domenica 24 aprile 2011

Federali-Sera. 24 aprile 2011. Revisionismo storico. Quando il Sud era il Nord e il Nord era il Sud.----Questa scuola bugiarda sul Sud.----In Veneto la Lega riscrive il Risorgimento.----Venezia, scontro tra Partigiani e Combattenti su «Bella ciao», sfilate separate.

Revisionismi divergenti:
Quando il Sud era il Nord e il Nord era il Sud – “150 anni di bugie”
Questa scuola bugiarda sul Sud
In Veneto la Lega riscrive il Risorgimento
Venezia. Scontro tra Partigiani e Combattenti su «Bella ciao», sfilate separate

Tipologie di monnezza:
Napoli. Pasqua, è trincea nella monnezza
Melandri: «Il sistema rifiuti in Calabria è fallito»
Modena. Evasione da 30 milioni: 8 denunce
Reggio Emilia. "Sono disoccupato, portate mio figlio in carcere"
Bozen. I bolzanini bocciano i progetti per coprire il duce a cavallo: «Sono tutti soldi sprecati»


Quando il Sud era il Nord e il Nord era il Sud – “150 anni di bugie”
Scritto il 23 aprile 2011
di Carmine De Marco.
Il meridionalista Carmine De Marco racconta la situazione del Regno delle Due Sicilie nell’epoca preunitaria.
Più impiegati nelle industrie, meno deficit e minore mortalità infantile.

Il presidente della Repubblica, Giorgio Napolitano, nel suo discorso celebrativo del Centocinquantesimo in Parlamento ha sollecitato le classi dirigenti a un «esame di coscienza collettivo» ma ha anche sottolineato la necessità di restare uniti.
 Da garante dell’unità nazionale ha così preso le distanze dagli eccessi di patriottismo e anche da quelli di revanscismo pur evidenziando che il Paese dispone degli anticorpi sufficienti a esaminare le varie problematiche senza faziosità. Ecco perché è utile conoscere anche un altro tipo di storia, quella con la «s minuscola», scritta da coloro che nel 1861 hanno perso e da quella data non smettono di perdere.
 «Centocinquanta anni di bugie» (edizioni Munari, 431 pp., 18 euro) è un saggio di Carmine De Marco, imprenditore e appassionato meridionalista, che si focalizza sullo stato della Nazione nell’epoca immediatamente pre-unitaria. La veemenza con la quale i concetti sono sostenuti può essere tacciata di partigianeria, ma prima di entrare nel dettaglio è doverosa una premessa: ciò che è accaduto dal 1861 a oggi non solleva i meridionali dalle loro responsabilità. Ma occorre comunque comprendere quale fosse la situazione prima che il Regno delle Due Sicilie fosse costretto ad ammainare la propria bandiera.
 Alla vigilia dell’unificazione il reame napoletano contava circa 9,3 milioni di abitanti ed era dunque il popoloso degli Stati italiani. Gli addetti all’agricoltura rappresentavano il 33,7% della forza lavoro contro il 34,9% del Nord Italia, mentre gli impiegati nell’industria erano il 16,3% contro l’11,8% del Settentrione. Insomma, il Sud non era poi così arretrato come la storiografia ufficiale tende a descriverlo. La mortalità infantile al Sud nel 1861 rappresentava il 46,2% di quella nazionale, nel 2008 essa rappresentava il 60% circa.
 La marina mercantile delle Due Sicilie contava 10.863 navi con 203.318 tonnellate di stazza e 45mila marinai impiegati. Solo il Lombardo-Veneto contava su un tonnellaggio superiore a fronte di una stazza media superiore. Anche il livello delle infrastrutture non era indecoroso considerato che tra Continente e Sicilia c’erano 3mila kilometri di strade. Il valore medio era inferiore a quello di Piemonte e Lombardia, ma poteva considerarsi ben compensato dalla navigazione costiera.

Nel Regno delle due Sicilie non c’erano imposte di successione. Appalti, donazioni e costituzione di società erano soggette alla sola imposta di bollo a differenza del Piemonte che applicava aliquote comprese tra lo 0,1 e il 10% (successione di estranei). La bilancia commerciale del Regno di Sardegna nel quadriennio 1855-58 segnò un disavanzo complessivo di circa 1,5 miliardi di euro ai valori correnti, cifra molto superiore a quella del regno di Francesco II di Borbone. Circostanza testimoniata anche dal fatto che le obbligazioni del Regno delle Due Sicilie sui mercati internazionali dell’epoca quotavano sopra la pari (cioè più del valore nominale) a differenze di quelle sabaude.
 L’implosione del Sud, a guardar bene, non sembra perciò giustificata da ragioni economiche. Anche a voler essere estremamente pignoli i fondamentali dell’economia meridionale erano sullo stesso livello di quella settentrionale. Forse una spiegazione plausibile della sconfitta (al di là delle recriminazioni neoborboniche che indicano nell’ignavia di Francia e Gran Bretagna la vera causa della scomparsa del Regno) risiede proprio nell’esiguità della burocrazia. Il Regno delle Due Sicilie aveva la metà degli impiegati di quello sabaudo.
Oggi tutto questo potrebbe sembrare anche un vantaggio competitivo ma all’epoca poter contare su un apparato «fidelizzato» costituiva un fattore decisivo per la tenuta del fronte interno di uno Stato. Quello che è accaduto nei centocinquanta anni successivi è storia nota: le parti in commedia si sono rovesciate e il Sud, considerato dal resto d’Italia una sorta di «palla al piede», è costretto a una rincorsa che sembra non avere mai fine.

Questa scuola bugiarda sul Sud
di LINO PATRUNO
Si dice che siano due le categorie che in 150 anni hanno fatto più male al Mezzogiorno. Una è quella degli insegnanti che hanno raccontato una storia in buona parte falsa. L’altra è quella dei bersaglieri mandati a massacrare i meridionali. I bersaglieri rispondevano ai comandi. E quanto agli insegnanti, i veri colpevoli sono i libri adottati: scelti senza una alternativa. Perciò, vista da Sud, ha sapore acido l’iniziativa dell’on. Gabriella Carlucci contro i testi definiti troppo ideologizzati, comunisti per capirci. Per il Sud è come chiedere pane e vedersi offrire brioche. Nulla da dire sul diritto dell’on. Carlucci, si può essere d’accordo o no sull’”indottrinamento di sinistra”. Ma il Sud attende che qualcuno si ricordi anche delle bugie sulla sua storia. E dei libri che continuano a spacciarla fra i ragazzi. Quasi tutti di editori nordici, per carità.

LA STORIA SUI LIBRI DI TESTO - Qualche libro a caso. “Oggi storia” (Le Monnier), parlando dei Mille, dice che “Cavour accettò il progetto purché si realizzasse spontaneamente senza l’appoggio del governo piemontese”. Invece il governo piemontese lo sapeva benissimo. Ma si teneva al riparo in caso di insuccesso e per non passare da complice di una guerra di conquista quale fu, altro che plebisciti per l’annessione. L’impresa si preparava già da due anni in Inghilterra con la regia della massoneria e sottoscrizioni ovunque, dai giornali ai circoli nobiliari: Londra voleva abbattere il Regno del Sud per prendersi la Sicilia dal grande valore strategico in Mediterraneo. La favoletta di Garibaldi convinto da Crispi a sbarcare a Marsala è raccontata anche da “I percorsi della storia” (Loffredo editore) Sulla nascita della “Questione meridionale” si sofferma “La civiltà dell’Ottocento” (Archimede ed.). Parlando della divisione fra Nord e Sud, dice che “era sempre esistita: il Nord aveva conosciuto i liberi Comuni, il Sud no; il Nord era ricco di città, il Sud era una terra di piccole borgate agricole; nel Nord si sviluppavano traffici e manifatture, mentre nel Sud dominava il latifondo”. Ma se non aggiunge che, nonostante tutto, non c’era divario fra Nord e Sud al momento dell’unità (e se c’era era a vantaggio del Sud), non induce a chiedersi perché e come si è arrivati all’attuale divario senza pari nel mondo occidentale.
Stessa solfa “Scoprire la storia” (De Agostini): nel 1861, Nord ricco e Sud povero. Zero in storia anche a “Il mio Sussi” (Fabbri ed.). Sul brigantaggio, dice che “il primo scontro fra il nuovo governo e le plebi contadine del Sud” avvenne quando “i Piemontesi imposero ai meridionali la leva militare, che sottraeva ai campi i giovani braccianti per cinque anni”. Immediata la reazione degli studiosi meridionali: non solo la leva obbligatoria. Occorre aggiungerci le mancate terre ai contadini, la reazione alla sanguinosa invasione militare, la reazione alla messa all’asta degli usi civici (possibilità di attingere acqua, far passare animali, raccogliere vegetazione nei campi) concessi dai Borbone, l’aumento brutale delle tasse, il trasferimento delle aziende al Nord, la sostituzione della manodopera meridionale con quella del Nord, le rappresaglie su civili, la distruzione dei paesi, le fucilazioni sommarie. Di brigantaggio “guerra civile” e non “guerra sociale” è convintissimo “Valore storia” (Paravia ed.).

IL SACRIFICIO PER FARE IL PAESE UNITO - Per i 150 anni, ci sono state scuole che hanno tentato di sapere di più e di farlo sapere anche ai ragazzi. Ma è difficile andare a raccontare che i briganti non erano tutti rapinatori se fino a un minuto prima il libro di testo li ha trattati solo come avanzi di galera da fucilare. E continuerà a farlo un minuto dopo. Ed è difficile dire che il Garibaldi come la Croce Rossa, nel senso che non si spara su di lui, era uno che oltre all’eroismo si faceva un po’ di calcoli. E che la nave con le scottanti carte sui furti dei garibaldini in Sicilia affondò misteriosamente col suo Ippolito Nievo senza che neanche un foglietto sia mai stato recuperato. Prima strage di Stato italiana. Diceva il drammaturgo tedesco Brecht che “chi non conosce la verità è uno sciocco. Ma chi, conoscendola, la chiama bugia, è un delinquente”. Finché il sacrificio fatto dal Sud per la pur sacrosanta Unità d’Italia non arriverà nelle scuole, il Sud continuerà a credersi brutto, sporco e cattivo. E a non reagire. Unica maniera per evitare che la cosa più giusta da fare sia lasciarlo al più presto possibile quando si sarà passati dai libri scolastici alla vita.
23 Aprile 2011

In Veneto la Lega riscrive il Risorgimento
Il 25 aprile? «E' solo il giorno di San Marco»
«Storia senza gloria»: opuscolo distribuito dai giovani padani all'Università e nelle scuole. Ecco l'Unità d'Italia in salsa padana. Garibaldi e i mille? «Una grande recita». Il plebiscito del 1866? «Una truffa»
di Enrico Ferro
PADOVA. «Storia senza gloria, le verità nascoste del Risorgimento». Alla vigilia delle celebrazioni per la festa della Liberazione del 25 aprile, la Lega Nord irrompe con una pubblicazione destinata tutte le scuole superiori e alle università. I giovani del movimento studentesco e del movimento universitario del Carroccio hanno pensato di realizzare questa pubblicazione per svelare, a loro dire, alcuni retroscena della storia del Veneto. La dedica è eloquente: «A tutti i giovani liberi di pensare, di studiare, di riscoprire una storia che ci appartiene e che a volte qualcuno ha tentato di nascondere». «Non vogliamo rivisitare la storia - evidenzia il consigliere regionale della Lega Nord Nicola Finco, uno dei promotori dell'iniziativa - Vogliamo semplicemente raccontare nel modo giusto l'annessione del Veneto all'Italia. Quale occasione migliore del 25 aprile? Già tutti si sono dimenticati del 17 marzo, noi teniamo alto il tiro. Vogliamo che i giovani prendano coscienza che l'annessione del Veneto all'italia non è stata cosa semplice. Visto che la scuola è sempre stata di sinistra, ora vogliamo parlare noi. Piaccia o non piaccia».

 Dicono che non vogliono rivisitare la storia, ma basta addentrarsi nella lettura per capire che questo opuscolo lascerà dietro di sé una scia di polemiche. Ecco alcuni esempi. La spedizione dei Mille? Una delle più grandi recite che la storia moderna abbia mai conosciuto. Scrivono gli autori: «La narrazione tradizionale si è sempre contraddistinta per una serie di omissioni e falsificazioni finalizzate alla costruzione del mito fondativo della nazione, elemento indispensabile per creare, a posteriori, una qualche forma di sentimento nazionale». O ancora: «Per chi non si era schierato con i Savoia la punizione doveva essere esemplare: non c'era alcuna pietà, né rispetto, per chi non collaborava e non abbracciava la causa dei nuovi padroni. Si trattò del lato più oscuro e vergognoso del Risorgimento, quello di cui è meglio non parlare e quello su cui, in effetti, si è sempre taciuto».

 Sfogliando tra i vari capitoli si trova «1866: il Plebiscito truffa in Veneto». Il 25 aprile? «Il giorno di San Marco». C'è poi la sezione chiamata «Domande e risposte», in cui segno: "Chi si celava dietro l'impresa Garibaldina?", "Cosa intendeva Cavour per Italia", "Quale ruolo ha avuto la Mafia nel corso del Risorgimento?". E qui vale la pena citare le prime righe della lunga risposta: «L'impresa Garibaldina fu in gran parte aiutata dalla discesa sul campo di battaglia di personaggi quali i "picciotti" in Sicilia e i "lazzari" in Campania, delle sorte di capi bastone che guidavano masse inermi di "cafoni", contadini assoggettati al potere feudale, ai quali paradossalmente veniva promessa una riforma agraria e soldi, protezione e lavoro».

 L'opuscolo è stato realizzato da Filippo Frigerio, Matteo Lazzaro e Fabio Molinari. Il progetto è stato presentato ieri pomeriggio nella sede della Lega Nord di Montà. È facile prevedere che ci sarà una reazione sia da parte del mondo della politica che da quello della scuola. 23 aprile 2011

Venezia. Scontro tra Partigiani e Combattenti su «Bella ciao», sfilate separate
Liberazione, interviene il prefetto: canzone ammessa solo al corteo non di fronte al picchetto d'onore. Intervento del Comune. Ma il generale Rizzo non cede. VENEZIA — Di fronte al picchetto d’onore, al momento della deposizione della corona ai piedi della targa dedicata alla Resistenza verrà suonato solamente il Silenzio e l’inno di Mameli perché così stabilisce il cerimoniale. E «Bella Ciao»? Chi lo desidera potrà suonarla e cantarla durante il corteo, prima o dopo, ma non certo durante l’atto solenne della deposizione. Quella della prefettura però non è una soluzione dell’ultimo minuto alle polemiche di questi giorni sulla spaccatura tra i partigiani sostenitori di «Bella Ciao» e gli ex combattenti che non la vogliono nemmeno sentire alla radio. Da Ca’ Corner, sede della Provincia di Venezia, fanno notare che è semplicemente la legge dei cerimoniali. Proprio la stessa che vieta alle bande militari di suonare la canzone cara all’Anpi. «Questo accade perché Bella Ciao è stata scritta alla fine della seconda guerra mondiale mentre le norme che impongono alle bande militari di non suonarla sono precedenti—spiega la presidente dell’Anpi Rosanna Zanetti —. Ma non è nemmeno questo il problema perché questa volta l’orchestra non è composta da militari: la prefettura non ha vietato di cantare Bella Ciao, quindi la banda la eseguirà durante il corteo».

E invece è proprio questo il problema perché, anche se «Bella Ciao» verrà suonata anche in altre piazze tra cui quella di San Donà di Piave (dove sindaco è la leghista e presidente della Provincia Francesca Zaccariotto), il generale Pino Rizzo che rappresenta gli ex militari di «Bella Ciao» non vuole proprio sentir parlare né a Mestre né altrove. «L’anno scorso siamo stati colti di sorpresa quando è stata intonata la canzone ma abbiamo lasciato correre perché la cerimonia era solenne — spiega — ma subito dopo sono andato a protestare dal vicesindaco e lui mi aveva assicurato che non si sarebbe più fatto». A sentire Rizzo però le sue parole sarebbero cadute nel vuoto perché il 5 aprile, quando le associazioni di ex combattenti si sono incontrate con il Comune, il programma era rimasto invariato rispetto all’anno precedente. La soluzione dunque sarà lo sdoppiamento dei cortei. Il picchetto militare non precederà il corteo degli ex partigiani e andrà a fare la cerimonia solo soletto. «E cercheremo nei limiti del possibile di sottolineare che sono due cortei differenti — continua Rizzo — perché la presidente dell’Anpi non ha rispetto per il ruolo degli ex militari. Bella Ciao è una canzone politica ». E poco importa che la segretaria dell’Anpi veneziano Serena Ragno ricordi che «proprio nel giorno della Memoria è stato l’Anpi a ricordare il ruolo dell’esercito regolare nelle fasi della Liberazione, perché i partigiani non dimenticano i soldati internati», gli ex militari sembrano voler tirare dritto per la loro strada e oltre a fare un corteo separato non saliranno sul palco né resteranno ad ascoltare il discorso sulla Liberazione. Salvo ricuciture dell’ultima ora quindi la soluzione pare essere ancora lontana. «Basta avere buon senso—sottolinea l'assessore Gianfranco Bettin —. Se non siamo capaci di trovare una soluzione per una cerimonia di un’ora, allora non siamo il Paese delle ricorrenze ma delle barzellette». E dello stesso parere è il capogruppo di Rifondazione in consiglio comunale Sebastiano Bonzio. «L’anniversario della Liberazione deve essere un simbolo dell’unità del paese — dice Bonzio — e invece rischia di essere lo specchio di un’Italia lacerata e divisa in tifoserie». Per il capogruppo dell’Idv Giacomo Guzzo, «sia i partigiani che gli ex militari devono arrivare a un compromesso, perché è impensabile che anche il 25 aprile venga celebrato all’ombra delle polemiche ». Simone Venturini dell'Udc infine propone una soluzione unidirezionale e chiede al Comune che venga sospesa l’esecuzione di «Bella Ciao».
Al.A.

Napoli. Pasqua, è trincea nella monnezza
Vigili del fuoco, task force anti-roghi
1300 tonnellate in strada. A Terzigno, 50 in passamontagna, hanno fermato tre autocompattatori
e hanno incendiato la cabina di un mezzo

NAPOLI - Fino all'ultimo atto. Trionfale annuncio amministrativo e clamorosa smentita della realtà. «Sarà una Pasqua pulita», si era da Palazzo San Giacomo. Ed eccola sotto gli occhi di tutti: cumuli che diventano montagne di rifiuti, roghi e squallore. E in questo degrado assoluto che Napoli santifica la Pasqua.

1300 TONNELLATE - Secondo una stima del Comune, ci sono circa 1300 tonnellate di spazzatura in strada. Lo spettacolo è da «The day after» anche perché è di notte che avviene la devastazioni dei roghi. Il bilancio non è stato ancora stilato ma i danni sono davvero ingenti:

TASK FORCE DEI VIGILI DEL FUOCO - La prefettura di Napoli ha disposto che verrà impiegata per la vigilanza e l’intervento immediato anche una task force dei vigili del fuoco, che affiancheranno gli uomini delle forze di polizia. Quelli degli incendi sono atti, a dire del prefetto di Napoli, Andrea De Martino, che «non appartengono al senso di civiltà dei napoletani».

50 IN PASSAMONTAGNA BLOCCANO AUTOCOMPATTATORI - Tensioni si registrano anche in provincia. A Terzigno, dopo alcuni mesi di calma, nei pressi della discarica Cava Sari la scorsa notte in cinquanta, col volto coperto da passamontagna, hanno fermato tre autocompattatori, incendiato la cabina di un mezzo e danneggiato un’automobile. Fermo, per circa due ore, il conferimento dei rifiuti: all’invaso fanno capo solo i Comuni della zona vesuviana. Intanto, rende noto la Sapna (società della Provincia di Napoli per la gestione del ciclo integrato dei rifiuti), alle otto di stamattina sono state comunque conferite già 630 tonnellate e gli Stir (strutture di assemblaggio) di Giugliano e di Tufino lavoreranno regolarmente oggi, domani e lunedì. Ma il vero nodo è quello di liberare i magazzini degli Stir della frazione secca che in Campania può essere bruciata nel solo termovalorizzatore di Acerra e di rendere così veloci le operazioni di conferimento da parte degli autocompattatori. Insomma, la situazione non dovrebbe ulteriormente peggiorare anche se è escluso che, per domani, la città possa essere completamente pulita. La notte scorsa in parte sono stati ripuliti, sottolinea il Comune, alcuni punti della città dove si registravano forti criticità: alcune aree del centro storico, come il Rettifilo, e la zona compresa tra via Roma e piazza Carità.
Nat. Fe.

