Basilicata. Bonus card, una beffa non basta per
un pieno «Svuotata» da sentenza del Consiglio di Stato
Cassa integrazione in Puglia, in un anno
crescita del 74%
Ipercoop, naufraga la trattativa: punti campani
a rischio
L'UNIONE SARDA - Economia: «Troppe ditte in
ginocchio»
Istat. Prezzi al consumo
Istat. Commercio con l’estero
Fatturato industria sotto livelli 2008
P.a: uno su due dipendenti è over 50
P.a: in 2 anni -120mila dipendenti
Canton Ticino, Svizzera. Falliti e razzisti
Basilicata. Petrolio, memorandum per
dimenticare il flop della card
Le reazioni dopo la
bocciatura del bonus idrocarburi. De Filippo rilancia il nuovo accordo con Eni
di LEO AMATO
POTENZA - Ripartire
dal memorandum, dopo l’illusione del bonus idrocarburi, per lanciare un piano
di occupazione e sviluppo infrastrutturale della regione con le risorse
dell’aumento delle estrazioni in Val d’Agri.
E’ la ricetta di
Vito De Filippo dopo la bocciatura della “card benzina” da parte del Consiglio
di Stato, che allargando la platea dei beneficiari ai veneti, i liguri e in
futuro i toscani e, perché no, i pugliesi (difficile sostenere l’esigenza di
compensazioni per chi ospita un rigassificatore e non per chi ha una
raffineria) ne ha in sostanza annullato i benefici, ridotti a qualche spicciolo
e poco più.
«Se una cosa non ha
una logica dall’inizio non la si può cercare alla fine». Ha spiegato il due
volte presidente della Regione Basilicata, dimissionario ma tutt’altro che
disimpegnato sui temi dell’agenda dello sviluppo regionale. Per quanto la
scelta di non contrastare il ricorso della Regione Veneto sia stata anche sua,
e gli sia costata più di qualche invettiva dei maggiorenti del Pdl, veri
padrini politici della “card”.
«La decisione del
Consiglio di Stato sul bonus idrocarburi è paradossale - ha ammesso De Filippo
- ma lo è anche la stessa misura del bonus, priva di ogni forma di equità e
produttività, con più fondi alle famiglie che dispongono di più patenti e meno
a chi magari non la ha perché non ha l’automobile. Un provvedimento che non
abbiamo condiviso e che non potevamo difendere. E ora rinnoviamo con più forza
l’auspicio che il governo ripensi a quanto era stato fatto e concentri risorse
sullo sviluppo della Regione o su misure di sostegno a chi più ne ha bisogno,
dando seguito con decisione alla strada ampiamente condivisa delineata col
memorandum». Ossia il fondo per infrastrutture e lavoro da finanziare con le
maggiori entrati tributarie derivanti dall’aumento delle estrazioni in Val
d’Agri.
Annunciano di aver
già interpellato il Ministero dello Sviluppo economico il senatore Guido
Viceconte e il deputato Cosimo Latronico, per cui quella dei giudici di Palazzo
Spada è «una decisione inspiegabile che contrasta con il principio di realtà:
possono i cittadini lucani finanziare, con le attività petrolifere che si
svolgono sul proprio territorio con impatti ambientali di sicuro rilievo, gli impianti di
gassificazione che dovrebbero essere a carico delle imprese che li esercitano?»
I due parlamentari Pdl, al governo all’epoca dell’approvazione della legge
assieme ai leghisti autori dell’ emendamento che ne ha neutralizzato gli
effetti spiegano di aver chiesto al sottosegretario Simona Vicari «iniziative
necessarie per chiarire questo grande equivoco su cui si è costruita la
decisione del Consiglio di Stato e difendere il diritto di oltre 300 mila
lucani. Il senso dell'art 45 della legge 99/2009 - hanno aggiunto - e’ chiaro
ed è quello di destinare un tre per cento delle royalties per ridurre il prezzo
dei carburanti a favore delle popolazioni che insistono sui territori interessati
da impianti idrominerari. Confidiamo che la questione si chiarisca
definitivamente ed il diritto dei lucani ad avere un vantaggio sul,prezzo dei
carburanti».
Si aggiusterà tutto?
