sabato 22 ottobre 2011

Federali.mattino_22.10.11. Il Sud continua a perdere risorse e i parametri, così come sono impostati, non vanno bene. La difesa di posizioni di rendita non va bene - ha affermato Caldoro - perchè blocca lo sviluppo. Bisogna guardare le performance. Noi possiamo crescere più del resto del Paese e si devono mettere in campo buone politiche per farlo.----A denunciare l’ultimo e maledetto sbarco è il Movimento pastori: Gli ultimi due casi a Orosei e Uras di brucellosi (negli animali provocano mastite e aborti spontanei) sono stati scatenati dall’arrivo di capre infette dalla Spagna. Vuol dire che i controlli sanitari funzionano poco e male, protesta Felice Floris, leader del gruppo, che aggiunge: Altro che prendersela con i sardi, è dall’estero che dobbiamo guardarci.----Lettonia. Oltre 300.000 persone sono infatti nepilsoni, non-cittadini. Gente, quasi il 15% della popolazione, che ha un passaporto violetto sul quale sta scritto alien’s passport, (non si tratta di apolidi, status che la legge lettone non prevede) e che naturalmente è privata di diritti civili e politici, a partire naturalmente da quello del voto.

Napoli. «No tax area? Meglio, no burocrazia
LA NUOVA SARDEGNA - Economia: Denuncia Mps: i nuovi casi di brucellosi provocati da capre spagnole infette
Marcegaglia: «L’Europa è sul baratro»
Merkel-Sarkò e la polmonite italiana
Rapporto Sace, riprendono le attività delle imprese nel settore energetico in Libia
ETA: gli indipendentisti chiedono un negoziato
Ue. La Lettonia e gli alieni



Napoli. «No tax area? Meglio, no burocrazia
E i fondi Ue anche per l'esercizio»
Il governatore agli industriali: «Il decreto Sviluppo verrà del varato senza risorse? Sarebbe una contraddizione»
NAPOLI - «Non chiediamo fiscalità di vantaggio, ma compensativa». Il governatore della Campania, Stefano Caldoro, va all'assemblea dei Giovani di Confindustria a Capri e ci resta per un'intera giornata, parlando con gli imprenditori «under forty» (che chiedono una regione «no tax») e sperimentando un'intensa strategia dell'ascolto . «Chiediamo di adottare una fiscalità non diversa da quelle già presenti in altre aree della vecchia Europa - ha affermato - È una questione politica. Ci sono misure che vanno messe in campo». Sull'eventualità di ridurre l'Irap, Caldoro ha ricordato che «per le Regioni alle prese con il piano di rientro sanitario, le addizionali pesano sul territorio per legge e non possono essere tolte». «Quando si dice che si abbassa l'Irap - ha aggiunto - occorre anche indicare come coprire». Parlare di «nettizzazione» dei fondi europei, ossia l'esclusione del cofinanziamento statale e regionale dall'elenco delle uscite, sottolinea Caldoro, «è generico perchè quando si predispone la manovra, se si 'nettizzanò i fondi, occorre in ogni caso trovare una copertura».
«AREA NO TAX? NO A BUROCRAZIA ZERO» - «Il dialogo con gli industriali c'è sempre - ha sottolineato il governatore della Campania, Stefano Caldoro, al termine del workshop - Oggi hanno presentato un'offerta, che conosco e condivido, per il rilancio del Mezzogiorno. Non è una richiesta di risorse come si faceva una volta, ma di aree a burocrazia zero, misure che riguardino l'agevolazione al credito». Una discussione «concreta», quella con i giovani industriali, non caratterizzata da «posizioni contrapposte».
DECRETO SVILUPPO - «Ognuno deva fare la sua parte per le proprie competenze - ha precisato Caldoro - Regioni, Enti locali e anche il Governo con il decreto sviluppo». Una misura della quale dice: «Un decreto sviluppo senza risorse è una contraddizione». In un momento di crisi economica, ha poi ricordato il presidente della Regione Campania «abbiamo creato condizioni che agevolano e sostengono imprese e lavoro». Un esempio, ha concluso Caldoro, è il «Piano Lavoro che ha portato a 30mila nuovi occupati».
RISORSE UE - Spendere le risorse europee «non solo per le infrastrutture, ma anche per i costi di esercizio». «Pensiamo - aggiunge Caldoro - che sia ancora il caso di utilizzare i fondi Fas solo per spese in conto capitale?». Caldoro cita come esempio le infrastrutture presenti in Campania sul versante dei trasporti: «Abbiamo molte rotaie, più della Lombardia e non possiamo utilizzarle». Una situazione che, a suo avviso, a lungo andare comporterà «elevati costi di manutenzione». «I Fas dovrebbero essere utilizzati anche per coprire le spese di esercizio - ha sottolineato - Non abbiamo benzina per far camminare la macchina. È come se ci trovassimo in autostrada con 300 chilometri da percorrere, ma non riusciamo nemmeno ad arrivare al casello».
POSIZIONI DI RENDITA - «Il Sud continua a perdere risorse e i parametri, così come sono impostati, non vanno bene». «La difesa di posizioni di rendita non va bene - ha affermato Caldoro - perchè blocca lo sviluppo. Bisogna guardare le performance. Noi possiamo crescere più del resto del Paese e si devono mettere in campo buone politiche per farlo». «Il Sud paga da sempre un sistema previdenziale favorevole al Nord - ha aggiunto - Paghiamo costi sull'interesse al debito pubblico, e sono le famiglie del Mezzogiorno a farlo, per scelte di politiche industriali». Costi che, a suo avviso, «non devono essere tolte dal conteggio, quando si parla di spesa». «Se si fa un conto generale le famiglie del Sud pagano da sempre - ha concluso - bisogna tenerne conto quando si discute di federalismo».

LA NUOVA SARDEGNA - Economia: Denuncia Mps: i nuovi casi di brucellosi provocati da capre spagnole infette
21.10.2011
CAGLIARI. Come se non bastassero i virus che abbiamo, adesso ci sono anche quelli d’importazione. A denunciare l’ultimo e maledetto sbarco è il Movimento pastori: «Gli ultimi due casi a Orosei e Uras di brucellosi (negli animali provocano mastite e aborti spontanei) sono stati scatenati dall’arrivo di capre infette dalla Spagna». Vuol dire che i controlli sanitari funzionano poco e male, protesta Felice Floris, leader del gruppo, che aggiunge: «Altro che prendersela con i sardi, è dall’estero che dobbiamo guardarci». C’è preoccupazione fra i pastori per il proliferare di virus - dalla peste suina africana alla Febbre del Nilo, fino al ritorno aggressivo della brucellosi - quasi che all’improvviso l’isola fosse diventata un ricettacolo di nemici terribili e invisibili. «Le analisi di laboratorio e l’indagine epidemiologica sui capi di Orosei e Uras - dice Floris - confermano che l’ultimo virus è stato importato dalla penisola iberica e così probabilmente è accaduto anche in molti altri casi». Macché cordone sanitario, la zootecnia isolana - sostiene il Movimento pastori - non è difesa e tanto meno messa al riparo da questi attacchi frontali. «Purtroppo nei porti del Nord e del Sud Sardegna arriva di tutto e nessuno verifica con attenzione quali capi importiamo - continua Floris -. Il servizio veterinario frontaliero della Asl fa pochissime verifiche sul campo degli animali trasportati. Si accontenta troppo spesso della documentazione sanitaria dei paesi di provenienza degli animali, ma questo non basta. Cioè, le maglie sono talmente larghe che, alla fine, sono proprio le Asl a lasciare le porte aperte a ogni tipo di malattia». Non è finita, perché a pagare il prezzo più alto, quello della crisi e dell’embargo, sono sempre e soltanto gli allevatori sardi: mandati allo sbaraglio, condannati e anche beffati. «Abbiamo notizie - è scritto in un comunicato del Movimento - che sul tavolo del ministro alla Salute è alla firma un’ordinanza che vieta le esportazioni di tutte le carni suine dalla Sardegna a causa della recrudescenze della peste africana. Dunque, vogliono isolarci, mentre finora almeno per quattrocento nostre aziende, immuni dal virus, era possibile vendere i loro