martedì 8 ottobre 2013

VIII.X.MMXIII – Panglossiani in ferie forzate nel vaso di pandora. Se non fosse tragico sarebbe commedia

Parlamentari in visita in Val d'Agri. E i sindaci "ribelli" fanno irruzione
Petrolio. Da Tecnoparco a Costa Molina. Tensione sul ciclo degli scarti
Jonio a rischio idrogeologico «Meglio evitare trivellazioni»
Ilva, la Provincia chiede 13 milioni
Istat. Reddito e risparmio delle famiglie e profitti delle società
Il giallo dei verbali segreti Fmi: "Banche salve a spese della Grecia"


Parlamentari in visita in Val d'Agri. E i sindaci "ribelli" fanno irruzione
Sembrava destinata a filare senza intoppi la missione della commissione ambiente della Camera dei deputati in visita in Val d’Agri. Invece i sindaci "rompiscatole" sono intervenuti per dire la loro e non hanno usato mezzi termini per denunciare la situazione delle valli del petrolio
di LEO AMATO e ROSANGELA PEPE
VIGGIANO - «Non è come ve la stanno raccontando». Ma inquinamento dell’aria e dell’acqua, agricoltura e turismo in ginocchio, tumori e morte. Altro che ricchezza e progresso. 
Hanno fatto irruzione senz’essere invitati e non hanno usato mezzi termini per denunciare la situazione delle valli del petrolio i sindaci “ribelli” di Montemurro, Sarconi, Spinoso e Paterno, a nome anche dei colleghi di Moliterno, Marsicovetere, Marsico Nuovo, Tramutola e Grumento Nova.
Sembrava destinata a filare senza intoppi la missione della commissione ambiente della Camera dei deputati ieri in visita in Val d’Agri . Ma nel pomeriggio, terminato il “tour” organizzato dall’Eni all’interno del centro oli tirato a lucido per l’occasione (gli Rsu hanno rivelato che agli operai delle ditte dell’indotto è stata data una giornata di ferie forzate), le cose hanno preso una piega inattesa.
In realtà a scoperchiare il “vaso di Pandora” è stato il sindaco di Pisticci Vito Di Trani, unico dei “rompiscatole” con in tasca un invito in piena regola. Prima di lui, durante le audizioni nell’aula consiliare del comune di Viggiano, erano intervenuti i responsabili della compagnia del cane a sei zampe e di Total, Shell e Mitsui, seguiti dal capo del dipartimento risorse minerarie del Ministero  per lo sviluppo economico Franco Terlizzese. Poi era venuto il turno dei primi cittadini: innanzitutto l’ospite Giuseppe Alberti che ha fatto gli onori di casa e ha accennato alle preoccupazioni per lo stato delle acque del vicino invaso del Pertusillo, quindi la collega di Corleto Perticara Rosaria Vicino, che si è augurata l’avvio immediato del monitoraggio dell’aria non appena partirà l’attività del nuovo centro oli Total.
Subito dopo è toccato a Di Trani che ha messo in guardia i parlamentari, tra cui i lucani Cosimo Latronico (Pdl) e Antonio Placido (Sel) (il senatore Pd Salvatore Margiotta si è aggregato soltanto per la mattinata) rispetto a quanto ascoltato fino ad allora. E ha parlato dei miasmi che si respirano nell’area attorno a Tecnoparco, lo stabilimento che tratta le acque di scarto delle estrazioni in Val d’Agri, la disoccupazione e la carenza di infrastrutture. Mario Di Sanzo, primo cittadino di Montemurro, ha rincarato la dose denunciando le preoccupazioni per la fuoriuscita di sostanze velenose nel suo comune e i possibili collegamenti con il pozzo di reiniezione Costa Molina2 nel territorio di Grumento. Da Sarconi Cesare Marte ha tuonato contro i danni all’agricoltura, il turismo e i rischi di sismicità indotta. «Fareste bene a non avvisare la prossima volta che venite»: è stato invece il suggerimento del primo cittadino di Paterno Michele Grieco, che ha ironizzato sulla “cera” passata per tutto l’impianto del Centro oli  e le ferie forzate per gli operai dell’indotto.
Scossi i membri della commissione che al termine dell’audizione hanno chiesto alla Regione e agli stessi sindaci un supplemento di istruttoria su malattie e distribuzione delle royalties. A tutti ha risposto l’assessore alla sanità Attilio Martorano garantendo che a breve sarà disponibile l’esito degli studi sulla mortalità commissionata all’Istituto superiore di sanità. Più semplice recuperare il dato delle “compensazioni” economiche per le estrazioni. Fino ad allora con ogni probabilità il giudizio resterà sospeso.
martedì 08 ottobre 2013 08:06

