Crisi, solo il 29% degli italiani riesce a risparmiare
istat. Occupati e disoccupati (dati provvisori)
Scuola: Ue, Italia spende poco,troppo alto abbandono
precoce
Nella valle dei petroleuro: come si usano le royalties?
Il petrolio c'è ma si vive male
La difficile convivenza tra una terra a vocazione agricola
e le attività estrattive
di MARIATERESA LABANCA
VIGGIANO – La notte ti guarda come un occhio indiscreto.
Di giorno la sua fiamma domina tutta la vallata. Visto dall’alto, il Centro Oli
di Viggiano, con l’area industriale che si estende intorno, sembra un squarcio
inferto a quel polmone verde che fa da cornice agli insediamenti. Fino a pochi
metri prima di arrivare ai cancelli Eni è come essere immersi in aperta
campagna. Uliveti, vigneti e altri tipi di colture che un tempo erano i settori
trainati dell’economia locale continuano a convivere con le estrazioni. Ma a
fatica.
I prodotti dei campi dove sgorga il petrolio, “nessuno li
vuole più”
Le attività
agricole e gli allevamenti inevitabilmente hanno risentito della presenza delle multinazionali del
petrolio. “Quello che viene prodotto in questi campi ormai non ha più valore”,
spiega Nino Marchionna. Abita proprio lì vicino, mentre i suoi vigneti si
trovano poco oltre. “Dicono che
inquinamento non ce ne sia. Ma il primo a non crederci sono io. Le ho viste con
i miei occhi quelle fiammate che più di una volta si sono alzate dalla torcia.
Convivo con il rumore e il cattivo odore. E questo basterebbe a mettere in fuga
chiunque. Da qui ma ne andrei volentieri. Ma oggi questi terreni non valgono
niente”. Non è un agricoltore. Vive di
altro. Precisamente è uno degli operai che hanno trovato impiego con il
progetto assegnato dal Comune al Parco della Val d’Agri. Un milione di euro di
royalty per circa una cinquantina di dipendenti che si svolgono attività di
tutela ambientale e prevenzione del rischio idrogeologico. “Ma le giornate
pagate – dice – sono state solo 92. Inoltre il progetto è finito”. Il Comune lo
ha prorogato per un altro anno e molto probabilmente continuerà a farlo fino a
quando ci sarà disponibilità di royalty. “Ma per ora – aggiunge – non è ancora
ripartito. Evidentemente questo non essere considerato un vero e proprio
lavoro”.
“Per noi imprese, dal petrolio nessun vantaggio”
Il vero cuore dell’economia, dai campi si è spostato
altrove. Ovvero proprio nell’area industriale. E non solo nell’indotto del
petrolio, dove solo da qualche anno si vede qualche segnale più rassicurante in
fatto di risvolti occupazionali. Vicino al Centro Oli ci sono altre aziende.
Alcune hanno chiuso, ma altre sono attive e rappresentano anche delle buone
realtà produttive. Con il petrolio non hanno nulla a che fare. Come la Vibac
che dà lavoro a circa 300 operai, quasi tutti dell’area. O la Elbe, che produce
alberi e giunti cardanici soprattutto per auto. Azienda tedesca impiega circa
una novantina di lavoratori, anche in questo caso per lo più della Valle. Qualche
anno fa un decina di operai finirino al pronto soccorso di Villa d’Agri
denunciando un’intossicazione da idrogeno solforato, a causa di un’“anomalia”
al Centro Oli. A parte questo, con le aziende della filiera estrattiva non
hanno nulla da spartire. Per loro il petrolio non si è tradotto in alcun
vantaggio. Il direttore dello stabilimento Giacinto Maria Genco spiega: “Fare
impresa a Viggiano è esattamente come farlo in qualsiasi altro posto della
Basilicata. Vantaggi particolari non ce ne sono”. Non per un’azienda di queste
dimensioni. “La maggior parte dei bandi del Comune e anche della stessa Regione
– spiega ancora il direttore - sono rivolti per lo più a piccole e medie
imprese. Ma noi non rientriamo in questa categoria”. Per il resto non ci sono
molte mucche da mungere. Anzi.
