sabato 28 settembre 2013

XXVIII.IX.MMXIII – Calabria e Molise, Mef: (...) Pertanto, per l’anno di imposta 2013, in queste regioni si conferma l’applicazione automatica della maggiorazione dell’addizionale Irpef e dell’aliquota Irap prevista in questi casi dall’articolo 2, comma 86, della legge 191/2009. La maggiorazione dell’aliquota Irap è pari allo 0,15% mentre quella dell’addizionale regionale Irpef è dello 0,30%.---(ANSA) - La crisi si abbatte su ristorazione e moda. Nei primi 8 mesi del 2013, hanno chiuso i battenti 50.000 imprese, con un saldo negativo di 20.000 esercizi: quasi 4.600 fra bar e ristoranti, mentre una chiusura su quattro nel commercio arriva da un negozio di abbigliamento.

Petrolio. Trattative autonome per il petrolio. 
Petrolio. Wwf lancia l’allarmeper le trivellazioni nel golfo dello Jonio
Aranciata? Sì, senza arance
L'identità italiana e le ricostruzioni storiche sul Risorgimento e sulla Resistenza
Confermate in Calabria e Molise le maggiorazioni irap e irpef ai fini del piano di rientro del deficit sanitario
Confesercenti, 50.000 chiusure in 2013
Crisi: Confesercenti, continua boom negozi on line, +24, 5%
Fmi:deficit Italia3,2%,trovare fondi Imu
Lubiana a un passo dagli aiuti europei




Petrolio. Trattative autonome per il petrolio.
Dopo Viaggiano è la volta di altri quattro comuni
I sindaci di Muro Lucano, Spinoso, Lagonegro e  Craco a Roma per sentire cosa ha da offrire il Governo in cambio del petrolio dei lucani
POTENZA - L’apripista è stato il comune di Viggiano per conto anche dei vicini della Val d’Agri. Ma prima ancora che arrivasse la firma di due settimane fa un’iniziativa simile è partita dal altri 4 primi cittadini, arrivati a Roma per sentire cosa ha da offrire il Governo in cambio del petrolio dei lucani. Inteso quello che è ancora da estrarre.
«Istituire un tavolo di lavoro tra i soggetti attivi nella programmazione. Non solo la Regione ma anche i sindaci in rappresentanza dei propri territori, vista la complessità della materia e visti gli scarsi risultati ottenuti fin ora dalle popolazioni lucane». E’ stato questo il tema centrale dell’incontro che si è svolto due giorni fa negli uffici del Ministero dello Sviluppo Economico a Roma, tra una delegazione di sindaci lucani e l’ingegnere Franco Terlizzese direttore generale per le risorse minerarie ed energetiche assieme al suo staff.
Si è trattato - hanno reso noto i protagonisti - di un incontro  richiesto da tempo come «conseguenza pratica e operativa delle risultanze del convegno sul Petrolio tenuto a Muro Lucano agli inizi di settembre». Alla riunione erano presenti Vito Mariani per Muro Lucano, Pasquale De Luise per Spinoso, Domenico Mitidieri per Lagonegro e Giuseppe Lacicerchia per Craco. Per il comitato dei primi cittadini l’occasione sarebbe stata utile per ribadire ai tecnici del Ministero che sul «tema petrolio e in relazione alle competenze che il Ministero ha in materia,  si rende necessario istituire un tavolo permanente con Regione e comuni». I temi trattati sono stati tanti, «dalla necessità di un maggiore e più trasparente sforzo nell’assicurare la massima tutela ambientale e della salute, alla maggiore condivisione e partecipazione degli enti locali quali i Comuni nella programmazione degli investimenti che lo stato centrale intende fare sui territori oggetto dell’estrazione, alla maggiore capacità di incidere nel rapporto con le compagnie petrolifere in tema occupazionale, fino ad arrivare al recente decreto attuativo “fondo Memorandum” sul quale si è convenuti di fare un incontro di approfondimento apposito vista la scarsa corrispondenza tra quanto promesso e fatto percepire in Basilicata e quanto deliberato dal Governo centrale».
Acquisita la «disponibilità - conclude la nota dei 4 sindaci - ad una maggior partecipazione attiva dei sindaci nei luoghi dove si decidono le sorti della nostra Regione, non possiamo che essere contenti di aver iniziato un percorso di assunzione di una responsabilità troppo spesso delegata e che da oggi deve toccare tutti i primi cittadini in maniera diretta».
Intanto Laboratorio per Viggiano ha reso noto è stato convocata per lunedì’ 30 settembre alle ore 17.30 una seduta del consiglio comunale di Viggiano che avrà all’ordine del giorno anche le “comunicazioni del sindaco”, Giuseppe Alberti, a proposito della fornitura gratuita del gas ai comuni della Val d’Agri.
Si tratta dell’accordo firmato di recente a Roma per 45mila metri cubi di gas al giorno da destinare a scopi sociali e di sostegno all’imprenditorialità in 10 comuni della Val d’Agri, già annunciato come il primo esempio di protagonismo delle municipalità su temi d’interesse nazionale come il petrolio. Ferme restando le competenze della Regione - almeno in questo caso - che dovrà approvare con una delibera di giunta quanto sottoscritto da Alberti e dall’ex senatore Romualdo Coviello, anche nella prospettiva di un nuovo accordo tra Eni e Regione per portare la produzione giornaliera di greggio a 130mila barili.
Difficile, invece, immaginare l’arrivo di un percorso come quello intrapreso dai 4 primi cittadini ricevuti a Roma giovedì, evidentemente interessati alla prospettiva di ospitare nuovi programmi di estrazioni nei loro territori, ma a condizioni da stabilire con la loro partecipazione».
sabato 28 settembre 2013 09:32

