Ricominciamo dal Mezzogiorno. Non soltanto per ragioni geografiche ma, politiche, culturali, di identità nazionale.
Di Pitagorico, Taranto sera.
La banalità, la faciloneria, la mancanza di lungimiranza, è quanto sta caratterizzando questa fase di pseudo – meridionalismo, strumentale e vuoto, sia al centro che in periferia, portato di dirigenti inidonei figli delle circostanze, immersi nel presente, indifferenti al futuro. L’impegno a sviluppare la progettualità per il Mezzogiorno, nella progettualità riformista del Paese, è stato sostituito dal nulla delle idee e dei programmi.
Chiuso con un saldo fallimentare del meridionalismo il lungo periodo di quasi un secolo, dall’Unità di Italia a tutto il periodo fascista, con l’avvento della Repubblica e della democrazia italiana, ogni grande stagione di sviluppo e di riforme è stata caratterizzata da un’idea forza per il Mezzogiorno.
Il primo decennio della Repubblica fu caratterizzato dalla riforma agraria, che cambiò in modo significativo i rapporti sociali e la geografia economica delle terre del sud. I decenni successivi furono segnati dal grande obiettivo di industrializzare il Mezzogiorno, puntando sulla strategia dei poli di sviluppo e della grande industria di base. Venne poi il tempo della crescita nell’urbanizzazione, in un Mezzogiorno che cominciava ad essere percepito come una realtà in sviluppo differenziato, o più semplicemente “a macchia di leopardo”. Oggi per parlare del Mezzogiorno in modo persuasivo, è necessario esprimere un’idea forza che dia funzione trainante all’Italia del Sud, capace di costruire un nuovo progetto di crescita dando respiro e concretezza ad un coordinato insieme di obiettivi finalizzati. Questa idea forza nasce dalla realtà e dalle cose oltre che dalla sua collocazione geoeconomica nel cuore del mediterraneo; e Taranto vi svolge una funzione di grande importanza.
Come abbiamo più volte affermato, per l’evoluzione globale dell’economia e delle relazioni fra grandi sistemi territoriali; per l’ingresso dei grandi produttori e consumatori dell’Oriente nel mercato mondiale; per l’irreversibile integrazione del mercato europeo ed il suo allargamento alle realtà slave e balcaniche; per la crescita di un sistema di relazioni economiche sub-mediterranee fra Sud Europa, Nord Africa e Medio Oriente; per tutto questo ed altro, il Mediterraneo si avvia a diventare il più importante bacino di traffici del mondo, destinato a crescere nella domanda di snodi commerciali e sistemi di mobilità delle merci. A questa crescita costante ed inarrestabile della domanda commerciale, non corrisponde ancora un’adeguata offerta di accoglimento, di smistamento ed, in sintesi complessa, di logistica integrata, con le attività industriali connesse e le nuove filiere produttive, di beni immateriali e di servizi. L’idea forza per il Mezzogiorno, nei primi anni del terzo millennio, è quella di essere la piattaforma economica e logistica, dal Sud, del più importante mercato mondiale, per quantità e qualità dei consumi, per il livello di assorbimento e di sviluppo, per quantità e qualità della produzione.
Questo mercato, che comprende l’Europa allargata, i Paesi slavi e la Russia, i Paesi balcanici ed il Medio-Oriente, l’Africa del Nord, ha bisogno urgentemente di queste strutture di servizio, che il Mezzogiorno d’Italia è in condizioni di fornire in tempi brevi, se adeguatamente sostenuto da una politica mirata e consapevole.
Di questa politica il governo centrale è un importante ma non esclusivo protagonista.
Fondamentali sono le regioni meridionali, perché hanno il potere e le risorse, soprattutto territoriali, per poter esercitare un ruolo determinante nella costruzione del nuovo soggetto strategico, destinato a cambiare equilibri e primati nel Mediterraneo.
Le regioni meridionali hanno un’occasione che non possono perdere. Si lascino ad altri le parole vuote e le polemiche da salotto televisivo: chi vuole essere protagonista nelle regioni esprima un progetto per il Sud, che sia anche fattore di cambiamento e di sviluppo per il Paese, affermandosi sul campo come nuova classe dirigente riformatrice e non solo come espressione di una tendenza volatile e protestataria.
E grave che a distanza di 40 anni di istituzione delle Regioni, non si sia avvertita da nessuna parte politica - di destra, di sinistra e di centro – l’esigenza di una riflessione critica sul ruolo delle Regioni, soprattutto nel Mezzogiorno, sul risultato della loro missione, sul bilancio complessivo alla vigilia della riforma federale che affida nuovi poteri e nuove responsabilità mentre si continua a procedere senza progetti assorbiti dalla gestione quotidiana e conservatrice.
Il primo grande compito che devono necessariamente assumersi le forze dirigenti più accorte, aperte ed interessate al cambiamento con grande spirito critico sulle responsabilità e sulle vicende interne al Mezzogiorno è quello di arrestare il processo di demolizione sistematica, che si è reso ancor più acuto è pericoloso in questa stagione politica, della società meridionale considerato un tutt’uno omogeneo, un buco nero centro di malaffare, mala politica e malavita, da dissolvere per impedire che il male si estenda al corpo sano della nazione.
Una visione, quella di un Mezzogiorno irriformabile, irreale e strumentale, buona per la propaganda antiunitaria ma micidiale per il futuro dell’Italia.
http://www.tarantosera.com/
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