Caselli: «Io una toga rossa? Sì, difendo la Costituzione»
La provocazione del magistrato durante l'incontro a Mantova promosso da Libera, Libertà e Giustizian e Arci: "Se questo significa rispettare la Carta".
di Margherita Grazioli
MANTOVA. Essere di sana e robusta Costituzione e non accettare un'aprioristica consegna del silenzio per paura di vedersi apposte indebite cromature alla toga. «E anzi, se essere una toga rossa significa non guardare in faccia a nessuno e rispettare la nostra Carta allora sì, sono una toga rossa e me ne vanto».
Parola di Giancarlo Caselli, magistrato torinese, intervenuto all'incontro organizzato alla Bocciofila di viale Te da Acli, Libera e Libertà e Giustizia in collaborazione con la Gazzetta di Mantova per continuare il percorso nei meandri della Carta Costituzionale attraverso le domande del giornalista Stefano Scansani. Insieme a lui, Maria Regina Brun di Libera e Carlo Remino di Amnesty International.
Minimo comune denominatore: la legalità declinata nelle aule di tribunale, in quelle scolastiche e nelle pieghe del diritto internazionale. Sul tavolo, un articolo che ultimamente è anche finito sul banco degli imputati: il numero 3, che esordisce con: tutti i cittadini hanno pari dignità sociale e sono eguali davanti alla legge. Un argine contro le ingiustizie, ma anche una consegna precisa: «Quando si dice che è compito della Repubblica rimuovere gli ostacoli all'uguaglianza dei cittadini, ciò significa che bisogna provare a perorarla anche quando le contigenze non sono favorevoli. Il silenzio non è sostenibile: bisogna entrare in dialettica contro volgarità e calunnie. E poi quello di bastonare il magistrato è un malvezzo comune in Italia per cercare di delegittimare gli esiti di un' inchiesta alla radice».
E come esempio evoca una memoria scomoda e rimossa dalla narrazione collettiva: l'infamia appiccicata all'eroico Giovanni Falcone, il cui vuoto Caselli cercò di colmare entrando a far parte del pool palermitano dopo le stragi: «Quando iniziò a toccare le collusioni con i poteri forti iniziò una tempesta di calunnie che lo costrinse a cercare asilo politico a Roma: proprio lui, che non lo era mai stato, fu marchiato come toga rossa. E comunque, non accetto lezioni da chi, storicamente, ha tentato di comperare le toghe di qualsivoglia
colore».
Ma come si può eradicare il male insito nel connubio mafia-politica? «C'è la repressione delle manette, e la crescita di ciascuno in termini di diritti: solo questa antimafia può spezzare il nerbo economico della criminalità che impesta il nostro sistema». In chiusura Caselli non si sottrae nemmeno a una scomoda incursione nell'attualità: il quesito referendario sul legittimo impedimento.
«Ognuno deve votare secondo coscienza, ma credo sia importante arrivare alle urne con le idee chiare sul percorso che ha portato ad oggi: il nostro premier ha un'ossessione sulle sue vicende giudiziarie e cerca di far rinviare certi processi sine die. E in merito a questo non mi stancherò mai di dire che l'indipendenza della magistratura non è un patrimonio di una casta, ma dei cittadini perché offre la prospettiva che la giustizia 5 giugno 2011
possa essere davvero giusta per tutti, e non sottoposta agli ordini del governante di turno».
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