sabato 25 dicembre 2010

Report di Natale.

Ricominciamo dal Mezzogiorno. Non soltanto per ragioni geografiche ma, politiche, culturali, di identità nazionale.
Di Pitagorico, Taranto sera.


La banalità, la faciloneria, la mancanza di lungimiranza, è quanto sta caratterizzando questa fase di pseudo – meridionalismo, strumentale e vuoto, sia al centro che in periferia, portato di dirigenti inidonei figli delle circostanze, immersi nel presente, indifferenti al futuro.  L’impegno a sviluppare la progettualità per il Mezzogiorno, nella progettualità riformista del Paese, è stato sostituito dal nulla delle idee e dei programmi.
Chiuso con un saldo fallimentare del meridionalismo il lungo periodo di quasi un secolo, dall’Unità di Italia a tutto il periodo fascista, con l’avvento della Repubblica e della democrazia italiana, ogni grande stagione  di sviluppo e di riforme è stata caratterizzata da un’idea forza per il Mezzogiorno.
Il primo decennio della Repubblica fu caratterizzato dalla riforma agraria, che cambiò in modo significativo i rapporti sociali e la geografia economica delle terre del sud. I decenni successivi furono segnati dal grande obiettivo di industrializzare il Mezzogiorno, puntando sulla strategia dei poli di sviluppo e della grande industria di base. Venne poi il tempo della crescita nell’urbanizzazione, in un Mezzogiorno che cominciava ad essere percepito come una realtà in sviluppo differenziato, o più semplicemente “a macchia di leopardo”. Oggi per parlare del Mezzogiorno in modo persuasivo, è necessario esprimere un’idea forza che dia funzione trainante all’Italia del Sud, capace di costruire un nuovo progetto di crescita dando respiro e concretezza ad un coordinato insieme di obiettivi finalizzati. Questa idea forza nasce dalla realtà e dalle cose oltre che dalla sua collocazione geoeconomica nel cuore del mediterraneo; e Taranto vi svolge una funzione di grande importanza.   
Come abbiamo più volte affermato, per l’evoluzione globale dell’economia e delle relazioni fra grandi sistemi territoriali; per l’ingresso dei grandi produttori e consumatori dell’Oriente nel mercato mondiale; per l’irreversibile integrazione del mercato europeo ed il suo allargamento alle realtà slave e balcaniche; per la crescita di un sistema di relazioni economiche sub-mediterranee fra Sud Europa, Nord Africa e Medio Oriente; per tutto questo ed altro, il Mediterraneo si avvia a diventare il più importante bacino di traffici del mondo, destinato a crescere nella domanda di snodi commerciali e sistemi di mobilità delle merci. A questa crescita costante ed inarrestabile della domanda commerciale, non corrisponde ancora un’adeguata offerta di accoglimento, di smistamento ed, in sintesi complessa, di logistica integrata, con le attività industriali connesse e le nuove filiere produttive, di beni immateriali e di servizi. L’idea forza per il Mezzogiorno, nei primi anni del terzo millennio, è quella di essere la piattaforma economica e logistica, dal Sud, del più importante mercato mondiale, per quantità e qualità dei consumi, per il livello di assorbimento e di sviluppo, per quantità e qualità della produzione.
Questo mercato, che comprende l’Europa allargata, i Paesi slavi e la Russia, i Paesi balcanici ed il Medio-Oriente, l’Africa del Nord, ha bisogno urgentemente di queste strutture di servizio, che il Mezzogiorno d’Italia è in condizioni di fornire in tempi brevi, se adeguatamente sostenuto da una politica mirata e consapevole.
Di questa politica il governo centrale è un importante ma non esclusivo protagonista.
Fondamentali sono le regioni meridionali, perché hanno il potere e le risorse, soprattutto territoriali, per poter esercitare un ruolo determinante nella costruzione del nuovo soggetto strategico, destinato a cambiare equilibri e primati nel Mediterraneo.    
Le regioni meridionali hanno un’occasione che non possono perdere. Si lascino ad altri le parole vuote e le polemiche da salotto televisivo: chi vuole essere protagonista nelle regioni esprima un progetto per il Sud, che sia anche fattore di cambiamento e di sviluppo per il Paese, affermandosi sul campo come nuova classe dirigente riformatrice e non solo come espressione di una tendenza volatile e protestataria.
E grave che a distanza di 40 anni di istituzione delle Regioni, non si sia avvertita da nessuna parte politica - di destra, di sinistra e di centro – l’esigenza di una riflessione critica sul ruolo delle Regioni, soprattutto nel Mezzogiorno, sul risultato della loro missione, sul bilancio complessivo alla vigilia della riforma federale che affida nuovi poteri e nuove responsabilità mentre si continua a procedere senza progetti assorbiti dalla gestione quotidiana e conservatrice.
Il primo grande compito che devono necessariamente assumersi le forze dirigenti più accorte, aperte ed interessate al cambiamento con grande spirito critico sulle responsabilità e sulle vicende interne al Mezzogiorno è quello di arrestare il processo di demolizione sistematica, che si è reso ancor più acuto è pericoloso in questa stagione politica, della società meridionale considerato un tutt’uno omogeneo, un buco nero centro di malaffare, mala politica e malavita, da dissolvere per impedire che il male si estenda al corpo sano della nazione.
Una visione, quella di un Mezzogiorno irriformabile, irreale e strumentale, buona per la propaganda antiunitaria ma micidiale per il futuro dell’Italia.
http://www.tarantosera.com/

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