Qui dove il metano è ancora un sogno e l’Adsl va a
singhiozzi
Nel regno del petrolio la più grossa incongruenza è una:
da queste parti ancora non c’è neppure il metano. “Andiamo avanti con il Gpl”,
dice Genco. L’altra stortura che salta subito agli occhi è quella relativa alla
viabilità: il manto stradale della area industriale del colosso Eni è un
colabrodo. Il Comune dice che spetterebbe all’Asi occuparsi di questo tipo di
lavori nell’area industriale che per altro è perfettamente divisa in due tra
due comuni, Viggiano e Grumento. E sempre il Consorzio è responsabile di un
altro grosso disagio. La Elbe – come molte altre fabbriche della zona – è
costretta a usare acqua potabile, perché quella industriale contiene sostanze
corrosive degli impianti. Uno spreco oltre che un costo notevolmente superiore.
E non va meglio in fatto di
infrastrutture immateriali: “L’Adsl qui non va a singhiozzo. Se non
avessimo una linea dedicata sarebbe un grosso problema”. Sia Viggiano che
Grumento hanno attivato due reti Wifi gratuite. Ma gli imprenditori non vi
hanno accesso. E per stare alle cose più semplici, chi ha bisogno di fare
bancomat – fanno notare ancora nello stabilimento – è costretto a
spostarsi in paese, a Viggiano o a Villa
d’Agri. Perché qui lo sportello non funziona quasi mai.
Usciamo dalla Elbe, per entrare in un’altra bella
azienda. E’ la Litoforme di Angelo Pessolano. Lavora manufatti in marmo e,
tanto per intenderci, è quella che ha realizzato la pavimentazione della nuova
piazza Prefettura di Potenza. Ha dimensione più piccole. Circa una decina gli
operai a cui si aggiunge qualche unità che si occupa della parte
amministrativa. Insomma, è una di quelle aziende che in teoria potrebbero avere
accesso i bandi di cui si parlava prima. Il titolare dice: “Non sono tra coloro
che sostengono che non sia stato fatto nulla. Per esempio c’è l’incubatore di
Sviluppo Basilicata che per me è una buona cosa ma che rimane poco utilizzato
perché c’è poca domanda”. Più che altro, per Pessolano “speso le cose fatte non
sono quelle giuste. O comunque non rispondono alle reali esigenze di
imprenditore. Si tratta di strumenti concepiti male. Penso a quelli del Comune
ma anche della Regione”.
Soldi per ristrutturare? Dateci vetrine distributori di
metano
Il titolare della Litoforme fa esempi chiari:
“Personalmente ritengo che i soliti contributi per l’acquisto di macchine e per
l’aumento della produzione siano poco utili. Mi piacerebbe che l’aiuto pubblico
fosse indirizzato a generare domanda, a spostare i prodotti fuori, promuoverli
sui mercati che contano. Un po’ come è stato fatto per quella ristretta nicchia
del vino lucano. Che ne so, penso all’acquisto di un palazzo a Linate. Una
vetrina dove agevolare l’incontro produzione lucana – domanda internazionale”.
Di idee ne ha anche un’altra: invece di rassegnarsi a contentini “chiedere a
Eni, con l’iniziativa pubblica, una
quindicina di distributori di metano, stimolando un trasporto più “pulito” con
un indubbio vantaggio in termini economici: per le famiglie si tratterebbe di
un risparmio di quasi 4 mila euro all’anno. Mica male, no, invece dei 90 euro
della card benzina”.
“Il problema? – dice a fine visita – Questa classe
dirigente non sempre è stata all’altezza della sfida”.
giovedì 31 ottobre 2013 08:05
Crisi, solo il 29% degli italiani riesce a risparmiare
Indagine Ipsos per Acri: una famiglia su tre è stata
direttamente colpita dalla crisi di questi anni. Difficoltà anche per manager e
dirigenti. E la casa non è più l'investimento preferito dagli italiani, meglio
il cash
Roma, 30 ottobre 2013 - Cresce il numero degli italiani
che stanno sperimentando sulla loro pelle gli effetti della crisi. La tendenza
emerge dallo studio sul risparmio elaborato dall’Ipsos per conto dell’Acri per
l'89ma Giornata mondiale del risparmio. Dall'analisi emerge, infatti, che nel
2013 una famiglia su tre è stata direttamente colpita nei percettori di reddito
del nucleo familiare, e per una su quattro (26%) il tenore di vita è seriamente
peggiorato.