Petrolio. Wwf lancia l’allarmeper le trivellazioni nel golfo dello Jonio
TARANTO - Torna periodicamente. Il pericolo ormai è quasi diventato una realtà. Si avvicina il momento in cui in Puglia potrebbero attivarsi attività di perforazione e sfruttamento di giacimenti petroliferi sottomarini al largo delle coste regionali. Ultimo allarme in ordine di tempo riguarda il golfo di Taranto, area cui è stata assicurata un’ormai prossima attività nel mar Ionio. A rivelarlo, il dossier «Trivelle in vista» del Wwf, secondo cui «su queste zone di pregio marine e costiere continua a incombere la roulette russa del pesante rischio di inquinamento marino derivante dalle attività di perforazione di routine e del rischio di incidente per le piattaforme offshore».
 Il documento è disponibile sul sito dell’associazione, nel quale si può sottoscrivere anche la petizione.

Aranciata? Sì, senza arance
L’Ue boccia, Sicilia beffata
27 settembre 2013 - 13:47 - Ambiente,Cronaca Regionale,Economia
di Stefania Brusca -
L’Italia ci prova ma non sempre riesce a dire la sua in Europa. Ora l’Ue boccia anche una delle misure che avrebbe potuto favorire le aziende siciliane produttrici di arance. Per Bruxelles le bevande si possono produrre e vendere anche se contengono il 12 per cento di frutta, incluse le aranciate. Nulla di fatto quindi per l’aumento del limite stabilito nel decreto dell’ex ministro della Salute Renato Balduzzi, che aveva previsto una quota minima del 20 per cento per tutte le bevande alla frutta vendute in Italia.
 “Alla vigilia della campagna agrumicola l’Europa stoppa l’aumento al 20 per cento dell’arancia nell’aranciata. Una vera e propria batosta per il comparto siciliano che riguarda circa 60 mila ettari per una produzione di oltre 11 milioni di quintali”. E’ il commento amaro del presidente e del direttore della Coldiretti dell’Isola, Alessandro Chiarelli e Giuseppe Campione. Con l’ incremento al 20 per cento si sarebbero venduti almeno 200 milioni di chili di arance in più – proseguono – in questo modo invece si continua a mantenere un sistema di bevande a bassissimo contenuto di agrumi che di certo non aiuta la salute dei consumatori”.
La diffida di Bruxelles è la seconda che incassa il Belpaese. La prima bocciatura era arrivata subito dopo l’emanazione del provvedimento da parte del ministro, ritenuto in contrasto con il principio della libera circolazione delle merci. Il governo Monti poi ci aveva riprovato, cercando di imporre il limite solo alle aziende italiane, lasciando così alle imprese straniere la facoltà di scegliere la quota di frutta da mettere nell’aranciata. Una mossa che aveva preoccupato non poco le aziende produttrici di bevande: temevano infatti di dover affrontare un settore liberalizzato per gli stranieri e vincolato per le imprese di casa nostra.
 La seconda diffida dell’Ue, almeno per il momento, mette la parola fine alle aspettative degli agricoltori siciliani. Un settore colpito dalla crisi costantemente alla ricerca di un possibile rilancio.

