venerdì 16 settembre 2011

Federali.sera_16.9.11. Ma senza nazione non siamo neppure un popolo e non abbiamo neanche uno Stato degno di questo nome. Non abbiamo, per la verità, neppure un Governo presentabile sulla ribalta internazionale. E lo sappiamo benissimo. Anche per questo non siamo a Tripoli con gli altri.----Generoso Chiaradonna: E anche dalla Svizzera bisogna ‘tifare’ euro a maggior ragione da quando la Banca nazionale si è legata a doppio filo alle sorti della moneta unica europea. Un azzardo, quello di Hildebrand, che auspichiamo ben ponderato per il bene di tutti.----Il Veneto conta 800 tra nido, asili integrati (nido-materna e a volte anche elementare), centri per l’infanzia, micronidi (quelli familiari) e aziendali, per un totale di 24.072 posti a disposizione dei bimbi tra 6 mesi e 3 anni.

Lavoro in Puglia opportunità per 10mila giovani
Veneto, padania. Prima i veneti, ma negli asili le liste d’attesa non ci sono più
C'era una volta la Quarta Sponda
South Stream: firmato accordo, Eni a 20%
Spagna: aumenta il deficit pubblico nel secondo trimestre. Il debito sale al 65,2% del pil
Svizzera. La Grecia non può essere lasciata fallire


Lavoro in Puglia opportunità per 10mila giovani
Un nuovo capitolo del piano straordinario per il lavoro della regione Puglia. Si chiama «Innovazione per l’Occupabilità» e si pone l’obiettivo di creare nuove occasioni di lavoro qualificato a beneficio di 10mila giovani pugliesi laureati o diplomati e/o aspiranti imprenditori. La misura, illustrata ieri dal presidente della Regione, Nichi Vendola, e dagli assessori, Loredana Capone, vice presidente e assessore allo Sviluppo Economico, Nicola Fratoianni (Politiche giovanili), Elena Gentile (Welfare) e Alba Sasso (Diritto allo studio e Formazione) verrà gestita dall’Arti, l’Agenzia regionale per la tecnologia e l’innovazione in collegamento con le attività del Programma Bollenti Spiriti.
«Innovazione per l’occupazione» è un’azione che gode di risorse pari a 3 milioni e 750mila euro. Nella prima fase verrà realizzata una rilevazione dei fabbisogni formativi e lavorativi, legati ai processi di innovazione, espressi delle imprese pugliesi. In questa maniera sarà possibile operare interventi di formazione mirata ai candidati e fare che il loro profilo professionale sia rispondente in maniera precisa alle esigenze manifestate dalle imprese private, con particolare riferimento a quelle dei distretti produttivi e tecnologici. Al contempo, però, i percorsi formativi potranno essere sfruttati dai giovani diplomati e laureati per avviare un’attività in proprio. La formazione di competenze adeguate a rispondere alla richieste del mercato verrà realizzata attraversok una pluralità di strumenti: la Start-up school, la formazione a distanza, sessioni personalizzate di mentoring e tutoraggio.
L’azione verrà inserita in un quadro di contesto. Lo studio delle dinamiche del mercato e la valutazione a medio e lungo termine delle tecnologie destinate ad affermarsi consentiranno di indirizzare anche la formazione futura verso competenze sempre più specialistiche. «Il punto da cui partiamo quest’anno - ha commentato Vendola - è trovare una maniera più semplice per far incontrare domanda ed offerta di lavoro. Noi vogliamo fare di più: aiutiamo domanda e offerta a qualificarsi in senso specialistico e sosteniamo le imprese nelle sfide del futuro, puntando sui giovani e il loro talento cercando di far comprendere che spesso talento equivale anche a migliore qualità.
Per la presidente dell’Arti, Trisorio Liuzzi, «l’azione è strategica perché cammina su un doppio binario: su una metodologia rigorosa di analisi dei fabbisogni attuali e futuri di formazione e innovazione da parte delle imprese e sul coordinamento reale tra gli attori regionali delle imprese, della ricerca e dell’innovazione e della formazione, con l’obiettivo di incrementare l’efficienza complessiva del sistema economico regionale».
Anche l’assessore Capone ha sottolineato come il nuovo capitolo del piano del lavoro possa aiutare le fasce più deboli dei lavoratori. «I dati ci dicono che l’impegno del privato è meno rilevante rispetto a quello pubblico – ha sottolineato – ma la Puglia è un passo avanti: siamo la prima regione del Sud per investimento pubblico nella ricerca e non lo diciamo noi, ma l’Istat e le ricerche della Banca d’Italia. Diamo anche una continuità ai nostri progetti perché generiamo nuove organizzazioni imprenditoriali pensate dai giovani e con i giovani». Anche l’assessore Fratoianni ha voluto ricordare che «questa è una piattaforma di lancio, un volano per la “buona occupazione”, è il tassello di una rete di politiche capaci di produrre nuovi circuiti lavorativi».
Secondo l’assessore al welfare: «I settori legati alla innovazione – ha detto Gentile – e il mercato che si evolve richiedono sempre più specializzazioni: è una esigenza che si incontra a metà strada tra aziende e ragazzi e racconta lo stato di salute del tessuto lavorativo giovanile pugliese». «Poniamo l’accento su una filiera di qualità - ha aggiunto l’assessore al Diritto allo Studio e alla Formazione, Sasso - : da una parte abbiamo le aziende, dall’altra la formazione specifica. Questo vuol fare la Regione: capire le esigenze del territorio e dare un sostegno per formare tecnici di alta specializzazione tanto che la Regione presto valuterà l’esigenza di avviare tre nuovi istituti ad alta tecnologia che implementeranno le attività lavorative della realtà locale».
15 Settembre 2011

