giovedì 10 ottobre 2013

X.X.MMXIII – Mariateresa Labanca: (...) Dire che i traguardi raggiunti, in termini di sviluppo, siano lontani dai risultati attesi in virtù delle estrazioni, è ormai un esercizio di retorica. Ma quando ce li hai di fronte, quei numeri, capisci che il senso di sconforto per il paradosso tutto lucano non sarà mai abbastanza.

Basilicata: così ricca, così povera 
Basilicata. Oltre al declassamento torna lo spettro di un taglio alle risorse
Istat. Produzione industriale
Bozen, oltrepadania nord. La Provincia batte cassa da Saccomanni




Basilicata: così ricca, così povera
L'Europa ci declassa, torniamo ex Obiettivo 1
Ufficializzato il declassamento della Basilicata e il ritorno a zona Obiettivo convergenza, cioè nella fascia delle regioni a forte sottosviluppo. Tutto questo nonostante il “tesorone” delle royalties: dal 2008, 762 milioni alla Regione, 83 al solo comune di Viggiano
di MARIATERESA LABANCA
 POTENZA – Una valanga di soldi, cifre che fanno venire i brividi, soprattutto nel giorno in cui Bruxelles ufficializza il declassamento della Basilicata a zona Obiettivo convergenza (ex obiettivo 1), per non aver conseguito una crescita del Pil tale da consentire alla regione di portarsi fuori dalla fascia delle aree sottosviluppate, nonostante le previsioni. L'Europa decide in base a quei dati statistici che ci dicono come il prodotto interno lordo lucano non solo non sia cresciuto, ma addirittura sia tornato a livelli simili a quelli del 2001: fermo al 75 per cento della media europea, facendo così scattare l'automatico passo indietro. Un po' quello che è accaduto anche nelle altre regioni del Mezzogiorno, incapaci di fronteggiare la sfavorevole congiuntura economica.
Ma per la Basilicata l'involuzione ha il sapore di una doppia beffa. E non solo perché a un certo punto del percorso della crescita agevolata dagli aiuti europei la Regione si era distinta tra le altre per i risultati raggiunti. Ma soprattutto perché in base alla ricchezza del suo sottosuolo la Basilicata non può considerarsi al pari delle altre regioni. Nelle casse degli enti pubblici, a partire dalle Regione, per arrivare ai comuni, sono arrivati milioni e milioni di euro. Dire che i traguardi raggiunti, in termini di sviluppo, siano lontani dai risultati attesi in virtù delle estrazioni, è ormai un esercizio di retorica. Ma quando ce li hai di fronte, quei numeri, capisci che il senso di sconforto per il paradosso tutto lucano non sarà mai abbastanza.
Le cifre sono quelle che arrivano dal Ministero dello Sviluppo economico. La direzione generale per le Risorse minerarie ed energetiche ci informa del flusso delle compensazioni economiche derivanti dall'estrazione del greggio: a chi sono andate, e soprattutto in quali quantità. L'ultimo aggiornamento è datato agosto 2013 e ci dà conto delle aliquote della produzione di gas e olio del 2012 versate alla data del 30 giugno del 2013 e quelle relative alla produzione di gas del 2011, versate a seguito della aste effettuate presso la piattaforma di negoziazione P-Gas a gennaio del 2013. Sommando queste due voci il calcolo è facile: il gettito di un solo anno ha portato nelle casse della Regione 168.974.961 euro (più di 91 milioni versati da Eni e altri 77 milioni di Shell Italia). Quasi 50 milioni in più rispetto all'anno precedente. E in totale, dal 2008 ad oggi, più di 762 milioni di euro.
Compensazioni dirette, al netto, a esempio, di quelle derivanti dal Po Val d'Agri. Sappiamo – come ha spiegato il presidente De Filippo nella recente conferenza stampa di fine mandato – che la congiuntura economica negativa degli ultimi anni e il sensibile taglio ai trasferimenti centrali ha portato a utilizzare sempre più spesso questo tesoro per continuare a garantire servizi fondamentali, a partire dall'ateneo lucano. Insomma, una sorta di bancomat – un paragone utilizzato più di qualche volta – a cui attingere per far fronte alla progressiva riduzione di risorse. Attenuanti che però non può bastare a liquidare la questione dell'utilizzo delle royalty e soprattutto non eliminano quell'interrogativo che pesa come una spada di Damocle sulla testa della Regione: perché una parte di quelle risorse non è stata indirizzata verso investimenti che avrebbero dovuto fare da moltiplicatori di sviluppo? 
Sconfitta ancora più cocente se si guarda al flusso delle royalty finite nelle casse dei comuni interessati dalle attività estrattive. Se siete mai stati in Val d'Agri e avete visitato i comuni delle valle che ospita  il Centro Oli, vi sembrerà quasi fantascienza sapere che questa dovrebbe essere la zona più ricca d'Italia. Basta dare un'occhiata alla griglia del ministero che riporta il gettito suddiviso per comuni per concludere che sono quelli lucani i più pagati. Viggiano è in testa alla classifica e stacca di molto quelli che vengono dopo. Dal 2008 ad oggi nelle casse municipali sono finiti ben 83 milioni e mezzo di euro. Che equivale a 25 mila euro per ognuno dei 3200 abitanti. Un'enormità di danaro di cui non ci sono molte tracce sul territorio.  Le aree industriali raccontano un'altra storia. Le attività artigianali o legate all'agricoltura e all'allevamento – ormai compromesse (almeno in termini di immagini) dalla forzata convivenza con le attività estrattive – sono allo stesso livello di quelle di qualsiasi altra area dell'entroterra del Mezzogiorno.
Guadagnano meno, ma comunque tantissimo gli altri comuni lucani interessati dalle estrazioni: nella classifica relativa al gettito del 2013, dopo Viggiano, seguono Calvello (più di 4 milioni in un solo anno), Grumento Nova (tre milioni), Marsico Nuovo (2 milioni), Montemurro (720 mila euro). Non solo. Negli anni hanno ricevuto laute “ricompense” anche comuni come Ferrandina (il fallimento della Valbasento non ha bisogno di troppe presentazioni), Pisticci e Salandra. Va detto che le royalty non possono essere utilizzate per sostenere la spesa corrente. Così com'è vero che anche queste risorse sono vincolate ai limiti del patto di stabilità che le amministrazioni sono tenute a rispettare. Un ostacolo che va superato per evitare di ingessare l'economia degli enti su questo tipo di risorse. Sul punto si è sentito alzare la voce in qualche occasione. Al momento manca, però, un'azione politica forte che vada in questa direzione. Ma, a parte gli ostacoli che si sono frapposti nel tempo, nel paradosso della Basilicata ricca in teoria e povera nei fatti c'è una lacuna che pesa su tutte: la mancanza di programmazione. Perché una cosa è spendere una parte di quelle risorse per un intervento limitato (la realizzazione di un'opera, a esempio) e in grado di produrre occupazione solo per un determinato periodo di tempo. Diverso è, anche in questo caso, tanto per fare un esempio, costruire un impianto a energia “pulita” che consenta di abbassare la bolletta energetica delle aziende, quindi richiamare imprese sul territorio, e creare occupazione di lunga durata. La recente azione dei sindaci della Val d'Agri, guidata dall'amministrazione di Viggiano, che ha chiuso un accordo integrativo con Eni e Shell sul gas aggiuntivo che verrà estratto nella zona, va in questa direzione. Ma le royalty, che comunque continueranno a essere versate, sono un discorso a parte. La legge prevede che il ristoro economico ai comuni del petrolio sia destinato allo sviluppo dell'occupazione, delle attività economiche, all'incremento industriale e a interventi di miglioramento ambientale. A giudicare dai risultati, siamo ampiamente al di sotto di ogni aspettativa.
giovedì 10 ottobre 2013 09:00

