sabato 5 ottobre 2013

V.X.MMXIII – Inchiodati, da tanto tempo

Confcommercio sull'aumento dell'Iva: "A Cagliari 500 posti di lavoro in fumo"
Basilicata. Eni ipoteca la trattativa sui barili. Il retroscena dell'accordo sul gas
Basilicata. Memorandum, così De Filippo boccia il decreto
Istat. Prezzi delle abitazioni
L’Ungheria dichiara “fuorilegge” i barboni




Confcommercio sull'aumento dell'Iva: "A Cagliari 500 posti di lavoro in fumo"
Sono circa cinquecento i posti di lavoro che andranno persi nella provincia storica di Cagliari a causa dell’aumento dell’Iva dal 21 al 22% e ogni famiglia subirà un incremento delle spese di circa 135 euro. Così Confcommercio Cagliari.
Il report del Centro Studi dell'Associazione accende un faro sugli effetti del provvedimento reso operativo dal Governo il primo ottobre scorso e che prevede pesanti effetti recessivi con un impatto negativo su consumi, prezzi, redditi, produzione e occupazione.
“L’aumento dell’Iva è operativo da pochi giorni ma stiamo già registrando le grida di dolore di commercianti e consumatori – commenta Giuseppe Scura, direttore di Confcommercio Cagliari - infatti questa ennesima stangata si aggiunge a una lunga crisi che ha già stremato famiglie e imprese della Sardegna e il risultato sarà che purtroppo l’economia del nostro territorio subirà ulteriori effetti depressivi”.
L’indagine di Confcommercio Cagliari rileva che la riduzione occupazionale avverrà quando l’incremento dell’aliquota entrerà a regime. Infatti i primi aumenti dell’Iva saranno in massima parte assorbiti dai commercianti che, in generale, non aumenteranno i prezzi finali. Ma bisogna considerare che tutti i costi aziendali subiranno una serie di rincari che difficilmente potranno essere assorbiti a lungo dall’esercente. Secondo l’analisi, ciò significherà un taglio dei costi e l’occupazione non sarà esente da possibili riduzioni di orario o, peggio, di unità lavorative.
GLI AUMENTI. Il nuovo regime fiscale riguarda il 70% dei prodotti e, secondo una stima su base nazionale, costa 207 euro annui a famiglia. Sono consistenti i rincari attesi nel settore dell'abbigliamento (+81 euro), nell'acquisto di scarpe (+25 euro) e bevande alcoliche, vino compreso, e gassate (+12 euro).
IMPATTO SUI CONSUMI. L’incremento dell’Iva amplificherà la già drammatica situazione dei consumi che, dopo aver chiuso il 2012 a -4,3%, ripeterà la performance negativa anche quest’anno segnando -2,4%. L’aumento dal 21 al 22% dell’imposta (che si tradurrà in una riduzione dei consumi dello 0,1%) a parità di altre condizioni, andrà a incidere negativamente sulle spese di dicembre e quindi delle festività, momento nel quale potrebbero finalmente concretizzarsi gli auspicati segnali di ripresa.
IMPATTO SUI PREZZI. In una situazione in cui l'inflazione è sostanzialmente sotto controllo, si avrà un incremento dei prezzi tra ottobre e novembre di circa lo 0,4%: il cosiddetto "effetto scalino", con inevitabili effetti di trascinamento anche nel 2014. Nel dibattito attuale – sottolinea l’indagine di Confcommercio Cagliari - si dimentica quanto accaduto nel 2012: se, in termini di caduta dei consumi, è stato l'anno peggiore della storia repubblicana, ciò è dovuto anche all'incremento dell'Iva avvenuto a metà settembre 2011.
IMPATTO SUL GETTITO. Come già accaduto con l'aumento dell'aliquota dal 20 al 21%, la contrazione della domanda porterebbe con sé anche una riduzione del gettito Iva atteso.
IMPATTO SULLE IMPRESE. In una situazione già di estrema difficoltà per le imprese del commercio gravate da una pressione fiscale da record mondiale e dal mancato pagamento dei debiti della Pubblica amministrazione, un'ulteriore contrazione della domanda interna porterà alla chiusura di molte attività.
IMPATTO SUI REDDITO. Risulteranno maggiormente penalizzate le famiglie a basso reddito in quanto la pressione Iva (rapporto tra Iva pagata e reddito) per il 20% di famiglie più povere arriverebbe al 10,5%, mentre per il 20% di famiglie più ricche - conclude l’indagine del Centro Studi di Confcommercio Cagliari - sarebbe del 7,5%, circa il 30% in meno.
Sabato 05 ottobre 2013 13:21

Basilicata. Eni ipoteca la trattativa sui barili. Il retroscena dell'accordo sul gas
Le clausole che "inchiodano" la Regione all'aumento delle estrazioni in Val d'Agri dopo il patto con i comuni petroliferi
di LEO AMATO
POTENZA - Con l’ok della giunta regionale il gas comincerà ad arrivare subito. Ma se in futuro qualcuno dovesse ostacolare i programmi di Eni, inclusa anche la trattativa per un nuovo accordo con la Regione sull’aumento delle estrazioni, allora i rubinetti verranno chiusi. E saranno i responsabili a doversela vedere con la delusione degli abitanti della Val d’Agri.
Memorandum o non memorandum, nuovo fondo sì o nuovo fondo no, inteso quello per le infrastrutture e il lavoro anche nei territori vicini, per i comuni petroliferi lucani sembra proprio che non sia destinato a cambiare nulla. Almeno quanto ai 5 milioni di euro di nuove “compensazioni” previsti dall’accordo sottoscritto agli inizi del mese tra il sindaco di Viggiano, Giuseppe Alberti, il consigliere nonché ex senatore Pd Rumualdo Coviello e i vertici della compagnia del cane a sei zampe (vedi foto).
E’ quanto emerge dal testo che è stato già sottoscritto dal Comitato paritetico composto da due dei più stretti collaboratori dell’attuale presidente della giunta Regionale Vito De Filippo (Angelo Rinaldi e Pasquale Briamonte) e da Eni/Shell il 12 settembre. Stessa data, per una diabolica coincidenza, anche del decreto interministeriale che ha istituito il fondo per le infrastrutture e il lavoro, pensato dal presidente della Regione Vito De Filippo e dall’ex sottosegretario azzurro Guido Viceconte, per raccogliere una quota delle «maggiori entrate fiscali» provenienti proprio dall’aumento delle estrazioni in Val d’Agri.
Lunedì i contenuti del patto sul gas gratis sono stati esposti a Viggiano dal sindaco in consiglio comunale, mentre il giorno dopo in una sala del parlamentino di via Verrastro è stato il turno di Coviello con i membri dell’associazione ex consiglieri e parlamentari della Basilicata che alla fine hanno proposto «una riflessione a tutte le forze politiche della regione affinché  si sviluppi un dialogo costruttivo e approfondito sul tema del patrimonio di risorse fossili possedute e si determini una programmazione coerente alle stesse per rispondere alle esigenze di sviluppo e di occupazione che sono oramai improcrastinabili».
In realtà non si tratta di un accordo vero e proprio ma di «linee guida per la redazione e sottoscrizione di un disciplinare per la fornitura di gas naturale tra Regione Basilicata, Comune di Viggiano, Eni spa e  Shell Italia E&P spa». Quindi in sostanza contiene tutti i termini della questione ma rinvia per gli aspetti più tecnici a un disciplinare da stilare dopo la costituzione («quanto prima») di un tavolo di concertazione con tutti i rappresentanti delle parti.
Le premesse rimandano al protocollo d’intenti firmato da Regione ed Eni nel ‘98, che prevedeva l’estrazione di 104mila barili al giorno. Poi si parla delle autorizzazioni per la realizzazione della quinta linea del Centro oli di Viggiano che dovrebbe aumentare di un milione di metri cubi la capacità produttiva giornaliera di gas. Ma definendo le «Attività» di Eni e Shell in Val d’Agri viene spiegato che le due compagnie «intendono perseguire programmi di investimento nel territorio lucano che prevedano la produzione di greggio e gas naturale con una possibile successiva fase di sviluppo sostenibile del giacimento da definire con la Regione Basilicata». Insomma l’una cosa e l’altra. I programmi in essere e quelli futuri. E non è finita.
I firmatari infatti riconoscono che «con riferimento alle Attività, la Regione, Eni e Shell stanno verificando il percorso amministrativo per definire un accordo integrativo» che di seguito è indicato con la maiuscola («Accordo integrativo»). Accordo che «dovrà prevedere, tra l’altro, la messa a disposizione della Regione di un certo quantitativo di gas naturale proveniente dalla produzione addizionale del giacimento Val d’Agri derivante dalle Attività per consentire la riduzione del costo del gas per le utenze finali presenti sul territorio».
Chi ha seguito con attenzione le dichiarazioni in tema di petrolio e affini persino durante le primarie per scegliere il candidato governatore del centrosinistra avrà notato l’eco di tante parole sulla bolletta energetica da abbassare che sono state recitate da entrambi i contendenti. Segno di quanto possa essere sentito il tema, anche in termini di ricadute occupazionali attese dalle produzioni che potrebbero essere attratte sul territorio da condizioni “operative” di questo tipo. Altrimenti non si spiegherebbe nemmeno l’attivismo proprio in questo senso dei comuni della Val d’Agri.
Le successive linee guida fissano quindi in 45mila metri cubi al giorno la “Contribuzione in natura”, ossia la quota di gas  «da destinare al territorio del comune di Viggiano e degli altri comuni interessati dalle Attività». Dopodiché - a scanso di ogni equivoco - Regione, Eni e Shell «si danno reciprocamente atto che il quantitativo di gas naturale di cui alla Contribuzione in Natura è da considerarsi parte di quello oggetto dell’ipotesi di Accordo integrativo la cui definizione non sospenderà la fornitura».
Per capirsi, l’erogazione comincerà non appena sarà approvato il disciplinare e i comuni saranno pronti a ricevere il gas estratto assieme al petrolio grezzo e separato in un secondo momento all’interno del Centro oli. Se poi venisse sottoscritto l’«Accordo integrativo» sulla «produzione addizionale» di petrolio dal giacimento «la durata della Contribuzione in natura sarà adeguata a quella superiore prevista» dallo stesso accordo. In caso contrario resterà di 5 anni, prorogabili soltanto all’esito di un nuovo tavolo con la Regione da convocare per discutere della questione.
Infine, appena prima delle conclusioni, c’è la clausola del “rubinetto”, che prevede che «la Contribuzione in natura e le obbligazioni a carico di Eni e Shell (...) siano immediatamente sospese qualora ostacoli di natura amministrativa che esulino dalle disposizioni legislative o regolamentari vigenti al momento dell’approvazione del presente documento in sede di Comitato paritetico, e/o legislativa e/o giudiziale, o fatti comunque non imputabili a Eni e Shell dovessero provocare una significativa interruzione delle Attività». Un “no” della Regione alla richiesta di aumentare la produzione fino a 129mila barili al giorno può essere considerata «una significativa interruzione» delle attività delle due compagnie in Val d’Agri? Stando alla definizione delle «Attività» con la maiuscola sembrerebbe di sì, dato che è inclusa la rincorsa a «una possibile successiva fase di sviluppo sostenibile del giacimento». Ed è chiaro che anche di fronte a ciò Eni e Shell non andranno dai comuni della Val d’Agri a chiedere indietro il gas già erogato. Piuttosto chiuderanno il rubinetto, ma non prima di aver messo nella stessa stanza la Regione con i valligiani costretti a rinunciare a un taglio sulla bolletta stimato attorno al 30% sulle utenze domestiche e alle occasioni di lavoro offerte dalle aziende attratte dal gas superscontato di Viggiano e dintorni.
A quel punto sarà inutile farsi illusioni su dove penderanno le decisioni, specie se dovesse esserci - come adesso - una campagna elettorale all’orizzonte. Con o senza i soldi del fondo “Memorandum”, i tanti che erano attesi e i pochi che sono stati concessi.
giovedì 03 ottobre 2013 09:48

Basilicata. Memorandum, così De Filippo boccia il decreto
"Deludente e da rivedere in tempi brevi"
De Filippo scrive al premier Letta e ai ministri dello Sviluppo economico e dell’Economia, Zanonato e Saccomanni bocciando l'atto attuativo approvato dal governo
di MARIATERESA LABANCA
LA lettera porta la data del 30 settembre scorso, cinque giorni dopo l’annuncio del decreto interministeriale attuativo dell’articolo 16 della legge 27 del 2012, ovvero quello che recepisce l’osannato Memorandum lucano sul petrolio.
Il presidente De Filippo scrive al premier Letta e ai ministri dello Sviluppo economico e dell’Economia, Zanonato e Saccomanni. Quella che arriva dalla massima carica istituzionale della Regione è una sostanziale bocciatura dell’atto attuativo approvato dal governo. Un decreto «sicuramente deludente - scrive il presidente - in relazione sia alle aspettative della Basilicata, sia all’ammontare totale dell’extragettito fiscale ottenibile con un incremento della produzione petrolifera in territorio lucano senza aumento dei pozzi estrattivi previsti». Nell’opinione pubblica il provvedimento dei due ministeri è stato già avvertito come l’ennesimo bluff sulla pelle dei lucani. Gli unici a cantare vittoria sono i parlamentari del centrodestra. Il governatore dimissionario, per altro alle prese in quei giorni con le patate bollenti che ha ritrovato sulla scrivania della segreteria regionale del partito, non esterna alcuna presa di posizione, almeno non ufficialmente. Lo farà solo nella conferenza di fine mandato dello scorso martedì, definendo il decreto «una vera schifezza». Nella lettera inviata qualche giorno prima a Roma, forse ultimo atto, in fatto di estrazioni, da parte del presidente che si avvia a lasciare definitivamente la Regione, è indicata la richiesta: una riformulazione del decreto, in cui venga recuperato lo spirito che ha animato i confronti e gli approfondimenti che si sono sviluppati tra le parti in questi anni.
L’unico elemento positivo dell’atto ministeriale - sottolinea il governatore - è rappresentato dalla ribadita centralità della regione in termini di contributo alla strategia energetica nazionale. Per il resto, il provvedimento va rivisto completamente perché non risponde a quello che la Basilicata aveva chiesto e auspicato di ottenere.
Ma soprattutto non corrisponde alle indicazioni che le parti si erano da date nel corso della trattativa al tavolo tecnico: dove - spiega il presidente - si era detto che il gettito fiscale aggiuntivo andava applicato non alle nuove concessioni e nemmeno alle nuove società insediate sul territorio, ma su società già esistenti  e concessioni già presenti e soggette a incrementi di produzione, sulla base di atti amministrativi e nuovi accordi. E in numeri il grande bluff si traduce in questo: la maggiore entrata fiscale per lo Stato sull’aumento complessivo era stata determinata in 30 miliardi di euro in 20 anni, mentre il decreto pone un limite di 50 milioni di euro annui. Si capisce quale sia il danno per la Basilicata, visto che una parte di queste maggiori entrate avrebbe dovuto finanziare progetti in regione sui quattro assi individuati dal Memorandum sottoscritto nel 2011 dall’ora dirigente del dipartimento energia del Mise, Stefano Saglia, il governatore De Filippo e il senatore, Guido Viceconte, all’epoca dei fatti sottosegretario al Miur:  ambiente, infrastrutture, nuova occupazione derivante dalle attività di ricerca e costituzione di un cluster per l’energia. Un anno dopo, l’articolo 16 della legge sulle liberalizzazioni sembra dar forma agli enunciamneti di principio contenuti del memorandum che in pratica dice: sì all’aumento di produzione, ma solo in cambio di maggiori vantaggi per la Basilicata, attraverso lo spostamento delle risorse derivanti su nuovi “strumenti” in grado di generare sviluppo. Solo che, nel passaggio dalle parole ai fatti, qualcosa, anzi molto, si è perso per strada.
 Senza tener conto - sottolinea ancora il presidente nella lettera - che il provvedimento interministariale  «costringerebbe pure la Regione a sottomettersi a nuove concessioni previste dalla “strategia energetica nazionale” che, al momento della sottoscrizione del memorandum neppure esisteva».
Per questo - dice De Filippo - il decreto va considerato «solo l’inizio, solo una base da implementare». In tempi rapidi, aggiunge il governatore. Perché il provvedimento così com’è non consente alla Basilicata di raccogliere quelle opportunità che potrebbero derivare dalle attività estrattive, per favorire uno sviluppo non solo locale ma funzionale a il Paese. Il governatore chiede «di rivedere integralmente i presupposti per il calcolo del contributo giacché le valutazioni fatte in un anno di confronto anche al tavolo tecnico consideravano».
giovedì 03 ottobre 2013 09:37

Istat. Prezzi delle abitazioni
Nel secondo trimestre 2013, sulla base delle stime preliminari, l'indice dei prezzi delle abitazioni (IPAB) acquistate dalle famiglie sia per fini abitativi sia per investimento registra una diminuzione dello 0,6% rispetto al trimestre precedente e del 5,9% nei confronti dello stesso periodo del 2012.
Con quello del secondo trimestre, i cali congiunturali sono sette consecutivi, ma la loro ampiezza, dopo la diminuzione registrata nel quarto trimestre del 2012 (-2,2%), si va riducendo (-1,5% nel primo trimestre 2013, -0,6% nel secondo). Su base annua, la flessione è la sesta consecutiva, ma la dinamica tendenziale mostra segni di stabilizzazione (-5,9% da -6,0% del trimestre precedente).
Al calo congiunturale contribuiscono le flessioni dei prezzi sia delle abitazioni nuove (-0,8%, che segue il -1,1% del trimestre precedente), sia di quelle esistenti (-0,6%, dopo il precedente -1,5%). Analogamente, il calo su base annua è la sintesi della diminuzione dei prezzi sia delle abitazioni esistenti (-7,4%) sia di quelle di nuova costruzione (-2,6%).
La diminuzione tendenziale dei prezzi delle abitazioni esistenti risulta di ampiezza inferiore rispetto a quella registrata nei due trimestri precedenti, mentre il calo su base annua dei prezzi delle abitazioni nuove è il secondo consecutivo e si amplia rispetto a quello registrato nel primo trimestre (-1,3%).
In media, nel primo semestre dell'anno in corso, i prezzi diminuiscono del 5,9% rispetto allo stesso periodo dell'anno precedente, sintesi di un calo dell'1,9% dei prezzi delle abitazioni nuove e del 7,7% di quelle esistenti.

L’Ungheria dichiara “fuorilegge” i barboni
Via libera all’ennesima legge controversa del governo Orban. Multe o servizi sociali per chi sgarra
 di StefanoGiantin
 BELGRADO. Due norme da cambiare, prima che il ciclone delle critiche internazionali, fondate o meno che siano, raggiunga il livello di guardia. Ma per ora nulla si muove in questo senso, nell’Ungheria di Viktor Orban, ritornata al centro dell’attenzione in Europa. Attenzione riaccesa dalla decisione del Parlamento ungherese di dare luce verde lunedì sera, malgrado il precedente della Corte costituzionale, a un emendamento a una legge del 2012 che criminalizza i vagabondi e i senza casa. Li criminalizza definendo illegale il solo dormire in posti «designati come siti patrimonio dell’umanità», ha specificato l’agenzia di stampa ungherese, Mti. Un modo per permettere, hanno poi puntualizzato i media di Budapest, alle autorità delle città magiare di vietare ai “barboni” di pernottare in luoghi pubblici e zone turistiche. Per chi sgarrerà e non obbedirà alle intimazioni delle autorità ad andarsene e per i recidivi saranno previste multe o l’affidamento ai servizi sociali. Mano pesante per chi invece ha deciso di affrontare il freddo inverno costruendosi una baracca, trovando riparo in una tenda o in un rifugio di fortuna nelle periferie delle città e nei parchi. Per loro si potrebbero perfino aprire le porte delle patrie galere. Menzogne, ha replicato il governo. Nella capitale magiara, ad esempio, sono stati allestiti sufficienti posti letto pubblici per gli “homeless”, nessuno ha necessità di dormire per strada. Legge «inumana», contro poveri e indifesi, ha invece reagito l’opposizione socialista. La norma è pensata solo per «creare zone libere dai senza casa», più di 30mila in tutto il Paese, non per risolvere i loro problemi, ha ribattuto via Internet l’associazione “A Varos Mindenkie”. Associazione per i diritti dei vagabondi che ha poi precisato che non solo le aree «patrimonio dell’umanità» saranno precluse ai vagabondi. Le autorità avrebbero infatti anche il potere di «designare zone aggiuntive» da “ripulire”. In pratica, segnalano gli attivisti, «Budapest» con l’entrata in vigore della norma la settimana prossima «sarà off-limits» per chi non ha un’abitazione ed «è costretto a vivere in strada». Ma non sono solo i barboni a dare il mal di testa a Orban e ai suoi uomini. Ieri Human Rights Watch ha chiesto infatti all’Ungheria di «modificare» quanto prima «le leggi elettorali discriminatorie» - un problema, va ricordato, non solo di Budapest - che impediscono di votare a persone con disabilità intellettuali e sotto tutela. Hrw che ha ricordato che una recentissima sentenza di un comitato Onu (Cprd) ha stabilito che «l’esclusione» dalle urne ungheresi dei diversamente abili con problemi psicosociali, decisa caso per caso da un giudice, è una pratica discriminatoria da interrompere perché in aperta violazione dei diritti umani e del diritto di ciascuno a partecipare alla vita politica della propria nazione, per quanto turbolenta essa sia.


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