L'identità italiana e le ricostruzioni storiche sul Risorgimento e sulla Resistenza
di Gigi Di Fiore
L'ultimo libro di Gianni Oliva, "L'Italia del silenzio", stimola una serie di spunti e riflessioni su  come in Italia si è raccontata e interpretata la nostra storia. Analizzando le vicende legate all'8 settembre del 1943, Oliva, brillante saggista e scrittore apprezzato di storia, conclude che "quando un avvenimento viene interpretato non in ragione della sua reale incidenza sulla storia, ma della sua funzionalità a una rilettura rassicurante del passato, si indebolisce a mano a mano che vengono meno le ragioni della sua rilettura".
 Come dargli torto? Anche le ricostruzioni sulla famosa "morte della Patria" nel 1943 hanno subito l'amaro destino vissuto dalle interpretazioni delle vicende risorgimentali. Oliva lo conferma, sostenendo che "è il destino che accomuna tutti i simboli identitari legati all'auto-rappresentazione di una generazione. Gli eroi del riscatto e unità nazionale nel Risorgimento, gli eroi della rinascita nazionale nella Resistenza: abbiamo avuto bisogno di inventare partecipazioni di massa a processi di pochi".
 Meno del 2 per cento degli italiani ebbe parte attiva nell'unità d'Italia, assai di meno i partigiani e i combattenti contro le truppe nazi-fasciste. Però, semplificare affibbiando patenti colletive e di massa a vicende legate a scelte individuali e a una minoranza che ha poi trainato la storia italiana è servito, in questi 70 anni, a legittimare le idee forza alla base della nostra nazione. Un artifizio, insomma. Interpretativo e politico. Utilizzato per scopi politici, diplomatici, economici interni e internazionali.
 Si chiede Gianni Oliva: "La nostra democrazia repubblicana è abbastanza solida per non avere più bisogno di legittimazioni storiche? Oppure è così disorientata e confusa perché si è fondata su legittimazioni fragili?". La risposta  la fornisce Marc Bloch: la storia nasce dalle domande che il presente pone al passato. E, con il passare del tempo, le nostre domande sulla storia italiana si sono rinnovate, vivendo impulsi culturali nuovi.
 Da qui, sul 1943-45, le auto rappresentazioni che dovevano servire a restituire credibilità ad un paese in ginocchio: ci siamo dipinti vincitori, mentre eravamo i vinti nella guerra; tutti anti-fascisti attivi, mentre anche la commissione Parri alla fine ha riconosciuto solo 230mila partigiani. E il Sud, inparticolare, visse davvero un'altra storia nella liberazione, assai diversa da quella del centro-nord. Nonostante le 4 giornate di Napoli.
 Rosario Romeo, lo storico che tanti studi ha dedicato a Cavour, scrisse che "La Resistenza, opera di una minoranza, è stata usata dalla maggioranza degli italiani per sentirsi esonerati dal dovere di fare fino in fondo i conti con il proprio passato". E quel passato significava politiche coloniali con il consenso della maggioranza degli italiani; leggi razziali;solo 18 docenti su 1848 cattedre e 2638 libere docenze che si rifiutarono di giurare per il regime fascista tra il 1931 e il 1932. Dissero sì al giuramento, aderendovi, per ragioni che ognuno può interpretare, il 99,40 per cento dei docenti. Certo,  durante il Ventennio15mila italiani furono spediti al confino per ragioni politiche, mentre 5619 furono imputati dinanzi al Tribunale speciale. Sono grandi numeri? O la nostra caratteristica non è sempre stata quella dei rivoluzionari passivi, alla maniera di Cuoco?
 La storia semplifica processi contrastanti. Gli italiani, nel Risorgimento come nella Resistenza, ebbero in prevalenza atteggiamenti di attesa. Per capire come finissero gli eventi. E, proprio a Napoli, esistono esempi plastici di memorie in contrasto: al corso Umberto, la targa che ricorda l'uccisione di due marinai e due finanzieri da parte dei tedeschi il 12 settembre 1943; poco più avanti, in piazza Garibaldi, le lapidi su due ufficiali dell'esercito morti nel 1942 durante i combattimenti in Africa alleati dei soldati tedeschi di Rommel.  Due memorie, in contraddizione tra loro. Ecco, semplificare per legittimare il presente non fa mai bene. Nè alla memoria, né alla nostra ricerca eterna di identità nazionale.
Pubblicato il 27 Settembre 2013 alle 14:41

Confermate in Calabria e Molise le maggiorazioni irap e irpef ai fini del piano di rientro del deficit sanitario
Il Tavolo per la verifica degli adempimenti e il Comitato permanente per la verifica dell’erogazione dei livelli di assistenza, gli organismi tecnici con il compito di monitorare l’attuazione dei piani di rientro dai deficit sanitari delle Regioni, nelle riunioni dell’8 aprile e del 17 aprile 2013 hanno constatato che nel 2012 la Calabria e il Molise non hanno raggiunto gli obiettivi fissati nei rispettivi piani.
 Pertanto, per l’anno di imposta 2013, in queste regioni si conferma l’applicazione automatica della maggiorazione dell’addizionale Irpef e dell’aliquota Irap prevista in questi casi dall’articolo 2, comma 86, della legge 191/2009. La maggiorazione dell’aliquota Irap è pari allo 0,15% mentre quella dell’addizionale regionale Irpef è dello 0,30%.
 L’Agenzia delle Entrate comunicherà le modalità di calcolo dell’acconto IRAP da effettuarsi nel 2013 tenendo conto della maggiorazione, nonché le modalità applicative dell’incremento dell’addizionale regionale IRPEF per l’anno d’imposta 2013
Roma, 27 settembre 2013

Confesercenti, 50.000 chiusure in 2013
A fine anno perse per sempre 30.000 imprese, -90.000 posti
28 settembre, 10:48
(ANSA) - ROMA, 28 SET - La crisi si abbatte su ristorazione e moda. Nei primi 8 mesi del 2013, hanno chiuso i battenti 50.000 imprese, con un saldo negativo di 20.000 esercizi: quasi 4.600 fra bar e ristoranti, mentre una chiusura su quattro nel commercio arriva da un negozio di abbigliamento. E' quanto emerge dall'osservatorio Confesercenti, che a fine anno teme ora 30.000 chiusure definitive e la perdita di almeno 90.000 posti di lavoro. Si salva il web, in 20 mesi +24,5% di aperture di negozi online.

Crisi: Confesercenti, continua boom negozi on line, +24, 5%
10:21 28 SET 2013
(AGI) - Roma, 28 set. - Continuano a crescere i negozi sul web.
   Secondo le rilevazioni dell'Osservatorio Confesercenti le imprese di commercio al dettaglio che vendono attraverso Internet sono aumentate, negli ultimi 20 mesi, del 24,5%. "In particolare - spiega lo studio - da gennaio 2012 ad agosto 2013, le attivita' di commercio web sono passate da 9.180 a 11.430: un saldo positivo di 2.250 unita', pari a quattro imprese in piu' ogni giorno. Il dettaglio territoriale mostra come, da gennaio 2012 a fine agosto, l'incremento maggiore di imprese sia stato messo a segno nelle regioni del Mezzogiorno d'Italia, dove si realizza un aumento del 30,8%. Seguono il Nord-Est, che ha visto incrementare il suo stock di imprese di commercio al dettaglio via Web del 24,5%, e le regioni del Centro (+22,7%). Ultimo posto, invece, per il Nord-Est, dove le imprese crescono del 20,4%. E' da notare, comunque, che quest'ultima macro-regione rimane ancora in testa per numero assoluto di esercizi: 3.330 contro i 3.118 del Sud, in seconda posizione .

Fmi:deficit Italia3,2%,trovare fondi Imu
Deficit cala nel 2014 a 2,1%, debito salirà al 133,1%
27 settembre, 18:15
(ANSA) - NEW YORK, 27 SET - Il rapporto deficit-pil si attesterà nel 2013 al 3,2%, sopra il 3,1% atteso dal governo, per poi calare nel 2014 al 2,1%. Lo prevede il Fmi, sottolineando che il debito arriverà quest'anno al 132,3%, per salire nel 2014 al 133,1%. Le autorità italiane - dice l'Fmi - hanno intrapreso sostenuti aggiustamenti di bilancio nonostante un contesto di crescita difficile, rafforzando la fiducia. Ora bisogna identificare misure che bilancino la perdite delle entrate per l'abolizione dell'Imu.

Lubiana a un passo dagli aiuti europei
Contatti tra governo e Banca centrale per ottenere l’intervento del Fondo salva Stati e il salvataggio del sistema creditizio
di Mauro Manzin
TRIESTE. Non ce la fa, da sola la Slovenia non ce la fa proprio a risollevare le sorti del suo catastrofico sistema bancario che di fatto uccide anche ogni tentativo di rilancio delle capacità imprenditoriali nazionali. Così anche la premier Alenka Bratušek non può più negare i contatti avviati dall’esecutivo con la Banca di Slovenia relativi alla richiesta di aiuto al Fondo salva stati dell’Unione europea proprio per cercare di evitare che le banche del Paese non chiudano per fallimento. La Bratušek continua a gettare acqua sul fuoco ma negare l’evidenza è impossibile, soprattutto quella, a volte spietata, dei numeri. Infatti se il governo prevede che per sanare le banche slovene serva una ricapitalizzazione delle stesse pari a 1,2 miliardi di euro, un’analisi decisamente più realistica dello stato delle cose porta a prevedere invece un’iniezione da 5 miliardi di euro. La premier sostiene che tutto sarà svelato dopo gli stress test cui gli istituti bancari sono sottoposti in questi giorni e i cui risultati saranno resi noti i primi giorni del prossimo mese. Eppoi, sempre secondo la Bratušek, la richiesta di aiuto all’Europa per il salvataggio delle banche non determinerebbe il tanto temuto arrivo in Slovenia della troika targata Ue. Diplomatiche le dichiarazioni del direttore del Fondo salva stati europeo, Klaus Regling il quale in un’intervista al Wall Street Journal ha affermato che fino ad ora il governo sloveno continua a sostenere di non aver bisogno di aiuto. «Sappiamo - ha dichiarato - che hanno già chiuso due piccole banche, sappiamo che almeno due delle sue tre banche più importanti hanno urgente bisogno di aiuto, ma da Lubiana continuano a ripeterci che ci penseranno loro. Forse hanno emesso titoli di Stato sul mercato finanziario». Regling poi definisce «assolutamente normali» le ritrosie slovene alla richiesta di aiuto che, del resto, va dato solo come extrema ratio visto che il denaro che viene sborsato arriva dai portafogli degli altri Stati membri.
La situazione forse sarà più chiara dopo l’incontro previsto lunedì prossimo a Lubiana proprio tra la Bratušek e il presidente dell’Eurogruppo Jeroen Dijsselbloem. «Noi gli spiegheremo quanto stiamo facendo in modo approfondito e dettagliato - sostiene la premier - gli diremo che siamo pronti a trasferire tutti i derivati e i crediti inesigibili delle nostre banche nella cosiddetta “Bad Bank”, ma personalmente gli chiederò anche perché alcune cose proprio relative alla “Bad Bank” siano state affrontate con molta lentezza proprio all’interno della Commissione Ue». Per la Slovenia le prossime saranno ore decisive anche se la disamina dei fatti induce a un serio pessimismo. Infatti se Bratušek si è affannata a spiegare ai manager sloveni riuniti a Pirano che il governo sta lavorando seriamente al risanamento del sistema bancario che consentirebbe di poter offrire finanziamenti competitivi al sistema industriale del Paese, oramai quasi una filastrocca che diventa sempre più poco credibile se non si passa ai fatti concreti, deve incassare la netta osptilità dei sindacati sloveni che hanno interrotto l’incontro con la premier pochi minuti dopo l’inizio dell’incontro. Per le parti sociali è sembrata una vera e propria provocazione da parte del governo la presentazione di un complesso dossier di 400 pagine da esaminare e valutare con solo 24 ore di tempo a disposizione. E così hanno lasciato il tavolo se ne sono andati. «Evidentemente - è stato il commento di Bratušek - non si rendono conto della gravità della situazione in cui versa il Paese». «Questo non è dialogo sociale», è stata la secca replica dei sindacati che preannunciano un autunno caldissimo sul fronte di scioperi e proteste. La Bratušek e il suo sfilacciato governo sono sempre più soli e ben consci di aver bisogno dell’aiuto di mamma (o matrigna) Europa che comporterebbe però anche l’eutanasia di un’intera classe politica.

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