venerdì 6 maggio 2011

Federali Sera-6 maggio 2011. Friuli Venezia Giulia: A Latisana, doveva essere la Protezione civile ad aspettarli per portarli in furgone nelle località individuate ma, al loro arrivo, non c'era nessuno. Gli autisti della compagnia calabrese si sono così spinti fino a Cervignano, dove i carabinieri della stazione locale hanno gestito il loro arrivo. Sulla base dell'elenco stilato dalle prefetture di Udine e Gorizia, hanno fatto scendere un primo gruppo di persone da ospitare all'albergo "Friuli" di piazza Unità d'Italia. Anche in questa operazione sono sorti disguidi. Il primo elenco inviato non era giusto. Così il sindaco di Cervignano, Pietro Paviotti, ha dato il primo benvenuto a un gruppo di persone, che subito dopo è stato fatto risalire sul pullman.

Immigrati pendolanti:
Svizzera. Frontalieri, accordi nazionali e disaccordi cantonali
L’Unhcr e l’immigrazione in Italia: «Basta con gli allarmismi»
Oltre 800 immigrati a Lampedusa

In Friuli-Venezia Giulia il termine rifugiato e’ sinonimo di clandestino:
Clandestini, da Lampedusa in Fvg 61 rifugiati somali. Disguidi all'arrivo: a Latisana non c'era nessuno ad attenderli.

Evasione di massa:
Il Nord evade le tasse più del Mezzogiorno

Luis si e’ incartato:
Bozen. Comune, giunta spaccata sul duce oscurato «È una presa in giro»
Bozen. Monumenti, Brugger con Durnwalder «Chiudere il caso, anche senza unanimità»
I bolzanini: duce a cavallo, spesa inutile

Federalismo d’acqua dolce:
Belluno: dieci milioni di euro per Bim Gsp
Bari. Acqua pubblica, Emiliano contro Vendola «Legge da correggere, rischio bocciatura»


Svizzera. Frontalieri, accordi nazionali e disaccordi cantonali
di Generoso Chiaradonna - 05/06/2011
Gli accordi internazionali non sono scritti a carattere di fuoco nella roccia. Si possono e si devono cambiare se le condizioni che li hanno determinati sono nel frattempo mutate. A patto, però, che ci sia la volontà politica degli originali sottoscrittori di volerli rinegoziare. È così il caso – per citare la denominazione ufficiale – dell’Accordo tra la Svizzera e l’Italia relativo all’imposizione dei lavoratori frontalieri e alla compensazione finanziaria a favore dei Comuni italiani di confine. Quello per intenderci che riversa il 40% dell’imposta alla fonte prelevata ai frontalieri ai Comuni dell’immediata fascia di confine italiana e che da qualche anno sta facendo scorrere fiumi d’inchiostro da questa parte del confine fino a diventare un punto fondamentale del programma politico non solo della Lega dei Ticinesi, ma dell’intero arco parlamentare cantonale.
Tale accordo è parte integrante della Convenzione italo-svizzera per evitare le doppie imposizioni. Entrambi i documenti risalgono a oltre trent’anni fa.

Se i termini degli accordi sono noti ormai a molti, rimangono misconosciute le ragioni per cui furono sottoscritti. Le ha ricordate recentemente il professore Remigio Ratti durante gli incontri promossi nel corso del 2010 al Canvetto Luganese dalla Fondazione Diamante. Ratti ricorda che nel 1976, anno di ratifica dell’accordo, tutti furono concordi nel ritenere equa la ripartizione delle imposte alla fonte per fare fronte ai rispettivi costi: al Ticino le strade, ai Comuni italiani oltre alla viabilità i costi infrastrutturali e sociali per le famiglie dei pendolari. Si trattava però anche di una compensazione per poter attingere a un mercato del lavoro di prossimità che ha permesso all’industria locale di crescere nel corso degli anni. Si era in un periodo in cui in Svizzera si cercava di contenere l’afflusso di manodopera straniera residente in modo permanente. Le ‘lotte’ contro ‘l’inforestieramento’ non sono una scoperta recente della politica svizzera. Il bacino del mercato del lavoro d’oltreconfine tornava quindi molto comodo soprattutto all’industria.