Veneto, padania. Prima i veneti, ma negli asili le liste d’attesa non ci sono più
I progetti di legge sulle precedenze ai residenti da 15 anni. Caro rette, crisi, nido «familiari»: sparite le code
VENEZIA — Orari più flessibili e rette meno pesanti. Sono questi gli aiuti reali che i genitori dei bimbi iscritti al nido chiedono alla Regione. E che baratterebbero volentieri con la precedenza ai veneti nell’accesso agli stessi asili sancita da tre progetti di legge approvati dalla prima commissione. Misura scavalcata da requisiti più importanti (residenza, per i nido comunali e poi, anche per i convenzionati, dichiarazione Isee, disabilità, famiglia numerosa, presenza di un fratello nella stessa struttura, data della richiesta, lontananza della madre dal posto di lavoro, mamma sola con figli a carico, genitori entrambi lavoratori), ma soprattutto vanificata dall’azzeramento delle liste d’attesa. «Da due anni non esistono più — conferma Francesco Gallo, responsabile regionale dei Servizi alla famiglia — la crisi economica ha costretto tante mamme a tenere a casa i bambini, perchè hanno perso il lavoro o perchè non si possono più permettere la retta e allora li lasciano ai nonni. Si può creare un po’ di intasamento in singoli asili particolarmente richiesti per la qualità del servizio, ma niente di drammatico. Se non si trova posto in quelli, si entra in altre a pochi metri di distanza».

Il Veneto conta 800 tra nido, asili integrati (nido-materna e a volte anche elementare), centri per l’infanzia, micronidi (quelli familiari) e aziendali, per un totale di 24.072 posti a disposizione dei bimbi tra 6 mesi e 3 anni. Il problema sono le rette, variabili da 50 a 550 euro al mese, per una media di 350, pagate in gran parte dai Comuni solo per le famiglie disagiate, alle quali è pure riservata una quota di posti nelle realtà gestite dalle municipalità. La Regione versa invece circa mille euro l’anno a bambino a tutte le famiglie con piccoli al nido indipendentemente dal reddito, ma per l’attuale anno scolastico i fondi dedicati non sono ancora arrivati da Roma. «Il problema sono le rette, altro che precedenza ai veneti, criterio inutile oltre che deprecabile — commmenta Renzo Smolari, padre di quattro figli e fondatore di uno dei primi nido veneti, quello di Lendinara — le tasse le pagano anche tanti altri italiani. Io stesso ho potuto mandare all’asilo i primogeniti, gli altri due li hanno tenuti i nonni. L’altro nodo è l’orario: il classico 8.30/17 dal lunedì al venerdì non ha più senso in un’epoca in cui i genitori lavorano fino a tardi, spesso anche di sabato e domenica. Per non parlare della scomodità degli asili comunali, che restano chiusi a Natale, Pasqua, Carnevale e tutta l’estate, costringendoci a pagare pure la baby-sitter». «Il futuro sono i nidi familiari, condominiali e aziendali — aggiunge Marina Salvato, presidente della sezione trevigiana dell’Associazione famiglie numerose —. Già adesso assorbono una buona quota di iscritti contribuendo alla scomparsa delle attese, creano comunità e vengono incontro alle esigenze dei genitori, che possono decidere la fascia oraria più congeniale. Magari lasciando il piccolo fino alle 20 o portandolo prima delle 8. Opzione, quest’ultima, garantita anche dagli altri nido, ma a pagamento oltre la retta, come "preaccoglimento"».
«Noi respingiamo il principio discriminatorio del prima ai veneti — insiste Ugo Lessio, presidente regionale della Federazione italiana scuole materne, che ingloba anche 307 nido parrocchiali — l’accoglienza va estesa a tutti, altrimenti si cade nel razzismo». E le mamme «in prima linea» la pensano allo stesso modo. «Io ho due bambini, entrambi accettati subito al nido parrocchiale — rivela Micaela Scapin, di Cazzago di Pianiga (Venezia) — e devo ammettere che il requisito più importante è l’orario, qui esteso alle 18. Una gran comodità, so che molti asili veneti lo stanno adeguando alle necessità delle mamme, per esempio prolungando l’apertura alle 20 e anche al sabato mattina». «Nel privato è più flessibile — dice la padovana Serena Matteazzi, che ha un maschietto — e l’apertura è garantita anche sotto Natale, Pasqua e d’estate, fatta eccezione per qualche giorno in agosto. Ma si paga di più: 390 euro al mese fino alle 13, 450 fino alle 16. Se hai bisogno di altre ore supplementari, le paghi 3,50 euro l’una. Per una famiglia, magari con un mutuo sulle spalle, è un bel sacrificio: invece della precedenza ai veneti preferirei un aiuto economico». «Sono importanti anche le iniziative di aggregazione — osserva Giovanna Lupi, due figli — come quelle organizzate dal nostro asilo comunale a Padova: tre incontri con dietologa e cuoca, per insegnarci a cucinare bene e sano, e uno con la pedagogista. Ha risposto a tante problematiche. Sono queste le "agevolazioni" di cui abbiamo bisogno».
Michela Nicolussi Moro

