giovedì 28 luglio 2011

Federali.Sera_28.7.11. Il primo numero che balza all'occhio è la quantità di spazzatura prodotta in media da ogni abitante. Siamo a 609,5 kg con un incremento che ha sfiorato il punto percentuale rispetto al 2009, dopo tre anni di costanti riduzioni. I comuni capoluogo del Centro sono quelli che hanno generato più rifiuti (671 kg per abitante) mentre quelli del Sud figurano in fondo alla graduatoria con 554 kg, un dato appena inferiore ai 558 kg delle regioni del Nord-ovest.----Il commissario europeo alla politica regionale, Johannes Hahn, ha scritto a cinque Regioni italiane - Sardegna, Campania, Calabria, Puglia e Sicilia - attirando l’attenzione dei responsabili regionali sul rischio, sempre più concreto, di perdere parte dei contributi europei a loro destinati se entro fine anno non riusciranno a spendere i finanziamenti messi a disposizione dal Fondo europeo di sviluppo regionale (Fesr).----Niki si e’ bevuto il cervello: Non chiediamo soldi a Tremonti, chiediamo – ha aggiunto Vendola – di poter spendere i nostri soldi e che si liberino almeno le quote di cofinanziamento della spesa comunitaria dal vincolo del patto di stabiltà.

Fondi Ue a rischio, monito di Bruxelles
Vendola: «Pronta proposta su fondi Ue»
Tra Fitto e Vendola scoppia la pace sui fondi per il Sud
L'aria nelle città è più pulita ma aumenta la produzione di rifiuti
Il fondo Jessica finanzia la rivoluzione green della Sardegna
Basilicata. Regione, l'esercito dei consulenti
Via libera dal ministero per l'elettrodotto Italia-Montenegro
Declassato il debito di Grecia e Cipro




Fondi Ue a rischio, monito di Bruxelles
Giovedì 28 Luglio 2011 06:40  Redazione desk
BRUXELLES - Il commissario europeo alla politica regionale, Johannes Hahn, ha scritto a cinque Regioni italiane - Sardegna, Campania, Calabria, Puglia e Sicilia - attirando l’attenzione dei responsabili regionali sul rischio, sempre più concreto, di perdere parte dei contributi europei a loro destinati se entro fine anno non riusciranno a spendere i finanziamenti messi a disposizione dal Fondo europeo di sviluppo regionale (Fesr). L’ammontare complessivo dei fondi che entro il 2011 deve essere utilizzato dalle cinque regioni interessate risulta essere attualmente pari a circa 1,7 miliardi di euro. Lettere di messa in guardia sono state inviate dal commissario Ue, secondo quanto appreso dall’Ansa, anche a Regioni di altri Paesi europei in ritardo sul fronte dell’utilizzo del fondi Ue. A fine anno Bruxelles chiuderà i conti sull’erogazione dei Fondi strutturali nel periodo 2007-2009 nell’ambito della programmazione finanziaria che si concluderà nel 2013. Le risorse inutilizzate saranno perse dallo Stato a cui erano state assegnate e destinate ad altre finalità. Nel complesso, l’Italia deve ancora spendere entro l’anno 2,8 miliardi di fondi strutturali europei assegnati per il periodo 2007-2009, tra i quali figurano quelli (1,7 miliardi) a disposizone delle cinque Regioni sollecitate da Hahn.

Vendola: «Pronta proposta su fondi Ue»
BARI – “Faremo una proposta sulla quale non sono ottimista nè pessimista ma determinato a far valere con il ministro Tremonti le ragioni del buon senso perchè è paradossale che mentre c'è la crisi delle famiglie e delle aziende ed aumentano le tasse noi non possiamo mettere in campo le risorse che abbiamo”. Lo ha detto il presidente della Regione Puglia, Nichi Vendola, al termine dell’incontro con il partenariato sociale sugli effetti del patto di stabilità sulle politiche regionali, alla presenza dell’assessore al Bilancio, Michele Pelillo.

