lunedì 28 novembre 2011

Federali.sera_28.11.11. Ida Magli: È una delle prime cose che ci hanno insegnato a scuola: non si possono sommare le mele con le pere. È proprio quello che hanno voluto fare i progettisti dell’Unione: francesi più tedeschi più spagnoli più italiani ecc..., tutti mele o tutti pere, come se la ricchezza dei popoli d’Europa non consistesse soprattutto nella loro straordinaria diversità creativa. Tragica ignoranza o spaventosa presunzione del potere?----Svizzera, Aldo Sofia: Siamo dunque all’Europa costretta ad integrarsi dopo aver a lungo frenato sull’integrazione. Costretta appunto ad inseguire ciò che dovrebbe già essere. A farlo con un ritardo colpevole. E forse irrecuperabile.

LA NUOVA SARDEGNA - Economia: Contributi europei: le risorse andranno agli agricoltori «veri»
LA NUOVA SARDEGNA - Economia: Sussidi ai disoccupati
Io ve l'avevo detto: l'euro ormai è fallito
Fmi: "Nessun fondo da 600 miliardi per l'Italia"
Svizzera. L’Europa rincorre se stessa per salvare l’euro



LA NUOVA SARDEGNA - Economia: Contributi europei: le risorse andranno agli agricoltori «veri»
28.11.2011
CAGLIARI. Cambiano le regole della politica comunitaria per gli agricoltori. La principale norma riguarda i pagamenti diretti: a riceverli saranno con tutta probabilità solo gli agricoltori le cui entrate dell’attività agricola superano almeno il 55% del reddito complessivo. La proposta è stata avanzata dal commissario europeo all’Agricoltura, Dacian Ciolos ma presenta una grande complessità burocratica. Inizialmente l’applicazione potrebbe avvenire con una certa flessibilità perché si tratta di stabilire le misure di gestione del mercato. È una riforma che preoccupa gli agricoltori sardi in quanto giudicata poco chiara dal punto di vista delle risorse. Intanto domani a Roma si terrà il Forum dell’alimentazione a cui parteciperà anche una delegazione del Movimento pastori sardi che intende approfittare della presenza, annunciata, del commissario europeo Ciolos e del neo ministro all’Agricoltura per rappresentare i problemi dell’isola. Ma non solo. «L’occasione», si legge in un documento del Movimento pastori sardi, «è importante per manifestare al Commissario europeo la nostra solidarietà per l’impostazione che sta dando alla nuova Politica agraria comune 2014-2020, che finalmente tiene conto anche delle realtà agricole più deboli». Una posizione che - a detta del movimento - sarà osteggiata «da quanti fino adesso hanno percepito ingiustamente risorse senza magari averne titolo e che vorrebbero lasciare le cose immutate».

LA NUOVA SARDEGNA - Economia: Sussidi ai disoccupati
28.11.2011
Sono stati 102.000 disoccupati sardi a chiedere nel 2010 il sussidio di disoccupazione ordinaria ma l’hanno ottenuta in 83.571 per la frammentararietà dei rapporti di lavoro. Risulta dal bilancio sociale dell’Inps. Nell’isola si sono sfiorati i 13,3 milioni di ore di cassa integrazione con un incremento del 31% rispetto al 2009. Per la Cig ordinaria sono state autorizzate 2,3 milioni di ore, per la straordinaria 3,7 mln di ore, mentre per quella in deroga sono state autorizzate 7,2 milioni di ore.

Io ve l'avevo detto: l'euro ormai è fallito
di Ida Magli
La crisi dell’euro non è sanabile. Nessuno vi può riuscire, che sia o non sia un esperto banchiere o persona di fiducia del mondo intero. Non vi può riuscire neanche bruciando nel crogiolo dell’euro tutti i beni che gli italiani e gli altri popoli d’Europa possiedono. Si sente dire in questi giorni che alcune grandi banche americane stanno preparandosi al crollo della moneta unica: non è possibile che i capi dei governi europei, responsabili della vita e dei beni di centinaia di milioni di persone, si rifiutino di ammettere questa possibilità preparando una qualche via di fuga, un’estrema uscita d’emergenza. È un loro preciso dovere predisporre un ordinato ritorno alla moneta nazionale in caso di necessità, invece di aspettare il caos del crollo globale. Gli strumenti a disposizione non mancano. Faccio un solo esempio: la lira non è ancora andata fuori corso. Si può cominciare ad emettere una parte dei titoli di Stato in lire esclusivamente per il mercato italiano e a far circolare la doppia moneta, così come si è fatto nel primo periodo del passaggio all’euro.
 Sappiamo bene quanto siano capaci di creatività i tecnici della finanza: la mettano all’opera.
 L’importante, tuttavia, è che si riconosca il fallimento del progetto di unificazione europea e della moneta unica. Soltanto se ci si convince che l’euro è debole perché è privo della forza degli Stati che lo dovrebbero garantire, si capirà che nessuna terapia lo può guarire. La forza degli Stati non è costituita dal nome dei governanti, ma dai loro popoli, dalla loro storia, lingua, arte, religione, civiltà. Perfino il mercato, idolo dei banchieri, si è indebolito in Europa perché, con l’unificazione, si è trovato ridotto al minimo comune denominatore. È una delle prime cose che ci hanno insegnato a scuola: non si possono sommare le mele con le pere. È proprio quello che hanno voluto fare i progettisti dell’Unione: francesi più tedeschi più spagnoli più italiani ecc..., tutti mele o tutti pere, come se la ricchezza dei popoli d’Europa non consistesse soprattutto nella loro straordinaria diversità creativa. Tragica ignoranza o spaventosa presunzione del potere?

Sarà la storia a rispondere a questa domanda.
 La crisi dell’euro è dovuta quindi, a parte i numerosi motivi specificamente tecnici del mercato e della finanza, al fatto che era sbagliato il progetto di unificazione europea entro il quale l’euro doveva vivere. Unificare i popoli, però, è un’operazione antropologica.
 Per questo è stato evidente fin dal primo momento ad una persona come me che fa di professione l’antropologo, vederne tutti gli errori e rendersi conto che l’euro, frutto principale dell’unificazione, sarebbe fallito. Ne avevo previsto il crollo, infatti, fin da prima che entrasse in circolazione, ossia nel 1997, quando ho pubblicato per l’editore Rizzoli il libro «Contro l’Europa». Gli anni sono passati, ho scritto decine di articoli (molti pubblicati anche sul Giornale ) sempre ripetendo che la costruzione europea era sbagliata e che le conseguenze negative, per l’Italia in particolar modo, sarebbero state gravissime, ma sono stata purtroppo costretta ad assistere nell’impotenza al sicuro disastro.
Nell’estate dell’anno scorso Rizzoli mi ha chiesto di scrivere un secondo libro sull’Europa. A novembre è uscito «La Dittatura europea» dove si trovano descritti passo per passo, tutti gli avvenimenti cui stiamo assistendo.
Soltanto un nome è diverso: prevedendo che un banchiere sarebbe diventato capo del governo, facevo il nome di Draghi. Allora Draghi non era ancora stato nominato alla Bce, ma si tratta di personaggi interscambiabili. Qualche giorno dopo avrei fatto sicuramente il nome di Monti. Non sta bene dire «Ve lo avevo detto?». È compito specifico dello scienziato fare delle previsioni il più possibile vicine alla realtà e per un antropologo era facilissimo capire che si stavano compiendo macroscopici errori. Se adesso lo metto in rilievo è nella speranza che finalmente qualcuno lo creda e corra ai ripari. Siamo ancora in tempo a salvare l’Italia e la civiltà europea.

Fmi: "Nessun fondo da 600 miliardi per l'Italia"
 “Non è in corso alcuna discussione con le autorità italiane" "L'Fmi prepara un piano per salvare l'Italia"
Ieri il quotidiano la stampa aveva scritto che il Fondo monetario Internazionale ha pronto un piano da 600 miliardi di euro per l’Italia se la situazione dovesse peggiorare
Ginevra, 28 novembre 2011 - Il Fondo Monetario Internazionale ha smentito che siano in corso trattative con le autorità italiane per la concessione di un fondo di aiuti al paese.
Ieri il quotidiano la stampa aveva scritto che il Fondo monetario Internazionale ha pronto un piano da 600 miliardi di euro per l’Italia se la situazione dovesse peggiorare. Il prestito darebbe a Monti 18 mesi di tempo per fare le riforme necessarie.
“Non è in corso alcuna discussione con le autorità italiane su un programma di finanziamenti del Fmi” ha dichiarato un portavoce del fondo in un comunicato.

Svizzera. L’Europa rincorre se stessa per salvare l’euro
di Aldo Sofia - 11/28/2011
L’euro doveva essere il carburante per unire l’Europa. E la Germania nell’euro la sua principale garanzia. Un decennio dopo lo scenario è completamente rovesciato. Il “rischio collasso” della moneta unica mette in gioco la stessa sopravvivenza dell’Ue, o una sua traumatica trasformazione (il brusco passaggio a un’Unione a “due velocità”). E in più l'Europa è alle prese con una nuova “questione tedesca”. Questione tedesca che il presunto direttorio BerlinoParigi non può più mascherare. Germania e Francia non hanno lo stesso peso. Qui non c’è un Sarkozy co-pilota. C’è una Merkel che impone la rotta. Ma è una rotta incerta, brusche virate e improvvise concessioni. Così riaffiorano vecchi fantasmi e incancellabili stereotipi. Una Germania troppo potente e prepotente? O troppo tentennante e indecisa? Nel dubbio, una Germania da tutti criticata: la miopia della cancelliera, l’ottusità della Bundesbank, l’egoistico rifiuto degli eurobond o del rafforzamento del Fondo salva-Stati per uscire dalla crisi del debito pubblico.
Insomma, la Berlino che per le sue responsabilità storiche (ancora!) e per il suo peso economico dovrebbe assumersi sacrifici e responsabilità maggiori (aderendo al principio che il più forte deve farsi carico anche dei problemi dei meno virtuosi), ma che al tempo stesso viene guardata con sospetto se detta il passo o se esita a farlo. C’è chi ha rispolverato vecchie battute. Come questa, della Thatcher: “A partire dalla sua riunificazione sotto Bismark, la Germania ha oscillato in modo incomprensibile fra l’aggressione e l’irresolutezza”. E già si parla di una nuova ondata di “germanofobia”. Prendersela con i tedeschi è di moda, mentre ci si trova sull’orlo del baratro europeo. Molto meno ragionare sulle cause del passo decisivo verso il precipizio. Per esempio sul peccato originale dell’euro, varato lasciando che 17 nazioni sovrane, quelle dell’eurozona, mantenessero le proprie politiche e filosofie monetario-fiscali. Oppure sulla facilità, o meglio faciloneria, con cui si aprirono le porte al club della moneta unica anche a Paesi di dubbia onestà e trasparenza contabile, come nel caso della Grecia, la cui disinvoltura nel far di conto era ben noto a molti, tedeschi compresi. O, ancora, sul fatto che vennero considerati inutilmente pedanti, ostacolo alla crescita economica, e addirittura “stupidi” i criteri di Maastricht sui bilanci nazionali, per cui superare allegramente il 3 per cento nel rapporto deficit-Pil non era né biasimato né sanzionato. E neppure si riflette su come i cosiddetti “burocrati dell’Ue” fossero diventati il comodo bersaglio di ogni critica da parte di governi in cerca di giustificazioni. Sempre e comunque, colpa dell’Europa. Quindi, nonostante nuovi Trattati e nuova Costituzione, nessun orizzonte comune, nemmeno nel mare sempre più grande e minaccioso della mondializzazione. Nessun reale progetto condiviso di rilancio economico. Nessuna voglia di maggiore integrazione politica. Il trionfo dell’Europa degli Stati contro l’Europa federale. La vittoria del “sovranismo” invece della necessaria “casa comune”. Ora si devono fare i conti con i risultati, pesantissimi, di questa involuzione. L’Europa è costretta a rincorrere se stessa, o quel che dovrebbe essere per evitare il naufragio. E in questa affannosa rincorsa viene annunciato il progetto di un nuovo Patto di stabilità, che vari la gestione comune, federale, delle politiche di bilancio e fiscali dell’eurozona. Con sanzioni garantite contro le capitali inadempienti. Un meccanismo che consenta all’area della moneta comune di agire collettivamente, da un’unica centrale, così come la Riserva federale americana o la Banca d’Inghilterra possono intervenire direttamente sui mercati per evitare che il costo del loro debito pubblico (ben superiore a quello della media dell’eurozona) non diventi esorbitante. Progetto a firma tedesca, con Angela Merkel finalmente disposta ad allentare gli attuali ostacoli tedeschi a un maggior interventismo della Banca centrale europea e all’incremento del Fondo salva Stati. Siamo dunque all’Europa costretta ad integrarsi dopo aver a lungo frenato sull’integrazione. Costretta appunto ad inseguire ciò che dovrebbe già essere. A farlo con un ritardo colpevole. E forse irrecuperabile.

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