 pagamento multe
Aiuto e' incompatibile, va recuperato con gli interessi
17 luglio, 15:23
BRUXELLES - La Commissione europea ha bocciato oggi l'aiuto varato dall'Italia nel 2011 a favore dei produttori di latte sotto forma di una proroga semestrale del pagamento delle multe per il superamento delle quote di produzione loro assegnate. Bruxelles chiede quindi alle autorità italiane di ''recuperare gli aiuti incompatibili maggiorati degli interessi dovuti, con la sola esclusione dei piccoli aiuti (de minimis) non soggetti al controllo preventivo di Bruxelles e non considerati aiuti di Stato''.
 La legge italiana che autorizza il pagamento differito e' stata esaminata da Bruxelles nell'ambito nella decisione del Consiglio Ue del 2003 che autorizza l'Italia a sostituirsi ai suoi produttori, per versare al bilancio dell'Unione l'importo delle multe sul surplus di latte prodotto nelle campagne che vanno dal 1995-1996 al 2001-2002. La decisione stabilisce anche che lo Stato recuperi presso i produttori la somma versata, in quattordici rate annuali di pari importo senza interessi.
 Ma nel 2011 l'Italia ha approvato una legge che concede ai produttori una proroga semestrale per il versamento di una delle rate. Per la Commissione europea quindi, ''i produttori che si sono avvalsi di questa proroga hanno beneficiato di un aiuto equivalente a un prestito senza interessi che nessuna norma in materia di concorrenza permette di giustificare''. Non solo. La proroga di pagamento - prosegue Bruxelles - oltre a comportare una violazione della decisione del Consiglio, poiché non è più rispettata l'uniformità delle rate, ha istituito per i beneficiari un sistema di rateizzazione dei pagamenti che non è più disciplinato dalla decisione dell'Ue e che, anche in questo caso, non è giustificabile da alcuna norma in materia di concorrenza''.

Ocse: nel 2014 in Italia più disoccupati
 Il 53% dei giovani lavoratori è precario
ROMA - Oltre la metà dei lavoratori italiani under 25, il 52,9%, ha un lavoro precario: lo ha calcolato l'Ocse nel suo Employment outlook, basato su dati di fine 2012. La percentuale di precari è quasi raddoppiata rispetto al 2000, quando erano il 26,2%.
Ocse: riforma Fornero creerà posti di lavoro. «La riforma Fornero - scrive l'Ocse - dovrebbe migliorare la crescita della produttività e la creazione di posti di lavoro nel futuro, grazie in particolare al nuovo articolo18 che riduce la possibilità di reintegro in caso di licenziamento, rendendo le procedure di risoluzione più rapide e prevedibili. Nonostante ciò l'Italia resta uno dei Paesi Ocse con la legislazione più rigida sui licenziamenti, in particolare riguardo alla compensazione economica in caso di licenziamento senza giusta causa e la definizione restrittiva di giusta causa adottata dai tribunali. In questo contesto, gli elementi raccolti suggeriscono che limitare la diffusione dei reintegri sia un elemento chiave per migliorare i flussi occupazionali e la produttività».
«La disoccupazione italiana aumenterà nel 2014». «La disoccupazione in Italia - prevede l'Ocse - continuerà ad aumentare per quest'anno e il prossimo, e nell'ultimo trimestre del 2014 arriverà al 12,6%, contro il 12,2% di fine maggio 2013».
 «La disoccupazione giovanile in Italia a fine 2012 è arrivata al 35,3% - rileva l'Ocse - La percentuale di senza lavoro nella fascia under 25 è più elevata tra le donne (37,5%) che tra gli uomini (33,7%). Nell'ultimo anno, la disoccupazione in Italia è cresciuta a un ritmo più elevato rispetto all'insieme dell'Unione europea, ed è ora «un punto percentuale più elevata della media dei Paesi Ue. A metà 2012 il dato italiano era invece in linea con la media. A fine maggio, la disoccupazione nel nostro Paese ha toccato quota 12,2%, dopo un aumento «quasi continuo» nei due anni appena trascorsi.
Martedì 16 Luglio 2013 - 12:00
Ultimo aggiornamento: Mercoledì 17 Luglio - 13:03

Slovenia, perdite banche 117 mln primi 5 mesi
Tra le cause principali il calo degli interessi e sofferenze
17 luglio, 12:30
(ANSA) - LUBIANA - L'esercizio ante imposte del settore bancario sloveno nei primi cinque mesi del 2013 ha registrato perdite per 117 milioni di euro. Le cause principali delle perdite sono i cali dei ricavi dagli interessi, scesi del 21% rispetto allo stesso periodo dell'anno scorso, le sofferenze sui crediti e gli accantonamenti.
 A comunicare i dati è stata la Banca centrale slovena che ha inoltre rilevato un aumento del credit crunch verso il settore aziende: il calo dei prestiti verso società non finanziarie è stato di 265 milioni di euro, il 12,8% rispetto allo stesso periodo dell'anno scorso. A registrare un calo del 3,1% anche i prestiti alle persone fisiche.
 La Banca centrale ha menzionato come uno dei motivi del credit crunch le limitate possibilità di finanziamento del settore bancario sloveno all'estero. L'indebitamento delle banche slovene presso le banche estere è sceso di 1,1 miliardi di euro nell'ultimo anno.