La Puglia – è emerso dall’incontro – attestandosi sulla stessa linea esposta dal commissario europeo per la Politica regionale Johannes Hahn chiederà al ministro dell’Economia ed al Governo di non assoggettare il cofinanziamento nazionale al patto di stabilità interno arrivando così alla nettizzazione delle risorse dei fondi comunitari per le regioni ad Obiettivo I per il rispetto del patto. “E' curioso – ha spiegato Vendola - avere in cassaforte miliardi di euro e non poter pagare i creditori, rispondere agli imprenditori ed alle aziende che hanno bisogno che la Regione paghi gli stati di avanzamento delle opere: ci portano le fatture e non possiamo pagare perchè abbiamo il blocco della cassa. Non chiediamo soldi a Tremonti, chiediamo – ha aggiunto Vendola – di poter spendere i nostri soldi e che si liberino almeno le quote di cofinanziamento della spesa comunitaria dal vincolo del patto di stabiltà. Se loro tirano fuori da quel conto 400 milioni di euro che io devo mettere necessariamente per avere 1 miliardo e mezzo di euro dall’Europa, io ho 400 milioni che posso spendere già domani. E ci sono aziende e lavoratori che hanno bisogno di questo ossigeno in un momento così critico come quello che sta vivendo l'Italia intera e la Puglia, il Sud e l’Europa. Intanto oggi è avvenuto un fatto straordinario: tutti gli attori che contano (comuni, province, regione, sindacati e forze datoriali, tutte le associazioni di categoria, tutto il mondo del lavoro e della società e le forze politiche di centrodestra e di centrosinistra) insieme hanno condiviso il documento che porteremo a Tremonti. Non andiamo dal ministro dell’Economia col cappello in mano o come coloro che chiedono di chiudere un occhio ma chiediamo soltanto di poter spendere le nostre risorse per dare ossigeno alla nostra economia”.

“In questo momento c'è un rapporto di grande collaborazione tra me e il ministro Fitto sul terreno dei fondi Fas e credo che nelle prossime ore potranno esserci sviluppi positivi per la Puglia”. Lo ha detto oggi il presidente della Regione Puglia, Nichi Vendola. “Faccio però notare – ha aggiunto – che se anche mi arrivasse domani un miliardo di euro non avendo lo sblocco del patto di stabilità queste risorse potrei metterle solo nel frigorifero, congelate perchè non le posso spendere. Il problema, infatti, non è soltanto il trasferimento delle risorse; il punto chiave è la spendibilità. Io ho bisogno di avere la chiave per aprire la cassaforte, per poter spendere le risorse”.

Tra Fitto e Vendola scoppia la pace sui fondi per il Sud
di GIUSEPPE ARMENISE
Stop alle polemiche. Dopo due anni di denunce verso il governo nazionale che usa i soldi destinati alle regioni del Sud come bancomat per le emergenze del momento (multe per le quote degli agricoltori del Nord, ad esempio), forse oggi si sbloccano i famigerati fondi Par-Fas. È il presidente della regione Puglia, Nichi Vendola, insolitamente conciliante («è in corso un lavoro molto proficuo», dice) con il rivale di sempre, il ministro per gli Affari regionali, Raffaele Fitto, ad annunciarlo, accarezzando già l’idea di poter rimettere a disposizione dei pugliesi quello che egli stesso definisce un «salvadanaio da 2 miliardi e 700mila euro».

L’ultima parola, comunque, la dirà oggi il superministro all’Economia, Giulio Tremonti, dal quale si recheranno lo stesso Vendola con l’assessore al Bilancio, Michele Pelillo. Alle sue valutazioni sono affidati peraltro non solo questi, ma anche altri destini delle comunità di Puglia. Perché il salvadanaio, come lo chiama Vendola, possa essere rotto, occorre infatti che il governo nazionale faccia un altro passo, ovvero modifichi il patto di stabilità. A chiedere questo «ammorbidimento» di linea è tutta la comunità pugliese se è vero come è vero che il documento contente l’appello a Roma risulta firmato da tutti i gruppi consiliari in Consiglio regionale (opposizioni di centrodestra comprese), dalle associazioni datoriali (Confindustria Puglia e Confapi), dalle organizzazioni sindacali (Cgil, Cisl, Uil e Ugl) e soprattutto da Anci (Associazione nazionale comuni italiani) Puglia e Upi (Unione delle province italiane) Puglia.

È interesse di tutti, peraltro accelerare con la spesa dopo l’allar me del commissario europeo alla Politica regionale, Johannes Hahn, il quale minaccia proprio le regioni del Sud di revocare i trasferimenti. La Puglia ha da spendere ancora 355 milioni, il 42% di quanto ricevuto. Vendola qualifica l’unanimità sul documento «straordinaria per tempi, luogo (l’aula del Consiglio regionale, ndr) e solennità ». Il capogruppo del Pdl in Consiglio regionale, Rocco Palese, la saluta così: «Da Vendola abbiamo appreso che, in ossequio al principio di leale collaborazione, si è svolta un’intensa e proficua serie di incontri istituzionali con il ministro Fitto, finalizzati al raggiungimento di intese per investimenti di grande rilevanza per la Puglia. Con lo stesso spirito, da noi sempre sostenuto e praticato, non abbiamo avuto alcuna difficoltà a partecipare alla stesura e all’approvazione di un documento condiviso con l’intero partenariato pugliese. Si auspica che il governo nazionale recepisca l’istanza delle Regioni».
In serata Fitto parla di «spirito di collaborazione con il quale è stato possibile giungere alla definizione di un insieme significativo di interventi infrastrutturali» e loda la costruttiva interlocuzione tenuta con i presidenti delle Regioni, tra i quali Vendola. In questo caso il ministro si riferisce al piano per il Sud a alla definizione delle opere strategiche da realizzare per complessivi 7,5 miliardi. A margine di un quasi certo sblocco di ingenti risorse che si spera di poter investire in misure per il lavoro, sindacati e Confindustria Puglia hanno siglato ieri un «protocollo d’intesa per definire azioni comuni per lo sviluppo sostenibile, l’occupazione e il benessere sociale».

Tra le priorità dell’intesa, siglata da Piero Montinari, presidente di Confindustria Puglia, e dai segretari regionali Giovanni Forte (Cgil Puglia), Giulio Colecchia (Cisl Puglia), e Aldo Pugliese (Uil Puglia), un tavolo permanente per la governance delle crisi, «in maniera da scongiurare - dicono i contraenti - drastiche ricadute sul fronte produttivo e occupazionale nonché per la stabilizzazione del lavoro. Tornando al documento unitario approvato ieri alla presenza del presidente del Consiglio regionale, Onofrio Introna, il quale ha dato lettura del testo poi sottoscritto da tutti, ruota intorno ad un concetto più volte espresso nell’ultimo anno ma che finora non ha mai fatto breccia a Roma, nei palazzi dove si determina la politica economica nazionale. Parliamo della possibilità che la quota di cofinanziamento dovuta ad integrazione dei finanziamenti europei esca dai calcoli del cosiddetto patto di stabilità.

In Puglia, tanto per fare un esempio di immediata lettura, una misura di questo genere, peraltro auspicata anche dal commissario europeo Hahn nel corso della sua recente visita in Puglia, libererebbe risorse (cioè le renderebbe spendibili) per oltre 400 milioni di euro. Oggi invece, proprio per rispettare i complicati criteri di calcolo determinati dal patto di stabilità, quei soldi sono congelati. Una delle voci che sicuramente beneficerebbe della «liberazione» del cofinanziamento dai lacci del patto, sarebbe il pagamento, in maniera sensibilmente più significativa di quanto è possibile fare adesso, degli stati d’avanzamento dei lavori alle imprese appaltatrici di opere pubbliche. E questo è un argomento decisamente sensibile vista l’attuale congiuntura economica, con molte imprese in crisi di liquidità anche per il ritardo nei pagamenti.

L'aria nelle città è più pulita ma aumenta la produzione di rifiuti
Dieci giorni in meno di smog eccessivo nei capoluoghi italiani di provincia, secondo gli indicatori 2010 dell'Istat. Torna però a crescere la produzione di spazzatura
27 Luglio 2011
Maggiore produzione di rifiuti ma con un aumento della raccolta differenziata, più veicoli in circolazione ma qualità dell'aria in miglioramento: il rapporto con gli indicatori ambientali urbani diffuso dall'Istat (dati 2010) ha evidenziato i punti di forza e debolezza per i capoluoghi di provincia della Penisola. Il primo numero che balza all'occhio è la quantità di spazzatura prodotta in media da ogni abitante. Siamo a 609,5 kg con un incremento che ha sfiorato il punto percentuale rispetto al 2009, dopo tre anni di costanti riduzioni. I comuni capoluogo del Centro sono quelli che hanno generato più rifiuti (671 kg per abitante) mentre quelli del Sud figurano in fondo alla graduatoria con 554 kg, un dato appena inferiore ai 558 kg delle regioni del Nord-ovest.