Indirettamente, a oggi, sono state colpite il 40% delle
famiglie, in generale per la perdita del lavoro (20%) o per il peggioramento
delle condizioni di lavoro (il 15% contro il 9% del 2012), ma c’è anche chi non
viene pagato con regolarità (3%) e chi ha dovuto cambiare lavoro (4%). Le
famiglie colpite direttamente sono il 30%, con un incremento di 4 punti
percentuali rispetto al 26% dello scorso anno. In questo caso ad esser colpiti
sono l’intervistato stesso, il coniuge, il genitore o un figlio.
Resta invece inalterata rispetto al 2012 la percentuale
(26%) delle famiglie che segnalano un serio peggioramento del proprio tenore di
vita (erano il 21% nel 2011 e il 18% nel 2010), mentre quasi la metà degli
intervistati dichiara di avere difficoltà a mantenere il proprio tenore di
vita. Il 25% (come nel 2012) ritiene di mantenerlo con facilità e solo il 2%,
cioè 1 italiano su 50, dichiara di aver sperimentato un miglioramento del
proprio tenore di vita nel corso degli ultimi dodici mesi. A fronte di oltre 40
milioni di Italiani che registrano un peggioramento della propria situazione
economica circa 1 milione di Italiani sta meglio di prima.
COLPITI ANCHE MANAGER E IMPRENDITORI - Tra coloro che si
sono trovati in maggiore difficoltà rispetto al passato, quest’anno, ci sono
dirigenti, manager, professionisti e imprenditori: il 24% di essi ha subito un
peggioramento (era il 20% nel 2012), mentre solo l’1% è riuscito a migliorare
la propria situazione. Per i lavoratori dipendenti che hanno mantenuto il
proprio lavoro la situazione è, invece, in lieve miglioramento (quelli che
hanno mantenuto con tranquillità il proprio tenore di vita salgono di 6 punti
percentuali, dal 21% del 2012 al 27%; mentre scendono di 5 punti, dal 25% al
20%, i dipendenti in difficoltà); sempre molto difficile è la situazione dei
disoccupati e in peggioramento quella dei pensionati (ha sperimentato
difficoltà o peggioramenti il 68% di loro, contro il 65% del 2012).
SOLO IL 29% RIESCE A RISPARMIARE - Negli ultimi 12 mesi,
poi, gli italiani che sono riusciti a risparmiare sono stati il 29%, in leggero
aumento rispetto al 2012 (erano il 28%). Diminuiscono lievemente invece le
famiglie in saldo negativo, dal 31% al 30%: un calo che segna una "seppur
minima" inversione di tendenza dal 2010. E costanti al 40% sono le
famiglie che consumano tutto quello che guadagnano, senza risparmiare ma al
contempo senza intaccare i risparmi accumulati o ricorrendo a prestiti.
CROLLANO GLI INVESTIMENTI NEL MATTONE - Dallo studio si
evidenzia anche come la casa non sia più l’investimento preferito dagli
italiani. Se nel 2006 la percentuale che vedeva nel mattone l’investimento
ideale era il 70% e nel 2010 il 54%, nel 2011 è scesa al 43%, nel 2012 al 35%
fino all’attuale 29%: il dato di gran lunga più basso dal 2001. "La
preferenza per gli immobili - sottolinea l’associazione di fondazioni e casse
di risparmio - scende ovunque nella penisola, ma è nel Sud e Isole che segna il
calo più marcato, dal 37% al 28%".
In generale gli italiani puntano meno titoli di Stato e
azioni, preferendo libretti di risparmio e fondi comuni. Nell’ultimo anno,
infatti, salgono lievemente i possessori di fondi comuni di investimento (12%),
crescono ancora i possessori di libretti risparmio (23%), risultano in discesa
i possessori di azioni (dall’8% al 7%) e di titoli di Stato (dal 9% al 7%),
dopo il ridimensionamento dei rendimenti. La quota di italiani, secondo la
ricerca, che dicono di aver sottoscritto assicurazioni sulla vita o fondi
pensione è del 19% ed è costante rispetto al 2012, come quella dei possessori
di certificati di deposito e obbligazioni (10%). Tuttavia resta stabilmente
elevata la preferenza per la liquidità, scelta da due italiani su tre.
