Alcune catene della grande
distribuzione francese cominciano a respingere i prodotti dell’agroalimentare
pugliese, specialmente pomodori del Foggiano e cocomeri del Salento, perché
frutto di «manodopera illegale». La grande distribuzione norvegese all’unisono
ha già bandito le produzioni «non etiche» in arrivo dalla Puglia e dal Sud
Italia, le zone più chiacchierate dove il lavoro bracciantile è perlopiù
immigrato, malpagato e ridotto in schiavitù. Il campanello d’allarme dovrebbe
suonare minaccioso per i produttori agricoli foggiani e pugliesi, specie coloro
(e sono la maggior parte) che oggi considerano le esportazioni all’estero, e in
special modo nei paesi del Nord Europa, u n’àncora di salvezza per riuscire a
fare reddito in tempi di crisi: non sanno però che potrebbero subire l’onta di
non essere graditi.
Una tendenza che la Flai-Cgil rileva
nel rapporto “Agricoltura e lavoro migrante”: l’incessante attività di denuncia
svolta in questi anni dal sindacato comincia a lasciare tracce importanti. Il
reportage di France 2 con l’intervista a Ivan Sagnet - capo della rivolta
contro i caporali quattro anni fa in Salento che invita a boicottare gli
schiavisti della catena di distribuzione alimentare - ha fatto il giro del
mondo e molti consumatori francesi sono oggi molto più avvertiti su simili
problemi. La grande distribuzione comincia a tenerne conto, grandi catene come
Auchan, Lidl, Carrefour corrono ai ripari. In Italia non ancora, «ma il tempo –
dice fiducioso Leonardo Palmisano, sociologo – lavora in favore di un ritorno
alla legalità nelle campagne».
Palmisano, con Giuseppe De Leonardis
segretario regionale della Flai Cgil, ha curato il report che il 25 novembre
sbarcherà a Bruxelles al Parlamento europeo dove l’allarme sui prodotti «non
etici» nei supermercati di mezza Europa potrebbe suscitare un’eco ben maggiore.
Un’emergenza grave – di - cono alla Flai – para gonabile a quella di Amnesty
international sullo sfruttamento del lavoro nei cantieri dei mondiali di calcio
nel Qatar e che rischia di infangare il buon nome della Puglia fin qui
faticosamente conquistato in settori di punta, dall’ae - rospazio al turismo.
Il rapporto della Flai mette
l’accento sui metodi di reclutamento dei braccianti immigrati nelle campagne:
«Migliaia di persone spostate da una nazione a un’altra con grandi vantaggi
economici per chi questi spostamenti li organizza. Questo è il periodo –
sottolinea Palmisano – in cui i caporali si riorganizzano e scelgono le zone
dove portare manodopera per l’an - no seguente quando occorrerà fare il
raccolto. Di questi tempi i caporali contrattano la paga con i proprietari dei
campi, se questi non ci stanno vengono esclusi dai flussi della manodopera
immigrata. Sono diventati molto potenti i caporali, hanno costituito
organizzazioni transnazionali, le cosiddette power broker (mediatori di potere:
ndr), la Puglia è parte integrante di questo circuito». Un flusso che arriva
dalla Sicilia o da Rosarno in Calabria per le prime coltivazioni primaverili,
si sposta in Salento per la raccolta delle angurie e da qui sale verso il Nord
della Puglia per il pomodoro.
Un mare di «quarantamila lavoratori,
stima certamente in difetto – dice De Leonardis – che si sposta in blocchi da
una zona all’altra della regione e che poi scompare: in Capitanata sono nati
centinaia di ghetti, queste persone vivono in condizioni disumane intorno alle
campagne. Nessuno vuol vederli. Una vergogna che deve finire, boicottare questi
prodotti è il minimo che si possa fare per stroncare un sistema di reclutamento
della manodopera davvero aberrante».
20 Novembre 2013
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