Contemporaneamente, però, è salita di quasi un punto percentuale e mezzo la raccolta differenziata dal 2009 al 2010, arrivando a una media nazionale del 31,7%; sono tredici i comuni capoluogo (Pordenone, Novara, Carbonia, Verbania, Salerno, Avellino, Nuoro, Belluno, Oristano, Asti, Tortolì, Rovigo e Trento) che hanno già superato l'obiettivo del 60% previsto dalla legge entro il 31 dicembre 2011. Ma ci sono undici comuni che sono rimasti addirittura sotto il 10% di raccolta differenziata. Tra questi, ben sei sono siciliani: Enna (1,2% il dato più basso in assoluto), Siracusa, Messina, Catania, Palermo e Agrigento. Tra i grandi comuni, si legge nel rapporto Istat, Verona è l'unico che ha differenziato almeno metà dei rifiuti; valori superiori al 30% si sono registrati a Torino, Firenze, Milano, Venezia e Bologna. Così la percentuale di raccolta ha superato mediamente il 40% nei centri urbani del Nord, è stata pari al 28% nei capoluoghi del Centro precipitando al 21,3% al Sud e al 15% nelle Isole. La carta è stato il materiale più raccolto con il 34% del totale, molto più del vetro con il 12,2%, dei rifiuti ingombranti (11,5%) e della plastica (6%).

Per quanto riguarda l'inquinamento atmosferico, gli indicatori ambientali hanno segnalato dieci giorni in meno in cui le città monitorate hanno superato il valore massimo di polveri sottili; si è passati, infatti, da una media di 54 giorni nel 2009 a 44,6 lo scorso anno per gli sforamenti del Pm10 oltre la soglia critica per la salute umana. A questa riduzione, sostiene il rapporto, hanno contribuito “sia fattori meteo-climatici, sia la maggiore diffusione di auto meno inquinanti, la limitazione della circolazione in molti comuni e le modifiche apportate dalle amministrazioni comunali alla viabilità urbana”. Nonostante ciò, 51 capoluoghi hanno superato le 35 giornate oltre le quali sono sempre necessarie misure di contenimento e di prevenzione delle emissioni inquinanti; la città con il maggior numero di sforamenti è stata Ancona (140 nel 2010), seguita da Torino e Siracusa, con rispettivamente 131 e 116 violazioni. Considerando i capoluoghi con più di 250mila abitanti, Napoli ha registrato 75 giornate in meno di smog eccessivo rispetto al 2009, Genova 39, Bari 38, Roma 28, Verona 23, Firenze 22, Milano 21.

Tra gli altri indicatori esaminati dal rapporto c'è il consumo pro capite di acqua per uso domestico, pari a 66,7 metri cubi per abitante, in diminuzione dell'1,9% rispetto al 2009. In aumento invece del 4,7% il fabbisogno di gas e in lievissima flessione (-0,3%) quello dell'elettricità. Infine la domanda di trasporto pubblico, che ha mostrato una leggera crescita (+0,6%) con oltre 228 passeggeri per abitante, mentre la densità del verde pubblico ha visto 106,4 metri quadrati in media per ogni abitante (circa tre metri in più rispetto alla rilevazione precedente). Trento, Venezia e Foggia si sono confermati anche nel 2010 sul podio della classifica stilata dall'Istat sulla base dei principali indicatori ambientali.

