mercoledì 30 novembre 2011

Federali_sera_30.11.11. Svizzera, Generoso Chiaradonna: Ogni tanto ricorrevano alla svalutazione – una sorta di doping legalizzato – delle rispettive monete nazionali per guadagnare la competitività perduta rispetto ai campioni di razza. Da una decina di anni si sono trovate a giocare di colpo nella Champions League. I giocatori e la struttura societaria sono però rimasti gli stessi dei bei tempi del campionato cadetto.----Parigi, Angelo Lomonaco: Nel corso della cerimonia all’Istituto italiano di cultura, qualcuno ha ricordato che il primo soprintendente di Pompei nell’Italia unita è stato Alexandre Dumas, quindi quello che oggi si riallaccia è un filo che viene da lontano, porta con sé modernità e tecnologia che caratterizzano Epadesa e probabilmente una consuetudine al buon gusto.

Potenza. 600.000 euro erogati dal Bando Sepri, per servizi promozionali alle imprese
Pompei, in campo le aziende francesi
Trieste, oltrepadania. Prevenzione suicidi, una nuova campagna
Udine, oltrepadania. In regione fannullone un giovane su 7
Venezia, padania. L’ira di Zaia su Zuccato: «Noi senza coraggio? Ci vota un veneto su tre»
Svizzera. L’implosione dell’euro sarebbe peggio del male



Potenza. 600.000 euro erogati dal Bando Sepri, per servizi promozionali alle imprese
 Giovedì 23 Dicembre 2010 11:14  Direzione
Potenza: 600.000 euro immessi nel circuito dell’economia locale, 45 nuove opportunità lavorative generate per specialisti che grazie alla loro professionalità consentiranno di migliorare i processi organizzativi delle Pmi. La Giunta della Camera di Commercio di Potenza, riunita ieri per l’ultima seduta dell’anno, ha approvato le graduatorie del Bando Sepri, “Servizi promozionali alle Imprese e nuova occupazione”, finalizzato alla concessione di contributi a fondo perduto per l’innalzamento della capacità tecnico-organizzativa delle aziende attraverso investimenti innovativi.

Pompei, in campo le aziende francesi
Per gli Scavi dieci milioni all'anno
Protagonisti della «rinascita» degli Scavi saranno anche Unesco, Regione Campania, industriali e costruttori
 DAL NOSTRO INVIATO
PARIGI — «Il nostro impegno prioritario è di mobilitare le grandi imprese che fanno parte di Epadesa e ora è possibile in virtù dell’accordo siglato oggi. Pensiamo di portare a Pompei tra 5 e 10 milioni l’anno, come fase iniziale. E non ci sono limiti di tempo». Nella sede dell’Istituto italiano di cultura a Parigi, le dichiarazioni di Philippe Chaix, Ceo di Epadesa, una sorta di Confindustria francese, chiariscono l’importanza dell’intesa tra Unesco e ministero dei Beni culturali, sottoscritta quasi contestualmente all’accordo tra Regione Campania, Unione industriali e Associazione dei costruttori di Napoli. Com’è nato l’interesse di Epadesa per Pompei? Dopo il crollo nella Schola Armaturarum, anche a Parigi si accese l’attenzione per le sorti del più grande e importante sito archeologico del mondo.
Fu Patrizia Nitti, direttrice del Museo Maillol che ospita proprio in questi giorni un’esposizione dedicata a Pompei, a fare mente locale alla possibilità offerte dalla normativa francese, in base alla quale le imprese possono ottenere detrazioni fiscali fino al 62 per cento se sostengono iniziative culturali, anche all’estero. «Ne parlai con Joelle Ceccaldi, mia cara amica e presidente di Epadesa, alla quale l’idea piacque molto», racconta Patrizia Nitti, anche lei presente ieri all’Istituto italiano di cultura.
Nel frattempo, lei interpellò l’economista Fabrizio Barca, neoministro alla Coesione territoriale da tempo impegnato nella Fondazione intitolata a Francesco Saverio Nitti, avo di Patrizia, per farsi aiutare nella messa a punto del progetto, spronata dalla senatrice Diana De Feo, anche lei presente ieri a Parigi. Appena il ministero varerà il bando che formalmente consentirà ai privati di sponsorizzare i restauri, come avvenuto per Della Valle e il Colosseo a Roma, il meccanismo diventerà concretamente operativo. In realtà il Mibac avrebbe dovuto essere rappresentato a Parigi per una firma contestuale dell’accordo con l’Unesco, ma poi il direttore Roberto Cecchi ha fatto sapere che la firma sarebbe avvenuta a Roma, in differita. Ventiquattr’ore dopo si è scoperto che Cecchi non è potuto partire per la Francia perché in attesa della nomina a sottosegretario.
«Nella vita pubblica, più gli amici si avvicinano al sole, meglio è», commenta Chaix. L’ambasciatore Francesco Caruso, che in realtà adesso è consigliere speciale dell’Unesco, aggiunge: «Cecchi ha fortemente voluto questa intesa». Quindi, ricapitola il governatore Stefano Caldoro, adesso ci sono tutte le condizioni per un vero e concreto intervento di recupero e rilancio per Pompei: «Per l’intra moenia, gli interventi all’interno del sito archeologico, com’è noto ci sono già ben 105 milioni europei di fondi Poin stanziati attraverso un accordo interregionale tra le quattro regioni della convergenza, un grande progetto che ha ottenuto il riconoscimento di buona pratica da parte della Commissione europea», tiene molto a sottolineare il presidente della giunta campana. Il quale rimarca anche la concomitanza del piano triennale per Pompei con una serie grandi eventi che nel 2012 e nel 2013 porteranno a Napoli e in Campania moltissimi stranieri: il Forum mondiale dell’Onu sulle città, il Forum delle Culture e la Coppa America. L’accordo Unesco-ministero garantisce che l’agenzia delle Nazioni unite ‘‘faciliti’’ il reperimento di sponsor per Pompei, ma la stessa Unesco sottolinea la necessità di interventi in tutto il contesto. Da questa richiesta, alla quale bisognerà dare risposta nei fatti entro il 2013 per scongiurare il pericolo che Pompei sia cancellata dalla Lista del Patrimonio dell’umanità, scaturisce l’accordo stipulato dalla Regione Campania con gli imprenditori, rappresentati dal presidente Paolo Graziano, e dai costruttori napoletani, rappresentati dal leader Rodolfo Girardi, sulla base di un concept messo a punto dal Centro studi dell’Unione industriali.
Il proposito degli imprenditori è di intervenire — o favorire interventi — in tutto il «distretto» archeologico, «che comprende non solo Pompei ma anche Ercolano, Boscoreale, Torre Annunziata e Castellammare di Stabia, per un totale di 7.500 ettari. Un’area gigantesca, si considera che gli Scavi sono estesi circa 800 ettari», fa notare Girardi. Ma negli Scavi, gli stessi imprenditori certamente ‘‘adotteranno’’ le Domus, come i loro colleghi francesi. Nel corso della cerimonia all’Istituto italiano di cultura, qualcuno ha ricordato che il primo soprintendente di Pompei nell’Italia unita è stato Alexandre Dumas, quindi quello che oggi si riallaccia è un filo che viene da lontano, porta con sé modernità e tecnologia che caratterizzano Epadesa e probabilmente una consuetudine al buon gusto. Basta una passeggiata agli Champs Elysées per farsene un’idea: lì l’illuminazione natalizia è già accesa da metà novembre e rimarrà fino a metà gennaio. Ogni ‘‘sezione’’ dei curiosi arredi, un po’ ‘‘spaziali’’, ad anelli colorati oppure costituiti da grandi sfere bianche fatte di luci, è sponsorizzata. Ma le decorazioni risplendono, le pubblicità le accompagnano con discrezione.
Angelo Lomonaco

Trieste, oltrepadania. Prevenzione suicidi, una nuova campagna
Una linea verde, sempre in ascolto, a costo zero come punto di riferimento per chi soffre
Non farlo, chiama 800 510 510, si legge sui manifesti della massiccia campagna avviata oggi in città da Telefono Speciale, il programma di prevenzione della rinuncia alla vita dell’Azienda sanitaria con la collaborazione di Televita e il patrocinio di Comune e Provincia.
Una linea verde, in ascolto sempre, a costo zero per chi telefona, come primo agile accesso a una rete di protezione socio-sanitaria che chiama in causa i servizi di prossimità e ogni altra risorsa sul territorio, per sostenere la persona a rischio in un progetto di vita sostenibile.
La campagna è una delle tante azioni di informazione e sensibilizzazione promosse da Telefono Speciale in quasi tre lustri di lavoro, in risposta a una vulnerabilità esistenziale che troppo spesso si traduce in tragiche scelte estreme. Un dato che, a prescindere dal netto calo dei tassi di suicidio a Trieste nell’ultima decade, non consente di abbassare la guardia.
Tanto più considerando il momento storico, in cui forti e sempre più angoscianti incertezze mettono a dura prova la capacità delle persone di reagire alle avversità senza esserne annientate.
Questo mese nella nostra città due uomini nel pieno della loro vita, 44 e 35 anni rispettivamente, si sono dati la morte, in due giorni consecutivi. Entrambi, alla luce del giorno, in due zone urbane centrali. Una fatale coincidenza, forse, o invece quell’effetto imitativo che di frequente si accompagna a un suicidio, assieme all’afflizione dei familiari e, in questo caso, allo sgomento dei testimoni, che mai come qui ha reso evidente quanto il privato sia pubblico. E quanto urga rafforzare le strategie di prevenzione, anziché indebolirle con politiche sanitarie e sociali che non pensano come ogni mancato investimento oggi sia una spesa in più domani.
Ogni suicidio non solo segna profondamente chi rimane, necessitando di cure prolungate, ma può determinare altri analoghi gesti, decine se accade in un ambito collettivo: una scuola, un carcere, un condominio, una strada.
Kenka Lekovich

Udine, oltrepadania. In regione fannullone un giovane su 7
I numeri di Bankitalia. Il 15% dei giovani Fvg non lavora e non studia: sono 24.500 persone comprese tra i 15 e i 29 anni. E il 5 per cento di questi non fa nulla per cambiare il proprio status.   A livello nazionale, il numero dei giovani che non studia e non lavora, a fine 2010, ha superato i 2,2 milioni: si tratta del 23,4% degli under 30, ovvero di quasi un ragazzo su quattro.
 di Beniamino Pagliaro                                                    
 UDINE. Quindici giovani su cento (circa uno su sette), 24.500 cittadini del Friuli Venezia Giulia, non lavorano o studiano. Il dato è leggermente migliore rispetto alla media del Nord Est e marcatamente migliore della media italiana, ma il nuovo fenomeno fotografato dalle statistiche apre un nuovo fronte per l’azione di politica economica e sociale anche in Friuli Venezia Giulia, alla vigilia dell’approvazione della Finanziaria 2012. Le statistiche della Banca d’Italia evidenziano l’importanza del tema, e gli statistici hanno coniato un nuovo termine per descrivere il fenomeno. Chi non lavora e allo stesso non studia, in età giovanile, è un Neet: «Not in education, employement or training».
 I numeri di Bankitalia indicano che il 15% dei cittadini del Friuli Vg nella fascia d’età tra i 15 e i 29 anni si trova in questa condizione. Ad aggiungere complessità c’è poi il fatto che - a livello italiano e regionale - appena un terzo dei «Neet» si adopera per cercare un lavoro, e risulta iscritto nei registri dei centri per l’impiego: i rimanenti due terzi appartengono a una generazione che gli economisti descrivono come «sfiduciati», senza la speranza di trovare un posto di lavoro. Le ricerche condotte a livello nazionale evidenziano poi che una quota di questi «sfiduciati» sono in realtà lavoratori periodici, ma completamente sconosciuti all’ufficialità delle statistiche, perché in nero e in attività illecite.
 Tra le misure già progettate a supporto delle fasce più giovani, in Friuli Venezia Giulia, giace in Consiglio regionale una proposta di legge, approvata a fine settembre dalla commissione, e ora in attesa del via libera dell’aula. A livello nazionale, il numero dei giovani che non studia e non lavora, a fine 2010, ha superato i 2,2 milioni: si tratta del 23,4% degli under 30, ovvero di quasi un ragazzo su quattro. La Banca d’Italia ha infatti aggiornato, in peggioramento, la cifra sui «Neet» che a fine maggio l’Istat attestava al 22,1%. E ancora più forte è lo stacco con il periodo pre crisi: tra il 2005 e il 2008 la soglia dei «giovani che restano a casa» era pari al 20%, sotto i 2 milioni. Come tradizione è il Mezzogiorno a mostrare i numeri più allarmanti, dei 2,2 milioni di neet tra i 15 e i 29 anni ben 1,2, ovvero oltre la metà (54,5%), si trova nell’Italia meridionale. Lo sbilanciamento a sfavore del Sud è, quindi, netto anche se la crisi ha visto aumentare i giovani che né sono occupati né studiano soprattutto al Nord e al Centro. Un’altra differenza marcata passa tra le donne e gli uomini, le ragazze neet sono il 26,4%, mentre tra i maschi la percentuale è decisamente piu' bassa (20,5%).