Croazia: Banca nazionale prevede -1% pil in 2013
In 2014 si attende +0,7%
16 luglio, 18:41
(ANSA) – ZAGABRIA – Il Pil della Croazia, dal primo luglio nuovo Paese membro dell'Unione europea, vedrà un'altra contrazione quest'anno, il quinto consecutivo, dell'uno per cento, mentre un lieve ripresa, dello 0,7 per cento, è possibile nel 2014. Lo prevede la Banca nazionale croata (Hnb) in un rapporto diffuso oggi a Zagabria.
 ''Alcuni segnali di una lieve ripresa economica dovrebbero essere visibili già quest'anno, ma a causa del calo delle spese personali e di quelle pubbliche, come anche di una molto contenuta crescita delle esportazioni e degli investimenti, nel 2013 non ci si può ancora attendere una ripresa dell'economia croata'', sostiene la Hnb. Tra i principali indicatori negativi esterni, la Hnb indica la mancata ripresa dell'eurozona e dei principali partner commerciali della Croazia, soprattutto dell'Italia. I dati statistici mostrano però anche una lieve crescita delle spese al dettaglio registrata a maggio e un ciclo di investimenti i cui effetti si potrebbero sentire nella seconda metà del 2013 e in particolare nel 2014 per il quale è previsto una ripresa del Pil dello 0,7 per cento. (ANSA).

Rottura tra Bruxelles e la Macedonia
Skopje rifiuta l’apertura di un ufficio dell’Europarlamento e fa i conti con riforme bloccate e libertà di stampa limitata
 di Mauro Manzin
TRIESTE. Macedonia questa sconosciuta. Anche all’Europa. Bruxelles già da sei mesi sta inviando missive a Skopje sottolineando che senza l’attuazione delle riforme concordate e la fine della crisi politica interna rischia di rimanere in eterno nella sala d’attesa per l’ingresso nell’Ue. La coalizione di governo ogni giorno accusa la Grecia per tutti i problemi che travagliano il Paese mentre la patria di Alessandro il grande è ogni giorno più lontana da Bruxelles. Ricordiamo che la Macedonia ha sottoscritto nel 2001 l’Accordo di associazione e stabilizzazione con l’Ue e che nel dicembre del 2005 ha ricevuto dal Consiglio eurpeo lo status di Paese candidato a diventare membro dell’Unione europea. Così come è vero che lo “storico” ostacolo dell’integrazione euroatlantica della Macedonia è costituito dalla Grecia che non riconosce il nome del Paese ex jugoslavo affermando che questo spetta solo alla omonima regione che fa parte della repubblica ellenica. Finora tutto si è risolto con l’acronimo Fyrom (Former yugoslavian republic of Macedonia) con cui la Macedonia viene identificata nei consessi internazionali. Ma la disputa non si spegne. Al punto che i macedoni, alla notizia del fallimento economico della Grecia, sono scesi nelle strade a festeggiare.
Di recente, poi, la “Sobranja” (il Parlamento macedone) ha respinto la richiesta dell’Europarlamento di riaprire un proprio ufficio a Skopje. Il premier e leader del partito di governo Vmro-Dpmne, Nikola Gruevski e il capo della formazione politica partner dell’esecutivo, l’Unione democratica per l’integrazione (Dui), Ali Ahmeti continuano a dare la colpa alla Grecia per la pesante stagnazione dell’economia macedone e la conseguente crisi socio-economica. E preparano in gran segreto un disegno di legge che minerà la libertà di stampa nel Paese garantendosi le critiche di Amnesty International, del Consiglio d’Europa e dell’Osce. Quando poi la situazione si fa critica ecco ancora i partiti di governo che organizzano manifestazioni ad hoc come quella che ha portato migliaia di manifestanti per le strade della capitale quando è circolata la notizia (manipolata dal potere) che il sindaco di Skopje voleva abbattere una chiesa ortodossa ancors ain costruzione. Gli “indignados” in salsa macedone ricevono come compenso una diaria e un panino. E il gioco è fatto.
Il caos politico dura dal 24 dicembre del 2012 quando una riunione del Parlamento sfociò in una clamorosa rissa con pugni e calci che portò all’allontanamento dell’opposizione e dei giornalisti dall’aula. È stata sì nominata una commissione per far luce sugli avvenimenti, ma finora non si è neppure deciso se questa dovrà votare in modo palese o a scrutinio segreto. Chissà che cosa pensa dei suoi compaesani quell’Alessandro il grande che dall’alto dell’imponente statua equestre domina Skopje.

Nessun commento: