giovedì 15 dicembre 2011

Federali_sera_15.12.11. Retorici proclami sabaudi. 1. Pomigliano d'Arco - Marchionne: Il nostro dovere è privilegiare il Paese in cui la Fiat ha le proprie radici - attacca - la nostra scelta di fare qui la Panda non è basata su principi economici e razionali. Lo abbiamo fatto considerando la storia della Fiat in Italia, il rapporto privilegiato con il Paese. E oggi sono qui per ribadire con i fatti che Fiat intende fare la sua parte per sostenere la crescita dell'Italia.----2. Per evitare nuove grane e il rischio di far saltare equilibri già precari, il governo ha deciso di tagliare la testa al toro: niente modifiche in aula, oggi si voterà la fiducia sul testo già votato in Commissione.---- 3. Confindustria: La manovra - per il CsC- e' un primo passo nella direzione della crescita. Ne servono su mercato del lavoro, ammortizzatori sociali, infrastrutture, costi della politica, semplificazioni amministrative, giustizia civile, istruzione e formazione, ricerca e innovazione, lotta a evasione accompagnata da abbattimento delle aliquote.

Avellino. Irisbus, Cigs condizionata a riassunzioni sul territorio
Termini, «salvata» la mobilità lunga
Pomigliano d'Arco. Entra in scena come un divo del cinema muto, tra la standing ovation dei suoi operai che formano un corridoio umano verso il mondo.
Puglia, vola l'export crescita del 20%
LA NUOVA SARDEGNA - Economia: Deregulation commerciale, l’isola dice no
Bergamo, padania. Sarà un Natale più buio
Liberalizzazioni indietro tutta
Italia in recessione, 800 mila occupati in meno a fine 2013
Berlino riattiva il fondo salva-banche



Avellino. Irisbus, Cigs condizionata a riassunzioni sul territorio
Francesco Prisco
 AVELLINO
 Due anni di Cigs a zero ore per tutti i 658 lavoratori dello stabilimento di Flumeri a partire da gennaio ricollocazione di almeno un 30% degli addetti in altri siti di Fiat Industrial entro fine 2012 e attivazione di un tavolo al ministero dello Sviluppo economico per la reindustrializzazione dell'impianto irpino.
 Questi i punti contenuti nel verbale d'accordo sulla vertenza Iveco Irisbus siglato al ministero del Lavoro tra azienda e parti sociali. Il caso ha voluto che si voltasse pagina proprio nel giorno in cui i vertici di Fiat - gruppo di cui l'azienda produttrice di autobus è costola - erano impegnati nella presentazione della Nuova Panda. E mentre dalla procura di Bologna arrivava il «fine indagini» per quattro ex legali rappresentanti dell'azienda per presunta corruzione nei confronti dell'azienda di trasporti del comune emiliano finalizzata all'ottenimento di commesse.
 L'accordo di ieri definisce prioritaria la ricollocazione dei lavoratori in altri stabilimenti Fiat Industrial o in aziende del territorio: se entro il 31 dicembre 2012 non trasmigreranno almeno 197 addetti non sarà possibile accedere al secondo anno di Cigs. Obiettivo: ricollocare tutti entro fine 2013. A monitorare sarà Confindustria Avellino. Mobilità incentivata, gestita dalla regione Campania, per chi è prossimo alla pensione. Sul fronte della reindustrializzazione di Flumeri, è stato fissato un incontro al Mise per il prossimo 13 gennaio. Proprio su quest'ultimo aspetto, il segretario di Ugl Antonio Spera chiede adesso «massimo impegno» alle istituzioni.

Termini, «salvata» la mobilità lunga
Claudio Tucci
 ROMA
 Si amplia la platea dei soggetti esentati dalle nuove regole sulle pensioni. Che in extremis imbarcano pure i lavoratori Fiat di Termini Imerese e di Alenia posti in mobilità incentivata (in attesa di maturare i requisiti pensionistici) dai recenti accordi di ristrutturazione aziendale sottoscritti con i sindacati.
 Si tratta rispettivamente di 640 e 747 addetti delle due aziende che grazie a un emendamento del Governo alla manovra Monti, approdata ieri in aula alla Camera, potranno proseguire nello "scivolo" (sei anni per i lavoratori di Termini, sette per quelli di Alenia). E, al termine, andare in pensione con le "vecchie" regole, anche se matureranno i requisiti per l'accesso al pensionamento successivamente al 31 dicembre 2011.
 La "ciambella di salvataggio" per questi lavoratori (in attesa che diventi definitiva, con il via libera del Parlamento alla manovra Monti previsto entro Natale) arriva dallo slittamento del termine in base al quale è stato firmato l'accordo per la cassa integrazione e il collocamento in mobilità. Una sorta di "deadline" per far scattare l'esenzione. La prima versione del decreto Monti stabiliva che l'eccezione alla "stretta pensionistica" interessasse solo i lavoratori collocati in mobilità in base ad accordi stipulati «entro il 31 ottobre 2011». La modifica apportata ora dal Governo sposta invece questa data al «4 dicembre 2011», ricomprendendo quindi nell'esenzione anche le intese siglate per Alenia (8 novembre) e Termini Imerese (1° dicembre scorso).
 Ma l'emendamento governativo cancella pure il numero massimo (previsto nell'originaria versione del decreto) di 50mila lavoratori complessivi (compresi quelli in solidarietà e quelli autorizzati - entro il 4 dicembre - alla prosecuzione volontaria della contribuzione) da esentare dalle nuove regole sulle pensioni contenute nella manovra. I beneficiari di questo speciale "paracadute" dovranno invece ora essere individuati da un decreto del ministero del Welfare (d'intesa con il Tesoro), ma entro precisi limiti di spesa: 240 milioni di euro per il 2013, 630 milioni per il 2014, un miliardo circa per ciascuno degli anni 2015, 2016, 2017, 610 milioni per il 2018, fino a scendere a 300 milioni per il 2019. Complessivamente, fanno sapere dal ministero guidato da Elsa Fornero, i soggetti in mobilità esentati dalle nuove regole sulle pensioni dovrebbero essere circa 65mila. Quindicimila in più rispetto al primo "tetto".
 «Ma non è detto che sia un numero sufficiente visti i drammatici dati sugli ammortizzatori sociali diffusi mercoledì dall'Inps», ha sottolineato Salvatore Barone della Cgil. Mentre per Giovanni Centrella (Ugl), l'emendamento del Governo «è un palliativo e crea solo discriminazioni tra i lavoratori in mobilità». Al ministero dello Sviluppo economico sono a oggi aperti 97 tavoli sulle crisi aziendali (e per ora sono fuori dalle deroghe sulle pensioni). Con quali effetti? Prendiamo la vertenza Irisbus. Sui 658 lavoratori interessati dalla Cigs per cessazione d'attività, secondo fonti sindacali, con le "vecchie" regole andrebbero in pensione circa 300 soggetti. Con le nuove regole si scenderebbe a circa 100.

Pomigliano d'Arco. Entra in scena come un divo del cinema muto, tra la standing ovation dei suoi operai che formano un corridoio umano verso il mondo.
La reginetta della giornata doveva essere la Panda 2011, alla sua prima uscita ufficiale nel nuovissimo impianto di Pomigliano D'Arco, perla della produzione automobilistica nazionale, ma l'ad Fiat Sergio Marchionne le ha, inevitabilmente, scippato la ribalta.
L'uomo del giorno è lui, un vero e proprio fiume in piena all'indomani dell'epocale accordo firmato con i sindacati che ha «tagliato» fuori la Fiom. Un altro strappo con il passato dopo l'uscita da Confindustria dei mesi scorsi, un passaggio secondo il numero uno di Fiat inevitabile per rendere la Casa torinese competitiva in un mercato che sta cambiando. L'altra faccia della medaglia Fiat sono gli operai rimasti «fuori» iscritti ai sindacati Slai Cobas, Fiom che protestano «contro» e invitano l'ad a tornarsene in Canada. Ma lui tira dritto, convinto del fatto che questa fosse l'unica strada per salvare Pomigliano e rimettere la Panda, che dal 2007 viene prodotta in Polonia, nelle mani degli italiani. Ed è proprio con la firma congiunta con John Elkann sul primo pezzo prodotto dalla nuova linea, che parte questa nuova avventura tricolore: vettura che gli operai di Pomigliano regalano all'«Head of Fiat Brand» Francois Olivier. Poi è solo Marchionne, poche ore di sonno sulle spalle causa il rientro in extremis dagli States, ma pronto a mettersi di nuovo contro tutto e tutti... ma al fianco dell'Italia. «Il nostro dovere è privilegiare il Paese in cui la Fiat ha le proprie radici - attacca - la nostra scelta di fare qui la Panda non è basata su principi economici e razionali. Lo abbiamo fatto considerando la storia della Fiat in Italia, il rapporto privilegiato con il Paese. E oggi sono qui per ribadire con i fatti che Fiat intende fare la sua parte per sostenere la crescita dell'Italia». Una crescita che vedrà la casa torinese protagonista soprattutto in un territorio così difficile, dal punto di vista occupazionale. «Le parole sono ciò di cui meno abbiamo bisogno. Agli scettici, ai detrattori di professione, rispondiamo con i fatti. I fatti come quelli di oggi ci permettono di andare avanti e di costruire una Fiat in grado di andare nel mondo. Chi ancora dubita - continua Marchionne - che in questo stabilimento si possano fare le cose e farle bene. Chi ancora dubita che a Pomigliano e nel Mezzogiorno si possa essere competitivi, migliorando le cose buone e cancellando quelle negative, non ha che venire qui. Abbiamo investito qui più di 100 milioni, con intensi piani di formazione per i lavoratori. Questo non semplicemente per salvare il salvabile, ma come atto doveroso per un impianto che poteva e doveva crescere. Pomigliano si è trasformato in qualcosa di nuovo. Abbiamo scelto la strada più coraggiosa e impegnativa: portare qui la Nuova Panda. Abbiamo annunciato di volerlo fare il 22 dicembre del 2009. Ora siamo pronti». Ma sa benissimo Marchionne che questa è solo la prima tappa di un viaggio lungo e tortuoso. «Sappiamo che ci aspetta periodo difficile, far ripartire il paese non è solo compito della politica». Ed è anche per questo che l'ad Fiat annuncia che gli impegni finanziari del 2011 «saranno mantenuti e, per il 2012 c'è una buona possibilità di mantenere la forchetta»: dato riferito alle previsioni delle 5,9 milioni di vetture prodotte da Fiat entro il 2014. «Siamo incoraggiati - continua - dal fatto che il mercato sudamericano e quello americano continuano ad andare bene. Siamo fiduciosi che possano assorbire il rallentamento del mercato europeo». Insomma il futuro secondo Marchionne sarà duro ma allo stesso tempo roseo, convinto del fatto che l'Italia possa superare anche questa crisi. «Sì, sono convinto che l'Italia ce la farà a superare questo momento. Il mio atteggiamento potrà anche risultare antipatico, ma quello che conta sono i fatti, non le