Petrolio. Da Tecnoparco a Costa Molina. Tensione sul ciclo degli scarti
E’ stato l’allarme rilanciato dal sindaco di Montemurro sulla contaminazione di una falda che affiora nel suo comune, i possibili collegamenti con il pozzo di reiniezione Costa Molina 2, e le conseguenze ambientali dei cicli alternativi l’argomento più caldo affrontato ieri pomeriggio dai membri della commissione ambiente della Camera in visita a Viggiano
DA qualche anno a questa parte il comune di Grumento si sarebbe messo di traverso alla realizzazione di un nuovo pozzo di reiniezione e per questo ogni giorno decine di autoclavi varcherebbero le valli lucane da Viggiano per raggiungere Pisticci e smaltire le acque di scarto prodotte dalle estrazioni nell’impianto di Tecnoparco Valbasento.
E’ stato senza dubbio l’allarme rilanciato dal sindaco di Montemurro sulla contaminazione di una falda che affiora nel suo comune, i possibili collegamenti con il pozzo di reiniezione Costa Molina 2, e le conseguenze ambientali dei cicli alternativi l’argomento più caldo affrontato ieri pomeriggio dai membri della commissione ambiente della Camera in visita a Viggiano. Forse anche più di quello sullo stato delle acque dell’invaso del Pertusillo, su cui è stata chiamata a relazionare anche Acquedotto lucano spa.
La denuncia di quanto accaduto a contrada La Rossa risale all’anno scorso, ma soltanto di recente le analisi effettuate dalla professoressa Albina Colella dell’Unibas hanno ipotizzato una correlazione con quanto pompato in profondità dall’Eni a due chilometri di distanza.
«Dopo quella denuncia che abbiamo ricevuto, abbiamo chiesto formalmente all’Arpab di fare una serie di controlli sulle acque, di tutto il sistema di adduzione dell'acqua che va alla reiniezione, quindi, andando a guardare tutti i piezometri che stanno lungo il condotto fino alla testa del pozzo di riniezione». Così a margine dell’audizione il direttore generale del dipartimento Ambiente della Regione Donato Viggiano. «Quindi quello che entra e due piccole fonti che stanno da quelle parti. Proprio adesso ho sollecitato Arpab per avere i dati e pubblicarli e diffonderli. E’ dovere nostro. Appena l’Arpab ci fornirà i dati daremo immediata comunicazione. Non solo le analisi ma anche una valutazione tecnica».
Più tardi - a dire il vero - qualche delucidazione in proposito sarebbe stata già fornita dal direttore generale dell’Arpab Michele Vita di fronte ai membri della commissione. Nel senso di conferme rispetto alla contaminazione della falda, ma con più di qualche perplessità sulla sua origine. Questioni che saranno spiegate in maniera approfondita nei prossimi giorni.
martedì 08 ottobre 2013 09:16

Jonio a rischio idrogeologico «Meglio evitare trivellazioni»
di FILIPPO MELE
 POLICORO - Il mar Jonio è a grave rischio idrogeologico. Ricercatori dell’Istituto nazionale di geofisica e vulcanologia (Ingv), del Cnr, e delle Università di Roma Tre, Messina e della Calabria, hanno scoperto una mega frana silenziosa di circa 1000 chilometri quadrati che dalle pendici della Sila sta scivolando nei fondali davanti a Crotone e, quindi, nel Golfo di Taranto. La scoperta è stata riportata sulla rivista Geophycal research letters, da sette studiosi, Liliana Minelli, Andrea Billi, Claudio Faccenna, Anna Gervasi, Ignazio Guerra, Barbara Orecchio, e Giulio Speranza. E subito ha fatto il giro degli ambienti scientifici internazionali.
 Perchè sarebbe così importante questa scoperta da alcuni ritenuta agghiacciante? E perchè dalla Calabria potrebbe interessare e coinvolgere nelle sue conseguenza anche Basilicata e Puglia? Le risposte alle due domande sono integrate. «I fenomeni geologici - hanno affermato i ricercatori - anche se vanno avanti per millenni in modo inoffensivo potrebbero avere delle accelerazioni improvvise in occasione di fenomeni sismici, a seguito dei quali potrebbero verificarsi frane sottomarine e, di conseguenza, maremoti». Ed è ovvio che quando si parla di maremoti nello Jonio non si specificano “confini” tra le tre regioni che si affacciano sul golfo culla del la Magna Grecia.
 Lo stesso mare, altresì, è soggetto a frequenti fenomeni sismici come si può evincere dai comunicati ufficiali dello stesso Istituto italiano di vulcanologia. Comunicati da cui si ricavano negli ultimi sei mesi del 2013, solo per citarne alcuni, il terremoto del 26 settembre, di magnitudo 3; del 12 settembre, di magnitudo 3,5; del 30 luglio, di magnitudo 3,4; e del 24 marzo, di magnitudo 4,3.
 Ma quali sono le cause della mega frana? «La probabile causa - ha spiegato la prima firmataria dello studio, Liliana Minelli, dell’Istituto di vulcanologia - è da ricercarsi nel sollevamento della Calabria a causa della convergenza della miniplacca Ionica, che fa parte di quella africana, verso la parte sud - orientale della nostra penisola». Insomma, è chiaro che la scoperta della frana di 1000 kmq ha introdotto nuovi elementi di rischio geologico che riguardano il Mediterraneo antistante Calabria, Basilicata e Puglia. L’ipotesi di maremoti, senza fare allarmismi, c'è. Da qui la necessità proposta dagli studiosi di un monitoraggio continuo dei tassi di scivolamento. Un monitoraggio a cui farebbe bene a mostrarsi interessata anche la Regione Basilicata.
07 Ottobre 2013