In realtà non ci scommettono nemmeno gli “alleati” di Fratelli d’Italia. Tant’è
che Giampiero D’Ecclesiis della costituente provinciale potentina parla di
«fallimento totale della strategia politica del Pdl» e tira in mezzo anche il
memorandum sottoscritto a marzo del 2011 da De Filippo e dall’allora
sottosegretario allo Sviluppo economico Guido Viceconte. La card benzina, anche quando valeva qualcosa
in più, era pur sempre un provvedimento che «conteneva una evidente ingiustizia
lasciando fuori i lucani non dotati di patente». E comunque ben poco rispetto a
quello che spetterebbe a chi ospita pozzi e installazioni petrolifere come
quelle di Eni, Shell e Total.
Parla di una «beffa»
il consigliere regionale dell’Idv Antonio Autilio, e di una «palese ingiustizia
tra lucani e cittadini residenti in regioni soprattutto del Nord che non hanno
la più pallida idea di cosa significhi la convivenza con le attività
petrolifere e il Centro Oli di Viggiano». Motivo per cui sostiene come De
Filippo che occorre «accelerare il confronto con il Governo oltre che sui
contenuti del Memorandum sul petrolio anche sulla rideterminazione delle
royalties attribuite a Regione e Comuni».
Per i Giovani
Democratici si tratta un segnale che alimenta «un ulteriore senso di sfiducia
nei confronti delle istituzioni tutte», motivo per cui chiedono che la legge
venga cambiata «non solo nella forma ma anche nella sostanza. La cultura
politica di cui lo stesso è espressione è ormai superata avendo mostrato le sue
innegabili criticità nonché la sua inconsistenza».
venerdì 09 agosto
2013 08:06
Basilicata. Bonus card, una beffa non basta per
un pieno «Svuotata» da sentenza del Consiglio di Stato
di LUIGIA IERACE
POTENZA - La card idrocarburi «svuotata» dal
Consiglio di Stato potrebbe portare ai patentati lucani poco più di 80 euro.
Una beffa, tenendo conto, che il beneficio previsto poteva arrivare a oltre 170
euro a testa grazie alla forte crescita del Fondo, alimentato per il 90 per
cento dalle royalty che Eni e Shell, versano in Basilicata per il giacimento
della Val d’Agri. Infatti, in base alla produzione di idrocarburi che è
fortemente lievitata nel 2012 e all’aumento del costo del greggio, il Fondo per
la riduzione del prezzo alla pompa dei carburanti, alimentato dal 3% di royalty
versate dalle compagnie petrolifere è di 78,9 milioni di euro. Circa 70 milioni
sono versati dalle compagnie petrolifere per la produzione di greggio del più
grande giacimento d’Europa su terraferma della Val d’Ag ri. Ma ecco il
paradosso generato dalla sentenza del Consiglio di Stato: oltre la metà di
questa somma, circa 36 milioni di euro non andranno alla Basilicata ma alla
Liguria per il rigassificatore su terraferma di Panigaglia e al Veneto per
quello di Cavarzere a Rovigo, a porto Viro antistante la costa in offshore. In
sostanza, i circa 350mila lucani aventi diritto (a tanto è lievitata la platea)
dovrebbero dividersi la somma di poco più di 31 milioni arrivando così a poco
più di 80 euro a testa. A veneti e liguri, invece, ne andrebbero
complessivamente circa 37 milioni. Di questi, quasi 31 milioni, al Veneto, dove
essendo il numero dei patentati pari a circa 3 milioni, a ognuno spetterebbero
poco più di 10 euro a testa. Ai liguri, invece, ne andrebbero poco più di 5
milioni che ripartiti tra 1 milioni di aventi diritto porterebbero a poco più
di 5 euro a testa. Somme in entrambi i casi inferiori a 30 euro e quindi a
beneficiare sarebbero non i singoli cittadini, ma le regioni.
Ecco cosa potrebbe succedere se si dovesse
ripartire il Fondo idrocarburi in maniera diversa dall’attuale, inserendo i
rigassificatori e tedendo conto delle quantità di gas rigassificato negli
impianti veneti e liguri, cui si aggiungerà quello della Toscana a Livorno
appena entrerà in esercizio.
Sarebbe lo scenario più penalizzante per la
Basilicata, sebbene nel 2012 ha registrato una produzione di greggio pari a
oltre 4 milioni di tonnellate a fronte dei 4,9 milioni di tonnellate estratti
complessivamente in terraferma in Italia. Ma non esiste «territorialità» per il
Consiglio di Stato e così, secondo una proporzione matematica tra produzione di
greggio e gas rigassificato nel 2012 (circa 1,1 miliardi di metri cubi in
Liguria e 6,2 miliardi in Veneto) e loro effettivo valore, si sceglie di
depauperare la Basilicata che dovrebbe cedere a queste due regioni più della
metà delle sue risorse. Saremmo all’assurdo e non si potrebbero escludere
ulteriori diminuzioni per compensare le «perdite» delle due regioni escluse dall’erogazione
dei primi due bonus, magari con un ulteriore ridimensionamento dei circa 80
euro, somma ipotizzata per ogni patentato lucano. Ma dietro la penalizzazione
della Basilicata si ravvisa un capovolgimento di concetti acquisiti
nell’industria petrolifera di produzione, di royalty, di compensazioni
ambientali. E a fronte di tutto questo la stessa Assomineraria potrebbe
prendere una posizione ravvisando anche un illegittimo vantaggio competitivo ai
danni delle imprese che operano nel settore estrattivo. Perché, nel caso
specifico, Eni e Shell, dovrebbero vedere che più della metà delle royalty
versate sulle produzioni lucane vanno quasi a «compensare» quello che operatori
in impianti di rigassificazione non versano nel Fondo, con un vantaggio
competitivo a loro beneficio. Imprese che peraltro già godono di remunerazioni
relative all’attività regolata e al sistema tariffario, a fronte di quelle
estrattive che non recuperano i costi di produzione.
Questo dal punto di vista delle imprese, ma
guardando ai territori basta considerare le compensazioni ambientali che gli
operatori degli impianti di rigassificazione già versano ai territori dopo aver
stretto accordi con gli enti locali e le popolazioni. Perché poi dovrebbero
beneficiare anche delle royalty di altri territori? La querelle è aperta.
09 Agosto 2013
Cassa integrazione in Puglia, in un anno
crescita del 74%
Da giugo a luglio
erogate 400mila ore in più
Pugliese:«Subito il
Piano Straordinario per il lavoro»
La ripresa della
cassa integrazione fa scattare l’allarme in Puglia. Nel mese di luglio le ore
autorizzate dall’Inps sono state quasi 5,5 milioni a fronte dei 3,1 milioni di
giugno 2013 (+74,2%). In particolare, nonostante le rassicurazioni del ministro
del Lavoro Enrico Giovannini «diventa inesorabile sollecitare l’immediato
rifinanziamento della cassa in deroga che ha consentito finora di salvaguardare
in Puglia oltre 20mila posti di lavoro. Ciò al fine di evitare un drammatico
effetto domino che rischia di condurre le aziende superstiti alla crisi a
chiudere i battenti e licenziare altri lavoratori. Dall’inizio del 2013 il
contatore della crisi indica il dato certo di quasi 9.500 aziende fallite in Italia,
oltre 300 a settimana».
Questa è l’amara
analisi di Aldo Pugliese, Segretario Generale della Uil Puglia e Bari, alla
luce dei nuovi dati sulla cassa integrazione. «Si tratta di indici che
subiscono l’aggravio di essere in controtendenza rispetto a quelli nazionali e
che, dunque, sono prodromi evidenti di una crisi sempre più imperante nella
nostra regione». Nel dettaglio, registrano un rialzo di 23,5 punti percentuali
gli interventi di cassa ordinaria (Cigo) passati da 1,5 milioni di ore di
giugno 2013 a quasi 1,9 milioni di luglio. Ancora più consistente è l’aumento
congiunturale della cassa straordinaria (Cigs) le cui ore autorizzate a luglio
2013 (quasi 2,5 milioni) segnano un incremento dell’87,4% rispetto al
precedente dato di giugno 2013 (1,3 milioni di ore). «Preoccupano molto gli
indici di aumento della Cigs – commenta Aldo Pugliese – perché viene accordata
nell’ipotesi di crisi aziendale. Quindi, a differenza della cassa ordinaria,
non si tratta di una difficoltà temporanea con la triste conseguenza che molte
aziende della Puglia rischiano di cessare l’attività produttiva». In ordine
agli interventi in deroga (Cigd), malgrado le incertezze legate allo strumento,
si segna una pericolosa impennata del 251,1% sul precedente dato di giugno 2013
allorquando le ore autorizzate dall’Inps sono state 333mila rispetto ai quasi
1,2 milioni di luglio. «In Puglia, il sistema della cassa in deroga (nonché
della mobilità in deroga) – conclude Aldo Pugliese – rischia di non reggere più
in quanto fino a luglio 2013 si stima la necessità di circa 190 milioni di euro
a fronte dei 134 milioni finora stanziati dal governo Letta. In Puglia sono
44mila i lavoratori percettori di cassa e mobilità in deroga, pertanto è
evidente la palese e costante attenzione che il governo centrale deve rivolgere
agli ammortizzatori in deroga. D’altro canto, il governo regionale deve
stringere i tempi per concretizzare il Piano Straordinario per il lavoro in
favore dei suddetti lavoratori a seguito dell’Accordo sottoscritto lo scorso
febbraio tra la Regione Puglia e le Organizzazioni Sindacali».
Ipercoop, naufraga la trattativa: punti campani
a rischio
Avellino |
08/08/2013
AVELLINO - Salta la
trattativa tra sindacati e la Coop per salvare la presenza in Campania dei
punti vendita. Il colosso della grande distribuzione conta qui cinque siti
(Afragola, Avellino, Quarto, Arenaccia e S. Maria Capua Vetere) tutti in
difficoltà. Punto di partenza del confronto infatti era la constatazione di
«una crisi molto grave che tocca pesantemente tutti e cinque i punti di
vendita, con una perdita stimata in circa 16 milioni di euro per il 2013 e con
trend in peggioramento da anni. La profondità della crisi è tale che Unicoop
Tirreno, oggi unica grande Coop presente in Campania, sta già concludendo una
procedura di mobilità per circa 250 lavoratori e la chiusura dell'ipermercato
di Afragola». Queste le parole in una nota di Coop.
Di qui un piano di intervento deciso e
incisivo sui costi diretti e indiretti ma anche sull'ipotesi di rilancio,
presentato dalle due cooperative emiliane (Coop Estense e Coop Adriatica) ai
sindacati. Il confronto ha «registrato convergenze positive su diversi punti,
ma non sui tempi di realizzazione della nuova organizzazione. Infatti, mentre
le cooperative sostenevano l'urgenza del cambiamento (urgenza determinata
dall'insostenibile dimensione della perdita: oltre 16 milioni di euro) le
organizzazioni sindacali chiedevano di rinviarlo di due anni, per poter
realizzare un periodo equivalente di cassa integrazione.
La richiesta sindacale se pur sicuramente
comprensibile sul piano della tutela immediata delle condizioni dei lavoratori,
porta però con sé una certezza negativa nell'immediato futuro: quello di vedere
crescere le perdite in questi due anni così da superare definitivamente il
punto di non ritorno, già oggi raggiunto, della crisi aziendale» affermano le
coop emiliane. Di qui il rammarico nel «dover prendere atto che non vi erano i
presupposti minimi per un intervento in Campania, perché, in queste condizioni,
si sarebbe confermata l'attuale situazione di perdita economica senza alcuna
prospettiva di recupero».
L'UNIONE SARDA - Economia: «Troppe ditte in
ginocchio»
09.08.2013
CARBONIA Maggio e
giugno sono trascorsi senza che la fiscalità di vantaggio diventasse qualcosa
di più di una bella parola. A luglio il decreto che dovrebbe concretizzarla è
stato registrato alla Corte dei Conti e ancora una volta si è brindato al via
libera della misura che dovrebbe liberare le migliaia di imprese del Sulcis Iglesiente
in ginocchio dal fardello di tante imposte grazie a uno stanziamento di oltre
120 milioni di euro. Ma ad oggi non sono più giunte notizie.
IL DOCUMENTO Lo
segnalano, con l'ansia di chi sa che senza questi aiuti si chiude e si va tutti
a casa, gli iscritti al Consorzio fieristico sulcitano (guidato da Mauro De
Sanctis) che, nei giorni scorsi, si sono riuniti per fare il punto della
situazione. La riunione si è chiusa con la stesura di un documento-appello alla
Regione e al Governo: «I fondi destinati alla fiscalità di vantaggio restano
fermi con un doppio rischio: il recupero delle risorse da parte del Governo e
la modifica della destinazione dei fondi - scrivono - Dopo la registrazione
della Corte dei Conti, per la pubblicazione del bando per la raccolta delle
richieste di agevolazione fiscale e contributiva manca ancora il parere della
Regione». La paura è che si perda tempo prezioso: «Le circa settemila imprese,
ormai in agonia perenne, chiedono alla Regione ed in particolare al presidente
Cappellacci, di esprimersi immediatamente e dare parere favorevole alla
spendibilità delle risorse - aggiungono - l'intera categoria manifesta seria e
forte preoccupazione». Insomma, nessuno vuole rischiare che qualcuno a Roma
possa decidere di dirottare altrove risorse «che potrebbero somministrare
ossigeno nel mondo della piccola imprenditoria del Sud Ovest sardo che, ormai,
versa in uno stato di crisi economico-finanziaria-occupazionale senza
precedenti».
IL BANDO Ieri
intanto da Cagliari è arrivata una buona notizia legata al Piano Sulcis: La
Giunta regionale, su proposta dell'assessore della Programmazione Alessandra
Zedda, ha approvato l'attivazione del programma di interventi di sostegno
diretto alle imprese del Sulcis che operano esclusivamente nel settore dell'agroalimentare.
Da subito gli interessati potranno presentare (sino al 30 settembre) le
manifestazioni di interesse per il bando “Misure di sostegno all'attività di
impresa” rivolto alle aree di crisi e territori svantaggiati della Sardegna. La
comunicazione di apertura del bando sarà ufficializzata dopo il 20 agosto. «Il
piano coinvolge i 23 Comuni del Sulcis Iglesiente - hanno spiegato l'assessore
Zedda e il presidente Ugo Cappellacci - e potrà contare su dieci milioni di
euro. L'inserimento nel bando per le aree di crisi, già aperto nelle scorse
settimane, è stato fortemente voluto dalla Giunta per dare risposte concrete a
un territorio fortemente condizionato dalla chiusura dei grandi poli
industriali». (s. p.)
Istat. Prezzi al consumo
Nel mese di luglio
2013, l'indice nazionale dei prezzi al consumo per l'intera collettività (NIC),
al lordo dei tabacchi, aumenta dello 0,1% su base mensile e resta stabile
all'1,2% su base annua (la stima provvisoria era +1,1%).
La stabilità
dell'inflazione è la sintesi di spinte di segno opposto: da una parte, i
rallentamenti delle dinamiche tendenziali dei prezzi di tutte le tipologie di
servizi, dall'altra l'accelerazione della crescita su base annua dei prezzi di
gran parte delle tipologie di beni e in particolare degli Energetici non
regolamentati.
Contribuiscono al
rialzo congiunturale dell'indice generale gli aumenti dei prezzi dei Servizi
relativi ai trasporti (+1,2%), sui quali incidono fattori stagionali e dei Beni
energetici non regolamentati (+0,8%). Questi aumenti sono in parte compensati
dal calo dei prezzi degli Alimentari non lavorati (-2,3%), per lo più dovuto ai
Vegetali freschi (-7,2%) e alla Frutta fresca (-6,7%).
L'inflazione
acquisita per il 2013 è pari all'1,2%. A luglio l'inflazione di fondo,
calcolata al netto dei beni energetici e degli alimentari freschi, rallenta
all'1,1% (era +1,2% a giugno).
Al netto dei soli
beni energetici, la crescita tendenziale dell'indice dei prezzi al consumo
resta stabile all'1,3%.
Rispetto a luglio 2012,
il tasso di crescita dei prezzi dei beni sale allo 1,1%, dallo 0,9% di giugno,
mentre quello dei prezzi dei servizi scende all'1,3% (era +1,6% nel mese
precedente). Pertanto, il differenziale inflazionistico tra servizi e beni si
riduce di cinque decimi di punto percentuale rispetto a giugno 2013.
I prezzi dei
prodotti acquistati con maggiore frequenza dai consumatori diminuiscono dello
0,2% rispetto al mese precedente e crescono del 2,0% nei confronti di luglio
2012 (era +1,7% a giugno).
A luglio 2013,
l'indice armonizzato dei prezzi al consumo (IPCA) diminuisce dell'1,8% su base
mensile - principalmente a causa dei saldi estivi di cui il NIC non tiene conto
- e aumenta dell'1,2% su base annua, in rallentamento di due decimi di punto
percentuale rispetto a giugno (+1,4%). I dati definitivi confermano le stime
preliminari.
L'indice IPCA a
tassazione costante (IPCA-TC) diminuisce dell'1,9% in termini congiunturali e
aumenta dell'1,1% in termini tendenziali.
L'indice nazionale
dei prezzi al consumo per le famiglie di operai e impiegati (FOI), al netto dei
tabacchi, aumenta dello 0,1% su base mensile e dell'1,2% rispetto a luglio
2012.
Istat. Commercio con l’estero
Rispetto al mese
precedente, a giugno 2013 si registra un aumento sia per l'export (+1,2%) sia
per l'import (+1,6%).
L'incremento
congiunturale delle esportazioni è la sintesi di un aumento significativo delle
vendite verso i paesi Ue (+3,8%) e di una diminuzione verso i paesi extra Ue
(-1,7%). Sono in forte crescita i beni di consumo durevoli (+7,8%) e quelli
strumentali (+2,8%).
L'aumento
congiunturale dell'import è più accentuato per gli acquisti dai paesi extra Ue
(+2,5%) che per quelli dall'area Ue (+0,9%). Sono in forte crescita i prodotti
energetici (+7,7%) seguiti dai beni strumentali (+2,2%).
Rispetto al
trimestre precedente, nel secondo trimestre 2013 le esportazioni sono in lieve
espansione (+0,4%) mentre cala decisamente l'import (-2,1%).
Rispetto allo stesso
mese del 2012, si registra una diminuzione sia per l'export (-2,7%) sia, in
misura più accentuata, per l'import (-5,6%). La flessione delle importazioni è
più marcata per gli acquisti dai paesi extra Ue (-8,7%) mentre la riduzione dell'export
è determinata da una diminuzione di pari entità delle vendite verso i paesi Ue
(-2,8%) ed extra Ue (-2,7%).
Al netto delle
differenze nei giorni lavorati (20 giorni a giugno 2013 contro i 21 giorni di
giugno 2012), l'export risulta in crescita (+3,0%), più elevata verso l'area Ue
(+3,6%). Per l'import si conferma la flessione, ma a livelli più contenuti
(-1,7%).
A giugno 2013 il
saldo commerciale è pari a +3,6 miliardi, più ampio di quello conseguito a
giugno 2012 (+2,8 miliardi). L'avanzo complessivo è il risultato di un surplus
sia con i paesi extra Ue (+2,5 miliardi) sia con quelli Ue (+1,1 miliardi). Al
netto dell'energia, la bilancia risulta in attivo per 8,3 miliardi.
Nel primo semestre
del 2013 si rileva una contenuta flessione tendenziale per l'export (-0,4%)
mentre l'import è in marcata diminuzione (-7,0%). Il saldo positivo del periodo
raggiunge i 12,3 miliardi e, al netto dei prodotti energetici, sfiora i 40
miliardi.
A giugno la
diminuzione tendenziale dell'export è particolarmente accentuata verso i paesi
ASEAN (-14,1%). Rilevante la diminuzione delle vendite di prodotti petroliferi
raffinati (-27,5%).
Sono in forte
diminuzione le importazioni dai paesi OPEC (-28,6%) e in marcata contrazione
gli acquisti di prodotti dell'estrazione di minerali da cave e miniere (esclusi
petrolio e gas) (-21,2%).
Fatturato industria sotto livelli 2008
In 4 anni margine operativo netto sceso del
16,9%
08 agosto, 17:44
(ANSA) - MILANO, 8 AGO - Il fatturato
dell'industria italiana, al netto delle partecipazioni estere dei grandi
gruppi, si è attestato nel 2012 sotto ai livelli del 2008, con un calo dello
0,2%. Lo si legge nell'edizione aggiornata del tradizionale rapporto di agosto
dell'Ufficio Studi di Mediobanca basato sull'indagine di 2.035 società italiane
sopra i 500 addetti. Più evidente il calo del margine operativo netto, pari al
16,9%, con valori ancora più distanti dai livelli pre-crisi (-36,8% rispetto al
2007).
P.a: uno su due dipendenti è over 50
Età media di 47,8 anni nel 2011, era 43,6
nel in 2001
08 agosto, 17:32
(ANSA) - ROMA, 8 AGO - I dipendenti pubblici
in Italia sono i più anziani dell'insieme dei Paesi Ocse. Lo afferma l'Aran
sottolineando che poco meno della metà ha un'età pari o superiore a 50 anni.