Il fondo Jessica finanzia la rivoluzione green della Sardegna
L'iniziativa, avviata da Regione e Banca europea per gli investimenti, può contare su un capitale di 70 milioni di euro
La Banca europea per gli investimenti (Bei) e la Regione Sardegna hanno annunciato la creazione di un Fondo di Partecipazione Jessica (Joint European Support for Sustainable Development in City Areas), dotato di un capitale di 70 milioni di euro, destinato a finanziare progetti nell'Isola. Nel dettaglio, 35 milioni saranno dedicati alla riqualificazione e rigenerazione urbana nelle principali città capoluogo della regione; gli altri 35 milioni saranno destinati al progetto "Sardegna CO2.0", a sua volta finalizzato a migliorare l'efficienza energetica attraverso il finanziamento di progetti comunali integrati che prevedano anche impianti di fonti energetiche rinnovabili. Jessica, si legge in una nota della Banca, è un'iniziativa congiunta della Commissione europea e della Bei, con la collaborazione della Banca di sviluppo del Consiglio d'Europa, che ha il fine di incentivare gli investimenti nelle aree urbane attraverso un'utilizzazione più efficace dei Fondi sfrutturali europei a disposizione delle regioni degli stati membri della Ue. Sinora circa 20 Paesi hanno deciso o stanno valutando l'attivazione di fondi Jessica a sostegno dell'attività di investimento a favore delle proprie aree urbane, compresi progetti relativi a efficienza energetica e a fonti di energia rinnovabile.

Basilicata. Regione, l'esercito dei consulenti
Giunta regionale, collaborazioni e incarichi nel 2010 per più di 13 milioni
28/07/2011  POTENZA - Se è veramente ora di stringere la cinghia speriamo che il messaggio arrivi forte e chiaro anche alla nostra Regione che, in fatto di sprechi, non è così virtuosa. La seconda legislatura della giunta De Filippo è cominciata con un forte monito alla riduzione dei costi della politica. Un impegno che si è tradotto in qualche atto concreto, ma che, per essere realmente rispettato, avrebbe bisogno di interventi molto più incisivi.
 Di una bella sforbiciata avrebbe bisogno a esempio l'esercito di consulenti e collaboratori reclutati a Palazzo. Un elenco infinito di nomi, con una sfilza di numeri e incarichi da far venire la pelle d'oca, è quello relativo alla giunta. A guardarlo, la tentazione immediata è quella di mettersi a contare. La domanda sorge spontanea: ma quanti sono i soldi che la Regione spende per pagare tutti questi consulenti?
 Il conto è complicatissimo, perché oltre alla corposità della lista, bisogna calcolare che, per ciascuna consulenza, il costo complessivo è pari alla retribuzione mensile moltiplicata per la durata dell'incarico. Noi ci abbiamo provato, la cifra che è venuta fuori - migliaia di euro più, migliaia di euro meno - è di più di 13 milioni: a tanto ammontano le consulenze attivate nel 2010.
 Va detto che non tutte terminano nell'anno di riferimento, molte vengono spalmate su più di qualche anno. Ma diciamo che, nel 2010, la Regione ha assunto un impegno di spesa per consulenti pari appunto a 13 milioni. E qui l'altra considerazione altrettanto spontanea: ma la Regione non è tra le più grandi fabbriche lucane (in termini di occupazione, s'intende)? Negli uffici della giunta regionale sono quasi 900 i lavoratori dipendenti. Immaginate quanto pesi la spesa per il personale dipendente sui bilanci dell'ente.
 Per alcuni tanto personale è addirittura eccessivo. Non per i nostri dirigenti di dipartimento, costretti evidentemente a reclutare all'esterno figure professionali addette a determinate mansioni.
 Va detto che il problema in verità esiste. Perché alla giunta regionale i posti vacanti sono ancora 270. Il blocco delle assunzioni impedisce di assumere nuovo personale dipendente. Ma questo ha generato un meccanismo distorto. Mancando una programmazione centrale delle risorse umane ogni dipartimento procede per conto proprio e spesso in maniera discrezionale.
 A volte, rivolgendosi all'esterno anche per affidare mansioni che potrebbero essere affidate all'interno, mortificando così le professionalità dei dipendenti. I continui richiami, della Corte dei Conti, a ridurre il numero di consulenze, collaborazioni e incarichi all'interno delle pubbliche amministrazioni non sembrano sortito gli effetti sperati.
 E così intorno all'elefantiaca struttura della Regione si sviluppa un indotto con dimensioni di tutto rispetto, tanto da far concorrenza ai poli industriali. Ma chi sono questi consulenti esterni e di cosa si occupano? E soprattutto chi li paga? A guardare l'elenco delle consulenze attivate nell'anno del 2010 si nota, tra le voci più ricorrenti, quelle relative al Piano operativo per il fondo europeo di sviluppo regionale, al piano operativo regionale, al piano di sviluppo rurale: insomma tutti quegli strumenti coperti da fondi europei. “Assistenza tecnica”, “Assistenza di vigilanza”, o cose di questo tipo. Per importi che vanno, per tutto il periodo di durata della convenzione, per lo più, dai 22.000 euro minimi ai 60.000. Ci sono poi i “super” consulenti con retribuzione mensile da 4.000 euro, i cui contratti durano 4 0 5 anni. Coloro che si occupano di assistenza e Po Fesr e Por sono tanti, tantissimi. Costituiscono senza ombra di dubbio la fetta più grande di quei 13 milioni di spesa complessiva. Almeno ora sappiamo meglio come viene utilizzata parte dei fondi europei.
 Le risorse comunitarie sono servite a pagare anche tutte le consulenze attivate nell'ambito del progetto “Natura 2000”. Se state pensando “ma cos'è questo progetto?”, sappiate che ce lo siamo chiesti anche noi. Eppure è un'ignoranza imperdonabile visto che , solo nel 2009 le consulenze attivate sono state all'incirca 160. Per importi sicuramente non eccessivi, che in genere in media non superano i 20.000 euro, ma che moltiplicati per il numero delle convenzioni danno una somma di tutto rispetto. Sì perché per attuare questo programma finalizzato alla biodiveristà (che è questione importantissima, ma non sicuramente vitale per la Regione) è stato necessario istituire una cabina di regia, quindi reclutare i componenti, individuare esperti per la redazione delle misure di tutela e conservazione, rilevare i dati, assicurare assistenza tecnica e così via. In pratica tanti contrattini, a tempo determinato, da distribuire qua e là. La copertura della spesa, anche in questo caso, è assicurata sempre dalla risorse comunitarie.
 «L'ambiente è un valore da preservare e tutelare, che può generare opportunità per il territorio lucano, favorire lo sviluppo sostenibile attraverso l'integrazione della gestione delle risorse naturali con le attività economiche e le esigenze sociali e culturali delle popolazioni che vivono al loro interno». Così l'allora l'assessore al ramo Vincenzo Santochirico presentava il progetto. E diciamo che di opportunità a qualcuno ne ha date. Speriamo almeno che “Natura 2000” - con un tale schieramento di forze - di risultati tangibili ne abbia prodotti davvero.
 Del resto l'ambiente sembra essere davvero una priorità per questa regione che ha inteso attivare altre convenzione da 66.000 euro l'una per l'osservatorio regionale degli habitat naturali e le popolazioni faunistiche e venatorie. Tra le voci “simpatiche” c'è anche la consulenza specialistica per il supporto delle attività amministrative connesse alla partecipazione alla conferenza Presidenti-Stato- Regioni e conferenza unificati. Costo totale: 96.000 euro. C'è anche una collaborazione non meglio specificata: l'osservatorio Opt per beni servizi e tecnologie retribuito con 27.000 euro all'anno. E poi chi più ne ha, più ne metta. I dipartimenti individuano le necessità, proprogono gli incarichi e li sottopongono alla giunta. Per verità di cronaca va detto che almeno la pubblicità è garantita visto che tutte le collaborazioni sono consultabili sul sito della Regione. A noi non rimane che restare a guardare.
Mariateresa Labanca