baggianate che si dicono in Tv. Abbiamo realizzato tutto con le nostre forze, non voglio essere nè ammirato nè commiserato, solo essere lasciato in pace. Non vogliamo assistenza, ma neanche essere ostacolati nel processo di risanamento. Non c'è nessuna azienda di auto al mondo che viene pressata come noi sui piani industriali. Non si fa in Germania, in Giappone, negli Stati Uniti e in Canada. Tutti gli stabilimenti - ha poi assicurato - avranno i loro investimenti. Quando? Quando l'azienda sarà pronta e quando ci saranno le condizioni di mercato». Un passaggio inevitabile del botta e risposta con la platea dei media è dedicato a Termini Imerese. S'incupisce, ma ammette di non aver avuto scelta. «Saluto volentieri e di cuore i lavoratori» dice dell'ex stabilimento del Lingotto di Termini Imerese. Dispiaciuto per aver dovuto lasciare lo stabilimento in provincia di Palermo. «Ma la decisione si è resa necessaria perché l'impianto era in perdita e continuava a perdere denaro. Abbiamo fatto tutto il possibile - spiega - ogni volta che mettevamo un euro di capitale, continuavano le perdite. Non era affatto possibile giustificare la nostra presenza lì. Era impossibile». Così come IRISBUS, la società di autobus che fa capo a Fiat Industrial e chiuderà a fine anno: «Non ha mai guadagnato una lira nella sua storia». Gira largo sull'ipotesi di un rientro di Fiat in Confindustria: «Non lo so, l'importante è aver raggiunto l'accordo con i sindacati». Quindi il capitolo Fiom e l'articolo 19. «Non voglio entrare nel merito della richiesta della Cgil di modificare l'articolo 19 dello Statuto dei Lavoratori. Non è cosa nostra, noi facciamo auto. Abbiamo firmato un contratto portando a conclusione un accordo per il quale abbiamo lavorato molto per creare una realtà industriale valida nel Paese: un grandissimo passo avanti su cui costruire il futuro. Alcuni si sono rifutati di partecipare, non è nostra responsabilità, non è una nostra scelta. Pomigliano è il primo esempio dell'impegno che Fiat sta portando avanti. Dateci tempo e lasciateci lavorare. Fate gestire le auto a Fiat, è un mercato estremamente competitivo». Uno stabilimento che secondo Marchionne è l'eccellenza della produzione automobilistica italiana. «Conosco bene tutti i nostri stabilimenti e a oggi quello di Pomigliano è il migliore stabilimento del gruppo Fiat al mondo». Una perla tecnologica che rispetterà anche i piani occupazionali. «Finora abbiamo riassunto 600 persone. L'impegno che abbiamo preso è di impiegare il massimo numero di persone necessario per la capacità produttiva di questo stabilimento che è di 1.050 auto al giorno. Le assumeremo, le porteremo dentro fino a quando arriveremo a questi volumi di produzione. Più di questo non possiamo fare». Nell'accordo raggiunto con i sindacati sono previsti 4.367 dipendenti entro luglio 2013, ai quali vanno aggiunti 500 dell'ex Ergom. In chiusura una battuta sul dossier-Russia che Marchionne liquida con un «Spero di avere novità entro la fine dell'anno: ci stiamo lavorando».

Puglia, vola l'export crescita del 20%
BARI - La crisi economica che attanaglia l’Italia non provoca contraccolpi negativi sulle esportazioni dei prodotti pugliesi. Nei primi nove mesi di questo 2011 di «lacrime e sangue», infatti, la nostra regione è stata capace di fare meglio del 2008, quando ancora la crisi non c’era. E non di poco. Ci sono infatti ben 7 punti percentuali di scarto tra quella stagione e questa in cui la quota di merci vendute all’estero è cresciuta in totale del 20,4%, dato che è secondo solo a quello fatto registrare dalla Sicilia (+22,6%), ma surclassa tanto la media nazionale, ferma al 13,5%, quanto quella del Mezzogiorno (8 regioni) che si attesta al 14,3%. L’Italia centrale aumenta del 13,7%, l’Italia settentrionale di poco più del 13%.
«La lettura di questi dati - commenta il presidente della Regione Nichi Vendola - ci racconta di un’inversione di tendenza. Dopo il baratro del 2009, che sembrava incolmabile per la Puglia con le esportazioni precipitate, per la crisi globale, quasi del 23%, non solo siamo tornati ai valori pre-crisi del 2008, ma li abbiamo addirittura superati di 415 milioni di euro. Non è frutto di un colpo di bacchetta magica: l’aridità ragionieristica dei numeri ci dice che le imprese hanno imparato ad investire nell’inter nazionalizzazione, ma anche che la stessa Regione Puglia, realizzando oltre 100 iniziative nel biennio 2010-2011 per potenziare la crescita sui mercati esteri, ha centrato in pieno tutti gli obiettivi. Non per questo abbassiamo la guardia - ha assicurato Vendola - spingere l’innovazione e l’internazionalizzazione continuerà ad essere un tema centrale delle nostre politiche».
Va più nel dettaglio dei singoli settori produttivi la vicepresidente e assessore allo Sviluppo economico, Loredana Capone, la quale sottolinea come «le esportazioni pugliesi crescono sia negli ambiti innovativi che in quelli tradizionali, con ottime performance negli uni e negli altri. Uno dei pochi dati negativi per la Puglia riguarda le esportazioni dei rifiuti grezzi e trattati che segnano un -41,3% al contrario della Sicilia per la quale lo stesso dato è tra quelli più rilevanti con una crescita dell’82,3%. Ma per noi il dato è negativo solo in apparenza perchè indica invece che il nostro sistema riesce a reggere, trasformando il rifiuto in una risorsa per il territorio che dunque non lo esporta. Un’altra osservazione riguarda l’incidenza della Puglia nelle esportazioni italiane. Per la prima volta, quest’anno, notiamo una crescita graduale di trimestre in trimestre».
Per la Puglia, dice l’Istat nel report trimestrale, a segnare numeri record sono i prodotti dell’estrazione da cave e miniere (+199%), gli autoveicoli (+97,8%), il legno e i prodotti in legno e sughero (+56,4%). Ma godono di ottima salute anche i prodotti alimentari (+16,2%), i prodotti tessili e dell’abbigliamento (+10,8%), gli articoli farmaceutici (+25,8%), gli apparecchi elettrici (+28,3%), i mezzi di trasporto in generale (+60,4%). Prima della crisi, cioè da gennaio a settembre del 2008, la Puglia aveva esportato merci per 5,667 miliardi di euro; nei primi nove mesi di quest’anno i prodotti venduti all’estero ammontano a 6,082 miliardi di euro, in crescita dunque di 415milioni (il 7% in più). Avviene per la prima volta: fino a tutto il 2010 non c'è mai stato il superamento delle esportazioni del 2008.
La soddisfazione dell’assessore alle Risorse Agroalimentari, Dario Stefàno: «A chi mi chiede oggi - dice - un commento sull’agroalimentare pugliese non posso che rispondere che si tratta di un comparto solido, coi piedi ben saldi per terra, capace non solo di resistere alla congiuntura internazionale particolarmente critica ancora in corso, ma anche di contribuire da protagonista alle performance dell’export Puglia che continua a registrare un trend straordinariamente positivo. La lettura dei dati Istat ci conferma che non solo miglioriamo rispetto allo scorso anno, ma addirittura la Puglia riesce a superare i valori pre-crisi del 2008, grazie alle sue produzioni di eccellenza. Ottimo, dunque, il +16,2% dei prodotti alimentari e bevande realizzato nei primi 9 mesi del 2011, rispetto allo stesso periodo dello scorso anno, dove fa la parte da leone la produzione e commercializzazione estera delle nostre produzioni vitivinicole di qualità, fiore all’occhiello del sistema economico e produttivo pugliese. Come pure è straordinariamente significativo il +7,9% , sempre sul 2010, dei prodotti dell’agricoltura, a conferma di un trend in ascesa dei prodotti che fanno grande il nome della Puglia nel mondo: ortofrutta, olive e olio extravergine, uva da tavola».

LA NUOVA SARDEGNA - Economia: Deregulation commerciale, l’isola dice no
15.12.2011
SASSARI. Prendi un campo di calcio, mettici dentro il Barcellona contro il gruppo scapoli-ammogliati e guarda che succede. Un massacro, è logico, perché «il più forte vince sempre. A meno che i più deboli non siano aiutati a fare meglio». E nella norma sulla liberalizzazione degli orari di apertura e chiusura dei negozi, questo aiuto non è previsto: per i piccoli commercianti, quelli che a fatica ancora sopravvivono, vale come per i grandi l’assenza di regole. Ovunque, senza limiti e senza un contributo economico che consenta di assumere nuovo personale per fare fronte alle ore di lavoro aggiuntive. L’assessore regionale al Commercio Luigi Crisponi, dopo quello calcistico fa un altro paragone: «Si può pensare che i negozi aperti la notte a Milano o Roma abbiano lo stesso appeal di Orgosolo o Bonorva?». In un’isola dove gli abitanti sono pochi e i soldi ancora meno, le novità previste dal governo Monti sembrano una scelta suicida. Contro la quale, spiega l’assessore, la Regione ha poche armi: «Trattandosi di una legge nazionale, noi non possiamo fare altro che recepirla. Poi il compito di coordinare e vigilare spetterà alle amministrazioni comunali». Le stesse che, insieme alle associazioni di categoria, qualche giorno fa si sono rivolte a Crisponi chiedendo di fissare paletti e regole certe per arginare gli effetti giudicati in anticipo assolutamente negativi. I vantaggi previsti dal governo - calmieramento dei prezzi e dunque più lavoro per tutti, piccoli e grandi commercianti - si fa fatica a vederli in Sardegna, dove già aveva suscitato preoccupazione il decreto dell’ex ministro al Turismo Brambilla. L’esponente del precedente governo spingeva per la liberalizzazione degli orari nelle città d’arte e turistiche: quindi le località costiere e quelle che vantano nei propri territori un patrimonio in grado di attirare un flusso costante di visitatori. «Con questi paletti si poteva ragionare - dice Luigi Crisponi -, per questo l’assessorato aveva stilato un elenco di Comuni che desideravano usufruire della possibilità di aperture elastiche. Il numero dei centri che avevano aderito era 147, molto pochi quelli delle zone interne. Dunque, duecento in meno rispetto al totale dei Comuni isolani che invece, oggi, sono inseriti nella deregulation commerciale loro malgrado. Con nessun tipo di vantaggio economico per i piccoli, e con il rischio concreto che si possano determinare situazioni calde dal punto di vista dell’ordine pubblico». Su questo aspetto la palla passa ai sindaci, che dovranno regolamentare orari e aperture nell’ottica della sicurezza. Anche se, sembra di capire, le amministrazioni non avranno grandi margini di manovra: a nessuno potrà essere impedito di sollevare le serrande quando meglio crede. E diventerà carta straccia la legge regionale numero 5 del 2006, quella che - nel rispetto del federalismo commerciale voluto con la riforma del titolo V della Costituzione - dava la possibilità ai Comuni di programmare le aperture nelle giornate festive, calibrandole sulla base delle esigenze dei commercianti (grandi e piccoli) e dei lavoratori. Su questo punto si sofferma Alberto Cossu, presidente territoriale della Confcommercio di Sassari: «Noi siamo favorevoli all’apertura 52 domeniche all’anno e con l’amministrazione abbiamo avviato un percorso che punta al rilancio graduale delle attività del centro storico. La liberalizzazione degli orari rischia di complicare il quadro, ora attendiamo lumi dalla Regione». Nell’attesa, Cossu è convinto che per i piccoli commercianti sarà una mazzata, perché «la clientela non aumenta con l’aumento delle ore». E soprattutto perché stanno tutti o quasi con l’acqua alla gola, «figuriamoci se possono permettersi di fare nuove assunzioni».

Bergamo, padania. Sarà un Natale più buio
L’Ascom prevede un calo annuo di spesa superiore al 7 per cento
Un Natale sobrio per il 2011. E’ questa l’analisi di Ascom sui consumi e le aspettative per le festività alle porte. «Le difficoltà sono evidenti. Attendiamo però un decollo dei consumi in vista del Natale, anche per effetto della tredicesima. Sarà un Natale più sobrio rispetto agli altri anni, un po’ sottotono ma speriamo non disastroso - afferma Paolo Malvestiti, presidente di Ascom Bergamo - La crisi in atto impone alle famiglie e alle imprese un’attenzione maggiore al contenimento delle spese e un uso oculato delle risorse. Questa crisi ci insegna ad essere più misurati e ad usare intelligentemente quanto abbiamo e quanto possiamo spendere».
Stesso numero di regali del 2010 ma con budget inferiore. Alla spesa media mensile, già diminuita negli ultimi mesi, si aggiunge un minore «effetto Natale», ossia minori uscite per gli acquisti natalizi sostenuti in parte dalla tredicesima. Negli ultimi anni l’effetto Natale ha sempre avuto un trend di crescita positivo, anche come conseguenza di un aumento delle pensioni, quest’anno invece la stima è di circa 650 euro a famiglia, il 7,5% in meno rispetto allo scorso anno. Significa che i circa 450mila nuclei familiari bergamaschi dedicheranno alle festività quasi 300 milioni di euro, ed è questo il valore che il mondo del commercio bergamasco conta di incassare. Secondo l’Ufficio Studi di Confcommercio, il sentiment delle famiglie resta negativo ma non depresso. Per l’80,9% degli italiani sarà un Natale dimesso e farà regali l’88,2%. Come gli anni scorsi tengono l’alimentare, nella sua offerta di qualità e di marca, i piccoli elettrodomestici, la tecnologia e l’editoria. Restano due, comunque, le prerogative del regalo: utile ed economico. Se dalla famiglia si passa al business la situazione non cambia: anche le aziende hanno diminuito le spese per la regalistica e per le cene aziendali di Natale. L’acquisto di prodotti alimentari non registrerà un’evoluzione particolarmente brillante. Da un lato gli esercizi di vicinato punteranno sull’alta qualità, la novità, l’attrazione dei prodotti; mentre la media e grande distribuzione stanno già battagliando sulle varie promozioni. Nell’elettronica e informatica, penalizzato rispetto allo scorso anno l’acquisto di tv a schermo piatto. Per l’abbigliamento, la sostanziale stagnazione, che ha contraddistinto il 2011 lascia presagire risultati poco confortanti. In questo periodo prevale soprattutto un modello di consumo prudente che fa un maggior ricorso all’acquisto di capi di costo medio-basso e accessori (pullover, sciarpe, cravatte, cinte, guanti, portafogli). Per i capi iù importanti si attenderà il periodo dei saldi, con data unica regionale il 5 gennaio 2012.
COME È ANDATO IL 2011 - Il calo tendenziale e, soprattutto, quello congiunturale, più consistente rilevati a ottobre dall’Indicatore dei Consumi Confcommercio (ICC), sono stati la "spia" di un avvio, nel quarto trimestre, di una fase di ripiegamento dei consumi delle famiglie che potrebbe proseguire anche nella prima parte del 2012. «I dati nazionali rispecchiano anche il locale - continua il presidente di Ascom - Anzi da noi potrebbero essere molto più impattanti, in quanto alcuni indicatori, come quelli relativi all’occupazione, evidenziano la presenza in bergamasca di molte famiglie colpite dalla perdita del lavoro e dal ricorso agli ammortizzatori sociali. Quindi la situazione non è felice. Anche la nostra terra, ricca e lavoratrice, sta soffrendo la crisi. I commercianti ne sono testimoni. Dal punto di vista dei consumi settembre e ottobre e soprattutto novembre sono stati mesi disastrosi, che hanno fatto registrare un segno pesantemente negativo in un anno che, pur non avendo mai dato evidenti segnali di crescita, aveva retto rispetto all’anno precedente. Attendiamo la parentesi natalizia come boccata d’ossigeno per le nostre attività». Solo la stabilità del quadro politico e la chiusura della stagione delle grandi manovre potrebbero contribuire a dare maggior solidità al sistema, a ridare fiducia alle famiglie, e a far ripartire gli investimenti delle imprese.

Liberalizzazioni indietro tutta
La maggioranza al governo: "Scarso coraggio".
Aumentano le sigarette e la tassa sullo scudo
ALESSANDRO BARBERA
Roma. Per evitare nuove grane e il rischio di far saltare equilibri già precari, il governo ha deciso di tagliare la testa al toro: niente modifiche in aula, oggi si voterà la fiducia sul testo già votato in Commissione. Due le novità di rilievo emerse dai lavori della notte fra martedì e mercoledì. La prima riguarda l’aumento delle sigarette: servirà a coprire la norma che ammorbidisce il superbollo su auto e barche con più di cinque, dieci o quindici anni di vita. Se l’auto o la barca hanno più di vent’anni, nulla sarà più dovuto. La seconda riguarda lo scudo fiscale: nel 2013 la sovrattassa per chi vi ha aderito sale dal dieci al 13,5 per mille. A conti fatti, Federconsumatori e Adusbef calcolano che la manovra costerà alle famiglie una media di 1.129 euro l’anno di nuove tasse.
Di tutte le modifiche votate martedì, il lavoro più difficile è stato sulle liberalizzazioni. Taxi, professioni, poteri dell’Autorità per i trasporti, farmacie: il pacchetto uscito dal Parlamento è decisamente cambiato. «Sono stupefatto dalla debolezza del governo sul tema», lamenta il Pd Bersani. «Si poteva fare di più», ammette il leader Udc Casini. «Ha ragione Bersani», annuisce l’ex ministro Pdl Maria Stella Gelmini. Detta così, fa impressione: i tre grandi azionisti del governo Monti lamentano scarsa convinzione da parte di colui che nel mondo è ricordato come il killer dei grandi monopoli americani. E la lamentano rispetto al passaggio parlamentare, un luogo nel quale i partiti non sono propriamente dei passanti.
Una cosa è certa: le pressioni ci sono state, e lo provano le modifiche. Il più eclatante è il caso dei taxi: nella formulazione originaria avrebbe dovuto saltare ogni limitazione geografica all’uso delle licenze. Chi ha consuetudine con l’aeroporto di Roma sa bene che significa: il tassista di Fiumicino, una volta presa una corsa per la capitale, non sarebbe più stato costretto a tornare indietro con l’auto vuota. L’ultimo comma dell’articolo 34 riformulato parla chiarissimo: «Sono escluse dall’ambito di applicazione del presente articolo le professioni e il trasporto di persone mediante autoservizi pubblici non di linea». Quindi, per l’appunto, le professioni. Un emendamento firmato dai due relatori - il Pd Pier Paolo Baretta e il Pdl Maurizio Leo - ha modificato la norma «a tagliola» che, in caso di mancata riforma degli albi, li avrebbe aboliti il 13 agosto del 2012.
La nuova formulazione circoscrive la decadenza «alle sole norme in contrasto con i nuovi principi inseriti». Per inciso, l’Unione delle Camere Penali è comunque insoddisfatta e promette battaglia. Quindi i farmaci: dalla piena liberalizzazione di tutta la fascia C, i cosiddetti prodotti da banco, ora tutto è demandato ad un provvedimento del ministro della Salute d’accordo con l’Agenzia del farmaco: saranno loro a decidere cosa si potrà vendere fuori delle farmacie e cosa no. Infine la questione dell’Autorità per i trasporti: un emendamento del Pd puntava a far rientrare fra le aree di competenza tutto il trasporto su gomma, dunque anche le autostrade. Dalla Commissione è uscita invece una norma che promette, entro sei mesi, l’approvazione di «disposizioni volte a realizzare una compiuta liberalizzazione e un’efficiente regolazione nel settore dei trasporti e dell’accesso alle relative infrastrutture».
Che è successo? Di chi è la responsabilità? Dei partiti che scaricano la responsabilità sul governo o invece le pressioni sono giunte ai partiti che ora alzano le mani? Baretta, che la vicenda l’ha vissuta in prima persona, è esplicito: «Da parte del governo c’è stata troppa timidezza, e lo dimostra la norma che avrebbe rafforzato l’autorità sui trasporti: noi relatori eravamo d’accordo, il governo ci ha chiesto di escluderla». Il ministro dello Sviluppo Corrado Passera gira l’accusa ai mittenti: «La norma sulle farmacie era ok». Come a dire che invece qualcuno nottetempo l’ha modificata. «Abbiamo già toccato molti capitoli. Comunque sulle liberalizzazioni ci saranno sempre interventi».
Automobili e barche. Ridotta l’imposta sul lusso
Anche la tassa sul lusso cambia e con le modifiche votate martedì notte in Commissione bilancio diventa più leggera. Il testo del decreto legge sulla manovra da ieri pomeriggio all’esame dell’Aula prevede infatti che l’addizionale erariale della tassa automobilistica (20 euro per ogni chilowatt di potenza del veicolo superiore a 185 kw) sia ridotta al 60%, al 30% e al 15% dopo, rispettivamente, 5, 10 e 15 anni dalla data di costruzione del veicolo e che passati i 20 anni non sia più dovuta. Per barche la tassa (in questo caso si paga lo stazionamento: 1825 euro l’anno tra i 10 e 12 metri, quasi 11 mila per una barca tra 17 e 24 mentre per i megayacht tra 54 e 64 metri l'imposta ammonterà a 190 mila e un minimo di 256 mila per quelle oltre i 64 metri) è ridotta del 15%, del 30% e del 45% decorsi, rispettivamente, 5, 10 e 15 anni dalla data di costruzione. Di contro aumenterà il prezzo delle sigarette, visto che in parallelo si introduce, «la previsione di una clausola di copertura» in base alla quale l’Amministrazione dei Monopoli ridetermina «l’aliquota dell’accisa del tabacco da fumo in misura tale da conseguire un gettito» equivalente.
Concorrenza. Dopo i taxi le farmacie evitano il mercato
Dopo i tassisti anche i farmacisti escono dal pacchetto liberalizzazioni e mantengono in cassaforte buona parte di quel mercato da 3,1 miliardi di euro di farmaci a pagamento ma con obbligo di ricetta. Dopo un lungo braccio di ferro in seno alla maggioranza un emendamento del Governo rinvia tutto a un prossimo provvedimento dell’Agenzia italiana del farmaco, che individuerà entro 120 giorni dalla conversione del decreto i farmaci con ricetta obbligatoria che per ragioni di sicurezza sanitaria non potranno essere venduti nelle parafarmacie e nei supermercati. Un rinvio che, c’è da esserne certi, scatenerà la guerra delle lobby, con i farmacisti pronti a tutto pur di mantenere pillole e sciroppi nei propri scaffali e gli industriali farmaceutici impegnati invece ad allargare il più possibile i canali di vendita dei propri prodotti. Come Cialis e Viagra, un business, quello delle «pillole dell’amore», che già oggi vale 150 milioni ma che con la vendita nei supermercati sarebbe destinato a lievitare. L’emendamento lascia invece sin da ora in farmacia i medicinali con ricetta non ripetibile, gli stupefacenti, quelli iniettabili, e anche quelli del sistema endocrino, come la pillola, che i Vescovi non vedono di buon occhio nei corner dei supermarket.
Per conoscere la sorte di buona parte dei medicinali a carico dei cittadini oggi vendibili con ricetta ripetibile solo in farmacia bisognerà però attendere la lista dell’Aifa. L’operazione consisterà in pratica nel trasformare alcune categorie di medicinali da prodotti vendibili solo dietro presentazione di ricetta medica in prodotti cosiddetti «sop», ossia senza obbligo di prescrizione e quindi vendibili anche nelle parafarmacie e nei corner della grande distribuzione, con conseguente calo dei prezzi. All’Agenzia del farmaco ovviamente bocche tutte cucite. Ma già ieri circolavano le prime indiscrezioni sui farmaci che potrebbero essere «liberalizzati». Si va dai dermatologici per uso esterno agli anti virali per uso orale e a buona parte degli antinfiammatori, esclusi quelli con ricetta non ripetibile come l’Aulin. Quasi sicuro il no categorico alla vendita fuori dalle farmacie degli antidepressivi come il Tavor. Una operazione che nel complesso ci farebbe avvicinare al resto d’Europa, fermo restando che anche nei supermercati e nelle parafarmacie pillole e sciroppi continuerebbero ad essere dispensati solo dai farmacisti. Tutto questo sempre che oggi il Governo non decida di rimettervi mano viste le tante proteste. Nell’attesa Federfarma sospende ogni decisione sulla serrata mentre le parafarmacie accusano il Governo di aver ceduto alla casta dei farmacisti.
Pensioni. Via la norma sui “precoci”, la maggioranza protesta
Nel testo «notturno» della manovra è saltata la norma sulle pensioni dei lavoratori precoci. Una prima formulazione prevedeva infatti che i lavoratori che avevano iniziato a lavorare molto presto, a 16 anni, venissero esclusi dalla penalizzazione ai fini dell’andata in pensione che nella nuova versione prevede una decurtazione dell’1% per ogni anno anticipato nell'andata in pensione rispetto ai 62 anni (che sale poi del 2% per ogni ulteriore anno di anticipo rispetto a 2 anni). Il Pd l’altra notte ha subito protestato e chiesto il reintegro dell’esenzione. E ieri mattina il capogruppo alla Camera Franceschini ha parlato esplicitamente di «colpo di mano» su questo punto come sul dietrofront sulle farmacie. Ed in serata sia Pd che Pdl sono tornati a chiedere un ripensamento. «Siamo tutti d'accordo che questi lavoratori che rischiano di andare in pensione con forti decurtazioni debbano essere salvati», ha spiegato Massimo Corsaro, vicecapogruppo del Pdl. E, secondo quanto si apprende, se alla fine il governo dovesse decidere di soprassedere non è escluso che la misura potrebbe andare nel milleproroghe di fine anno.
Fisco. Cancellato il balzello in favore di Equitalia
Equitalia non farà più pagare un aggio del 9% ai contribuenti a cui deve riscuotere i tributi; sarà invece lo Stato a stabilire l’entità dei costi di riscossione a carico dei debitori, che dovranno comunque essere inferiori a quelli attuali. Dalla Finanziaria di Tremonti del 2009 l’attività degli agenti della riscossione è infatti remunerata con un aggio pari al 9% delle somme iscritte a ruolo riscosse e dei relativi interessi di mora ed è a carico del debitore. L’aggio ha natura tributaria ed è, precisamente, una integrazione del tributo iscritto a ruolo; il contribuente è quindi tenuto a pagarlo. Dopo numerosi ricorsi alle varie commissioni tributarie, la manovra recepisce le richieste di riforma delle modalità di pagamento dell’attività di riscossione di Equitalia. Non solo. I beni dei debitori del fisco pignorati o ipotecati non saranno più messi all’asta da Equitalia ma potranno essere venduti dai proprietari stessi con il consenso dell’agente della riscossione. Inoltre le aziende che a causa della crisi sono in ritardo col pagamento delle cartelle potranno ottenere una ulteriore proroga di 72 mesi.

Italia in recessione, 800 mila occupati in meno a fine 2013
15 dicembre, 09:41
ROMA - Sull'eurozona cade "l'inverno della recessione" che "in Italia è iniziata prima e risulterà più marcata" rileva il centro studi di Confindustria. Che prevede un crollo del Pil di 2 punti percentuali tra la scorsa estate e la prossima primavera. Le stime per il 2012 sono state tagliate dal +0,2% al -1,6%, per il 2011 dal +0,7% al +0,5%.
Confindustria giudica "molto probabile che si attenui il reintegro delle persone in Cig, aumentino i licenziamenti, il tasso di disoccupazione salga più velocemente e raggiunga il 9% a fine 2012". Con altre 219 mila persone occupate in meno il biennio 2012-2013 si chiuderà con un calo di 800 mila da avvio crisi a inizio 2008.
La manovra - per il CsC- e' ''un primo passo nella direzione della crescita''. Ne servono su ''mercato del lavoro, ammortizzatori sociali, infrastrutture, costi della politica, semplificazioni amministrative, giustizia civile, istruzione e formazione, ricerca e innovazione, lotta a evasione accompagnata da abbattimento delle aliquote''.

Berlino riattiva il fondo salva-banche
Alessandro Merli
FRANCOFORTE. Dal nostro inviato
 Il Governo tedesco ha riattivato ieri il fondo per il salvataggio delle banche, Soffin, con una dotazione di 480 miliardi di euro, anche se tutte e sei le banche che secondo le richieste della European Banking Authority dovranno raccogliere 13,1 miliardi di euro di capitale entro metà 2012 stanno cercando di fare a meno del ricorso ai soldi pubblici. La maggiore indiziata, la Commerzbank, il secondo gruppo bancario privato, che deve aumentare il capitale di 5,3 miliardi di euro in base alle indicazioni del'Eba, ha completato ieri il riacquisto di titoli ibridi (a metà fra azioni e obbligazioni), il che ha consentito di innalzare il livello dei fondi propri di 700 milioni di euro.
 Il rilancio della Soffin, che era stata creata per venire in soccorso alle banche dopo il collasso di Lehman nel 2008 ed era stata sospesa nel 2010, prevede 400 miliardi di euro per garanzie alle banche e 80 miliardi per ricapitalizzazioni. L'aspetto nuovo più importante, rispetto alla versione originaria della Soffin, è che ora le banche potranno girare all'ente titoli di Stato dei Paesi della periferia dell'Eurozona. In questo modo, il contribuente tedesco finirà per accollarsi almeno in parte il rischio del debito sovrano dei Paesi in difficoltà. Non è chiaro per ora se i titoli che potranno essere ceduti alla Soffin siano solo quelli già in portafoglio oppure anche quelli che le banche acquisteranno in futuro, il che significherebbe un coinvolgimento molto più ampio delle casse pubbliche tedesche nella soluzione della crisi di quanto finora accettato dal Governo e dall'opinione pubblica.
 La Soffin avrà la possibilità di cambiare i vertici delle banche in cui interviene, nominando un amministratore, ma non quella di costringerle ad accettare fondi pubblici. Questo per l'opposizione delle banche stesse e di uno dei partiti della coalizione di Governo, i liberaldemocratici della Fdp.
 La Commerzbank, che aveva ricevuto 18 miliardi di euro dal Governo tedesco nel precedente salvataggio e che è tuttora per il 25% in mano pubblica, sta cercando in ogni modo di evitare di ricorrere di nuovo alla Soffin, come ha detto più volte il suo amministratore delegato, Martin Blessing, ed essere di fatto nazionalizzata. Ieri ha completato il riacquisto di titoli ibiridi per un valore nominale di 1,27 miliardi di euro al prezzo di 643 milioni, sfruttando lo sconto di questi titoli sul mercato (la banca ha pagato fra il 40 e il 52% del nominale): l'operazione ha consentito di recuperare capitale core tier 1 per 700 milioni di euro, secondo la banca.
 La Commerzbank conta poi di far fronte al resto delle richieste dell'Eba con la riduzione di attività rischiose per 2,7 miliardi di euro e vendite di attività non strategiche, tagli di costi e utili non distribuiti per due miliardi di euro. Punterebbe tra l'altro a cedere alla Soffin la propria "bad bank" Eurohypo, alla quale ha trasferito circa 60 miliardi di euro di mutui e altri incagli, ma sta studiando il modo perché questo non figuri come aiuto di Stato. Gli analisti del settore bancario restano per lo più scettici sulla capacità della Commerzbank di cavarsela senza l'intervento pubblico.
 Fra le altre banche tedesche, il più importante gruppo privato, la Deutsche Bank, cui l'Eba ha chiesto di raccogliere 3,2 miliardi di euro di capitale core tier 1, ha già dichiarato di essere in grado di farlo senza fare ricorso a fondi pubblici. Helaba e NordLb, coinvolte per importi minori, ritengono a loro volta di poter evitare l'intervento della Soffin grazie all'impegno alla ricapitalizzazione dei propri azionisti, fra cui gli Stati dell'Assia per la prima e della Bassa Sassonia per la seconda.
La sentenza dell'Eba
 Secondo le richieste della European Banking Authority le banche tedesche dovranno raccogliere 13,1 miliardi di euro di capitale entro metà, pari all11,4% del totale di ricapitalizzazione stimata per l'intera area euro
 Il caso Commerzbank
 Commerzbank deve trovare 5,3 miliardi, dopo aver ottenuto 18 miliardi dal Governo tedesco nel precedente piano di salvataggio. Proprio ieri Commerz ha completato il riacquisto di titoli ibridi (a metà fra azioni e obbligazioni), che ha consentito di innalzare il livello dei fondi propri di 700 milioni

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