Melandri: «Il sistema rifiuti in Calabria è fallito»
Il commissario delegato per l'emergenza rifiuti in Calabria, Graziano Melandri, in una lunga nota ha evidenziato lo stato della gestione dei rifiuti nella regione denunciando il fallimento
23/04/2011  «Il sistema rifiuti della Calabria è miseramente fallito». È quanto afferma Graziano Melandri, Commissario delegato per l’emergenza rifiuti in Calabria, in una lunga dichiarazione. «Dal giorno del mio insediamento quale Commissario all’emergenza rifiuti – sostiene Melandri – ho registrato un innalzamento dei toni e delle espressioni di critica nei confronti dell’operato di questo ufficio soprattutto da parte di alcuni amministratori locali. Mi rendo conto del particolare momento storico che stanno vivendo molte municipalità, con l'approssimarsi della scadenza elettorale. Sono altresì conscio del valore simbolico che assume, in questa delicata fase, il sacchetto della spazzatura abbandonato per strada, spesso sventolato come una clava contro l’avversario politico. Non sentendomi in alcun modo coinvolto nell’agone politico, vorrei tentare di fornire una lettura asettica della grave situazione di disagio che stanno vivendo i cittadini di tutta la regione». «Diciamo innanzitutto – prosegue – che il sistema rifiuti della Calabria è miseramente fallito. Raccogliamo oggi i frutti, anzi i cocci, di una strategia politica nata male e attuata peggio. L’errore in partenza è stato fondamentalmente quello di non aver pensato a soluzioni emergenziali immediate, da attuare a breve termine, ma di aver concepito un percorso virtuoso, particolarmente complesso ed oltremodo oneroso che, a distanza di un decennio, ancora tarda a completarsi e ha determinato l’attuale stato di crisi. Se sussiste certamente una responsabilità esclusiva in capo a chi ha concepito tale sistema, non altrettanto può dirsi per quanto concerne la realizzazione stessa del progetto. A questo punto sono costretto a chiamare in causa gli stessi amministratori che oggi minacciano azioni eclatanti di protesta o si ergono a paladini della difesa della salute dei propri concittadini». «Affinchè i cittadini abbiano una visione chiara della situazione e possano, così, individuare dove e su chi ricadano le responsabilità di questo fallimento annunciato – sottolinea il Commissario – è necessario fissare alcuni passaggi: primo, l'attuale sistema è assolutamente sbilanciato e grava soprattutto sulle province di Reggio Calabria, Catanzaro, in parte Crotone (dotata di impianti e non di discariche) e in minima parte Cosenza (solo la Sibaritide è autosufficiente). L'intera provincia di Vibo Valentia e gran parte di quella di Cosenza producono immondizia e la smaltiscono in altre province. Ciò ha determinato il collasso degli impianti attualmente esistenti, incapaci di assorbire un gravame superiore a quello per il quale erano stati concepiti. Secondo: gli impianti di Rossano (Cosenza) e Alli (Catanzaro) sono gli unici ad essere dotati di discarica di servizio e, peraltro, quella di Rossano è sottoposta a sequestro da parte dell’Autorità giudiziaria; se si considera che un impianto produce il 70% di scarti di lavorazione e che questi sono destinati a finire in discarica, ci si chiede dove vanno gli scarti degli impianti di Sambatello (Reggio), Siderno (Reggio), Gioia Tauro (Reggio), Lamezia (Catanzaro), Crotone e Rossano (Cosenza)? Risposta, vanno tutti in due sole discariche, Alli e Pianopoli, entrambe nella provincia di Catanzaro, che sopportano, peraltro in maniera insufficiente, l’intero sistema. Tutto ciò è stato determinato esclusivamente per volontà politica, cioè per colpa di amministratori che, cavalcando improprie campagne ecologistiche, hanno impedito di fatto lo smaltimento dei rifiuti che i propri cittadini giornalmente producono. Chi oggi sventola il sacchetto buttato per strada come il fallimento di un sistema, dovrà prima chiedersi chi ha provocato questo fallimento». «Un’ultima considerazione – conclude Melandri – che vuole essere soprattutto un umile consiglio rivolto agli amministratori locali: in questi momenti di particolare eccitazione mediatica può capitare di sottoscrivere atti o documenti che impegnano al di là delle proprie attribuzioni. Legalità vuol dire anche rispetto delle reciproche competenze. Questa è l’unica ragione vera per cui non potrò mai autorizzare l’uso di una discarica formalmente e sostanzialmente chiusa».

Modena. Evasione da 30 milioni: 8 denunce
Scoperta dalla Guardia di Finanza nel settore dei trasporti e traslochi
di Rino Filippin
  Un'evasione fiscale record: 30 milioni di euro. Così nel mirino della Finanza sono finite due aziende locali del settore trasporti e traslochi. Otto le persone denunciate: creavano società poi subito dopo le cessavano, distruggendo tutti i documenti contabili. Contemporaneamente venivano fatto sparire dal patrimonio delle imprese le disponibilità finanziarie destinate all'erario.  Sono stati i militari delle Fiamme Gialle di Carpi a concludere questa brillante indagine di Polizia Tributaria che ha scoperto una evasione record proprio nella nostra città: 30 milioni di euro. L'operazione, come riferiscono le Fiamme Gialle, è stata condotta nei confronti di due società operanti nel settore dei trasporti e dei traslochi i cui nomi non sono stati divulgati dagli inquirenti. L'organizzazione aveva trovato un sistema ingegnoso per non pagare tasse, tributi e restare senza nome nè volto. La banda, attraverso prestanomi, costituiva e gestiva per brevi periodi società cooperative e consorzi che volontariamente venivano indotte al sicuro fallimento.  «In particolare - spiega in una nota la Guardia di Finanza di Carpi - l'organizzazione, mantenendo anonima la sua posizione all'interno delle società, ovvero rivestendo cariche di scarsa responsabilità, occultava e distruggeva le scritture contabili e successivamente distraeva, dal patrimonio delle imprese, le disponibilità finanziarie destinate all'erario per il pagamento delle imposte e dei contributi previdenziali e assistenziali».  L'attività criminosa è stata realizzata impiegando dei prestanomi i quali venivano appositamente ed abilmente reclutati. In sostanza venivano contattate persone che nulla avevano a che fare con l'attività della ditta e che avevano seri problemi economici. Di conseguanza bastava offrire loro pochi soldi per ottenere la disponibilità a sottoscrivere qualsivoglia documento sociale ed amministrativo. Le complesse indagini delle Fiamme Gialle si sono concluse con il deferimento all'autorità giudiziaria di otto persone.  Sono stati così recuperati a tassazione i ricavi non dichiarati, costi indeducibili e imposte non pagate per oltre 30milioni di Euro.  Il settore dei traslochi, come noto, è molto vivace in città. Le aziende che si propongono sono numerose ed alcune usano politiche particolarmente aggressive praticando prezzi, dicono gli addetti ai lavori, fuori mercato. Se, poniamo, un trasloco nell'ambito del territorio comunale costa mediamente 1500 euro fino a un massimo di 2mila, è possibile contattare certe imprese e ottenere sconti fino a un terzo. 23 aprile 2011

Reggio Emilia. "Sono disoccupato, portate mio figlio in carcere"
Un padre in cassa integrazione, con tre figli minorenni da mantenere, ha scritto al giudice per chiedere di fare qualcosa per aiutare la sua famiglia e rispedire in carcere il figlio di 24 anni, arrestato per rapina, che godeva del regime dei domiciliari. La richiesta è stata accolta e i carabinieri lo hanno riportato alla Pulce. CASTELNOVO SOTTO. «Sono in cassa integrazione e non riesco più a mantenere mio figlio. Per favore, rimettetelo in carcere». Questa, in sintesi, la telefonata che il padre ha fatto ai carabinieri dopo che il giudice aveva concesso gli arresti domiciliari al figlio, condannato per rapina e scarcerato. LA STORIA. E' un'altra storia, tra le tante, figlia della crisi economica quella che arriva da Castelnovo Sotto. E' quella di un padre, di origine marocchina, che a causa delle mutate condizioni lavorative, di un reddito non più all'altezza, si vede costretto a rivolgersi al giudice per chiedergli di riportare in carcere il figlio maggiore. Evidentemente, è per lui il solo modo per far bastare i soldi che gli restano al mantenimento degli altri figli, tutti minorenni, e della moglie. Udita la sua storia e le giustificazioni portate nella documentazione, la terza sezione della Corte di appello di Bologna si è vista così costretta ad accogliere la richiesta e a sostituire la misura degli arresti domiciliari con la detenzione. I carabinieri della stazione locale, così, venerdì pomeriggio si sono recati nella sua abitazione per notificargli il provvedimento e per accompagnare il 24enne nel carcere della Pulce. IL REATO. Il giovane era finito nei guai il 29 ottobre 2009 - data dell'arresto - per una rapina compiuta nel tardo pomeriggio del 16 luglio precedente. A incastrarlo era stato proprio il giovane che era stato aggredito e che lo aveva riconosciuto in alcune foto mostrategli dai carabinieri del comando provinciale, grazie alla sua minuziosa descrizione. Il 24enne, in bicicletta e assieme a un complice, aveva avvicinato il 18enne mentre stava passeggiando in via Secchi, in centro a Reggio. Quindi, lo aveva minacciato puntandogli un coltello alla gola, mentre l'altro lo teneva fermo. La vittima, sotto shock, aveva consegnato il portafogli con 200 euro e i due malviventi erano scappati. Il 18enne aggredito aveva subito allertato i carabinieri ed erano partite le ricerche: così il 24enne era stato sorpreso nella sua abitazione a Castelnovo Sotto. Per quei fatti, il 2 novembre 2009, il 24enne era finito agli arresti domiciliari. Una misura preferibile rispetto al carcere, ma pur sempre a carico del padre. Ora, invece, dovrà adeguarsi al regime carcerario. 23 aprile 2011

Bozen. I bolzanini bocciano i progetti per coprire il duce a cavallo: «Sono tutti soldi sprecati»
di Riccardo Valletti
  BOLZANO. I bolzanini ribadiscono, se mai ce ne fosse stato bisogno, che la polemica sulla copertura o il depotenziamento del bassorilievo fascista inizia e finisce tra le quattro mura della politica.  Alla domanda quale delle cinque soluzioni finaliste del concorso indetto dalla Provincia preferirebbero vedere realizzata, tutti rispettano una specie di copione, che segue la logica lineare di chi è abituato a fare i conti con i problemi della vita quotidiana. In prima battuta ridono - basta guardare Luisa Ognibeni - segue un blando «non mi faccia perdere tempo», poi diventano seri con la domanda «ma quanto costa questo lavoro?», dulcis in fundo «soldi buttati, dovrebbero lasciarlo così com'è e farla finita».  I progetti finalisti favoriti, accompagnati da mille se e altrettanti ma, sono il "boschetto" sulla balconata (Bergmeister & Wolf, Bressanone - Weinberger, Vienna) e l'obelisco a forma di scalpello in mezzo alla piazza (Trebo, Bolzano). Per il primo la ragione più spesa è che «un po' più di verde non guasta mai» che «a Bolzano le aree verdi stanno sparendo e se non trovano un posto migliore per piantare degli alberi che li mettano pure li».  Per il secondo vige la logica per cui «aggiungere è sempre meglio che sottrarre, piuttosto che picconare il bassorilievo meglio fare il monumento allo scalpello, se invece riescono a fare un obelisco più bello magari ci guadagna la piazza». Gli altri tre finalisti, scritta luminosa (frase di Hanna Arendt "Nessuno ha il diritto di obbedire") sipario (Prünster e Degiorgis, Bolzano), e copertura parziale (Bornfeld, Brunico) vengono considerati inappropriati. Tra tutte le soluzioni, quella meno apprezzata è il sipario, considerato «terribile», come esclama Lida Martinelli. Il pragmatismo della strada contraddice anche la sensibilità estetica di molti architetti, secondo i quali la citazione della Arendt che scorre luminosa sul bassorilievo potrebbe essere, tra tutte, la soluzione praticabile. «Queste sono considerazioni da salotti intellettuali - spiega Bernhard Stolcis - l'unica cosa che conta è che costi poco». Questo è il cruccio su cui s'incagliano le opinioni della piazza, i commenti si riferiscono al valore reale dell'operazione e non agli aspetti simbolici. «C'è tanta gente in giro che ha bisogno di aiuto - mormorano Josef e Flora Weiss - con questi soldi si potrebbero fare mille cose più utili. Noi viviamo qui da 45 anni e quel monumento non ci ha mai fatto né caldo né freddo».  «Se proprio devo scegliere - spiega Simone Zagagnoni - preferisco lo scalpello, ma sarei più contento se con quei soldi ci facessero quattro fermate in più del bus».  Non c'è da confondersi però, non si tratta di un'ondata di menefreghismo. Tutti dimostrano di sapere di cosa stanno parlando, degli aspetti sociali e politici che si nascondono dietro alla bagarre sull'oscuramento del duce a cavallo. «Capisco lo spirito di chi non lo vuole vedere - racconta Adriana Androvic - sono rumena e ho vissuto il comunismo, so cosa può significare per i tedeschi questo monumento, eppure credo che a questo punto della storia coprirlo sia un errore». «La storia è andata - sbotta Gabriella Lorendini - nessuna delle cinque proposte la riporta indietro, meglio farsene una ragione il prima possibile».  Nessuno dubita che sia una questione difficile da dirimere però «resta il dubbio se valga la pena o no spendere tutti questi soldi», come spiega Alvaro Sequani. Anche lui aveva partecipato al concorso, proponendo una vetrata a specchio risultata scartata dalla commissione. «Non conosco i criteri che hanno portato al giudizio perché non ci hanno spiegato perché ci hanno bocciato ma mi viene da pensare che abbiano dato spazio agli studenti piuttosto che ai professionisti. In ogni caso credo che nessuna di queste soluzioni sia praticabile, perché vanno tutte più o meno contro il bando di concorso». Molti si domandano come mai l'idea di mettere solo una targa a spiegazione del monumento sia stata scartata da subito e così in fretta. «La potevano pensare bene, farla grande e in 4 lingue - afferma Flora Weiss - sarebbe bastata». 

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