C'era una volta la Quarta Sponda
No, noi a Tripoli bel suol d'amore non ci siamo. Nella capitale libica sfilano i vincitori della guerra, il presidente francese Sarkozy e il premier britannico Cameron. Oggi arriva anche il turco Erdogan. Abbiamo spedito in Libia un ottimo ambasciatore ma noi italiani, intesi come Governo e uomini politici, non ci siamo.
Tanto valeva non partecipare neppure ai bombardamenti del nostro antico partner Gheddafi e magari comportarsi come la Germania, dichiarando una baldanzosa neutralità. Ma siamo fatti così: non abbiamo mai cominciato e finito un conflitto con gli stessi alleati, deve essere nei cromosomi della nazione di cui abbiamo appena festeggiato, in sordina, i 150 anni. Ma senza nazione non siamo neppure un popolo e non abbiamo neanche uno Stato degno di questo nome. Non abbiamo, per la verità, neppure un Governo presentabile sulla ribalta internazionale. E lo sappiamo benissimo.
 Anche per questo non siamo a Tripoli con gli altri. Abbiamo perso la Quarta Sponda: può essere un brutto colpo per le imprese. Ma forse è un bene, solo toccando il fondo l'Italia torna a galleggiare. Anche questo è nei cromosomi della nazione.
 16 settembre 2011

South Stream: firmato accordo, Eni a 20%
Presente premier Putin, gasdotto operativo entro 2015
16 settembre, 11:31
(ANSA) - SOCI, 16 SET - E' stato firmato oggi alla presenza del premier russo Vladimir Putin, poco prima del suo intervento di apertura del X forum internazionale degli investimenti di Soci, l'accordo che definisce la ripartizione delle quote per la realizzazione del gasdotto South Stream: il colosso russo del gas Gazprom mantiene il 50%, Eni scende al 20% consentendo l'ingresso della francese Edf e della tedesca Wintershall (gruppo Basf), ciascuna con il 15%.

Spagna: aumenta il deficit pubblico nel secondo trimestre. Il debito sale al 65,2% del pil
Peggiorano i conti della Spagna. Nel secondo trimestre il debito pubblico é infatti salito al 65,2% del Pil (massimo da 14 anni), otto punti percentuali in più rispetto a un anno fa quando si era attestato al 57,2%. Lo rende noto la Banca di Spagna che ha anche rivisto al rialzo di rapprto debito/Pil del primo trimestre a 63,8% da 63,6% della stima preliminare.
Il livello del debito risulta cinque punti superiore al limite fissato dal Patto di stabilità (60%) ma 20 punti inferiore alla media europea (85,1% nel 2010). Nel 2007, prima dello scoppio dello bolla immobilare il rapporto debito/Pil era al 36,2%. Il peggioramento, come spiega il rapporto della Banca di Spagna, è dovuto soprattutto al crescente disavanzo statale che ha raggiunto un picco dell'11,1% nel 2009 e dovrebbe essere riportato quest'anno al 6% rispetto al Pil.