Via libera dal ministero per l'elettrodotto Italia-Montenegro
La nuova linea permetterà di aumentare gli scambi di energia tra il nostro Paese e i Balcani
L'elettrodotto Italia-Montenegro ha ricevuto l'approvazione dal ministero dello Sviluppo economico. Sarà Terna a costruire la parte italiana della nuova linea da Villanova a Tivat che permetterà, come ha spiegato il sottosegretario Stefano Saglia, di aumentare gli scambi di energia tra lo Stivale e i Balcani e altri Paesi dell'Est come Romania e Bulgaria. Il progetto prevede la realizzazione di un doppio collegamento elettrico in cavo, per una potenza di mille Mw in corrente continua (raddoppiabile a duemila Mw), con una lunghezza complessiva di circa 420 km, di cui 390 di linea sottomarina. Il nuovo collegamento dovrebbe entrare in funzione nel 2015 con un investimento stimato di circa 820 milioni di euro; la parte di nostra competenza è costituita da un tratto sulla terraferma di 15 km e da uno sottomarino di 77 km. Secondo Saglia, si tratta di un'opera essenziale per rafforzare il ruolo italiano di centro energetico nel Mediterraneo, migliorando la sicurezza delle reti elettriche dei due Paesi coinvolti e favorendo un maggiore apporto di energia rinnovabile verso la Penisola (a questo proposito, Saglia ha ricordato che il Montenegro sfrutta solo il 18% del suo potenziale nelle centrali idroelettriche). Il progetto è una delle numerose infrastrutture incluse nel piano industriale di Terna 2011-2015, con investimenti in vari settori - comprese le fonti rinnovabili e le batterie di accumulo - per una somma totale di circa cinque miliardi di euro.

Declassato il debito di Grecia e Cipro
V.D.R.
Nicosia e Atene, legate da un comune destino, ieri sono state pesantemente penalizzate dalle agenzie di rating. Moody's ha annunciato di aver abbassato di due livelli, da A2 a Baa1, il giudizio sui titoli di Stato di Cipro, appena tre gradi sopra il livello "spazzatura", con un outlook che ora è diventato negativo.
 Poco dopo Standard & Poor's ha ridotto nuovamente il rating della Grecia, questa volta a CC, con outlook negativo. Confermato a C il rating sul debito a breve. S&P's aveva già reso noto di considerare il piano di riscadenziamento del debito greco approvato dai vertici dell'Eurozona come un default selettivo. Secondo le stime dell'agenzia americana, i possessori di bond dovrebbero recuperare tra il 30 e il 50% del loro investimento iniziale.
 Se la mossa su Atene era prevista i mercati sono stati presi in contropiede su Nicosia. Un brutto colpo per l'isola mediterranea che potrebbe così diventare il quarto Paese (dopo Grecia, Irlanda e Portogallo) ad avere bisogno di un salvataggio europeo, magari attraverso il nuovo Efsf, il fondo salva-Stati le cui nuove funzioni però non sono ancora state ratificate dai rispettivi Parlamenti.
 La decisione - spiega l'agenzia di rating - conclude una revisione della situazione economica di Cipro avviata lo scorso 16 maggio. Il deficit cipriota è oggi al 5,3% del Pil mentre il debito raggiungerà il 62% nel 2012, rispetto al 61,6% di quest'anno e al 60,9% del 2010. Insomma ci sono margini di manovra ma all'origine del taglio del rating, gli analisti di Moody's evidenziano le preoccupazioni per la situazione fiscale del Paese, su cui pesano le conseguenze della grave distruzione della centrale elettrica di Vasilikos, avvenuta lo scorso 11 luglio in seguito a un'esplosione. La centrale elettrica forniva il 53% di tutta l'energia necessaria al Paese. Inoltre, l'agenzia di rating ha evidenziato le divisioni politiche che mettono a rischio l'attuazione dei nuovi piani di rifore nei bilancio. Ma è il terzo punto quello più critico: sul sistema bancario cipriota - che mantiene una buona liquidità ma con asset che valgono dal 600% fino all'860% del Pil nazionale se contate anche le filiali bancarie straniere - pesano le conseguenze della grave crisi del debito greco, con una forte esposizione verso Atene. Moody's ritiene che il Governo cipriota «possa essere così esposto al concreto rischio che almeno alcune banche siano costrette a chiedere il supporto pubblico a causa delle loro esposizioni ai debiti della Grecia».
 Si ripeterebbe ciò che avvenne in Irlanda dove la crisi bancaria trascinò al default il Governo di Dublino che fu costretto a chiedere aiuto ai partner Ue e all'Fmi. A riprova dei forti legami tra Cipro e Grecia, Moody's ricorda come «circa il 40% del totale dei prestiti concessi dalle tre banche maggiori cipriote sono dirette a clienti basati in Grecia».
 In questo scenario, con un andamento del Pil che per Moody's quest'anno non dovrebbe crescere per poi salire solo dell'1% nel 2012, l'agenzia non esclude la possibilità di nuovi tagli al rating.

Nessun commento: