venerdì 11 novembre 2011

Federali.sera_11.11.11. Poveri, ricchi, disperati, sconfitti, penalizzati o perseguitati, e’ il momento del vox populi.----Crescono a dismisura i poveri possidenti con capitali all'estero, +9,4% nel 2011, i quali vivono spendendo migliaia di euro per beni di lusso, che possiedono cassette di sicurezza in Svizzera e non dichiarano al fisco italiano quello che guadagnano effettivamente.----Sardegna, Anthony Muroni: Il passare dei mesi e il moltiplicarsi delle stangate che Equitalia (e affini) ha fatto inflitto tra capo e collo di centinaia di imprenditori e comuni cittadini hanno contribuito a fiaccare e disilludere la massa critica che ha trovato rifugio nelle varie associazioni che si sono costituite un po' in tutta l'Isola.

L'UNIONE SARDA - Economia: La disperazione bussa a Palazzo
L'UNIONE SARDA - Economia: È pronta la Banca del Sud
Veneto, padania. Processo alle Camicie Verdi. Dopo 14 anni tutto da rifare
Bozen, oltrepadania. L'ultimo blitz del governo Berlusconi
Fisco/contribuenti.it: crescono i capitali all'estero, +9,4% nel 2011
Quella fuga dei fondi dalla terra di Francia
Spagna, dati provvisori: crescita zero in terzo trimestre
L’Italia sconfitta che ci lascia Berlusconi



L'UNIONE SARDA - Economia: La disperazione bussa a Palazzo
11.11.2011
Il popolo delle partite Iva prima in piazza e poi da Cappellacci Tanti piccoli imprenditori vessati da banche e agenzie di riscossione e molti militanti indipendentisti. Il fatto che ieri non ci fossero i cinquemila manifestanti attesi non toglie un grammo di forza alla protesta che è andata in scena fino al primo pomeriggio davanti al palazzo regionale di viale Trento.
GLI IMPRENDITORI Il passare dei mesi e il moltiplicarsi delle stangate che Equitalia (e affini) ha fatto inflitto tra capo e collo di centinaia di imprenditori e comuni cittadini hanno contribuito a fiaccare e disilludere la massa critica che ha trovato rifugio nelle varie associazioni che si sono costituite un po' in tutta l'Isola. Cionostante la piattaforma di una protesta che non ha leader, ma che si basa sul fortissimo collante che arriva da un mucchio di esperienze comuni, continua ad arricchirsi. Bastava sentire i discorsi nei tanti capannelli che ieri mattina si sono formati, in attesa che una piccola avanguardia di 16 rappresentanti venisse ricevuta dal presidente della Regione. Muovendosi tra nugoli di agenti, in divisa e in borghese, i manifestanti si confrontavano su temi complementari tra loro: la crisi economica, l'iniquo sistema di riscossione dei debiti maturati da cittadini e imprese nei confronti degli enti impositori (lo Stato, gli enti locali, gli istituti previdenziali), la stretta creditizia imposta dalle banche. Storie ricorrenti, visi che si alterano e mani che si allargano a segnalare un'impotenza che si fa sconforto.
IL VERTICE Sono in pochi ad aspettarsi una risposta concreta dalla politica, ma la quasi totalità ripete che manifestare è comunque importante: «Dobbiamo far capire a tutti che non ci arrenderemo e che non possiamo accettare che lo Stato ci porti via la casa». Nel primo pomeriggio le porte di villa Devoto, blindatissima da Guardia di finanza e carabinieri, si aprono per la delegazione composta da rappresentati delle categorie produttive e degli indipendentisti.
«MANI LEGATE» Il confronto dura quasi tre ore ma il presidente Cappellacci ribadisce di avere le mani legate: «Ho scritto al Governo, anche mercoledì, ma non abbiamo strumenti per poter fare qualcosa. Abbiamo chiesto la sospensione delle normative a svantaggio dell'Isola, l'attuazione dello stato di crisi e una moratoria per le cartelle fiscali. Ora dobbiamo solo aspettare. Nel frattempo l'unica cosa da mettere in campo, e ci stiamo già muovendo, riguarda un intervento a favore del sistema produttivo. Per questo abbiamo aperto un tavolo di confronto con le banche e siamo pronti a stanziare 10 milioni di euro, il 25 per cento di un intervento più ampio complessivi 40 milioni tra risorse regionali e bancarie». Risposte che ai manifestanti non bastano. Presto ci saranno altri appuntamenti, forse anche oltre Tirreno. Anthony Muroni

L'UNIONE SARDA - Economia: È pronta la Banca del Sud
11.11.2011
Al via dal primo gennaio. Il sottosegretario Gentile: «Risposta a Bruxelles» Gli sportelli saranno 250. Sedici quelli in Sardegna
ROMA Agire per ridurre la forbice tra Nord e Sud: è questo uno dei punti chiesti da Bruxelles all'Italia. E anche all'interno della famosa lettera all'Ue, l'indicazione ha trovato risposta al capitolo “piano Sud”. Pensato appunto per risollevare le sorti del Mezzogiorno, affonda le radici in un nuovo Istituto di credito: la Banca del Mezzogiorno, che in Sardegna potrà contare su 16 sportelli. Il dubbio, a Roma, nel giorno più cupo del Berlusconi quater, poco prima che il premier annunciasse le dimissioni, era se l'evolversi della situazione politica potesse mettere a rischio l'impalcatura della nuova creatura (tremontiana) del credito. Dubbio fugato all'istante: «Non c'è un fatto di natura politica, il progetto va avanti poiché già in fase di stadio avanzato», ha spiegato Gilberto Pichetto Fratin, componente della commissione Bilancio del Senato. Presidente Massimo Sarmi, amministratore delegato Piero Luigi Montani, vice presidente Andrea Montanino, la banca (nata dalla cessione a Poste del MedioCredito centrale) è quindi pronta ad aprire i battenti.
TEMPI E MODI Gli sportelli già autorizzati da Bankitalia sono 250, di cui 16 in Sardegna (73 in Sicilia, 66 in Campania e 49 in Puglia). Saranno operativi da gennaio e una volta avviato il progetto potranno crescere ancora perché calibrati sulla presenza di Poste. E siccome la società guidata da Massimo Sarmi solo in Sardegna conta su 454 filiali, a tanto, in prospettiva, potrebbe corrispondere il potenziale nell'Isola del nuovo Istituto. Al momento, tuttavia, si parte con i primi 16 sportelli.
LA MISSION DELLA BANCA «È un percorso avviato che ha capitalizzazione e direttrici di intervento già segnati», spiega Pichetto Fratin, sottolineando che la banca «darà effetti nel medio termine e sarà il braccio operativo su un sistema di credito fino a oggi asfittico rispetto a quello del Nord». Obiettivo finale: accelerare gli investimenti in infrastrutture, come nelle intenzioni del Governo (la cosiddetta operazione “sburocratizzazione” va in quella direzione). È ancora il sottosegretario Gentile a tracciarne le linee: «La Banca serve innanzitutto per calmierare i tassi di interesse a favore delle imprese», con l'intento di «supportare l'economia meridionale sostenendone anche l'occupazione attraverso una banca moderna, attrezzata a fare anche prestiti a medio e lungo termine». I clienti? «Le piccole e medie imprese che vivono di microcredito», conclude Gentile, che nel giro di una settimana presenterà con Tremonti e Sarmi la nuova creatura. Emanuela Zoncu

Veneto, padania. Processo alle Camicie Verdi. Dopo 14 anni tutto da rifare
La Corte Costituzionale ordina che gli atti tornino a Verona dove 36 leghisti sono imputati per «associazione militare». «Le leggi sono cambiate»
VERONA — Tutto (o quasi) da rifare. Il procedimento giudiziario sulle Camicie Verdi si preannuncia come uno dei più lunghi della storia politica italiana. A distanza di quattordici anni dall’inizio dell’inchiesta (avviata dall’allora procuratore Guido Papalia) sui componenti della Guardia Padana, e a tredici mesi dalla prima udienza in tribunale, la Corte Costituzionale ha infatti rinviato al giudice di Verona la richiesta di chiarimento in merito ai dubbi sulla costituzionalità della norma che aveva abrogato il reato di associazione di carattere militare con finalità politiche. Un nulla di fatto, che avrà come conseguenza l’ennesimo rinvio a data da destinarsi della sentenza che riguarda i trentasei leghisti imputati, tra i quali il segretario della Liga Veneta Gian Paolo Gobbo, l’ex sindaco di Milano Marco Formentini, e il deputato veronese Matteo Bragantini.
Nell’ordinanza, la Consulta non si esprime limitandosi a restituire gli atti al tribunale scaligero affinché «valuti la rilevanza delle questioni alla luce del mutato quadro normativo». Il Lodo salva-Lega che nel 2010 aveva cancellato il reato («Per errore», disse il ministro Ignazio La Russa che aveva firmato il provvedimento con il collega, ed esponente del Carroccio, Roberto Calderoli) nei mesi scorsi è stato infatti affiancato da un nuovo decreto legislativo del governo. Il risultato è che l’abrogazione rimane, ma che essendo cambiato il quadro complessivo la Consulta si è vista costretta a rispedire il fascicolo al tribunale scaligero che ora dovrà formulare un nuovo (e pressoché identico) quesito alla Corte Costituzionale. Un tira e molla che avrà come unico effetto quello di rinviare per l’ennesima volta la sentenza, facendo fare agli imputati un’altro passo verso l’agognata prescrizione. «Il governo sta violentando le regole per garantire l’impunità a 36 leghisti» aveva denunciato pochi mesi fa il presidente dei deputati dell’Italia dei Valori, Massimo Donadi. Che l’abrogazione sia stata fatta o meno in buona fede, di certo per molti è la misura di quanto i tempi siano cambiati.
L’indagine di Papalia contro tutto lo stato maggiore della Lega, andò a scavare tra il 1996 e il 1997 l’anima più popolare e idealista del Carroccio. I cellulari erano pochi e molte delle intercettazioni vennero fatte sui telefoni fissi. Le perquisizioni scattarono nelle abitazioni dei militanti, con le forze dell’ordine che andarono a rovistare negli armadi, tra i fornelli. Erano quelle, all’epoca, le vere sedi del partito. Come quando si presentarono a casa di Matteo Bragantini, oggi deputato. All’epoca era uno studente universitario di 21 anni, la Digos gli portò via qualche volantino e un elenco di nomi e numeri telefonici compresi quelli dei suoi compagni del liceo. Il leader Umberto Bossi non la prese bene. Definì Papalia «Quel terun de la madonna che ha arrestato il Va Pensiero ». Erano gli anni ruspanti, quelli del governo Prodi, quelli delle notti passate a scrivere «Padania libera» sui muri, quelli con Silvio Berlusconi all’opposizione, che dopo il ribaltone era diventato il nemico numero uno. E molti di quei ragazzi in camicia verde si adoperavano come potevano per il partito, sognando la secessione al grido di «Roma ladrona». Ma oggi è tutto diverso. Le beghe per la successione, gli epurati, i Tosiani. Ogni tanto si rispolverano gli stessi slogan contro lo Stato che spreme il Nord, anche se al governo (almeno per qualche giorno) ci sono proprio loro. E ancora con Silvio Berlusconi. «Si fanno le leggi ad personam », tuonava Di Pietro parlando del Lodo salva-Lega. Angela Barbaglio, il pubblico ministero titolare dell’inchiesta sulle Camicie Verdi, è più diplomatica: «È evidente che il principale effetto ottenuto è l’abrogazione del reato di associazione di carattere militare, l’unico di cui sono ancora accusati gli imputati». Insomma, i governi passano, il partito cambia, ma quei trentasei leghisti sono ancora lì, sospesi in un limbo giudiziario che, a suo modo, rappresenta una certezza.
Andrea Priante

Bozen, oltrepadania. L'ultimo blitz del governo Berlusconi
Nel maxiemendamento sacrificio di altri 49 milioni per la Provincia
BOLZANO. Nuovo blitz contro le autonomie. L'ultimo del governo Berlusconi. Il patto di stabilità sul bilancio 2012 della Provincia viene caricato di altri 49 milioni e arriverà a 301 milioni invece dei previsti 252. Questo il diktat del maxiemendamento di maggioranza al disegno di legge sul Patto di stabilità, licenziato ieri sera dalla Commissione bilancio al Senato. La manovra è stata contrastata in extremis, ma solo in parte. È stata una giornata ad alta tensione a Palazzo Madama, con linee telefoniche roventi fra Bolzano, Trento e Roma. Il risultato, alla fine, è contenuto in poche righe. Queste: «L'attuazione dei commi 11, 12 e 13 dell'Articolo 4-quater avviene nel rispetto degli Statuti delle Regioni a statuto speciali e delle Province autonome e delle relative norme d'attuazione». E' il massimo che finora ha ottenuto l'azione dei senatori Helga Thaler Ausserhofer, Manfred Pinzger, con il collega trentino Claudio Molinari e il valdostano Antonio Fosson. Quel testo è uno dei due subemendamenti che il relatore del disegno di legge, il vicepresidente della Commissione bilancio Massimo Garavaglia (con il sostegno del governo), ha elaborato ieri sera. L'emendamento non ripristina però le cifre chieste da Bolzano e Trento (il cui patto di stabilità viene aggravato di 32 milioni, arrivando a 284 milioni). Si tratta dell'ennesima clausola di salvaguardia, importante ma non definitiva. Lo conferma il direttore della ripartizione finanze di Palazzo Widmann, Eros Magnago, ieri a Roma per una riunione, che ha collaborato con i senatori alla stesura degli emendamenti: «Di fronte alla tabella tuttora presente nel maxiemendamento, la clausola di salvaguardia non è sufficiente. Saranno inevitabili controversie». Questa mattina in aula, annuncia Pinzger, nuovo tentativo con la presentazione di un emendamento più circostanziato. Le speranze però sono ridotte. Questa la ricostruzione. Mercoledì sera i senatori hanno ricevuto il testo del maxiemendamento alla legge di stabilità. «Abbiamo avuto solo 20 minuti per esaminarlo e predisporre gli emendamenti da depositare in commissione Bilancio», raccontano Thaler Ausserhofer e Pinzger. Al comma 10 del maxiemendamento i senatori si sono trovati la tabella predisposta dal governo sulla ripartizione tra autonomie speciali del contributo agli obiettivi di finanza pubblica. A Bolzano è assegnato un sacrificio di 301,563 milioni di euro nel 2012, più 32,108 milioni per la Regione. Riassume Magnago: «Non sono le cifre concordate questa estate tra i presidenti di Regioni e Province autonome, quando hanno discusso i criteri di suddivisione del patto di stabilità di 2,130 miliardi di euro per tutte le specialità». L'impegno di Bolzano per il 2012 era stato fissato in 252 milioni e di 19 milioni per la Regione. Come spuntano i 301 milioni per Bolzano del maxiemendamento? Magnago spiega: «I presidenti di Bolzano e Trento a partire da settembre hanno preferito lavorare sul fronte delle trattative separate che dovevano essere garantite alle autonomie speciali. Non sono quindi state compilate tabelle, perché si riteneva non corretta la richiesta del ministero di procedere a quell'operazione. A quel punto ci ha pensato però il governo, che ha predisposto le cifre del maxiemendamento. Sono sacrifici che contestiamo, perché non tengono conto del fatto che Bolzano e Trento pagano da sé la sanità, a differenza di altre autonomie speciali. Una differenza fondamentale, che non viene però considerata nella suddivisione del patto di stabilità, per cui risultiamo più penalizzati di Sicilia e Sardegna». (fr.g.)

Fisco/contribuenti.it: crescono i capitali all'estero, +9,4% nel 2011
ROMA - Crescono a dismisura i poveri possidenti con capitali all'estero, +9,4% nel 2011, i quali vivono spendendo migliaia di euro per beni di lusso, che possiedono cassette di sicurezza in Svizzera e non dichiarano al fisco italiano quello che guadagnano effettivamente. Questo è quanto emerge da una nuova inchiesta condotta da KRLS Network of Business Ethics per conto di "Contribuenti.it Magazine" dell'Associazione Contribuenti Italiani.
"Poveri possidenti e ricchi nullatenenti" intimoriti dalle burrasche che scuotono i mercati finanziari e dalle manovre finanziarie lacrime e sangue del Governo Berlusconi.
Cassette di sicurezza vengono richieste non solo a Lugano e Chiasso, ma anche in tutta la fascia di confine, Valle di Muggio compresa.
La maggioranza di essi sono poveri, dalle dichiarazioni dei redditi irrisorie, presumibilmente prestanome di imprenditori e professionisti che in questo modo eludono il fisco o, peggio ancora, fanno affari d'oro con la malavita organizzata.
"La Guardia di Finanza, oggi, non dispone di risorse sufficienti per combattere fino in fondo l'evasione fiscale. E' stata disarmata, lasciata priva di fondi con grave nocumento anche in danno dei diritti dei contribuenti - afferma Vittorio Carlomagno presidente di Contribuenti.it Associazione Contribuenti Italiani - Devono scendere in campo gli 007 per scoprire chi sono gli effettivi proprietari delle cassette di sicurezza che puntualmente, ogni anno, vengono aperte in Svizzera".
Contribuenti.it - Associazione Contribuenti Italiani
L'ufficio stampa Infopress 3314630647

Quella fuga dei fondi dalla terra di Francia
Fabio Pavesi. Ora tocca alla Francia? A vederla così sembra una sorta di cascata, un effetto domino che, partito dalla Grecia si è poi allargato all'intera Europa mediterranea, o meglio latina. Dopo l'incubo Spagna, poi rientrato, a salire sul banco degli imputati è toccato all'Italia e ora, a giudicare da quell'impennata dello spread dei titoli francesi sui Bund, sembra la volta di Parigi. Le prime avvisaglie nella turbolenta estate scorsa con le voci, prontamente smentite, di un declassamento della tripla A francese. Si ricordi poi l'attacco in pieno Ferragosto alle banche francesi, con le speculazioni sui gravi problemi di liquidità che sarebbero occorsi a Société Générale. Anche questi rumor furono seccamente smentiti. Intanto però quella pressione sulle banche si era fatta talmente potente da vedere titoli come Bnp Paribas o la stessa SocGen arrivare a dimezzare le quotazioni dai primi di luglio ai primi di ottobre. Tre mesi terribili. Ora almeno sulla Borsa, con lo scatto di ottobre, in parte rientrati. Ma giova ricordare che, fondate o meno, sulle voci di una tenuta della più alta classe di credito della Repubblica transalpina, il mercato si è comunque mosso. Vendendo. O meglio uscendo dalla Francia. Lo hanno fatto i fondi monetari Usa che, dopo aver azzerato già a luglio l'esposizione su Italia e Spagna, hanno proseguito nella loro fuga dall'Europa meridionale, scaricando la Francia. Tra agosto e settembre, secondo le rilevazioni di Fitch, l'esposizione dei primi dieci money market fund Usa sulle banche francesi è calata del 42%. Se non è una fuga poco ci manca. Secondo gli ultimi dati di Lipper sul mercato dei fondi in Europa, la Francia è il paese dove i deflussi sono stati più consistenti, in particolare nel mese di settembre. Parigi avrebbe perso il 16% degli asset in soli 30 giorni. E da inizio del 2011 i flussi in uscita sono pari a 98 miliardi su asset per 588 miliardi. Forse il mercato affretta i tempi o fa scommesse azzardate, ma quando anche i fondi se ne vanno è comunque un cattivo segno. Almeno sul fronte della fiducia.

Spagna, dati provvisori: crescita zero in terzo trimestre
La ripresa dell'economia spagnola ha registrato una battuta d'arresto nel terzo trimestre, con una crescita del Pil nulla rispetto al trimestre precedente dove era aumentata dello 0,2 per cento. Lo indicano le prime stime annunciate oggi dall'Istituto nazionale di statistica (Ine). Per la crescita annuale, il Pil avanza dello 0,8 per cento, decisamente lontano dall'obiettivo ufficiale del governo per la fine dell'anno (1,3 per cento).

L’Italia sconfitta che ci lascia Berlusconi
11/11/2011
di Franco Cimino
A qualsiasi soluzione dovesse giungere la situazione italiana, la cosa certa è la fine del sogno berlusconiano. Non di Silvio Berlusconi, che il suo personale l'ha realizzato raggiungendo in soli diciassette anni una quantità di potere che nessun altro governante nei Paesi democratici ha mai ottenuto. Infatti, è diventato uno degli uomini più ricchi del mondo, ha costruito un sistema massmediale tra i più potenti e moderni e una holding finanziaria tra le più robuste d'Europa. Ha inventato in ventiquattr'ore un partito che alla fine sarà vissuto almeno ventiquattro anni. E' diventato presidente del Consiglio con la piena adesione degli italiani, si è divertito molto portando in piazza milioni di persone, a cui in ogni occasione assegnava una missione salvifica. Ha cambiato le regole anche senza scriverle, trasferendo a tutto il già fragile sistema politico una nuova cultura della rappresentanza di tipo personalistico e una concezione molto elastica delle istituzioni. Ha fatto dell'Italia un paese diverso da quello che è sempre stato, cucendogli addosso un abito nuovo e una forma istituzionale che non esiteremmo a chiamare, sia pure ridendoci un po', Stato monarchico-repubblicano, nel quale a rappresentare la Costituzione formale restava, per l'impossibilità di sollevarlo, il presidente della Repubblica, mentre a rappresentare la Costituzione materiale v'era una sorta di principe. Un monarca investito dall'amore del popolo, con il quale, e solo con il quale, realizzava un rapporto esclusivo. Di vicinanza paterna e di distacco aristocratico, da cui ha fatto discendere tutte le licenze che solo un principe può concedersi. Nella vita pubblica (stabilire rapporti esclusivi, e fuori dalla diplomazia, con capi di governo e dittatori della peggiore specie) e nella vita privata, di cui è meglio in questa sede non riferire. Berlusconi più che guascone in talune sue espressioni, è stato un bambino. L'aspetto più emblematico di questa sua eterna condizione psicologica, non deriva solamente dal suo sentirsi irresponsabile, nel senso cioè di non portare alcuna responsabilità di ogni suo gesto, derubricata sempre, a prescindere dalle violazioni di legge, a categoria del si può o del “ma che male c'è”. Deriva specialmente da quel fenomeno apparentemente strano, giudicato spesso come gesto di volgarità, rappresentato dall'incessante acquisto di tante case. Delle quali si vantava mostrandole a tutto il mondo. Paradossalmente, nella vecchia Italia in cui tutti i ricchi possono permettersi lo yacht e il lusso dei grandi acquisti e la prudenza dei soldi in banca o nelle aziende, il Cavaliere segna la differenza con l'acquisto di case che altri non potrebbero comprare. Perché non può o perché non lo ritiene conveniente. Sono case grandissime, tutte hanno giardini e parchi immensi, guardano al mare o al lago o ai monti. Hanno una tipologia esclusiva e alcune una storia importante. Non ha badato a spese per acquistarle ed altre ne comprerà in futuro. Importante è che siano le più belle. E' su questo esclusivo privilegio che ha segnato la differenza, proprio come fanno i bambini quando giocano a pallone. Prima della partita non conta chi gioca meglio ma chi porta le magliette più belle e il pallone. La psicologia infantile di Berlusconi, venuto dalla gavetta, si esprime in quello che è il sogno di chi non nasce ricco: la casa. Anzi, le case. Tante da regalarne ai genitori, ai fratelli e agli amici più cari. Esattamente come ha fatto lui, con quella generosità propria degli arrivati da un mondo lontano. Che poi, il suo spirito felino, la sua astuzia divampante, la sua ambizione sfrenata, lo abbiano portato a utilizzare finalisticamente questa sua fanciullezza, è un dato di fatto e un altro discorso. Quel che ci interessa oggi, all'atto della sua nuova uscita di scena, è questo suo modo di utilizzare le case come segno distintivo di una immodificabile differenza. Anche rispetto i capi di Stato stranieri. Si faccia attenzione a un elemento: il governo e lo Stato possiedono le migliori residenze e i migliori palazzi del mondo, tanto belli da mettere soggezione a principi veri e vere regine. Il presidente del Consiglio italiano, per la gran parte degli incontri ufficiali ha ricevuto i suoi ospiti nelle sue residenze private. E, per tornare alla politica interna, gli incontri di maggior rilievo li ha tenuti nel triangolo strategico Villa Macherio - Palazzo Grazioli - Villa Certosa. Specialmente, quando doveva persuadere qualcuno o acquistare uomini per lo scacchiere del suo potere, non soltanto parlamentare. Non occorrono stuoli di psicologi e analisti sociali per comprendere che questa sua ineguagliabile ospitalità - la stessa usata nei confronti delle ragazze nelle sere dell' “igiene della mente” - conteneva quella sorta di pressione psicologica sulla voglia di incanto e di ammirazione che si radica nella fragile tendenza dell'essere umano. Ecco, come i bambini, Berlusconi usa tecniche così raffinate da garantirgli di partire in vantaggio negli incontri di qualsiasi portata. E spuntarla sempre con facilità. Tanto che la sua caduta è avvenuta in luoghi e in stanze lontani dalle sue residenze: quelli dei mercati e dei potentati europei, come ha sostenuto su queste colonne il direttore Matteo Cosenza. Ciò che finisce, pertanto, non è il sogno di Berlusconi che non si arrenderà troppo facilmente e altre rivincite sta già programmando. Finisce, invece, il sogno berlusconiano, regalato agli italiani da uno schermo televisivo diciassette anni fa. Il sogno di un nuovo miracolo economico e di un'Italia prima in Europa e tra le prime nel mondo. Il sogno che tutti gli italiani sarebbero potuti diventare come lui, ricchi e sicuri. Il sogno di una società senza classi, potendosi realizzare l'unica in cui non vi fossero più i proletari, i poveri, gli emarginati. Né i mantenuti dallo Stato, poiché la nuova società della creatività e delle famose tre “i” (impresa, Internet, inglese) avrebbe costruito una larga ricchezza che avrebbe reso inutile il ruolo di uno Stato rapinatore, ingerente, impiccione. L'Italia di oggi è un'Italia triste, frustrata, addolorata, confusa. Mai come oggi si riflette nella decadenza del suo leader e in quel suo viso indurito da rabbia e delusione dinanzi allo schermo luminoso della Camera che segnava il fatidico numero 308. E' un'Italia sconfitta, quella che ci lascia Berlusconi. Sconfitta non da quel sogno irrealizzato e nel quale ha ingenuamente per lungo tempo creduto. L'Italia di oggi è divisa in due classi. Una molto grande, quella dei poveri e dei senza futuro e l'altra piccolissima, visibile, dei ricchi e dei potenti, che si stanno battendo come leoni per salvare questa Italia. E non per aiutare i poveri, ma per difendere se stessi e la propria ricchezza. Paradossalmente, questa volta, se l'Italia affonda a rimetterci saranno soprattutto loro. I poveri, ormai non hanno più nulla da perdere, salvo la dignità, la speranza e il coraggio di ribellarsi. Di colpo quel sogno è svanito perché non è mai stato tale. Soltanto un'illusione o un inganno, venduto come merce buona dalle sette reti televisive nelle mani del magnate di Arcore. Divenuto principe d'Italia per volere degli italiani.

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