Continua a crescere, inoltre, il numero di quelli che
ritengono sbagliato investire in una qualsiasi forma: il 18% nel 2010, il 23%
nel 2011, il 28% nel 2012, il 32% nel 2013, ormai quasi un terzo degli
italiani.
POCA FIDUCIA NELLA RIPRESA - Sotto la mannaia della crisi
crolla letteralmente la fiducia dei giovani. Riguardo alla propria situazione
personale, fra i giovani che hanno dai 18 ai 30 anni, gli ottimisti sono scesi
in un anno dal 24% al 4%, con una perdita di ben 20 punti percentuali. Vedono
più nero anche i pensionati: fra gli over 65 anni, i pessimisti sono saliti di
6 punti (dal 21% al 27%). In generale, però, la crisi è assai grave per il 91%
degli italiani e l’uscita dalla crisi continua ad apparire lontana: poco meno
di 3 su 4 si attendono che duri almeno altri 3-4 anni. Ciò vuol dire che gli
italiani si aspettano di tornare ai livelli pre-crisi soltanto dopo il
2016-2017.
istat. Occupati e disoccupati (dati provvisori)
A settembre 2013 gli occupati sono 22 milioni 349 mila,
in diminuzione dello 0,4% rispetto al mese precedente (-80 mila) e del 2,1% su
base annua (-490 mila).
Il tasso di occupazione, pari al 55,4%, diminuisce di 0,2
punti percentuali in termini congiunturali e di 1,2 punti rispetto a dodici
mesi prima.
Il numero di disoccupati, pari a 3 milioni 194 mila,
aumenta dello 0,9% rispetto al mese precedente (+29 mila) e del 14,0% su base
annua (+391 mila).
Il tasso di disoccupazione si attesta al 12,5%, in
aumento di 0,1 punti percentuali rispetto al mese precedente e di 1,6 punti nei
dodici mesi.
I disoccupati tra 15 e 24 anni sono 654 mila. L'incidenza
dei disoccupati di 15-24 anni sulla popolazione in questa fascia di età è pari
al 10,9%, in calo di 0,2 punti percentuali rispetto ad agosto ma in crescita di
0,6 punti su base annua. Il tasso di disoccupazione dei 15-24enni, ovvero la
quota dei disoccupati sul totale di quelli occupati o in cerca, è pari al
40,4%, in aumento di 0,2 punti percentuali rispetto al mese precedente e di 4,4
punti nel confronto tendenziale.
Il numero di individui inattivi tra 15 e 64 anni aumenta
dello 0,5% rispetto al mese precedente (+71 mila unità) ma rimane
sostanzialmente invariato rispetto a dodici mesi prima. Il tasso di inattività
si attesta al 36,4%, in aumento di 0,2 punti percentuali in termini
congiunturali e di 0,1 punti su base annua.
Per una migliore comprensione della partecipazione al
mercato del lavoro dei giovani tra 15 e 24 anni, oggi l'Istat diffonde per la
prima volta i dati destagionalizzati dei giovani occupati, disoccupati,
inattivi, i tassi di occupazione, disoccupazione, inattività e l'incidenza dei
disoccupati di 15-24 anni sulla popolazione in questa fascia di età. Queste
nuove informazioni sono disponibili nel paragrafo "La partecipazione dei
giovani al mercato del lavoro" a pagina 3 del testo integrale e nella
Tabella 4 delle serie storiche.
Scuola: Ue, Italia spende poco,troppo alto abbandono
precoce
Giù in classifica anche per
formazione adulti
30 ottobre, 20:12
BRUXELLES - La spesa pubblica per
l'istruzione in Italia è una delle più basse d'Europa, l'Italia fa peggio della
media europea anche sull'abbandono scolastico e sul compimento degli studi
universitari: è quanto rileva una ricerca della Commissione Ue che annualmente
esamina il settore dell'istruzione in Europa.
L'Italia, per la Commissione, è agli ultimi
posti della classifica anche sulla formazione degli adulti, e c'è un'evidente
difficoltà di transizione dall'istruzione al mercato del lavoro, anche per i
giovani qualificati. Per questo per Bruxelles serve "più ambizione"
nel settore, e le raccomandazioni fatte a maggio all'Italia riguardavano anche:
trovare rimedi all'abbandono scolastico, migliorare qualità e risultati
scolastici (anche riformando l'accesso alla carriera egli insegnanti),
migliorare l'orientamento per gli universitari.
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