L'età media negli ultimi anni è passata da 46,3 anni del 2001 ai 47,8 del 2011.
In Francia e in Gran Bretagna il 30% del personale ha 50 anni o più. D'altra
parte in Italia i lavoratori del pubblico impiego sotto i 35 anni sono il
10,3%, mentre in Francia sono il 28% e in Gran Bretagna il 25%.
P.a: in 2 anni -120mila dipendenti
Spesa totale retribuzioni -2,3% in 2012 e
-1,6% in 2011
08 agosto, 17:26
(ANSA) - ROMA, 8 AGO - Nei 2 anni, tra il
2011 e il 2012, i dipendenti pubblici sono diminuiti di 120 mila unità (-3,5%)
con un risparmio per le casse dello Stato di 6,6 miliardi al lordo dei
contributi. La spesa totale per le retribuzioni è diminuita del 2,3% nel 2012 e
dell'1,6% nel 2011. Sono i dati comunicati dall'Aran in una conferenza stampa.
Canton Ticino, Svizzera. Falliti e razzisti
di Erminio Ferrari - 08/09/2013
Fallimento dopo fallimento, la Lega Nord si
è infine rivolta ai “fondamentali” della propria sgangherata ideologia. Al
razzismo in particolare. Vuoi perché fornisce ai resti della sua dirigenza le
sole occasioni di visibilità nei mezzi di informazione, vuoi perché in tempi
difficili ci si ancora a ciò che si conosce e pratica meglio.
Così tocca al ministro per l’integrazione
Cécile Kyenge trovarsi quasi quotidianamente esposta agli insulti e alle
meschinità di consiglieri comunali, assessori, dirigenti provinciali, fino a
parlamentari europei ex ministri o vicepresidenti del Senato tuttora in carica.
Ora, se c’è una cosa da salvare del governo
Letta è proprio la nomina a ministro di questa donna di nascita congolese e di
cittadinanza italiana. Con la sola riserva (o dubbio, o pensiero malevolo) che
nel contesto italiano di oggi potrebbe tutto sommato sembrare facile nominare
una ministra nera per compiacere le buone coscienze dell’elettorato
progressista : tanto gli insulti li prende lei. Ma non c’è motivo di dubitare
della buona fede di Letta, e in ogni caso questo è un altro discorso.
Ciò che semmai qui conta rilevare è che la
presenza di una ministra nera nel nuovo governo sembra essere stato il reagente
che ha fatto venire allo scoperto gli elementi peggiori di un pensiero diffuso
(o carattere collettivo, se volete), del quale i leghisti – accomunati agli
estremisti della destra più impresentabile – sono interpreti e agenti politici.
In alcuni casi, veri e propri mentecatti; in altri autentici farabutti che
sfruttano lo schermo di una carica elettiva quale garanzia di impunità per gli
insulti che rivolgono a Kyenge. E se non sono intelligenti, si credono furbi.
Dopo il bingo bongo di Borghezio, dopo l’orango che la ministra ricorda a
Calderoli, ieri è toccato al segretario della Lega Lombarda Salvini
inventarsene una nuova, capolavoro di malafede: la richiesta di abolizione del
ministero di cui Kyenge è titolare, esoso e inutile a suo dire.
Allora, due cose per tentare di spiegare
senza giustificare. Una, che ormai è un refrain, è che l’Italia è un Paese di
recente (e relativo) benessere, e di immigrazione ancora più recente, dunque un
Paese a cui sarebbero mancati i tempi per metabolizzare e fare tesoro dell’arrivo
e dell’insediamento di persone di altre terre e culture. Si aggiungano le
durezze sociali e le paure indotte dalla crisi, e il quadro una qualche
plausibilità potrebbe averla. Salvo che razzismo e xenofobia non seguono i
cicli economici.
La seconda è che per una Lega che le sta
tentando tutte per non scomparire, il razzismo è una boa a cui aggrapparsi. I
suoi dirigenti, consumato un inutile parricidio e privi ormai del grande
sponsor braccato dalle sentenze passate in giudicato e da quelle in arrivo,
possono soltanto rivolgersi alle interiora di una base disorientata e rabbiosa.
Mostrando in questo modo la loro pochezza politica e, in definitiva, umana.
Perché il problema – a differenza di quello
che fingeva di porsi Calderoli – non è di verificare se Cécile Kyenge può dirsi
italiana: è che lo sono loro.
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