Basilicata. Oltre al declassamento torna lo spettro di un taglio alle risorse
La Basilicata, isieme alle altre regioni dell’ex Obiettivo 1, corre il rischio di non vedersi assegnare fondi per il nuovo settennio 2014-2020
MA adesso c’è anche un altro rischio che la Basilicata corre, isieme alle altre regioni dell’ex Obiettivo 1. Ritorna lo spettro di un possibile taglio alle risorse da assegnare per il nuovo settennio 2014-2020. Questo perché si è registrato  un calo nella spesa dei fondi europei previsti dal programma 2007-2013. Dall’inizio dell’anno a fine luglio, infatti, è stato utilizzato solo il 27% di quanto preventivato. Paura resa concreta da alcune proiezioni che vedono, da qui al 2015, per tutta l’Italia, il rischio di una perdita pari a 9 miliardi di euro.
Sono 27,9 i miliardi che l’Italia deve spendere entro il 2015: 6,9 provengono dal Fondo sociale europeo, mentre i restanti 21 dal Fondo di sviluppo regionale a cui dovranno essere aggiunti 21,5 miliardi di cofinanziamento con fondi nazionali.
Secondo alcuni dati risalenti allo scorso maggio, l’Italia aveva raggiunto il 40% della dotazione totale, superando di 1,2 punti il target nazionale (il 38,8%). Nello specifico aveva speso 10,8 miliardi di euro di cui 7,4 del Fondo per lo sviluppo regionale e 3,4 del Fondo sociale europeo (numeri che considerano solo i fondi europei e non il cofinanziamento nazionale). Tutti numeri che considerano solo i fondi europei e non il cofinanziamento nazionale. Questo sprint beneficiava soprattutto dell’accelerazione di fine 2012. Che, però, non è andata avanti con la stessa forza nei mesi successivi.
Dati aggiornati al 7 agosto, del Dipartimento politiche di sviluppo, invece, mostrano come la velocità necessaria per raggiungere i target di spesa sia nettamente calata. In media i risultati sono stati di circa 257 milioni di euro al mese, contro gli 867 milioni che costituirebbero l’obiettivo ottimale. In questo modo, difficilmente riusciremo a raggiungere il traguardo fissato per il prossimo dicembre, che prevede un incremento pari a sei punti percentuali dalla scadenza di maggio.
C’è  il timore per il trend dell’ultimo periodo. Nelle stanze del Governo, addirittura, si ipotizza che, dei circa 17 miliardi che restano ancora da utilizzare, possa andarne in fumo addirittura metà: una cifra compresa tra gli otto e i nove miliardi. Anche perché tra poco dovremo accavallare a queste le sfide della nuova programmazione, per il periodo 2014-2020, nella quale si avranno a disposizione altri 29 miliardi di euro. E in particolare da quelle dell’obiettivo convergenza, come Calabria, Campania, Puglia e Sicilia, più la Basilicata, che nella prima parte del 2013 hanno speso appena il 20% di quanto era previsto su base annuale. Meglio le Regioni competitività, che si attestano al 38,6%, mentre i programmi nazionali inviano segnali di rallentamento. Il Pon ricerca e competitività, ad esempio, negli ultimi nove mesi è avanzato a passi lentissimi. Attrattoriculturali, a maggio, aveva speso appena il 23% dei suoi obiettivi. Così si parla molto di riprogrammazione. Il decreto lavoro ha già spostato un miliardo verso la decontribuzione delle assunzioni degli under 29.
giovedì 10 ottobre 2013 09:16

Istat. Produzione industriale
Ad agosto 2013 l'indice destagionalizzato della produzione industriale è diminuito dello 0,3% rispetto a luglio. Nella media del trimestre giugno-agosto l'indice ha registrato una flessione dello 0,5% rispetto al trimestre precedente.
Corretto per gli effetti di calendario, ad agosto 2013 l'indice è diminuito in termini tendenziali del 4,6% (i giorni lavorativi sono stati 21 contro i 22 di agosto 2012). Nella media dei primi otto mesi dell'anno la produzione è scesa del 4,0% rispetto allo stesso periodo dell'anno precedente.
Ad agosto la lieve diminuzione congiunturale dell'indice complessivo destagionalizzato è associata a variazioni positive nei settori produttori di beni non energetici: beni di consumo (+2,2%), beni intermedi (+1,3%), beni strumentali (+0,1%). Segna invece una variazione negativa il comparto dell'energia (-1,6%).
Gli indici corretti per gli effetti di calendario registrano, ad agosto 2013, diminuzioni tendenziali significative nei comparti dell'energia (-9,7%) e dei beni strumentali (-7,4%). Segna una flessione più contenuta il raggruppamento dei beni di consumo (-2,1%), mentre i beni intermedi registrano una variazione nulla.
Per quanto riguarda i settori di attività economica, ad agosto 2013 i comparti che registrano la crescita tendenziale più accentuata sono quelli della fabbricazione di mezzi di trasporto (+13,1%), della fabbricazione di computer, prodotti di elettronica ed ottica, apparecchi elettromedicali, apparecchi di misurazione e orologi (+12,4%) e delle industrie tessili, abbigliamento, pelli e accessori (+10,5%). Le diminuzioni maggiori si registrano per i settori della fabbricazione di coke e prodotti petroliferi raffinati (-12,0%), della fornitura di energia elettrica, gas, vapore ed aria (-8,9%) e della fabbricazione di macchinari e attrezzature n.c.a. (-8,8%).

Bozen, oltrepadania nord. La Provincia batte cassa da Saccomanni
Oggi vertice a Roma con il ministro dell’economia. Durnwalder: «Vogliamo i tributi locali e lo sblocco di 200 milioni»
di Massimiliano Bona
 BOLZANO. L’aria che tira a livello nazionale per le autonomie speciali non è certo delle migliori. E questo nonostante la Svp si senta al riparo da eventuali brutte sorprese per i buoni rapporti con il premier Letta, pronto a discutere con la Provincia della competenza primaria sui tributi locali, del gettito Imu da affidare ai Comuni e dell’aggiornamento dell’Accordo Milano su patto di stabilità e compartecipazione al risanamento. Durnwalder, ieri, è stato chiaro: «Chiediamo al Governo di sbloccare risorse per circa 200 milioni di euro rimaste congelate negli ultimi anni, di ritirare i ricorsi pendenti ma anche di darci competenze primarie in materia di tributi locali, con la possibilità di agire retroattivamente».
Il vertice a Roma. Di questo e altro si discuterà oggi alle 15 a Roma in un incontro con i presidenti delle altre Regioni convocato dal ministro dell’Economia e delle Finanze Fabrizio Saccomanni, che con ogni probabilità - almeno questo è il timore dei nostri stessi assessori - chiederà nuovi sacrifici proprio alle speciali. La giunta altoatesina sarà rappresentata dall’assessore Bizzo. Ieri nel frattempo è arrivato a Roma il direttore della ripartizione finanze Eros Magnago che ha partecipato ad un incontro tecnico. Il tema principale in agenda è la conversione in legge del decreto 102/2013 sull’Imu. Bolzano sta lavorando alla stesura di un testo unico con Trento, per ottenere la competenza primaria - e sganciarsi così da Roma - in materia di tributi locali.
Statuto da modificare. Fin dai primi incontri con il premier Letta e il ministro alle Regioni Delrio la Provincia aveva puntato a definire alcune questioni chiave per il futuro finanziamento dell'autonomia: il memorandum sottoscritto in agosto dal Presidente della Provincia e dal Presidente del Consiglio prevede infatti la possibilità di affidare direttamente ai Comuni il gettito Imu ma anche la rivisitazione dell'Accordo di Milano per rafforzare il ruolo della Provincia nella gestione delle entrate tributarie. La giunta provinciale, in vista della conversione in legge del decreto 102/2013 ("Disposizioni urgenti in materia di Imu, di altra fiscalità immobiliare, di sostegno alle politiche abitative e di finanza locale, nonché di cassa integrazione guadagni e di trattamenti pensionistici"), ha deciso nella seduta di ieri di appoggiare la presentazione di un emendamento che chiede la competenza della Provincia - e lo stesso vale per il Trentino - sui tributi locali.
 Un intervento che andrebbe a modificare il titolo VI (art. 80) dello Statuto sulle competenze della Provincia in materia di finanza locale. «Vorremmo arrivare - ha proseguito Durnwalder - con una proposta uguale a quella trentina».
Il patto di stabilità. Parallelamente proseguono gli incontri dei tecnici per attualizzare l'Accordo di Milano, anche alla luce delle sentenze della Corte costituzionale, rispetto ai vincoli sul patto di stabilità (che negli ultimi anni ha visto bloccate risorse per circa 200 milioni di euro) e sulla compartecipazione della Provincia al risanamento del deficit pubblico.
 L’Accordo di Milano ha anticipato molti cambiamenti ma non si è arrivati alla sua completa applicazione: con una nuova intesa (che tenga conto delle promesse fatte dal premier Letta a Bolzano) la Provincia potrà usare il bilancio come strumento delle politiche di sviluppo e dcrescita. In questo modo, ha ricordato Durnwalder, «vogliamo dare certezza alle entrate della Provincia, partecipare al consolidamento del bilancio statale con l’assunzione di nuove competenze e ampliare gli spazi di autonomia tributaria».


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