martedì 6 dicembre 2011

Federali_sera_6.12.11. Nicola Saldutti: Detto in linguaggio contabile, più ricavi e quindi più utili. Perché dietro l'utilizzo della moneta di plastica, come per ogni servizio offerto, è previsto il pagamento di una commissione. Che arriva per i negozi fino a punte del 3-4%. Forse troppo se una legge dello Stato impone di utilizzare le carte. Non solo. La mini patrimoniale sulle attività finanziarie, dai fondi alle polizze vita, rimette ancora una volta al centro il sistema bancario. Che funziona da sostituto d'imposta. Come dire: l'intermediazione, in tempi di crisi, è comunque destinata a crescere.----Io – ha proseguito – come leader politico quali osservazioni ho da fare? Che da questa manovra - ha rilevato Vendola – si coglie che aumenta l’Iva in maniera pesantissima, aumenta l’Irpef, aumentano le accise. Si colpisce in una maniera un pochino bonaria gli scudati con una tassa dell’1,5%, mentre sui pensionati dai 950 euro in su di pensione - ha sottolineato – praticamente la gran parte dei pensionati, si blocca l’indicizzazione delle pensioni. Ma l'indicizzazione – ha concluso Vendola – non era mettere le pensioni al livello del caro vita, ma era metterle al livello dell’inflazione programmata, che è la metà del reale caro vita.

Vendola: la Manovra? pagano sempre gli stessi
Napoli. Caldoro dopo la manovra Monti «Venderemo gli immobili delle Asl»
Banche aiutate. E ora aiutino
Bozen, oltrepadania. Monti ha perso i voti della Volkspartei
Udin, oltrpeadania. Udine, Fontanini dice no alla riduzione delle Province
Veneto, padania. «Via le province entro il 30 aprile» Vicenza e Belluno verso il non voto
Svizzera, -0,2% mese su mese indice prezzi consumo novembre
Russia: l’utile sconfitta di Vladimir Putin



Vendola: la Manovra? pagano sempre gli stessi
Fitto: «È l'unica possibile»
BARI – «Alla fine della giostra pagano sempre gli stessi. Per quanto uno possa imbellettare questa manovra, essa colpisce duramente i ceti medio-bassi e i pensionati. Questo è inaccettabile per me». Così il leader di Sel e presidente della Regione Puglia, Nichi Vendola, ha commentato, oggi a Bari, la manovra approvata ieri dal Consiglio dei ministri.
«Dal punto di vista sociale, politico e culturale – ha aggiunto – l'idea che si possa fare sulla struttura della ricchezza qualche gentile limatura ma nessun intervento strutturale, e che invece gli interventi strutturali siano normali soprattutto sui ceti medi e poi sul mondo dei pensionati, a me pare scandaloso». «Io – ha proseguito – come leader politico quali osservazioni ho da fare? Che da questa manovra - ha rilevato Vendola – si coglie che aumenta l’Iva in maniera pesantissima, aumenta l’Irpef, aumentano le accise. Si colpisce in una maniera un pochino bonaria gli scudati» con «una tassa dell’1,5%, mentre sui pensionati dai 950 euro in su di pensione - ha sottolineato – praticamente la gran parte dei pensionati, si blocca l’indicizzazione delle pensioni». Ma «l'indicizzazione – ha concluso Vendola – non era mettere le pensioni al livello del caro vita, ma era metterle al livello dell’inflazione programmata, che è la metà del reale caro vita».
IL SISTEMA REGIONALE HA SCANSATO L'AGONIA
«Il sistema delle Regioni è tornato a casa con l’atteggiamento di chi ha scansato un’agonia». Lo ha detto il presidente della Regione Puglia, Nichi Vendola, commentando con i giornalisti, oggi a Bari, la manovra finanziaria. «Abbiamo chiuso – ha spiegato – sostanzialmente un accordo con il governo, parlo del sistema delle Regioni. Avevamo il rischio che l’Italia intera andasse in tilt già a Natale perchè il miniitro Tremonti, nell’ultima manovra, aveva tagliato del 75% il finanziamento al trasporto pubblico locale». Per Vendola «questo significava la morte del trasporto pubblico locale: milioni e milioni e milioni di cittadini, di lavoratori pendolari, di studenti, si sarebbero trovati da un lato tanta parte del sistema di trasporto saltato, con lavoratori licenziati; e dall’altro con prezzi del trasporto pubblico alle stelle».
«Noi – ha aggiunto Vendola – abbiamo ottenuto che con l'implementazione delle accise sui carburanti, che aumenteranno di circa lo 0,3%, si possa coprire quella cifra di quasi due miliardi di euro per non mandare in tilt il trasporto pubblico locale». «Avevamo anche letto sui giornali – ha ricordato – che il governo intendeva tagliare di ulteriori due miiardi di euro il finanziamento del fondo sanitario nazionale. Per noi Regioni voleva dire chiudere gli ospedali, chiudere la sanità, sancire che è difficile far vivere il diritto alla salute, dimezzare i livelli essenziali di assistenza. Devo dire – ha concluso il governatore pugliese – che da questo punto di vista il governo ha detto che non li taglia, ma aumenta l’Irpef dallo 0,9 all’1,23%, e tratterrà per sè quel delta di aumento supplementare dell’Irpef».
«IL 2012 E' L'ANNO DELLA VERITA'»
«Questa nuova classe dirigente, sia pure transitoria, ci offre il piacere di una interlocuzione tecnica e capace di affrontare il merito delle cose. Almeno questo è l’auspicio. Ma sull'argomento dei vincoli del patto di stabilità, che per noi e per i Comuni è decisivo soprattutto nel corso del 2012, ho l’impressione che neanche i professori abbiano intenzione di darci una mano». Lo ha detto il presidente della Regione Puglia, Nichi Vendola, intervenendo a un incontro promosso a Bari dall’Osservatorio sulla competitività del sistema economico e industriale della Puglia. Per Vendola «il 2012 è l’anno della verità per tutte le Regioni» e «io nel 2012 non posso fare nemmeno le spese obbligatorie che sono già in violazione del patto di stabilità». «Perchè – ha spiegato – ho da spendere, per la quota parte, 200 milioni di euro in meno di quelli che ho speso nel 2011 quando la spesa comunitaria è stata superiore alla somma dei cinque anni precedenti». «E l’anno prossimo – ha precisato – la spesa comunitaria aumenta considerevolmente, ma diminuisce considerevolmente la possibilità di spesa per i vincoli del patto di stabilità». «Cioè – ha concluso – nel corso del 2012 altro che spesa comunitaria, dovrò decidere se è possibile pagare gli operai della forestazione».

Napoli. Caldoro dopo la manovra Monti «Venderemo gli immobili delle Asl»
Il governatore: «Abbiamo un grande patrimonio che può essere conferito e che oggi non è valorizzato»
NAPOLI — La manovra salva Italia del governo Monti peserà, complessivamente, intorno ai 370 euro l'anno per ogni cittadino campano. È la proiezione elaborata dalla Regione Campania sui dati, per ora, soltanto accennati nella bozza dell'esecutivo. «Un calcolo approssimativo — spiega Salvatore Varriale, consulente economico del governatore Stefano Caldoro a capo della Soresa — che attende, per la conferma definitiva, le tabelle allegate al decreto, ma, nello stesso tempo, ci indica già con dirompente evidenza che la Campania non riuscirà a sostenere solo tagli, come giustamente ha affermato il presidente della giunta regionale, e aumenti di imposte, senza la compensazione di necessari interventi per lo sviluppo».
La manovra prevede l'aumento dell'aliquota base dell'addizionale regionale che passa dallo 0,90% a 1,23%. Occorre aggiungere che l'addizionale regionale Irpef è formata da una quota fissa nazionale, pari allo 0,90%, e che oggi arriverà, con l'aumento, all'1,23% e da una quota aggiunta da ogni singola Regione prevista tra lo 0,50% e l'1,40%. Ma in Campania, a causa del disavanzo di gestione del servizio sanitario, era già, dal 2010, all'1,70%. «Dunque — spiega Varriale — passerà verosimilmente al 2,33 per cento. L'aumento dell'addizionale Irpef peserà nel 2012 per circa 34,281 euro nelle tasche di ogni cittadino campano». L'aumento dello 0,38 per mille dell'accise sui carburanti, inoltre, peserà «per l'anno prossimo per 29,39 euro per ogni cittadino della Campania». A tutto questo occorre sommare l'imposta dell'1,5 per cento sui patrimoni scudati che nelle regioni merdionali non vanno oltre il 9 o il 10 per cento del dato complessivo nazionale. «In Campania — sostiene Varriale — la valutazione non si discosterà molto da un costo di 10 euro per ogni cittadino». E siamo a 74 euro. A tutto questo bisogna sommare l'aumento dell'Iva, che scatterà dal settembre dell'anno prossimo, dal 21 al 23%. «Su 4 miliardi di imponibile, 300 milioni si trovano in Campania e arriviamo ad un peso pro capite per ogni campano di 60 euro circa».
Infine, gli effetti della manovra saranno completati dall'arrivo dell'Imu, la nuova Ici sulla prima casa. «Il calcolo finale per ogni cittadino della Campania — conclude il consulente economico di Caldoro — è facilmente deducibile: l'intero importo della manovra è di 30 miliardi tra più entrate e minori costi. Diciassette miliardi di nuove tasse e 13 miliardi di tagli alla spesa. Su ogni campano saranno calcolate più tasse per 200 euro e tagli alla spesa per 170 euro. Ecco come si arriva ai 370 euro, o a qualcosa di più e non di meno». Per la Cgia di Mestre, la manovra varata dal governo Monti «peserà sulle famiglie italiane con un importo medio pari a 635 euro». Se si tiene conto anche delle manovre estive elaborate dal precedente Governo Berlusconi — dicono dalla associazione degli artigiani di Mestre — l'importo complessivo che graverà sulle famiglie italiane, raggiungerà, nel quadriennio 2011-2014, i 6.400 euro. «Complessivamente - afferma il segretario della Cgia, Giuseppe Bortolussi - queste tre manovre avranno un effetto complessivo nel quadriennio 2011-2014 pari a 161,1 miliardi di euro. Una vera e propria stangata che, probabilmente, riuscirà a far quadrare i conti ma rischia di mettere in ginocchio l'economia del Paese».
Il governatore Caldoro ha annunciato che «dopo questa prima fase occorrerà mettere in piedi un tavolo con il governo per costruire una concreta strategia per la crescita». Per poi aggiungere che «il primo impegno che possiamo già assumere come Regione, sarà quello di avviare la dismissione del patrimonio immobiliare delle aziende sanitarie locali. Restituiremo gli ospedali ai cittadini — ha detto, intervenendo all'assemblea annuale dell'Acen, l'associazione costruttori edili napoletani. «C'è una norma contenuta nella bozza della manovra che riguarda le valorizzazioni. Abbiamo un grande patrimonio che può essere conferito e che oggi non è valorizzato. È chiaro che serve una norma nazionale che, secondo me, deve prevedere, per la parte dei beni non disponibili, come ad esempio un ospedale che deve rimanere tale, la possibilità di essere valorizzato. In che modo? Per esempio usando gli spazi non utilizzati per fini ospedalieri. E poi dico qualcosa di più coraggioso: se devo pagare il mio debito, questo patrimonio immobiliare posso cederlo allo Stato o a un altro soggetto per liberare cassa, oppure si può pensare a un fondo rotativo».
Se l'ospedale deve rimanere tale e quindi non va dismesso, è il ragionamento, la struttura «potrebbe essere affidata a un altro». In questo modo, si libererebbe liquidità che va utilizzata «al fine esclusivo del ripianamento del debito». La norma, contenuta nella bozza della manovra, indica che vanno considerati «tutti i beni, senza escluderne nessuno». «È semplice dire che ci sono dei beni che possono essere venduti oppure che si può utilizzare meglio il patrimonio pubblico rendendolo produttivo - ha concluso -. L'articolo prevede anche la possibilità di cambiare strumenti urbanistici relativamente al patrimonio pubblico in base a un accordo di programma fra tutte le istituzioni».
Angelo Agrippa

Banche aiutate. E ora aiutino
I mercati hanno cominciato a rifare i conti sull'Italia. A modo loro, naturalmente. E dopo settimane di pressione hanno concesso una prima, significativa, promozione. I sacrifici chiesti a pensionati, contribuenti, famiglie, contenuti nella manovra hanno fatto immaginare che, pure in un percorso parlamentare appena iniziato, la strada sia stata tracciata. E il «rischio Italia», in qualche modo, ridotto.
Nell'attesa di capire quale sarà il giudizio definitivo, c'è un punto sul quale vale la pena riflettere. E se possibile, cogliere l'occasione che questa manovra offre alle banche di fare la loro parte. Dentro i provvedimenti appena varati c'è un passaggio (condiviso con gli altri Paesi europei) che segna una svolta importante in questo tempo di crisi: la garanzia dello Stato sulle attività bancarie. Sui loro nuovi prestiti. Un passo necessario per riaprire il rubinetto del credito. E consentire agli istituti di tornare a finanziare imprese e famiglie non più temendo l'apocalisse finanziaria. Ragione che ha portato in questi mesi ad una forte restrizione di impieghi e mutui.
Ma ecco il punto. Se lo Stato offre la garanzia di non fallire e apre (seppur con il pagamento di una commissione) l'ombrello pubblico per metterle a riparo da questo rischio che cosa dovranno fare in cambio? A scorrere la manovra ci sono almeno altri due aspetti che offrono loro una posizione di vantaggio in un momento di grandi sacrifici. La decisione di stabilire la soglia dei mille euro per la tracciabilità, di fatto, porterà ad un tetto all'uso del contante. Non quanto si voleva, certo. Ma il segno è dato. A questo punto la centralità del sistema dei pagamenti, dalle carte di credito al portafoglio elettronico, gestito in prima fila proprio dalle banche, godrà in tempi rapidi di una forte accelerazione.
Detto in linguaggio contabile, più ricavi e quindi più utili. Perché dietro l'utilizzo della moneta di plastica, come per ogni servizio offerto, è previsto il pagamento di una commissione. Che arriva per i negozi fino a punte del 3-4%. Forse troppo se una legge dello Stato impone di utilizzare le carte. Non solo. La mini patrimoniale sulle attività finanziarie, dai fondi alle polizze vita, rimette ancora una volta al centro il sistema bancario. Che funziona da sostituto d'imposta. Come dire: l'intermediazione, in tempi di crisi, è comunque destinata a crescere.
Ci sono quindi almeno due cose che vanno evitate e un'altra che si può fare: la cosa da evitare è che a beneficiare della garanzia pubblica siano gli azionisti (sotto forma di dividendi) e i manager (sotto forma di compensi). Su questo la legge è chiara, il monitoraggio dovrà essere attento: quelle risorse devono andare alla crescita. La cosa da fare, anche per offrire un segnale alla ripresa dei consumi, è riprendere la (positiva) esperienza del Btp-day nel quale le banche hanno rinunciato alle loro commissioni (il prossimo è fissato per il 12 dicembre). In questo caso, poiché il vantaggio dell'uso più limitato del contante diventerà permanente, la strada sarebbe quella di un taglio delle commissioni. Magari modulato in funzione del valore delle operazioni. Certo, sono aziende private e non enti pubblici, ma quella garanzia dello Stato non può essere un regalo senza nulla in cambio.
Nicola Saldutti
6 dicembre 2011 | 8:07

Bozen, oltrepadania. Monti ha perso i voti della Volkspartei
Svp irritata per il taglio da 153 milioni di euro senza nessuna intesa con Bolzano
Orfeo Donatini
BOLZANO. Politica altoatesina in fibrillazione dopo la manovra del governo Monti che prevede un taglio di ben 153 milioni di euro alla casse dell'autonomia. La Svp sicuramente non voterà a favore, mentre la direzione del partito ieri ha denunciato il mancato confronto con il Governo. E Durnwalder è pronto ad emettere bond provinciali per recuperare liquidità locale.
SVP CRITICA. La Svp prima ha "incassato" la consultazione solo telefonica del premier Mario Monti durante le trattatuive per il suo nuovo Governo, ma ora proprio non ci sta ad «un nuovo taglio di risorse all'autonomia senza la necessaria intesa con Bolzano. Non è accettabile - sottolinea così l'Obmann, Richard Theiner - che siano sempre gli stessi ad essere chiamati alla cassa, questa volta per un assegno di ben 153 milioni di euro». «Capiamo la gravità del momento - aggiunge l'onorevole Siegfried Brugger - ma le regole nei rapporti istituzionali vanno comunque rispettate. Il Governo non può prendere all'infinito soldi da noi, solo perchè negli anni e decenni passati abbiamo amministrato bene. La nostra sarà una posizione critica, sicuramente non voteremo a favore». «Interverremo assieme a Trento - ha poi ricordato il presidente Luis Durnwalder - per chiedere il rispetto di quanto sancito dall'Accordo di Milano stipulato a suo tempo con Tremonti e Calderoli e che stabilisce una procedura di consultazione tra Roma e le nostre autonomie speciali in caso di variazioni nell'assetto dei finanziamenti alle autonomie». BOND
PROVINCIALI. Per affrontare meglio la crisi in atto la Provincia sta valutando la possibilità di emettere dei bond
provinciali che potrebbero essere acquisiti dal fondo di previdenza complementare regionale Pensplan per garantire una maggiore liquidità agli istituti bancari locali. «Attualmente - ha sottolineato ieri Durnwalder - un miliardo di euro versati nel fondo dai dipendenti e lavoratori altoatesini sono investiti fuori provincia, sarebbe auspicabile se questi soldi restassero in Alto Adige». Magari con una garanzia della Provincia per i suoi titoli, che verrebbero acquisiti da Pensplan a condizione di mettere la liquidità a disposizione delle banche locali, dandole in questo modo un pò di respiro. LA SECESSIONE. Categorico il presidente Durnwalder sulla secessione che la lega Nord è tornata ad invocare. «Meglio la Padania che l'Italia? Non si spostano confini per il proprio tornaconto economico - ha ricordato infatti - anche perchè l'Alto Adige Südtirol ha una autonomia garantita da accordi internazionali. Finchè questi saranno rispettati anche noi non metteremo in discussione l'appartenenza dell'Alto Adige Südtirol all'Italia. La richiesta di una secessione della Padania è poco credibile, perchè arriva da ex ministri, che fino a ieri rappresentavano lo Stato e criticavano coloro che non partecipavano ai festeggiamenti per l'Unità d'Italia. La storia dell' Italia per altro non può essere paragonata con quella della Cecoslovacchia, come ora invece fanno alcuni politici». Oggi nuove trattative, ma poi ci sarà il voto alla Camera.

Udin, oltrpeadania. Udine, Fontanini dice no alla riduzione delle Province
Il presidente leghista: «No a questa riforma, da noi non ci sono sprechi. Piuttosto facciamo la Provincia del Friuli e Trieste diventi città metropolitana.»
Maurizio Cescon
 UDINE. Ci aveva provato due volte il governo Berlusconi a mettere nel mirino le Province. Prima, quest’estate, con l’idea di “segare” quelle sotto i 300 mila abitanti o con un territorio esiguo. Poi, in autunno, con il progetto, più lungo e tortuoso, di eliminarle tutte, attraverso una legge costituzionale. Adesso tocca a Monti ripensare al “sacrificio” dell’ente intermedio, sull’altare dei costi della politica. Le Province, nella mente del professore che governa il Paese, dovranno essere composte da dieci soli consiglieri, nominati dai sindaci. Niente più giunte, niente più elezioni popolari. Diventerebbero così una sorta di Comunità montane, pur mantenendo le attuali competenze.
 Il presidente della Provincia di Udine, il leghista Pietro Fontanini, non ci sta. E si affida alla Regione, per sbarrare il passo alla riforma. «Il Friuli Venezia Giulia - spiega - dal 1996 ha competenza specifica sull’ordinamento degli enti locali, quindi senza il parere di Tondo non si fa niente. La Regione recepirà le direttive del governo? Beh, è chiaro che noi non siamo d’accordo, ci potrebbero essere conseguenze politiche. Io piuttosto proporrei alla Regione uno sforzo legislativo. E cioè arrivare a un’unica provincia del Friuli, che comprenda Udine, Pordenone e Gorizia e dare a Trieste lo status di città metropolitana. Così faremmo un lavoro migliore di quello di Monti e ricostruiremmo qualcosa di storico, come la grande Provincia del Friuli. Sono comunque tutte soluzioni da ponderare con calma, con attenzione».
 Sulla soluzione trovata dal governo le perplessità sono tante. «Ma i Comuni chi eleggono? - si domanda il presidente Fontanini -. Ci sarà ancora una maggioranza e un’opposizione? Ci sono molti aspetti da verificare e capire, vedremo cosa succede». E non mancano, nel ragionamento di Fontanini, i rimandi a uno dei cavalli di battaglia della Lega, cioè la differenza tra Nord virtuoso e Sud scialacquatore. «La Provincia di Udine - afferma - è virtuosa. Ha 500 dipendenti, ma noi teniamo sotto controllo i conti, le spese per il personale e tutto quanto. Al Sud questo non accade, purtroppo. Ecco perchè penso che bisognerà riprendere in mano la questione dei costi standard e del federalismo. L’Italia è arrivata a un punto di non ritorno? Rischia di fallire? E’ vero, ma tutto è dovuto ai troppi sprechi che ci sono in molte zone d’Italia. I soldi del Friuli invece restano qua, le Province le paghiamo noi, con i proventi dell’Iva e dell’Irpef, così come facciamo con la sanità che è uno dei fiori all’occhiello. Ecco questo la gente lo deve sapere, noi siamo una regione virtuosa».

Veneto, padania. «Via le province entro il 30 aprile» Vicenza e Belluno verso il non voto
Entro il 30 aprile personale e competenze saranno trasferiti alle Regioni e ai Comuni. Il presidente di Treviso attacca: «E’ una dittatura cattocomunista, guidata dal comunista Napolitano
VENEZIA — Non potendole cancellare, le hanno svuotate. Via le competenze, via i presidenti e gli assessori, via i consiglieri, via i dipendenti. E, ovviamente, via i soldi, perché a che gli serviranno mai i danè, se non possono più muovere una paglia? Le Province sono condannate a morte certa e le date per l’esecuzione si leggono chiare e tonde all’articolo 23 della manovra «salva Italia» firmata Mario Monti: resta il compito di «indirizzo politico e di coordinamento delle attività dei Comuni », ma tutte le altre funzioni «conferite dalla normativa vigente alle Province sono trasferite entro il 30 aprile 2012 dalle Regioni ai Comuni, salvo che, per assicurarne l’esercizio unitario, siano conferite alle Regioni». E se la Regione non si adegua, «si provvede in via sostitutiva con legge dello Stato». Di più: «Le leggi statali o regionali provvedono altresì al trasferimento delle risorse umane, finanziarie e strumentali per l’esercizio delle funzioni trasferite ». Siamo insomma di fronte ad un ridisegno globale degli assetti istituzionali del Paese che coinvolgerà non soltanto i politici (tra presidenti, assessori e consiglieri stiamo parlando di trecento poltrone in Veneto) ma anche i dipendenti delle Province, stimati qui in circa 2.500 persone.
E poi c’è la seconda data fatidica: «Gli organi in carica delle Province decadono al momento dell’entrata in vigore delle leggi statali o regionali di trasferimento delle funzioni e comunque decadono entro il 30 novembre 2012». Il termine del 30 novembre, a dire il vero, non si ritrova nella seconda versione del decreto, circolata lunedì sera, ma tant’è, cambia poco o forse per le Province è anche peggio, perché la decadenza degli organi politici viene fatta risalire al 30 aprile, punto e fine. Al loro posto, si insedierà un’assemblea composta «da non più di dieci membri, eletti dagli organi elettivi dei Comuni ricadenti nel territorio della Provincia ». Anche in questo caso, «le modalità di elezione sono stabilite dalla Regione entro il 30 aprile 2012». Il presidente della Provincia sarà «eletto dal Consiglio provinciale tra i suoi componenti » e gli unici uffici previsti sono una «segreteria particolare » ed una «segreteria tecnica ». Il risparmio previsto, a livello nazionale, è di 500 milioni di euro l’anno ma come spiega Leonardo Muraro, presidente della Provincia di Treviso e leader dell’Upi veneta (l’Unione delle Province), «i tagli sono già iniziati: nel 2010 avevamo finanziamenti per un miliardo e 200 milioni, per il 2012 non superiamo i 200 milioni complessivi». Muraro, che ieri ha preso parte ad un vertice a Roma (cui seguirà un secondo incontro oggi, tra Monti, le Province, i Comuni e le Regioni) annuncia ricorso alla Corte costituzionale, poi spara ad alzo zero: «Vengo mandato a casa con un blitz dittatoriale da chi non è nemmeno stato eletto dai cittadini. Io ho avuto il 58% dei voti,maquesta dittatura cattocomunista, guidata da un presidente della Repubblica comunista che ha incaricato un bancario comunista che non ha mai avuto il consenso popolare di uccidere la democrazia vuole mandarmi a casa». Intanto è caos a Vicenza e Belluno, dove le Province dovrebbero andare ad elezioni in primavera.
Condizionale d’obbligo per come si sono messe le cose, e difatti il Pd ha già deciso di annullare le primarie di coalizione a Vicenza, mentre il presidente uscente Attilio Schneck ammette: «Penso proprio che non si andrà a votare». La stessa aria tira pure a Belluno, commissariata dopo la caduta di Gianpaolo Bottacin, e nonostante i più preferiscano attendere il passaggio parlamentare prima di commentare, l’impressione è che stavolta si sia davvero al game over, non fosse altro perché con questa mossa a sorpresa, che ricalca un progetto di legge Pdl fermo da tempo immemore in parlamento, Monti ha messo con le spalle al muro non solo i berluscones ma pure il Pd e il Terzo Polo. In questo senso, forse, vanno interpretate le parole della presidente pidiellina di Padova, Barbara Degani, a dir poco accomodanti rispetto a quel che s’è sentito da Muraro: «Non penso sia questo il modo di risolvere i problemi che affliggono il Paese ma è pur vero che da tempo vado ripetendo l’urgenza di un riassetto istituzionale, che veda una riduzione degli enti e la trasformazione della Provincia in un organismo di secondo livello ». Tamburi di guerra, però, suonano anche dalla sponda Pd. Tiziana Virgili, presidente di Rovigo, unica democrat alla guida di una Provincia veneta, avverte: «Se l’Upi non ricorre alla Corte costituzionale, lo facciamo noi perché siamo di fronte ad un provvedimento scritto male e in fretta. Resta solo una consolazione: almeno stavolta siamo tutti nella stessa barca e non se la sono presa solo con noi delle Province più piccole».
Marco Bonet

Svizzera, -0,2% mese su mese indice prezzi consumo novembre
L'indice dei prezzi al consumo in Svizzera a novembre è sceso dello 0,2% mese su mese, grazie alla diminuzione dei costi per le nuove automobili e per gli alimentari che ha avuto un peso maggiore rispetto all'aumento di quelli dell'energia e delle abitazioni.
Lo ha reso noto l'agenzia di statistica nazionale, precisando che in termini annuali, l'indice è sceso dello 0,5% anno su anno a novembre, dal -0,1% anno su anno di ottobre. Gli economisti interpellati da Dowjones Newswires avevano previsto un crollo annuale dello 0,2% e una crescita mensile dello 0,2% a novembre.
Su base mensile, i prezzi delle automobili nuove e usate sono scesi dell'1,9%, mentre i costi dell'energia e degli affitti sono saliti dello 0,7%.

Russia: l’utile sconfitta di Vladimir Putin
di Orietta Moscatelli
Il calo elettorale di Russia Unita, che sostiene la candidatura del premier alla presidenza della Federazione, può essere l'opportunità per lanciare un nuovo partito e fare quelle riforme promesse e mai realizzate. Ignorare la disillusione popolare sarebbe controproducente. Medvedev rischia.
Quindici punti percentuali in meno bruciano molto, e la perdita della maggioranza costituzionale complica le cose. Ma per Vladimir Putin il risultato delle legislative di domenica 4 dicembre potrebbe rivelarsi una sconfitta minore. Forse addirittura utile, dopo il clamore e l’amarezza per la batosta elettorale. La vera posta in gioco, per il premier russo che vuole tornare al Cremlino, sono le presidenziali del prossimo marzo: quelle, sì, vanno vinte, e subito.
Se Putin centrerà il bersaglio al primo turno, il rinnovo della Duma potrà essere archiviato come un danno minore, da gestire in famiglia, tra partiti solo ufficialmente schierati su fronti opposti. Nella Camera bassa consegnata dal voto di ieri, infatti, crescono sensibilmente i comunisti (92 seggi, 35 in più), ma Russia Unita con i suoi 238 deputati non ha molto da temere dagli altri 120 che sono di Russia Giusta (64) e dell’ex ultranazionalista Vladimir Zhirinovski (56). Entrambi questi partiti abbaiano e non mordono mai, e sono giustamente accusati di stare in parlamento per fare i cani da guardia di Putin.
Questo, sul piano della politica quotidiana. Ma di fronte a contestazioni senza precedenti, i problemi del premier sono più simbolici che concreti. A cominciare dal far passare il messaggio già lanciato ad urne appena chiuse e affidato a Dmitri Medvedev, pedalatore sempre più incerto del tandem moscovita. “Questa è la democrazia”, ha detto il presidente, traducendo il risultato debole in una forte prova di trasparenza del voto. Se abbiamo perso tante preferenze, è il ragionamento, vuol dire che non abbiamo barato. E che se le cose vanno cambiate, lo potremo fare. “Questo risultato ci permetterà di garantire la stabilità”, ha aggiunto, a scanso d’equivoci, il premier.
Su questo avevano molto insistito i migliori consulenti del Cremlino nelle settimane scorse: un risultato troppo buono non sarebbe creduto, avrebbe decretato l’illegittimità del voto. Quindi un 50% scarso va benissimo, l’importante è che il paese si convinca che davvero un elettore su due abbia scelto Russia Unita, poi si vedrà se e come riorganizzare il gioco elettorale.
Non che sia facile. I veri ‘anti-Putin’ non ci stanno. Nei giorni prima dello scrutinio, blog e siti di notizie meno addomesticati di altri hanno segnalato pressioni, acquisto di voti, distribuzione di decine di schede per un singolo elettore. L’Osce, a scrutinio avvenuto, è stata chiara, registrando violazioni diffuse e casi di urne riempite con schede pre-compilate. Il partito comunista ha da parte sua annunciato un ricorso presso la Corte suprema di Russia per protestare contro i brogli, mentre i ‘militanti di internet’ combattono a colpi di blog, twitter, facebook, con un primo appuntamento post-elettorale in piazza proprio all’indomani del voto, finito con 400 fermi tra Mosca e San Pietroburgo. A giudicare dalla raffica di attacchi hacker nelle 48 ore attorno alle elezioni e dei 200 arresti solo nel giorno del voto, queste sfide ‘asimmetriche’ fanno davvero paura ai palazzi del potere.
Il paradosso è che Russia Unita - per ora - vincerebbe in ogni caso, anche senza nessuna irregolarità e senza la mano pesante usata contro le voci del dissenso. “Temono uno scenario egiziano”, dice una consulente governativa convinta che Putin per anni non avrà alternative e che il più grande errore sarebbe non approfittare del momento di difficoltà per dare segnali di cambiamento. Proprio in questo senso, il risultato delle legislative, mortificante per chi arriva da percentuali bulgare di consenso, può risultare utile. Putin, che la sera del voto è apparso teso e un po’ imbarazzato, all’indomani ha scelto di dichiararsi soddisfatto e di considerare il responso delle urne “un successo”. Da vedere come agirà in seguito.
Una prima vittima del risultato di domenica potrebbe essere Dmitri Medvedev, capolista di Russia Unita cui ha promesso il posto di premier, a condizione che gli elettori confermino la fiducia sia alle legislative sia alle presidenziali. Le colpe dell’arretramento potrebbero poi essere addossate al partito in sé, cogliendo l’occasione per lanciare una nuova formazione politica in grado di ricanalizzare le speranze, quindi il consenso, cosa difficile senza un ‘reset’ partitico. Non a caso Putin è il capo di Russia Unita ma non è mai stato iscritto; in prima linea alle legislative, come capolista, c’era Medvedev.
Negli ambienti filo-governativi a Mosca si ritiene che l’attuale presidente diventerà primo ministro (almeno per un po’), che un nuovo partito sia già in gestazione e che Putin, leader senza alternative oggi come prima delle legislative, sarà presidente per almeno un altro mandato. Ma se non fossero bastati i fischi al centro sportivo Olimpiski, ora il premier quasi presidente ha davanti un bivio: può far finta di niente, negando l’innegabile senso di disillusione che circola in Russia e ignorando la voglia di novità che soffia nelle città.
Oppure può usare il primo smacco elettorale come un nuovo mandato, per re-inventarsi e accettare la vera richiesta di chi oggi crede che il tandem sia arrivato al capolinea. Quella di mettere mano alle riforme tanto pubblicizzate, quanto rimandate, negli anni del giovane - e obbediente - Dmitri Medvedev.

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