prodotti nella penisola e in Europa, secondo un decisione della Comunità Europea». Ma adesso su tutti incombe il divieto assoluto ministeriale e la filiera suinicola rischia così di essere travolta non soltanto da un virus ma anche dall’azzaramento del fatturato: «Se a Roma dovessero firmare l’ordinanza - dice Floris - sarà morte sicura per oltre quindicimila imprese isolane e molti di noi finiranno sul lastrico». Il Movimento si dice pronto alla mobilitazione: «Lo abbiamo già fatto l’anno scorso e siamo pronti a presidiare di nuovo i porti, per pretendere controlli seri e rimettere in discussione la politica degli scambi commerciali. Non possono condannarci a essere una terra di batteri». Intanto la Regione, come sollecitato da più parti, ha istituito una task force trasversale (gli assessorati coinvolti sono quelli alla Sanità e all’Agricoltura) per contrastare la peste suina. Nei prossimi giorni, annuncia una nota, saranno convocate le associazioni, per concordare una strategia comune e condivisa. (ua)

Marcegaglia: «L’Europa è sul baratro»
 21 ottobre 2011
 Emma Marcegaglia Bolzano - Per un’Europa «sull’orlo del baratro» servono subito «decisioni serie e concrete». Dal forum italo-tedesco degli industriali a Bolzano parte un «messaggio forte» a Governi e Commissione Ue, che sarà tradotto in un documento comune prima del vertice europeo di domenica da parte di Emma Marcegaglia.
«Preoccupa molto il fatto che non ci sia accordo su fondo salvastati , il ruolo della Bce, la ricapitalizzazione delle banche. Tutte cose essenziali». La presidente di Confindustria commenta gli avvertimenti di Fitch e S&P sull’Italia e puntualizza che non è realmente a rischio la solvibilità, ma «c’è un problema di sfiducia verso l’Italia, di poca credibilità». La Marcegaglia aggiunge che «in Europa siamo sorvegliati speciali: servono riforme profonde» e «le mosse giuste per non essere commissariati».
In due giorni di confronto, tra Confindustria e l’associazione degli industriali tedeschi Bdi, le imprese lanciano all’Europa un modello di cooperazione concreto, di «impegno propositivo sulle soluzioni da mettere in campo per arginare l’eurocrisi», l’opposto delle divisioni tra Paesi, delle scelte dei governi «dettate dalla ricerca del consenso e di un ritorno elettoralistico». Tra industriali tedeschi e italiani c’è «forte vicinanza, problematiche e progetti comuni». Mentre nel «dibattito politico europeo - rileva Emma Marcegaglia - Italia e Germania si trovano spesso in condizioni diverse, anche all’opposto: la Germania è un Paese più forte che giustamente chiede agli altri discipline molto forti. Mentre l’Italia si trova, anche se forse non ce lo meritiamo del tutto, tra i sorvegliati speciali. In alcuni casi si ha l’idea di un paese commissariato».
Il primo incontro tra le due “confindustrie” a Bolzano, propongono, potrebbe diventare un appuntamento annuale. Lo ha auspicato anche il ministro degli Esteri, Franco Frattini: «Italia e Germania sono insieme per avere più Europa e non meno Europa, e questo è un dato politico» dice.

Merkel-Sarkò e la polmonite italiana
MARIO DEAGLIO
L’Europa che è uscita dalla settimana finanziaria conclusasi ieri è un’Europa ben diversa da quella di una settimana fa. Due giorni fa, infatti, in quello che è stato definito il «supervertice» di Francoforte, è nato l’embrione operativo di un governo europeo, una sorta di «esecutivo di fatto», privo di qualsiasi investitura, di durata forse limitata ma dotato, appunto, di forza esecutiva. Tale anomalo governo detiene la chiave delle politiche economiche: nei prossimi mesi, i governi ufficiali di tutta Europa saranno chiamati solo più a mettere a punto nei dettagli, e i Parlamenti soltanto a ratificare, le manovre restrittive – possibilmente con qualche «ricostituente» espansivo – che rappresentano la via europea per tentare di uscire dalla crisi.
 Dalle decisioni sui tagli ai bilanci pubblici questo «governo europeo» non potrà escludere la Francia, Paese in cui comincia ad affiorare una situazione strutturale debole, e forse neppure la Germania, dove due giorni fa, all’asta più recente, nessuno voleva più comprare i mitici Bund tedeschi.
 E dove ieri è stato reso noto l’indice della fiducia delle imprese tedesche che ha fatto registrare il quarto mese di caduta consecutiva. E dovrà fare in fretta, perché ai primi di novembre nella città francese di Cannes si svolgerà qualcosa di più del normale festival cinematografico: vi si terrà la riunione dei G-20 (il gruppo delle maggiori economie del mondo, in cui Cina, India e Brasile assumono atteggiamenti sempre più severi) dove gli europei dovranno spiegare perché è bene aiutare l’euro e non lasciarlo affondare.
 Questo autonominato «comitato di salute pubblica europea» non è certo la migliore delle soluzioni ma rappresenta l’ultima risorsa di un’Europa che, per almeno due anni, si è gingillata con la crisi e non ha saputo prendere alcuna decisione su nessuno dei problemi importanti che ha davanti. Il suo asse portante è quello tradizionale franco-tedesco, e i suoi membri decisivi sono pertanto il Cancelliere tedesco e il Presidente francese.
 Anche se i loro Paesi rappresentano meno della metà della popolazione e del prodotto lordo dell’Unione Europea, tocca a loro l’ultima parola; ne fanno inoltre parte il governatore della Banca Centrale Europea (al supervertice di Francoforte erano presenti sia il governatore uscente, Jean-Claude Trichet sia quello entrante, Mario Draghi) e, quasi a far da segretario e notaio, il presidente della Commissione europea, Manuel Barroso, unico investito di un’autorità europea formale. Il direttore del Fondo Monetario Internazionale, la francese Christine Lagarde, era l’ospite esterno portavoce delle esigenze (non ancora del «diktat») della comunità finanziaria internazionale.
 Almeno dal punto di vista dell’informazione e del dialogo con l’opinione pubblica, questa nuova «Europa di fatto» muove però molto male i suoi primi e incerti passi. Anche i più piccoli screzi del confronto Merkel-Sarkozy sono rimbalzati – amplificati e deformati – sulle agenzie di stampa nel giro di poche ore, talvolta di pochi minuti, con l’effetto di una doccia scozzese sulle Borse di tutto il mondo, costrette a un continuo, disordinato saliscendi. Del resto, poche settimane fa, le dimissioni del rappresentante tedesco, Jürgen Stark, dal direttivo della Banca Centrale Europea vennero incautamente rese pubbliche un venerdì pomeriggio, a Borse aperte. I mercati finanziari mondiali persero mediamente il 3 per cento, il che avrebbe potuto essere evitato se la notizia fosse stata divulgata qualche ora più tardi. Una divulgazione a Borse chiuse avrebbe infatti dato tempo ai mercati di valutare (e ridimensionare) la gravità di quelle dimissioni.
 Oltre che cercare di parlar meno, la nuova, incerta, Europa finanziaria deve impedire ad altri di parlare troppo. Non è concepibile che i maggiori Paesi del mondo danzino al ritmo stabilito dalle agenzie di «rating» che quanto meno introducono un elemento di confusione, forse favoriscono la speculazione e comunque decidono autonomamente non solo il «voto» a singole banche e Paesi ma anche quali Paesi esaminare e come diffondere le notizie, il che ha accentuato le convulsioni delle Borse. Tutto questo non va: si potrebbe arrivare a proibire almeno temporaneamente l’attività di queste agenzie come ha proposto il commissario europeo ai servizi finanziari, Michel Barnier, e successivamente ad affiancarle, se non a sostituirle, con un servizio veramente indipendente, forse pubblico, con un «bollettino» delle valutazioni da rendersi note a date fisse.
 Se si fosse svolto un paio d’anni fa, questo «supervertice» avrebbe quasi certamente annoverato un rappresentante italiano, ma «sic transit gloria mundi», così tramonta la gloria di questo mondo, come ha detto il presidente del Consiglio italiano, in maniera gelida e piuttosto cinica, a proposito della morte del colonnello Gheddafi. In maniera sicuramente meno violenta e meno tragica, le sue parole latine potrebbero purtroppo riferirsi proprio all’Italia: la mancanza di una poltrona italiana al vertice di Francoforte è un chiaro segnale del declino economico del Paese, sempre più evidente nonostante gli sforzi per farlo apparire poco più di un semplice episodio congiunturale. In realtà, l’Italia non ha il raffreddore, ha la polmonite, anche se continua a curarsi come se avesse soltanto il raffreddore in un’Europa che, come dimostra il caso greco, sta perdendo la pazienza con chi fa soltanto finta di esser sano.

Rapporto Sace, riprendono le attività delle imprese nel settore energetico in Libia
Dopo la caduta del regime di Gheddafi diverse compagnie petrolifere hanno fatto i primi passi per rilanciare gli accordi con il Comitato Nazionale Transitorio (Cnt). L'Eni ha già riattivato diversi giacimenti
L’ufficio studi economici di Sace analizza la situazione in Libia nel suo dossier alla luce degli ultimi fatti, a cominciare dalla caduta del regime di Gheddafi e dall’investitura del Comitato Nazionale Transitorio da parte dell’autorità di governo. Oltre a fare un’ampia disamina su ciò che concerne l’aspetto politico, si approfondisce il discorso legato alla ripartenza delle imprese internazionali (a cominciare da quelle italiane) nello Stato di Tripoli. Il relativo miglioramento delle condizioni di sicurezza, in particolare nell’area di Bengasi, ha consentito ad alcune imprese straniere di riprendere la propria attività nel settore energetico. Il Paese, uno dei principali esportatori africani di petrolio, produceva prima della guerra circa 1,65 milioni di barili al giorno di cui 1,5 destinati all’export. Le stime sulla ripresa della produzione e sui danneggiamenti subiti da giacimenti e infrastrutture variano significativamente in base alle fonti. Secondo l’Opec e le autorità del Cnt, la Libia potrebbe raggiungere una produzione di 1 milione di barili al giorno entro 6 mesi, e per una completa ripresa della produzione ai livelli pre-crisi si dovrà attendere la fine del 2012. Secondo le stime più caute della International Energy Agency, il recupero totale si raggiungerà solo nel 2013-14.
A fine settembre, l’Eni ha riattivato la produzione di petrolio dal giacimento di Abu-Attifeel, circa 300 km a sud di Bengasi. La produzione dell’Eni, ridottasi a 50.000 barili al giorno nel corso della crisi, dovrebbe tornare ai livelli precedenti (280.000 barili al giorno) entro 18 mesi.
La società ha riavviato anche l’attività del gasdotto Greenstream, che collega la Libia all’Italia, dopo 8 mesi di sospensione. In questa fase preliminare, che potrebbe durare fino a inizio dicembre, saranno immessi tre milioni di metri cubi di gas naturale al giorno nel gasdotto gestito in partnership da Eni e la National Oil Company libica. L’aumento dei volumi di gas naturale destinati all’export dipenderà anche delle necessità del mercato domestico libico. Tra le prime a riattivare la produzione, oltre l’Eni, si segnalano la francese Total e la tedesca Wintershall. Anche la statunitense Occidental Petroleum Corp e la canadese Suncor Energy Inc stanno valutando modalità e tempistiche per il ritorno nel Paese. Nonostante la ripresa della produzione petrolifera libica sia stata più rapida delle attese, rimangono degli ostacoli tecnici e politici da superare prima di tornare ai livelli pre-crisi.
Il Cnt ha inoltre annunciato che ogni nuovo accordo dovrà essere vagliato dal governo democraticamente eletto, rimandando quindi la firma di futuri contratti al consolidamento della transizione istituzionale in corso. In merito ai contratti esistenti, già stipulati con controparti pubbliche libiche, le autorità hanno dichiarato l’intenzione di volerli rispettare, tuttavia non si esclude la possibilità che tali contratti siano oggetto di scrutinio (in particolare per accertare eventuali casi di corruzione) prima di un rinnovo.