Disavanzi record delle regioni
Anche i disavanzi delle 17 regioni spagnoli hanno raggiunto un nuovo record storico (133,2 miliardi di euro) nel secondo trimestre pari al 12,4% (11,6% nel primo trimestre) a causa delle crescenti spese per sanità e scuola e delle limitate entrate fiscali che hanno subito un duro colpo con la crisi del settore immobiliare.
 16 settembre 2011

Svizzera. La Grecia non può essere lasciata fallire
di Generoso Chiaradonna - 09/15/2011
Il fallimento disordinato della Grecia sarebbe un dramma finanziario ed economico di proporzioni apocalittiche, come documentano studi recenti di Ubs e Citigroup. E non soltanto per l’eurozona o per l’Unione europea. Il caos finanziario, politico e sociale che ne deriverebbe farebbe impallidire quello scatenato dal fallimento della Lehman Brothers di soltanto tre anni fa. Un’eventualità, quella del default, che nessuna istituzione finanziaria può permettersi e che nessuno può auspicare come via d’uscita da una situazione giudicata insopportabile.
I mercati finanziari, come tutti i mercati regolamentati, battono al ritmo della fiducia degli operatori. Aumentando o diminuendo tale sentimento gli indici borsistici vanno su o giù. La crisi dei debiti sovrani è uno di quei fattori che alimenta il mercato della paura. Una dichiarazione di resa da parte del governo di Atene pur portando chiarezza nel sistema non rasserenerebbe affatto il clima. Anzi, lo peggiorerebbe.
Il salvataggio del Paese ellenico corrisponde di fatto al salvataggio dell’Europa tout court. E anche dalla Svizzera bisogna ‘tifare’ euro a maggior ragione da quando la Banca nazionale si è legata a doppio filo alle sorti della moneta unica europea. Un azzardo, quello di Hildebrand, che auspichiamo ben ponderato per il bene di tutti.

Ma c’è un’altra ragione che fa propendere per l’alta improbabilità di un fallimento della Grecia. Tale ragione si chiama Cds, Credit default swap. È uno strumento finanziario che ha la funzione di polizza assicurativa. In pratica chi compra un’obbligazione (statale o aziendale) può coprirsi dal rischio che il debitore fallisca. Detto così sembra tutto facile. In realtà i Cds sono asset molto speculativi e hanno vita propria, nel senso che sono scambiati su mercati secondari non regolamentati. Diventano di fatto una scommessa sul fallimento di una società o addirittura di un Stato. Più un Cds è caro, più il default del debitore è probabile. Attualmente i Cds sul debito greco valgono 3 mila punti base. In pratica per assicurare 100 euro di titoli ellenici un investitore ne deve sborsare 30 per coprirsi dal rischio fallimento. Uno strumento pensato per evitare rischi di credito è diventato un titolo in sé che aumenta di valore al deteriorarsi del valore del titolo sottostante, in questo caso le obbligazioni greche.

Gli speculatori che maneggiano tali strumenti e che sono gli unici ad avere interesse a che si verifichi un determinato evento hanno quindi la possibilità sia di scommettere sul default di un soggetto, sia contemporaneamente di operare sui mercati per far fallire lo stesso. È come essere intestatario di una polizza sulla vita di qualcuno e poi avere la possibilità di ucciderlo o assoldare un sicario per farlo fuori.

Se tale possibilità è ovviamente e fortunatamente punita dal codice penale di tutti i Paesi civili, non si capisce perché sui mercati finanziari globali una tale pratica è considerata lecita. Tutti possono immaginare le conseguenze catastrofiche sulle compagnie di assicurazione nel caso della possibilità di tentare di ammazzare il titolare di una polizza vita per incassarne il capitale. La stessa cosa potrebbe succedere nel caso in cui i detentori di Cds sul debito greco passassero alla cassa in caso di default.
Ricapitolando, tutti hanno da perdere da un eventuale fallimento greco, dagli Stati alle imprese, dalle istituzioni finanziarie ai cittadini, tranne gli speculatori. Questi ultimi la politica non li può eliminare, ma può sottoporli a regole più severe. Proprio quelle regole invocate all’indomani del crollo della Lehman Brothers a gran voce e sempre osteggiate dalla finanza globale.

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