Lo stesso Gildo Papa, segretario generale di allora della Camera di commercio ticinese, riconosceva che questa manodopera era entrata a far parte strutturalmente dell’economia cantonale, la quale aveva tutto l’interesse che in quei comuni ci fossero infrastrutture e servizi sociali e scolastici che stabilizzassero e rendessero vivibile questa forma specifica di pendolarismo a cavallo della frontiera. Per questa ragione si giustificava il ristorno del 40% delle imposte pagate a condizione che fossero destinate a progetti e opere nei comuni di residenza di questi lavoratori.

Nel frattempo, è vero, le cose sono cambiate. Con l’entrata in vigore della libera circolazione delle persone i lavoratori frontalieri non giungono più solo dall’immediata fascia di confine. Questi ultimi sono trattati dal punto di vista fiscale in modo diverso dai loro connazionali e magari assunti dallo stesso datore di lavoro. Il 100% delle imposte versate dai ‘neofrontalieri’ rimane in Svizzera, ma le ragioni che hanno spinto i negoziatori di allora sono attuali ancora oggi e rientrano nell’ambito di buon vicinato tra Stati. Altra storia, anche se la natura è la stessa, hanno gli accordi analoghi firmati con Austria, Germania e Francia.

In tutta questa vicenda s’inserisce infine l’altro grande tema fiscale: la revisione della Convenzione contro la doppia imposizione, l’ampio quadro in cui è inserito l’accordo sui frontalieri, alla luce dei nuovi standard Ocse fatti propri anche dalla Svizzera. Il ministro delle Finanze italiano Giulio Tremonti sembra non volerci sentire, ma non è minacciando azioni di revoca unilaterali – che spettano a Berna e non a Bellinzona, è bene ricordarlo – che gli si fa riacquistare l’udito.

L’Unhcr e l’immigrazione in Italia: «Basta con gli allarmismi»
 05 maggio 2011
Roma - «Basta con i toni allarmistici»: non usa mezzi termini Laurens Jolles, rappresentante in Italia dell’Unhcr, per criticare il clamore sollevato in Italia dall’arrivo di immigrati e richiedenti asilo dal Nord Africa.
«In Italia sono arrivate 23mila persone dalla Tunisia, e la maggior parte non sono più qui ma si sono trasferiti in qualche altro Paese europeo, e circa 8mila dalla Libia. Ma dalla Libia sono partite ben 700mila persone che sono state accolte in Tunisia, Egitto o in qualche altro Paese africano. In Italia è arrivato dunque un numero molto piccolo».
«Ciò non vuol dire - ha precisato - che l’Italia non debba prepararsi a un’ondata maggiore dalla Libia: potrebbero essere 50mila, come dice il Governo italiano, ma anche di più o di meno, e la maggior parte saranno richiedenti asilo. È quindi necessario un piano di intervento». Ma l’importante, ha insistito, è «non eccitare l’opinione pubblica: parole come `tsunami umano´, `esodo biblico´ non corrispondono alla realtà e servono solo a incutere paura».
Inoltre, secondo Jolles «l’Italia aveva tutto il diritto di concedere permessi di soggiorno temporaneo, ma ha sbagliato a presentare la concessione di questi permessi come una garanzia per la libera circolazione nell’area Schengen - cosa che non è - perché ora molti tunisini si sentono imbrogliati».

Oltre 800 immigrati a Lampedusa
 06 maggio 2011
 Lampedusa - Sono ripresi a ritmo sostenuto gli sbarchi a Lampedusa, dove in un solo giorno sono approdati oltre 800 migranti. Un altro barcone, il quinto nel giro di poche ore, è giunto in porto poco prima della mezzanotte dopo essere stato soccorso da una motovedetta della Guardia di Finanza a 19 miglia a ovest dell’isola. A bordo 60 extracomunitari, tra cui una donna, partiti quasi certamente dalla Tunisia.

Altri sette sono stati bloccati in nottata dai carabinieri a Linosa, la più piccola delle isole Pelagie, subito dopo essere sbarcati direttamente a terra. I migranti giunti ieri a Lampedusa, accompagnati nel centro di prima accoglienza, sono in gran parte profughi partiti dalla Libia e provenienti da paesi dell’area subsahariana.

Friuli vg. Clandestini, da Lampedusa in Fvg 61 rifugiati somali. Disguidi all'arrivo: a Latisana non c'era nessuno ad attenderli.
Smistati a Cervignano e Lignano
CERVIGNANO Sono 61 i somali giunti in regione all'alba di ieri. Da Crotone, hanno viaggiato a bordo di due corriere, fino a giungere a Latisana alle 7.30 di mattina. Un viaggio "organizzato" dalla Regione, che ha dato l'ok per i richiedenti asilo che Lampedusa non riesce più a gestire. Di concordo con la protezione civile, il vicepresidente Luca Ciriani ha individuato quattro località per ospitarli: Cervignano, Gradisca, Lignano e Resiutta, in alto Friuli.

 Ma il viaggio non è andato liscio come si pensava. A Latisana, doveva essere la Protezione civile ad aspettarli per portarli in furgone nelle località individuate ma, al loro arrivo, non c'era nessuno. Gli autisti della compagnia calabrese si sono così spinti fino a Cervignano, dove i carabinieri della stazione locale hanno gestito il loro arrivo. Sulla base dell'elenco stilato dalle prefetture di Udine e Gorizia, hanno fatto scendere un primo gruppo di persone da ospitare all'albergo "Friuli" di piazza Unità d'Italia. Anche in questa operazione sono sorti disguidi. Il primo elenco inviato non era giusto. Così il sindaco di Cervignano, Pietro Paviotti, ha dato il primo benvenuto a un gruppo di persone, che subito dopo è stato fatto risalire sul pullman. Sono poi scese altre 16 persone, individuate questa volta dall'elenco corretto. L'albergatore Federico Caravaggio, che il giorno prima aveva acconsentito alla richiesta di accoglienza da parte della protezione civile, ha sistemato 16 persone in 7 camere, tra cui 4 mamme di altrettanti bambini in tenera età. Per il controllo dei documenti sono trascorse tre ore. Dopo il lungo viaggio a digiuno, i 16 somali, stremati, sono riusciti a salire nelle camere solo alle 12.30.

 Oltre alle forze dell'ordine e al sindaco, ad accoglierli anche Bana Umi, mediatrice culturale inviata dalla questura di Udine. Per quanto la mediatrice abbia fatto notare le loro condizioni di stanchezza, non era presente alcun medico. «Sono persone che potranno richiedere lo status di rifugiati politici», ha precisato il sindaco, appellandosi all'ospitalità dei cervignanesi. Per gli altri, il viaggio è stato ancora più lungo. Scortati dalla stradale di Palmanova e dai Carabinieri di Latisana, alle 12.30 sono partiti per il Cie di Gradisca, dove ne sono scesi una ventina. Gli altri sono stati portati prima a Resiutta, poi a Lignano, dove nel tardo pomeriggio sono stati sistemati in varie strutture ricettive.

Il Nord evade le tasse più del Mezzogiorno
Basilicata nella lista nera
ROMA – Basta guardare al Sud come al grande evasore. Nel 2008 la quota di reddito dichiarato ai fini Irpef evasa sarebbe stata del 18% nel Mezzogiorno e del 19% nel Centro-Nord. A livello regionale spetta al Veneto il primo posto della classifica, con il 22,4%, mentre Emilia Romagna e Calabria registrerebbero gli stessi tassi di evasione, pari al 20,6%. La più virtuosa la Sardegna, con il 13,7% di reddito evaso. È quanto emerge dalla nota «Italia unita nell’evasione fiscale. Basta accuse al Mezzogiorno» di Franca Moro e Federico Pica pubblicata sul sito www.svimez.it. Condotto su dati Istat, Agenzia delle Entrate e ministero dell’Economia e delle Finanze, lo studio controbatte ai dati forniti dall’Agenzia delle Entrate nell’articolo di Enrico Marro pubblicato sul Corriere della Sera del 3 aprile, secondo cui il Mezzogiorno sarebbe una terra di forte evasione, evasione che arriverebbe a Caserta e Messina a punte del 66%. In base agli ultimi dati disponibili, nel 2008 il reddito dichiarato ai fini Irpef in percentuale del reddito disponibile (al netto delle prestazioni sociali, nelle quali maggiore è la presenza nel Mezzogiorno di redditi esenti o non assoggettati ad IRPEF) è stato dell’82% nel Mezzogiorno e dell’80,7% nel Centro-Nord. In altre parole, la quota di reddito evasa sarebbe pari al 18% nel Mezzogiorno e al 19% nel Centro-Nord. Con forti differenze regionali: il livello più elevato di evasione si registrerebbe in Veneto (22,4%), seguito da Marche (22%) e Basilicata (21%). A pari merito Emilia Romagna e Calabria, con il 20,6%, seguite da Piemonte (20,4%) e Toscana (19,2%). Lombardia (17,6%) e Sicilia (17,2%) registrerebbero percentuali simili. Le più virtuose Liguria (14,7%) e Sardegna (13,7%).

Andamento non troppo diverso se si considera la percentuale di reddito dichiarato sul Pil. Il Mezzogiorno dichiara il 51,2%, il Centro-Nord il 49,5%. In questo caso è il Lazio a dichiarare di meno, solo il 46,7%, seguito dal Veneto (47,6%). A parte la Calabria (49,4%), al Sud si dichiara il 50% e oltre; la Puglia è al 53,2%, e segue la più virtuosa Liguria (56,4%). «Noi non cadiamo di certo nella tentazione di etichettare il Centro-Nord come evasore fiscale – si legge nella nota Svimez -. Questi dati, con tutti i limiti che hanno, mostrano comunque che è il momento di smettere di attribuire tale etichetta al Mezzogiorno: la realtà è che l’Italia non ha raggiunto l’unità economica ma è unificata nell’evasione». Da rilevare, continua la nota, che «nel Mezzogiorno l’evasione è riferibile ad un numero di contribuenti relativamente elevato che tuttavia evade per importi unitari modesti, mentre nel Centro-Nord al limitato, sempre in senso relativo, numero di evasori corrisponde una massa imponibile non dichiarata rilevante». Quindi l’evasione ha due facce ben diverse, a Nord e a Sud. «Nel Mezzogiorno l’evasione riguarda attività marginali artigianali e di servizio, visibili e diffuse sul territorio, che non pagando i tributi dovuti riescono a rimanere sul mercato, mentre al Nord ad evadere sono contribuenti e imprese ad elevati livelli di reddito...In sostanza si può figurare una evasione per sopravvivenza al Sud e una evasione per accumulazione di ricchezza al Nord».
05 Maggio 2011

Bozen. Comune, giunta spaccata sul duce oscurato «È una presa in giro»
BOLZANO. Altro che pacificazione. Il vetro opaco sul Mussolini a cavallo, deciso da Palazzo Widmann e sindaco Spagnolli, provoca una grandinata di polemiche. Resta alta la tensione in giunta comunale, dove Spagnolli, associato al dirigismo di Durnwalder, è stato criticato dallo stesso Pd, Verdi e Prc. «Una presa in giro», commenta Luigi Gallo.  La decisione in solitaria di Spagnolli provoca un nuovo scontro in maggioranza. Oggi in Consiglio si discuterà della copertura del Mussolini a cavallo. Lo hanno chiesto i Verdi, ma la lista degli arrabbiati, in giunta e maggioranza, è lunga. Guido Margheri (Sel): «Nella discussione in Consiglio chiederò formalmente alla giunta di premere sulla Provincia per riaprire la questione: il progetto con la frase di Hannah Arendt, magari integrato, andava bene. E dovremo riparlarne anche in maggioranza». L'assessore Gallo (Prc) è tra coloro che già martedì ha criticato sia Provincia che sindaco per avere cancellato i risultati del concorso di idee: «Avere azzarato quella selezione è quasi una presa in giro. Il vetro opaco è la soluzione peggiore che potesse essere presa: nasconde e non spiega nulla. Trovo inaccettabile avere in città un monumento del fascismo senza alcuna contestualizzazione, ma non condivido la copertura».  Oltre ai contenuti, finisce trasversalmente sotto accusa il modo in cui è stata gestita la vicenda in questa ultima fase. Come detto, anche nel Pd comunale non mancano nervosismi. L'assessore Chiara Pasquali: «Hanno avuto troppa fretta». Sul polo opposto il segretario del Pd Antonio Frena: «E' vero che Durnwalder ha operato con un atto di imperio. Non per questo si rompono le alleanze. Sul Mussolini a cavallo la mia posizione è nota: starebbe meglio in una cantina. Considero quel bassorilievo un'apologia di fascismo».  Il consigliere comunale socialista Claudio Della Ratta accusa: «Il presidente Durnwalder si ostina a intervenire in maniera autoritaria, affermando però che vanno cancellati gli autoritarismi del passato». Polemico con Durnwalder e Spagnolli il segretario dell'Udc Paolo Degasper: «Le forze politiche responsabili sono unanimi nella condanna del fascismo. Perché allora coprire ciò che deve restare testimonianza visibile di vergogna?». Di «arroganza dei vertici amministrativi provinciali e comunali» parla Enrico Lillo (Pdl Berlusconi presidente): «Ogni volta che si sta per arrivare a una soluzione pacifica, c'è sempre qualcuno che con decisioni unilaterali, sostenute da colleghi di partito e alleati cooptati, spariglia le carte». Duro Christian Bianchi (Pdl): «Non è ammissibile che su una questione importante come quella dei monumenti un uomo da solo decida per tutti». Durnwalder, accusa Bianchi, «aveva già in mente che se nessun progetto avesse rispettato i suoi canoni, li avrebbe di fatto scartati. Questa volontà di apparire l'uomo forte della politica dà una luce nuova a Durnwalder. Il "presidente di tutti" era una maschera, noi del Pdl lo avevamo sempre detto. La politica italiana si interroghi su come fare per migliorare la situazione del gruppo linguistico italiano». Donato Seppi (Unitalia) parla di una vicenda segnata da decisione prese e disdette, convinto che «alla fine non si farà nulla». Castel Firmiano però, denuncia Seppi, con le celebrazioni degli Schützen sui 50 anni della Notte dei fuochi «diventerà ignobile teatro della commemorazione di una criminale vicenda». (fr.g.)

Bozen. Monumenti, Brugger con Durnwalder «Chiudere il caso, anche senza unanimità»
di Francesca Gonzato
  BOLZANO. Luis Durnwalder contestato per il suo iper decisionismo, secondo alcuni (nel centrodestra e nel centrosinistra). Per «l'arroganza di chi si sente debole e vicino alla successione», per altri, come il Verde Riccardo Dello Sbarba. «Durnwalder non è cambiato. Non vedo eccesso di decisionismo», è la difesa del deputato Siegfried Brugger, che in altre occasioni non ha risparmiato critiche al presidente. E' uno dei candidati più forti alla successione.  Sulla segnaletica di montagna Durnwalder ha tenuto riservata per settimane la relazione della commissione di esperti, prima di mostrarla agli assessori provinciali. Sul Mussolini a cavallo ha rigettato i risultati del concorso di idee, trainando con sé giunta e Spagnolli. Pragmatismo o autoritarismo?  «Autoritarismo no. Al contrario, Durnwalder sta portando più questioni in discussione al partito. Sui relitti fascisti ha avuto il via libera dal direttivo. Sulla segnaletica coinvolge parlamentari come me e Karl Zeller».  Perché dimostrare apertura con un concorso sul bassorilievo, per poi rigettare i finalisti, perché i risultati non sono quelli che si volevano dall'inizio?  «Se fosse stato per me, e anche per altri, dopo avere ottenuto un risultato storico come la lettera di Bondi ci saremmo dovuti muovere più in fretta. Durnwalder ha preferito bandire il concorso di idee. Adesso è giusto chiudere al più presto, come sugli ossari e sul resto dei relitti fascisti. Non possiamo permetterci di perdere altri anni. Si fa con chi ci sta. Su temi così ci sarà sempre una parte di scontenti, sia nel mondo italiano che tedesco. Quando si parla del fascismo e della nostra storia, è inutile cercare un punto di accordo con persone come Seppi, Urzì, a volte anche Holzmann. Vedo con piacere che gli alleati di centrosinistra stanno seguendo la giunta».   Infatti non mancano accuse di cedevolezza.  «No, si tratta per tutti noi di assumerci una responsabilità. Anche noi lo facciamo, deludendo una parte di mondo sudtirolese che vorrebbe soluzioni più forti. E' importante che i partner italiani a loro volta si prendano le responsabilità necessarie. Ciò avrà ricadute anche politiche, perché si creano condivisioni importanti».  Sta dicendo che con il centrodestra state tornando alla freddezza?  «Siamo dove eravamo a inizio legislatura. Continuiamo a votare in base ai provvedimenti: a volte a favore, sempre contro sulle leggi ad personam. Sulla Libia ho appena votato per le mozioni del terzo polo e del Pd».  Gli alleati italiani vanno coinvolti nelle decisioni o basta la Svp?  «Vanno coinvolti e non è vero che la Svp preferisca alleati deboli. Per amministrare serve la partecipazione di tutti i gruppi».  Lei dice che provocate scontento, ma la Svp sembra troppo attenta a non scoprirsi sul fronte destro, dai Freiheitlichen agli Schützen.  «E' vero che per un periodo abbiamo sottovalutato certi temi legati alla tradizione, ma se pensassimo solo al consenso la nostra politica sarebbe ben diversa».  Ad esempio?  «Gli stranieri: la legge in preparazione non cavalca certe campagne. La scuola: si affronta la discussione, ci si pone il problema dell'ottimo apprendimento di madrelingua, italiano e inglese. Segnaletica di montagna: Durnwalder e Fitto torneranno a incontrarsi in maggio. Si cerca un accordo che sancisca le dizioni consolidate storicamente e dall'uso. Magnago e Benedikter neppure iniziavano la discussione sulla toponomastica». 

I bolzanini: duce a cavallo, spesa inutile
Italiani e tedeschi concordi: il bassorilievo non è mai stato un problema
di Riccardo Valletti
  BOLZANO. Da piazza Tribunale a piazza Gries, attraverso i due gruppi linguistici, la protesta si leva unanime verso modi e contenuti dell'ossessione che attanaglia da mesi la giunta provinciale.  Copertura o rimozione, commissioni di esperti e concorsi inutili, progetti, vetrate da migliaia di euro e risse ideologiche sull'interpretazione della storia altoatesina, lasciano attoniti gli abitanti del capoluogo, che dalla politica preferirebbero più concretezza, progettualità e pragmatismo.  E' quanto emerge tastando il polso alla gente, molto più propensa a chiedere attenzione su fatti concreti, su problemi reali.  Che parlino la lingua di Dante o di Mozart, le accuse alla rispettiva rappresentanza politica sono le stesse: soffiano sotto la cenere per tenere in vita la politica del conflitto che li ha mantenuti saldi sulle loro poltrone finora. La rabbia che suscita la situazione di stallo, è l'ultimo e più evidente dei sentimenti che esprimono volti e voci, prima ci sono il senso di impotenza di chi vorrebbe voltare pagina e un latente rigetto verso la politica, ormai intesa come cerchia fuori dalla società, scollata dalla vita reale.  Il conflitto etnico è l'eventualità che tutti evitano di vedere, eppure il fantasma nell'armadio comincia a fare rumore. «Non avremo mai pace - sospira Augustin Obkircher - non ci permetteranno mai di raggiungerla, nemmeno tra altre due generazioni». Lo scoramento è palpabile, «continuano a mettere legna sul fuoco - prosegue Obkircher - per mantenere l'ambiente caldo, mentre la gente qui in strada ha ben altro a cui pensare».  Gli Schützen vengono indicati come responsabili della maretta «sono stati loro a tirare in ballo questa polemica - afferma Peter Staffler - fino a sei mesi fa la gente non sapeva nemmeno chi fosse quello a cavallo». E anche chi lo sapeva, avrebbe preferito lasciar perdere piuttosto che armare questo contrasto. «Ci sono passato davanti sesssantacinque anni - sorride Reinhard Gasser - e allora non me ne fregava niente come ora». Certo, tutti d'accordo, non si poteva lasciarlo lì a campeggiare sulla piazza, ma bastava parlarne, spiegare, democraticamente. «A me che lo coprano o no non interessa - afferma Walther (niente foto né cognome per favore) - ma che Durnwalder decida da solo come gli pare mi sembra ingiusto, anche se la commissione aveva scelto fuori dai criteri del concorso, restavano altri 481 progetti da valutare, altrimenti una bella targa sarebbe stata sufficiente». La spesa per il cristallo di oltre 200 metri quadri per coprire il bassorilievo potrebbe essere devoluta ad altre emergenze artistiche. «Potrebbero mandare quei soldi per la salvaguardia del patrimonio artistico di Pompei - afferma Barbara Ambach - l'unica cosa da fare su questo monumento è parlarne e riflettere, ma da cittadini non da tifosi». «Quei soldi sono solo uno spreco - chiosa Giuseppe Vallazza - me li risparmierei per altre urgenze civiche».  In piazza Tribunale intanto c'è Rolf Mandolesi che, armato di telecamera, ha preso l'iniziativa di documentare quanto i bolzanini siano poco interessati a chi cavalca sulla facciata degli Uffici Finanziari. «Finora - racconta - nessuno dei circa 200 passanti l'ha degnato nemmeno di uno sguardo, voglio dimostrare che la gente non se ne cura, né per disprezzo né per approvazione».  Non si tratta però di girare la testa dall'altra parte. «Per me è solo un'opera d'arte - spiega Silvio Pantano - che non rappresenta gli italiani, e come arte dovrebbe essere trattata, senza cercare significati ormai scomparsi». Che la polemica ormai è arrivata al suo zenit lo conferma con un esempio lampante Lucio Buoso: «Il mio nipotino di 4 anni - racconta - poco fa mi ha chiamato e mi ha detto "lo sai chi è quello lì nonno, il Duci"». «Questo - prosegue Buoso - dovrebbe bastare a far capire ai politicanti che è ora di farla finita con le polemiche sterili, è il futuro che ce lo chiede». 

Belluno: dieci milioni di euro per Bim Gsp
Il Consorzio Bim dà il via libera al finanziamento
di Irene Aliprandi
 BELLUNO. Dieci milioni di euro in 15 anni. Il Consorzio Bim, riunito ieri in assemblea, ha approvato la delibera che offre alla società di gestione dell'acqua, Bim Gsp, un contributo pluriennale in conto impianti per lo sgravio della tariffa applicata alle utenze. Il piano elaborato dal consiglio direttivo del Consorzio, sulla base del mandato dell'assemblea, prevede lo stanziamento di 592 mila euro per quest'anno e nei prossimi 14 anni 672 mila euro all'anno. La riunione di ieri è stata presieduta dal sindaco di Lozzo di Cadore, Mario Manfreda, membro del consiglio, in sostituzione del presidente Giovanni Piccoli che di Bim Gsp è dipendente in aspettativa. «Da tempo», spiega Manfreda, «si è deciso di ipotizzare un intervento del Consorzio sul servizio idrico integrato e ieri abbiamo portato la proposta di deliberazione, già preventivamente discussa in pre assemblea. Si tratta di contributi in conto impianti corrispondente alla quota di ammortamento». In pratica il Consorzio Bim ha deciso di trasferire a Bim Gsp delle risorse per realizzare le infrastrutture essenziali previste dal piano d'ambito e questo contributo dovrebbe portare beneficio alle utenze, perché andrà a ridurre la tariffa. «Visto che Bim Gsp serve circa 95 mila famiglie bellunesi», continua Manfreda, «il contributo del Consorzio farà risparmiare in media 6,9 euro a famiglia ogni anno». In realtà l'impatto dello stanziamento del Consorzio sulla tariffa verrà calcolato dall'Ato, che ha il ruolo di controllore di Bim Gsp. Alla società, ma anche all'Ato stessa, il Consorzio chiede di elaborare una relazione annuale con la descrizione della titpologia e del costo degli investimenti fatti. «La decisione di ieri rientra pienamente nella missione del Consorzio Bim», dice ancora Manfreda, «che deve intervenire a favore del territorio e degli utenti. E' la stessa modalità di approccio seguita per realizzare le reti del metano: cioè si stanzia parte del sovracanone introitato per investimenti in infrastrutture, come è sempre stato fatto e senza compromettere gli altri ambiti di azione del Consorzio stesso». L'assemblea ha approvato la delibera senza problemi, anche perché era stata ampiamente discussa, ma i sindaci hanno ribadito la preoccupazione per un sistema che non si regge: «La legge Galli impone che i costi del servizio idrico integrato siano coperti per intero dalla tariffa», ricorda il sindaco di Chies Loredana Barattin, «ma in montagna, su un territorio molto vasto e con poca popolazione, questo non è sostenibile».

Bari. Acqua pubblica, Emiliano contro Vendola «Legge da correggere, rischio bocciatura»
"Necessario prevedere quota minima essenziale gratuita"
Soddisfazione da parte degli esponenti del comitato
BARI - Se davvero si vuole l’acqua pubblica, occorre correggere il disegno di legge regionale. Parola di Michele Emiliano che, davanti ai volontari dei comitati referendari, annuncia: «Scriverò una lettera a Vendola perché corregga il disegno di legge regionale. Per evitare che la corte costituzionale lo bocci, è necessario che preveda la quota minima essenziale gratuita». La dichiarazione di Emiliano è stata accolta con soddisfazione dagli esponenti del comitato che si battono perché nel provvedimento regionale si consideri questo aspetto.

LO STRISCIONE - Applausi ha ricevuto anche la disponibilità del sindaco di Bari di esporre lo striscione a sostegno dell’iniziativa, sulla facciata di Palazzo di città. Intanto a Bruxelles è stato approvato il parere sul «ruolo degli enti locali e regionali nella promozione di una politica idrica sostenibile» che il presidente pugliese Vendola aveva sottoposto all’attenzione della commissione Enve (ambiente cambiamenti climatici ed energia) del Comitato delle regioni. Tra i passaggi fondamentali del parere che Vendola ha illustrato in commissione Enve, quello relativo alla necessità che gli enti regionali e locali diano luogo ad ogni azione e sforzo utile a garantire il valore pubblico dell’acqua. «Deve essere pubblica la risorsa – ha detto Vendola - le concessioni, la proprietà e il governo delle infrastrutture, oltre alla definizione degli standard di servizio. Al di là poi della natura pubblica e privata dei soggetti gestori, su cui ogni stato sovrano ha diritto non condizionabile di scelta, è fondamentale mantenere in capo alle amministrazioni regionali e locali le concessioni, conservando un pieno controllo pubblico sugli investimenti e sull’articolazione tariffaria».
Adriana Logroscino

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