A cura di : Sace

ETA: gli indipendentisti chiedono un negoziato
21/10 20:14 CET
L’annuncio dell’ETA non ha colto di sorpresa gli spagnoli: l’organizzazione terrorista, che aveva già proclamato una tregua unilaterale, ha detto che abbandonerà la lotta armata.
Ma dal governo non è ancora arrivata l’apertura che gli autonomisti baschi chiedono insistentemente: una portavoce di Zubik, considerata l’ala politica dell’ETA, lancia un appello ai governi spagnolo e francese: “devono dare subito risposta a questa opportunità storica, dimostrando responsabilità e una visione, e adottando le misure necessarie”.
Concetto poi chiarito da un militante storico del movimento, Rufi Etxebarria, in un’intervista concessa in esclusiva a Euronews:
“Vogliamo che una volta per tutte sparisca quello che è stato storicamente il seme del conflitto. E il seme del conflitto politico è stato il mancato riconoscimento nazionale del nostro Paese, il mancato riconoscimento dei suoi diritti universalmente riconosciuti, come il diritto all’autodeterminazione”.
Con la promessa di cessare la lotta armata, l’ETA bussa alla porta di Madrid. Ma il governo per ora resta sulla linea dura, mostra di non cedere alle sirene del dialogo anche perché l’ETA si è spesso dimostrata inaffidabile.
“Dialogo e negoziati con l’ETA: è questa la rivendicazione della sinistra indipendentista nella sua prima reazione al comunicato dell’ETA. Una posizione non condivisa dal governo spagnolo né da quello francese, cosa che allontana una soluzione del conflitto basco”

Ue. La Lettonia e gli alieni
Pubblicato il 21/10/2011 da Stefano Grazioli
In Lettonia alle elezioni parlamentari anticipate ha vinto il partito della minoranza russa. È la prima che accade nella piccola repubblica dell’ex Urss dopo l’indipendenza raggiunta nel 1991. Nel momento in cui scriviamo non si sa ancora se il Centro dell’Armonia farà parte del nuovo governo o se, come è successo sino ad ora, rimarrà all’opposizione.
Leader del partito è Nils Usakovs, sindaco di Riga, di etnia russa, ma ovviamente naturalizzato lettone. Negli ex Stati sovietici sul Baltico, anche in Estonia e in Lituania, sono molti i cittadini dell’ex Urss che dopo il 1991 hanno deciso di rimanere. In Lettonia, con una popolazione di 2.200.000 abitanti, i russi sono circa 600.000, ma ci sono anche decine di migliaia di bielorussi e ucraini. Molti di loro hanno preso la cittadinanza lettone, ma altri no. Oltre 300.000 persone sono infatti nepilsoni, non-cittadini. Gente, quasi il 15% della popolazione, che ha un passaporto violetto sul quale sta scritto alien’s passport, (non si tratta di apolidi, status che la legge lettone non prevede) e che naturalmente è privata di diritti civili e politici, a partire naturalmente da quello del voto.
La situazione è abbastanza strana in un Paese che fa parte dell’Unione Europea e per ora, nonostante diverse prese di posizione del Consiglio Europeo con il suggerimento di concessione del diritto di voto e facilitazione dei processi di naturalizzazione, a Riga i governi oligarchici e di centrodestra non hanno mosso mai nulla. Uno dei motivi, al di là della retorica nazionalista, è che i non-citizens diverrebbero un bel serbatoio elettorale per il partito della minoranza russa.
Usakovs, che non è un vecchio stalinista, è tutto sommato un moderato che vorrebbe sì portare la Lettonia nell’euro, anche se in tempi più dilatati rispetto all’ex premier Valdis Dombrowksis, ma che vorrebbe dare più forza e più diritti alle minoranze russe e aliene. E questo non piace ai conservatori e ai nazionalisti. Il Centro dell’Armonia ha trovato consensi anche al di là della comunità russofona, votato anche da un buon 15% di lettoni. Il problema degli alieni sarà in ogni caso uno di quelli che il nuovo governo lettone dovrà cercare di risolvere sulla linea del compromesso.

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