Venezia, padania. L’ira di Zaia su Zuccato: «Noi senza coraggio? Ci vota un veneto su tre»
Padani in coro contro il leader degli industriali. Anche Gobbo e Dal Lago replicano alle accuse
VENEZIA — Non che siano mai andati troppo d’accordo, gli industriali e la Lega. Il Carroccio, sempre più a suo agio sulle sponde laburiste, predilige infatti la piccola impresa, gli artigiani, «la partita Iva incazzata » mentre i capitani d’azienda, orfani dell’ex governatore Giancarlo Galan, sono più inclini a sintonizzarsi sulle frequenze del Pdl, anche se il sogno berlusconiano è finito com’è finito. E però sono rimasti comunque basiti, i leghisti, nel leggere le parole del presidente di Confindustria Vicenza Roberto Zuccato, leader dell’associazione più forte del Veneto, possibile successore di Andrea Tomat al timone regionale, che ieri ha piazzato un uno-due degno di Cassius Clay: «I leghisti veneti hanno dimostrato di non avere coraggio » e «il loro silenzio ha contribuito a devastare l’immagine del Veneto». Il governatore Luca Zaia la prende larga: «La scelta di andare all’opposizione aumenta il nostro potere contrattuale a Roma, d’ora in avanti non saremo più succubi della ragion di Stato ma potremo scegliere cosa votare e cosa no per difendere il Veneto e il Nord».
Poi si fa corrucciato: «Chi critica forse un giorno capirà. Già altre volte, dal federalismo al protezionismo, siamo stati tacciati di eresia. Poi sappiamo com’è andata a finire». Quindi affonda il colpo: «Basterebbe ricordare agli industriali che un terzo dei veneti vota Lega. Non voglio aggiungere altro, se non che come Regione non credo che stiamo rendendo loro un cattivo servizio. Pensino solo al fondo da 1,9 miliardi che abbiamo attivato per l’accesso al credito ». Sullo stesso tasto batte anche Roberto Ciambetti, assessore al Bilancio: «Con gli industriali c’è la massima collaborazione, sono davvero stupito. Mi pare quella favola di La Fontaine in cui gli animali devono incolpare qualcuno della peste e se la prendono con l’asino solo perché è silenzioso e laborioso e non si lamenta mai. Ho l’impressione che i veneti si stiano flagellando un po’ più del dovuto negli ultimi tempi». E ancora, la presidente della commissione Attività produttive alla Camera, Manuela Dal Lago: «Ricordo a Zuccato, solo a titolo esemplificativo, l’incremento di 192 milioni del Fondo per gli incentivi strutturali per il 2012, l’istituzione del Fondo per velocizzare i pagamenti dei Comuni alle imprese fornitrici, l’incremento di un miliardo di euro del Fondo sociale per l’occupazione e la formazione, per non parlare, poi, dei molti provvedimenti a tutela del Made in Italy mentre Monti vuole la patrimoniale, l’aumento dell’Iva e l’Ici».
A dispetto degli sforzi fatti dal Carroccio, si pensi solo ad Officina Veneto, la cabina di regia attivata dal gruppo in consiglio regionale con le categorie, il solco tra i padani e le imprese pare allargarsi sempre più. Tanto che gli animi caldi del partito, come il segretario trevigiano Gian Antonio Da Re, vanno giù piatti: «Se una cosa non è mai mancata alla Lega, quella è proprio il coraggio, il coraggio di andare contro un sistema politico di cui da sempre gli industriali sono parte e controparte. La verità è che a loro non sta a cuore il bene dell’Italia. Loro vedono soltanto il dio denaro». Da Re ne ha però pure per Bepi Covre, l’ex onorevole padano ora imprenditore a tempo pieno, tornato a stilettare il Carroccio: «I miei amici leghisti giocano al tanto peggio, tanto meglio», ha detto amaro l’altro giorno. «Bepi dovrebbe chiedersi se i suoi "amici" leghisti siano davvero ancora tali. Siamo stufi delle sue lezioncine, dispensate dall’alto della sua presunzione. La Lega non gli sta più bene? Quella è la porta». Chiude a sera il lìder maximo del partito veneto, Gian Paolo Gobbo. Che usa parole perfino più dure di Da Re: «I coraggiosi siamo noi, che abbiamo scelto di andare all’opposizione, soli, pur di difendere la nostra gente. O sono forse coraggiosi gli industriali, che prima facevano fuoco e fiamme contro le banche ed ora stendono il tappeto rosso al governo dei banchieri? Sono tempi davvero cupi, questi in cui i cervelli vanno all’ammasso e si assiste alla fine della democrazia ».
Marco Bonet

Svizzera. L’implosione dell’euro sarebbe peggio del male
di Generoso Chiaradonna - 11/29/2011
Quello che fino a qualche settimana fa sembrava impossibile ora sta diventando probabile o per lo meno viene preso sempre più in considerazione da chi è chiamato a gestire gli attivi di banche e risparmiatori. L’implosione dell’euro è ora possibile e non perché i mercati lo stanno decretando, ma semplicemente per la poco lungimiranza dei politici europei, per primi quelli tedeschi.
L’uscita di un Paese debole o di uno forte dall’Unione monetaria europea o la creazione di due distinte aree monetarie (l’euro del Nord e quello del Sud), stando a ipotesi di scuola, decreterebbero la fine della moneta unica europea e le conseguenze sarebbero immani. La cura sarebbe peggiore del male che si vuole evitare e cioè una maggiore integrazione economica e istituzionale delle economie dell’eurozona.
Stando a uno studio di qualche mese fa di Ubs la disgregazione monetaria farebbe crollare il Pil dei Paesi interessati fino al 50%. Una depressione economica senza precedenti in un periodo di pace.
Sarebbe come aver subito gli effetti di una guerra devastante senza aver visto un sola bomba cadere sulle proprie città. Gli sconvolgimenti sociali che ne deriverebbero sarebbero epocali e dolorosi.
Basterebbe questo per far cambiare idea a chi si dichiara euroscettico di professione e tifa contro la moneta unica, anche in Svizzera che non avrebbe nulla da guadagnare da un deserto economico ai suoi confini. Costoro hanno scambiato la crisi dei debiti sovrani con quella della moneta. In altre parole non è vero che è stata la nascita dell’euro a determinare l’esplosione dei debiti pubblici nazionali, ma come sempre gli errori della politica. Non è la moneta unica ad avere determinato l’insostenibile peso del debito pubblico greco, per citare quello più noto, ma l’ignavia dei politici che hanno creduto di poter risolvere i problemi strutturali della loro economia ricorrendo al debito.
Portogallo, Italia, Irlanda, Grecia e Spagna – i famigerati Piigs – sono economie che possono essere paragonate a squadre di calcio che fino a qualche anno fa giocavano dignitosamente e al vertice in un campionato di serie B, per giunta protetto.
Ogni tanto ricorrevano alla svalutazione – una sorta di doping legalizzato – delle rispettive monete nazionali per guadagnare la competitività perduta rispetto ai campioni di razza. Da una decina di anni si sono trovate a giocare di colpo nella Champions League.
I giocatori e la struttura societaria sono però rimasti gli stessi dei bei tempi del campionato cadetto. In più i controlli antidoping si sono fatti rigorosi e il ricorso alla svalutazione ‘competitiva’ è impossibile.
La tentazione di abbandonare il campionato e di tornare ai placidi campetti di provincia è alta, ma pericolosa. Sarebbe una scorciatoia che darebbe l’illusione di tornare a essere uno squadrone con l’ambizione della Champions League. Anche il pubblico di casa si è abituato a frequentare i grandi stadi europei e difficilmente si accontenterebbe di tornare indietro. Il ritorno alle monete nazionali equivarrebbe alla retrocessione in serie B.
Rimane il fatto che la Champions attuale ha bisogno di nuove regole e nuove strutture invocate oltre che dalla maggioranza delle squadre anche da pubblico e arbitri (i mercati finanziari). Queste regole però andrebbero strette al pluricampione in carica, la Germania, che vorrebbe che fossero gli altri ad andare al suo ritmo e con le sue regole.
Ora è vero che rispetto a soli due anni fa l’Unione monetaria ha uno strumento che prima non c’era: il cosiddetto fondo salvaStati che nel corso del 2012 diventerà permanente in modo da poter intervenire sul mercato delle obbligazioni statali per stabilizzare le quotazioni e quindi il famigerato spread, il differenziale di rendimento con i Bund tedeschi. Attualmente questo compito è svolto in modo spurio dalla Banca centrale europea perché non rientra nei suoi compiti primari.
Riformare le istituzioni monetarie europee richiede tempo e soprattutto volontà politica, quella che sembra mancare alla Germania.

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