Ilva, la Provincia chiede 13 milioni
Oltre dodici milioni di euro, quasi tredici. È il conto che il commissario della Provincia di Taranto, Mario Tafaro, ha presentato ai Riva.
 Secondo quanto risulta al Corriere del Giorno, il commissario straordinario ha dato mandato ai legali dell’ente i quali, nei giorni scorsi, hanno depositato in tribunale un atto di citazione nei confronti dell’Ilva in cui si chiede il risarcimento dei danni causati dall’inquinamento, sprigionatosi dalla grande fabbrica, allo stabile di via Deledda, struttura della quale è proprietaria la Provincia di Taranto.
 Insomma, il commissario Tafaro prosegue sulla strada che porta dritta dritta alla difesa degli interessi dell’ente di via Anfiteatro, governato,fino a quattro mesi fa dal presidente Gianni Florido.
 Dodici milioni di risarcimento che il commmisario chiede all’Ilva perchè l’industria siderurgica con la sua attività avrebbe prodotto danni alla struttura, che adesso va ripristinata, danni da deprezzamento dell’immobile in questione, danni all’immagine dell’ente provincia stessa.
 Del resto, non più tardi di un mese fa (anche in questo caso la notizia fu anticipata dal Corriere), il commissario Tafaro si rese protagonista (era il 7 settembre) di un’altra eclatante iniziativa quando, con una lettera indirizzata al Comune di Taranto, all’Università di Bari (la sede di via Deledda per anni ha ospitato la facoltà di Scienze della formazione) e al Crest (che lì ha il suo quartier generale nel teatro TaTà) con la quale annunciava che il liceo Lisippo, attualmente ospitato nella sede di piazza Lucania, e l’istituto Paisiello, ora a palazzo d’Ayala, non sarebbero stati trasferiti in via Deledda. Causa inquinamento.
 Addio, dunque, ad una sede confortevole per alunni e docenti ma le ragioni della salute hanno prevalso su quelle economiche. Infatti, la decisione di annullare il trasferimento dei due istituti scolastici, il commissario Tafaro l’ha presa dopo aver letto la relazione dell’Ufficio ecologia della Provincia di Taranto che riportava dati allarmanti sulle condizioni ambientali del quartiere Tamburi. Per cui, il commissario straordinario della Provincia, in quell’occasione ha ritenuto prevalenti le ragioni della salute rinunciando, di fatto, ad un consistente abbattimento per l’ente di via Anfiteatro di fitti passivi.
 Ora la nuova iniziativa: la richiesta di risarcimento danni all’Ilva. In fondo, se la Provincia non ha potuto “risparmiare” un motivo ci sarà pure stato. Per Tafaro quei motivi sono rappresentanti dall’inquinamento prodotto dalla grande fabbrica. Del resto ad un’azione (quella dell’Ilva) corrisponde una reazione uguale e contraria (la richiesta di risarcimento del danno).

Istat. Reddito e risparmio delle famiglie e profitti delle società
Nel secondo trimestre del 2013 il reddito disponibile delle famiglie consumatrici in valori correnti è diminuito al netto della stagionalità dello 0,6% rispetto al trimestre precedente, risultando quasi invariato rispetto al corrispondente periodo del 2012 (+0,1%).
Tenuto conto dell'inflazione, il potere di acquisto delle famiglie consumatrici nel secondo trimestre del 2013 si è ridotto dello 0,7% rispetto al trimestre precedente e dell'1,3% nei confronti del secondo trimestre del 2012. Nei primi sei mesi del 2013, nei confronti dello stesso periodo del 2012, il potere d'acquisto ha registrato una flessione dell'1,7%.
La propensione al risparmio delle famiglie consumatrici, misurata al netto della stagionalità, è stata pari al 9,4%, in diminuzione di 0,2 punti percentuali rispetto al trimestre precedente ma in aumento di 1,7 punti percentuali rispetto al corrispondente periodo del 2012.
La spesa delle famiglie per consumi finali, espressa in valori correnti, è diminuita dello 0,3% rispetto al trimestre precedente e dell'1,8% rispetto al corrispondente periodo del 2012.
Il tasso di investimento delle famiglie è stato pari al 6,3%, invariato rispetto al primo trimestre del 2013 ma in diminuzione di 0,3 punti percentuali nei confronti del secondo trimestre del 2012.
La quota di profitto delle società non finanziarie, pari al 38,4%, è risultata invariata rispetto al trimestre precedente ma ha segnato una diminuzione di 1,2 punti percentuali rispetto al secondo trimestre del 2012.
Il tasso di investimento delle società non finanziarie è stato pari al 19,5%, invariato rispetto al trimestre precedente e in flessione di 0,8 punti percentuali rispetto al secondo trimestre del 2012.

Il giallo dei verbali segreti Fmi: "Banche salve a spese della Grecia"
Il Wall Street Journal pubblica i documenti riservati della riunione del maggio 2010 in cui venne dato l'ok al primo salvataggio. In quell'occasione più di un terzo del board si oppose al progetto: "Affossa Atene solo per consentire agli istituti di credito di tagliare la loro esposizione". Il via libera grazie ai voti Ue e Usa
 di ETTORE LIVINI
MILANO - Il salvataggio della Grecia? Un questione di vita o di morte. Non per Atene, però, ma per le banche, specie quelle francesi e tedesche, piene fino al collo di titoli ellenici. Cui è stato garantito il tempo per mettere in sicurezza i propri conti a spese dei cittadini ellenici. L'accusa non arriva da Syriza, la sinistra radicale del Partenone, nè dai movimenti anti-globalizzazione. Anzi. E' riportata nero sui bianco nei verbali della drammatica riunione del 9 maggio 2010 in cui il Fondo Monetario Internazionale (Fmi) ha dato il via libera al primo piano di aiuti per il paese, pubblicati dal "Wall Street Journal". I documenti, classificati come riservatissimi e segreti, parlano chiaro: più di quaranta paesi, tutti non europei e pari al 40% del board, erano contrari al progetto messo sul tavolo dai vertici Fmi. Il motivo? Era "ad altissimo rischio", come ha messo a verbale il rappresentante brasiliano perché "concepito solo per salvare i creditori, nella gran parte banche del Vecchio continente e non la Grecia".
Il piano era considerato già allora da diversi paesi tra cui Canada, Russia e Australia "troppo ottimistico" e "al limite del panglossiano". I critici sostenevano che le previsioni dell'Fmi erano sovrastimate e che Atene avrebbe pagato un costo salatissimo in termini di recessione e disoccupazione. Sono stati facili profeti, visto che da allora l'economia ellenica si è contratta del 25% e il 27% dei cittadini  del paese è senza lavoro (il 57% i giovani tra i 15 e i 24 anni). Le voci contrarie all'austerity sono state però zittite in sede di votazione dai big del Fondo. Stati Uniti ed Europa hanno tirato dritto e l'organizzazione ha varato quella cura lacrime e sangue da cui la Grecia non si è rimessa ancora oggi pur avendo ricevuto 230 miliardi di prestiti.
Se l'obiettivo del piano era quello di consentire alle banche di ridurre la loro esposizione ad Atene, la ricetta ha funzionato. All'epoca del meeting a Washington le banche francesi avevano in tasca 78,8 miliardi di titoli di stato ellenici e quelle tedesche 45 (le italiane 6,8). Pochi mesi dopo questa montagna d'oro era stata già ridotta di un quarto. E quando l'avvitarsi della crisi ha costretto i creditori privati ad accettare uno sconto del 70% sulla loro esposizione per evitare il default della Grecia, in portafoglio ai big del credito europeo era stata tagliata ancora significativamente.
  (08 ottobre 2013)




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