martedì 10 gennaio 2012

Federali_sera_10.1.12. Il riflesso pavloviano del bancomat oltrepadano. M.Mau.: Il meccanismo è semplice: la Provincia compra gli immobili dell'impresa che poi restituisce il dovuto con un mutuo di 15 o 18 anni a tassi di favore (euribor +0,50%). Detto in altri termini, un sistema per iniettare liquidità nelle imprese mentre le banche chiudono i rubinetti del credito. Il pubblico chiede come ovvia contropartita la salvaguardia dei posti di lavoro. Negli ultimi anni Trentino Sviluppo ha scucito 500 milioni per salvare aziende sull'orlo del crack. Funziona, almeno per ora.---Mariano Maugeri: Luis Durnwalder, Durni per gli altoatesini, alla conferenza stampa che ogni anno tiene poco prima di ferragosto nella sua bella villa di Falzes, in Val Pusteria, aveva parlato chiaro: Abbiamo un tasso di occupazione del 73% rispetto al 68% italiano, la disoccupazione è al 2,6% contro l'8,3%, la Provincia di Bolzano ha il Pil pro capite più alto d'Italia (34.400 euro) e un reddito disponibile di 21.500 euro contro i 17mila del resto del Paese.

LA NUOVA SARDEGNA - Economia: Il popolo delle partite Iva occupa la Regione
In Alto-Adige l'assistenzialismo non conosce la recessione
Il Trentino aiuta a proliferare le lottizzazioni e le poltrone
Federazione Russa. Economia, che 2012 sarà?



LA NUOVA SARDEGNA - Economia: Il popolo delle partite Iva occupa la Regione
10.01.2012
CAGLIARI. A due mesi esatti dall’inizio del presidio di piazzale Trento, la Consulta dei movimenti occupa la Regione e apre l’ufficio per la difesa dei cittadini e la tutela dei diritti fondamentali. Ancora sotto accusa Equitalia e la politica dei buoni propositi espressi nella seduta straordinaria del 17 novembre scorso e conclusi, secondo il movimento, in un nulla di fatto. Così ieri poco prima di mezzogiorno otto delegati del movimento si sono riuniti in assemblea permanente e hanno occupato l’ufficio del nono piano del palazzo della Regione. ‹‹Chiediamo una reale attuazione dell’articolo 51 dello Statuto speciale perché la situazione è drammatica. Cresce il numero dei suicidi, continuano ad arrivare le cartelle esattoriali, si procede al sequestro dei mezzi da lavoro e le imprese vengono ancora espropriate dei loro beni e costrette spesso a chiudere - dichiara Maddalena Senis, membro del movimento - il nostro è un presidio pacifico fatto di lavoratori dipendenti, artigiani, cittadini. In questi mesi ci siamo sempre dissociati da ogni genere di azione terroristica perché crediamo che per essere ascoltati non si debba ricorrere a simili atti. Chiediamo però alla Regione di essere ascoltati perché noi non siamo evasori fiscali››. Stanchi di essere messi da parte i movimenti della Consulta aprono una nuova fase di protesta pacifica con l’attuazione dell’ufficio per la difesa dei diritti dei cittadini. ‹‹È nostra intenzione mettere a disposizione di imprese, aziende e cittadini che non riescono ad andare avanti delle persone che a titolo gratuito offriranno una consulenza - afferma Maddalena Senis - perché spesso chi si trova di fronte a cartelle esattoriali con cifre esorbitanti non sa cosa fare, a chi rivolgersi, e preferiscono farla finita››. Tra le richieste del movimento l’apertura di una commissione di inchiesta che verifichi l’integrità delle azioni portate avanti da Equitalia. Il movimento chiede inoltre la revisione del sistema sanzionatorio per incentivare la regolarizzazione delle posizioni e una riforma del sistema fondata prima di tutto sul rispetto dei cittadini. ‹‹Vogliamo che il presidente della Regione Cappellacci prenda una posizione - spiega l’indipendentista Salvatore ‘Doddore’ Meloni, che due mesi fa ha iniziato l’occupazione ad oltranza - quello che ha fatto il Governo non ci basta. Aumentano le tasse ma se non c’è occupazione come possiamo pagare? In Sardegna c’è, ormai, troppa disperazione››.

In Alto-Adige l'assistenzialismo non conosce la recessione
 Mariano Maugeri
 Luis Durnwalder, Durni per gli altoatesini, alla conferenza stampa che ogni anno tiene poco prima di ferragosto nella sua bella villa di Falzes, in Val Pusteria, aveva parlato chiaro: «Abbiamo un tasso di occupazione del 73% rispetto al 68% italiano, la disoccupazione è al 2,6% contro l'8,3%, la Provincia di Bolzano ha il Pil pro capite più alto d'Italia (34.400 euro) e un reddito disponibile di 21.500 euro contro i 17mila del resto del Paese». Come dire: che volete di più? Gli altoatesini sono così ricchi che pure gli autonomisti puri e duri quasi si vergognano - a differenza di quanto facevano un tempo - di chiedere l'annessione all'Austria: «In nessun caso Vienna concederebbe all'Alto Adige le condizioni che abbiamo strappato al governo italiano», dice Roland Tinkhauser, un giovane consigliere del partito Die Freiheitlichen, formazione di destra che contribuisce a ingrossare le fila dell'opposizione, ormai composta da 15 consiglieri (contro i venti della maggioranza) e frammentata in nove partiti.
 Gli altoatesini sono scientifici nella gestione dell'autonomia, ma mai come in queste settimane è palpabile la sensazione che un ciclo lungo quasi un quarto di secolo sia ormai al suo epilogo. Durni, omologo di Dellai, è il principe vescovo di questo reame di 510mila abitanti (2/3 di lingua tedesca e 1/3 italiani quasi esclusivamente concentrati a Bolzano) dal marzo del 1989. «Troppi poteri e troppi denari nelle mani di uno ristrettissimo numero di persone per troppo tempo», sintetizza Riccardo Dello Sbarba, leader dei Verdi e spina del fianco dei vertici provinciali sulla vicenda Sel, la società elettrica altoatesina al centro di uno scandalo che investe i vertici e l'assessore all'Energia Michl Laimer, sotto inchiesta a sua volta per concussione.
 La storia è semplice: i manager della società, di nomina politica, alcuni dei quali compagni di caccia del presidente Durnwalder, attraverso società austriache intestate a prestanomi avrebbero acquistato delle centrali altoatesine che i proprietari avevano tentato inutilmente di cedere alla società pubblica provinciale. Intestandosi così le concessioni idroelettriche e i relativi guadagni. Concorrenza occulta alla società pubblica che presiedevano, insomma. Una macchia indelebile sulla buona e corretta amministrazione di cui i tirolesi del Sud hanno sempre menato vanto.
 I guai, come spesso succede, non vengono mai soli. Scricchiola la leadership della Provincia e le crepe appaiono anche nel partito di raccolta degli altoatesini, la Südtiroler Volkspartei. Per la prima volta dopo parecchi decenni, all'interno della Svp si stanno coagulando nuove alleanze attorno a Michl Ebner, il potente editore del gruppo Athesia che tra l'altro edita il Dolomiten (l'unico quotidiano di lingua tedesca), in passato plurideputato per l'Svp a Roma e Bruxelles e nemico giurato di Durnwalder. Dalla rivalità tra i due esponenti della Svp sono scaturiti episodi singolari. Il giornale di Ebner ha giustamente criticato la costruzione del grande hotel delle Terme di Merano da parte della Provincia. Trenta milioni di investimenti pubblici (qui la Provincia fa anche l'albergatore e il vignaiolo), e poi la chiusura frettolosa a causa del fallimento della società che lo gestiva. La Provincia decide di venderlo ma alla prima asta non si presentano acquirenti. Tutto cambia dopo la modifica del piano urbanistico comunale da parte della Giunta provinciale, che d'imperio sottrae la materia al Comune di Merano. Le nuove regole prevedono che nell'area dove sorge l'hotel si possano aggiungere nuove cubature a quelle esistenti. D'incanto, qualche mese dopo, si materializza la cordata che poi risulterà vincente, guarda caso capeggiata da Michl Ebner.
 I legami familiari e amicali in Alto Adige contano più che nel profondo Sud del familismo amorale. La moglie del fratello di Ebner è stata nominata giudice del Tribunale amministrativo regionale. Tra le regole ritagliate su misura per la Provincia di Bolzano è stata prevista pure quella di nominare quattro degli otto giudici amministrativi: metà di lingua italiana e l'altra metà di lingua tedesca.
 Se si escludono le lotte di potere, i conti della Provincia ufficialmente quadrano ma il consigliere della Lega Nord Elena Artioli suggerisce di sbirciare nei bilanci dei Comuni valligiani che avrebbero accumulato «debiti per oltre un miliardo».
 La crisi economica fa paura anche qui ma le spese generose continuano: nel 2008 è stato inaugurato il bellissimo museo d'arte moderna - il Museion - costato quasi 35 milioni, un doppione del Mart di Rovereto disegnato da Mario Botta, aperto nel 2003 e già in forte difficoltà per il calo progressivo dei visitatori paganti. Di economie di scala tra le due Province autonome unite nell'Euregio (con il governatore del Tirolo austriaco Günther Platter) non c'è traccia. Eppure i due Landeshauptmann mostrano sempre grande coesione quando si tratta di difendere dalle incursioni romane denari e autonomia. L'assessore al Bilancio, il democrat Roberto Bizzo, spiega con un'allegoria che le polemiche sui quattrini destinati all'Alto Adige non hanno senso: «Il problema non è mettere in ginocchio chi sta in piedi, ma alzare chi sta in ginocchio». Il neopremier Mario Monti, che nei prossimi giorni incontrerà per la prima volta Durnwalder e Dellai, è avvertito.

Il Trentino aiuta a proliferare le lottizzazioni e le poltrone
M.Mau.
 Dalla culla alla bara. In nome del principe vescovo. Illuminato, democratico, progressista e sicuramente munifico, se è vero, come è vero, che per 531mila abitanti dispone di entrate per competenza di 4,5 miliardi.
 Una concentrazione di potere (e di denari) che non ha pari tra i governatori italiani. Landeshauptmann – capo di Stato – come i tedeschi chiamano i governatori, forse si attaglia meglio al presidente di questa Provincia autonoma.
 I numeri, prima di tutto: 42mila dipendenti pubblici, tra statali e provinciali, e 23 società partecipate, delle quali 14 controllate direttamente. La proliferazione di incarichi, prebende e lottizzazioni è l'inevitabile precipitato di una presenza totalizzante. La Provincia pensa a tutto. E ai trentini, qualunque iniziativa economica abbiano in mente, scatta sempre il riflesso pavloviano di prelevare dal bancomat provinciale.
 Dal 2008, quando la crisi ha cominciato a colpire duro, la società provinciale Trentino Sviluppo ha moltiplicato la pratica del lease-back per aiutare le aziende in difficoltà. Il meccanismo è semplice: la Provincia compra gli immobili dell'impresa che poi restituisce il dovuto con un mutuo di 15 o 18 anni a tassi di favore (euribor +0,50%). Detto in altri termini, un sistema per iniettare liquidità nelle imprese mentre le banche chiudono i rubinetti del credito. Il pubblico chiede come ovvia contropartita la salvaguardia dei posti di lavoro. Negli ultimi anni Trentino Sviluppo ha scucito 500 milioni per salvare aziende sull'orlo del crack. Funziona, almeno per ora. Ma la crisi non solo non passa ma addirittura si inasprisce. Forse è per questo che gli imprenditori fanno la coda per ottenere un aiuto dalla Provincia. Alessandro Olivi, l'assessore all'Industria, ha cercato di essere perentorio: «Cari imprenditori, Trentino Sviluppo non è una banca».
 Da queste parti è difficile chiudere la porta in faccia a qualcuno. L'élite trentina è cosi ristretta che pubblico e privato sono vasi comunicanti, almeno nei ruoli di vertice. Politica del maso chiuso. O, come lo apostrofò il sociologo Ilvo Diamanti, un sistema produttivo bonsai che convive con un apparato pubblico ipertrofico.
 Gli assessori democrat della Giunta Dellai, per bocca del capogruppo Luca Zeni, provano a incalzare il Landeshauptmann: «L'autonomia è sicuramente un valore aggiunto. A patto che non si trasformi in autarchia». Dellai, ormai al terzo mandato, va diritto per la sua strada. E con l'accordo di Milano del 2009, sottoscritto con gli ex ministri Giulio Tremonti e Roberto Calderoli, ha assicurato alla Provincia autonoma la piena potestà anche sull'università e gli ammortizzatori sociali, scatenando una serie di polemiche con i vertici dell'ateneo sulle nuove regole che saranno codificate da una commissione – detta "dei dodici" – nella quale gli accademici sono in netta minoranza. Il patto stabilisce la "partecipazione della Provincia nelle scelte e negli indirizzi di ricerca dell'Università", un passaggio che ha spinto alla dimissioni il prorettore Giovanni Pascuzzi. Dice l'ex numero due dell'ateneo: «Ho qualche dubbio che sia un bene rimettere le scelte strategiche dell'Università alle decisioni di variabili maggioranze politiche».
 All'opposizione sono i leghisti a menare fendenti. Dice il consigliere provinciale Franca Penasa, ex sindaco di Rabbi, in Val di Sole: «C'è una vasta gamma di operazioni torbide. Una su tutte: le società partecipate affidano gli appalti senza gara a società dietro le quali si nascondono fiduciarie straniere con soci occulti. Per non parlare degli sprechi: Bolzano ha speso 15 milioni per cablare il territorio provinciale, qui siamo oltre i 200».
 La moltiplicazione degli incarichi politici negli organigrammi delle società provinciali ha fatto scuola anche sul territorio. Con una legge del giugno 2006 sono state istituite ben 15 comunità di valle. Quella della Val di Non ha un'assemblea di 96 componenti, 57 dei quali eletti a suffragio universale. Mentre la Lombardia riduceva drasticamente le sue comunità montane e la Liguria le aboliva del tutto, la Provincia autonoma di Trento ha articolato la sua struttura politico-amministrativa in ben sei livelli (Regione, Provincia, Comune, Circoscrizioni, 99 Asuc, amministrazioni separate usi civici, oltre naturalmente alle comunità di valle). Difende a spada tratta la Giunta l'assessore alle Politiche sociali Ugo Rossi: «Anche gli scettici dovrebbero ammettere che le nostre sono politiche di stampo nordeuropeo. Nella ricerca stiamo concentrando risorse rilevanti. Faccio solo qualche nome: Trento Rise, il polo della Meccatronica, la fondazione Bruno Kessler». I denari, evidentemente, oliano anche ingranaggi macchinosi. Lo studio più recente in ordine di tempo sostiene che a Trento ci sia l'ambiente più favorevole in Italia per creare una nuova azienda. Il Trentino giganteggia su tre materie: lavoro, contesto sociale e finanza. La morale è semplice: pure le economie bonsai fioriscono. A patto che siano innaffiate da denaro pubblico.

Federazione Russa. Economia, che 2012 sarà?
10 gennaio 2012
Olga Kuvshinova, Vedomosti.ru
Petrolio, rublo, inflazione: il loro andamento caratterizzerà la situazione russa e globale. Le previsioni degli esperti
Gli analisti russi ne sono convinti: il 2012 sarà un anno più difficile di quello che si è appena concluso. Ciò che più li spaventa è la situazione di Europa e Stati Uniti  a cui va ad aggiungersi quella della Cina che, per la prima volta in tre anni, ha registrato un calo della produzione (secondo un sondaggio dei manager delle imprese industriali, indice Pmi). Comunque, se anche i timori di una nuova recessione mondiale dovessero rivelarsi infondati, è molto improbabile che l'economia russa mantenga gli attuali ritmi di crescita.

Su il petrolio, giù il rublo
 Il 2012 sarà speculare all'anno passato: secondo le previsioni dello stratega della società di investimenti “Trojka Dialog” Chris Weafer la prima metà dell'anno sarà molto dura, mentre nel corso della seconda metà la situazione tenderà a migliorare. Vladimir Tikhomirov, della compagnia finanziaria “Otkrytie” afferma che l'Europa continuerà a cercare una via d'uscita dalla crisi e questo influirà negativamente sia sugli umori degli investitori, sia sul prezzo del petrolio, che nella prima metà del 2012 scenderà sotto i 100 dollari al barile. Inoltre, secondo Yulia Tsepljaeva di BNP Paribas, durante i primi tre mesi dell'anno il corso dell'euro rispetto al dollaro toccherà il suo minimo annuale e lo stesso avverrà per quello del rublo. A questa previsione si aggiunge quella di Ivan Chakarov, della società di investimenti “Renassance kapital” il quale fa notare che, tenendo conto delle elezioni presidenziali di marzo, il corso del rublo  rispetto al dollaro nei primi tre mesi dell'anno potrebbe raggiungere i 32/33 rublo/dollaro.
In seguito la situazione dovrebbe iniziare ad appianarsi. Gli analisti contano sul fatto che i politici europei riusciranno a trovare una via d'uscita dalla crisi e l'Eurozona verrà mantenuta. Anche le preoccupazioni provenienti dalla Cina, secondo Weafer, dovrebbero ridimensionarsi: i vertici del Paese troveranno una via dolce per imbrigliare l'economia, dal momento che in fase pre-elettorale tutti saranno interessati soprattutto alla stabilità.
Secondo Tikhomirov, in Russia dopo le elezioni inizierà un periodo di riforme che dovrebbe rinnovare l'ottimismo degli investitori: l'afflusso di capitali sosterrà il rublo e l'economia del Paese. “Nella seconda metà dell'anno credo che il rublo inizierà a correre”, dice Tsepljaeva: con la fine dell'instabilità politica inizierà la restaurazione del capitale che, unito alla crescita dei prezzi del petrolio (fino a 120 dollari/barile alla fine dell'anno) farà arrivare il rublo fino ai 28,55 rublo/dollaro.
Non tutti condividono quest'ottimismo. All'inizio dell'anno la Banca Centrale Europea avvierà un allentamento quantitativo di grandi proporzioni e, se questo non dovesse essere sufficiente a salvare l'Europa, anche gli Usa  faranno la stessa cosa, e quest'inondazione monetaria, secondo Aleksej Moiseev di “VTB kapital”, aiuterà molto il rublo: “Si prevede un rafforzamento fino a 28/29 rublo/dollaro nella prima metà dell'anno, che verrà seguito da una ridimensionamento di stagione”. Durante i primi tre mesi dell'anno l'eccedenza del conto delle partite correnti è solitamente alto, tanto che il fattore stagionale potrebbe rivelarsi più incisivo addirittura di un contesto politico interno negativo, come spiega  Kirill Tremasov di Nomos-bank: “Perché il rublo a inizio anno continui a scendere, dovrebbe avvenire un peggioramento drammatico della situazione a livello nazionale o mondiale”. Sul fatto che il rublo all'inizio dell'anno diventerà più robusto è d'accordo anche Aleksandr Morozov di HSBC, però, verso la fine del 2012, il corso medio del rublo rispetto alle due valute di riferimento (euro e dollaro) raggiungerà i 39 rubli (ieri era di 36). Il corso del dollaro in tale contesto sarà di 32,9 rubli, vale a dire che il rublo si indebolirà molto di più rispetto all'euro che al dollaro.
Nel 2012 società e banche russe dovranno pagare circa 75 miliardi di dollari di debito estero; è una cifra inferiore rispetto al 2011, ma comunque paragonabile all'eccedenza del conto delle partite correnti prevista, come fa notare Evgenij Gavrilenkov di “Trojka Dialog”. Se i problemi a livello globale continueranno a persistere, cosa che secondo l'opinione dell'esperto è molto probabile, e il rifinanziamento del debito continuerà a essere difficoltoso, il rublo si indebolirà perché le entrate in valuta andranno prima di tutto a coprire il debito. Pertanto non c'è da stupirsi per il corso di 33-34 rublo/dollaro a fine anno, conclude Gavrilenkov. Se invece i problemi finanziari dei Paesi industrializzati verranno risolti, il rublo potrebbe rimanere più o meno ai livelli attuali, o diventare addirittura più forte.
Secondo Maksim Petronevich del Centro di sviluppo della Higher School of Economics (Hse) di Mosca, in un contesto di stabilità dei prezzi del petrolio, mantenimento del deflusso e proseguimento della crescita delle importazioni (seppure a ritmi inferiori), una svalutazione del 5% è possibile e anche molto probabile.
Quello di cui tutti gli esperti si dicono certi è che il corso del rublo oscillerà in modo molto più evidente del solito. “Il valore del rublo si abbasserà e crescerà, e così via, per molte volte nel corso dell'anno”, afferma Ksenija Yudaeva di Sberbank.

L'inflazione accelera, l'economia rallenta
L'inflazione nel 2011 ha raggiunto i valori minimi di tutta la storia della Russia (anche se, secondo i dati di Rosstat, al 26 dicembre 2011 era del 6,1 per cento), ma si tratta di un fenomeno passeggero. Una delle ragioni del successo attuale è l'elevata base di partenza della seconda metà del 2010, quando la siccità estiva ha fatto lievitare i prezzi dei generi alimentari. L'inflazione continuerà a rallentare fino a metà del 2012, dopo di che ricomincerà a crescere, come affermano tutti gli analisti del settore.
Il catalizzatore di tale processo sarà l'indicizzazione delle tariffe, rimandata fino a luglio, partendo dalla base del 2011, che questa volta è piuttosto bassa. “Non credo che i prezzi dei prodotti agricoli grezzi si abbasseranno tanto come quest'anno, di conseguenza l'inflazione sarà maggiore, forse supererà il 7 per cento”, dice Petronevich. Secondo quanto pronosticato da Chakarov, i ritmi di crescita dei prezzi saranno più lenti rispetto a quelli del 2011, un 6 per cento annuo, solo in presenza di un brusco rallentamento della crescita economica: “Secondo le previsioni, la crescita del nostro Pil sarà una delle più basse, col 2,3 per cento. Un rallentamento simile significa che non ci sarà una particolare pressione dell'inflazione”.
Alla base del rallentamento dell'inflazione ci sono diverse ragioni, come ha replicato ai responsi degli esperti un alto funzionario del Ministero dello Sviluppo Economico. Il dicastero infatti prevede un corso del rublo in fase  calante, sì, ma relativamente stabile (se la media annua è di solito 31,1 rublo/dollaro, quest'anno sarà di 29,4). Per questo motivo, non si assisterà a una crescita significativa dei prezzi delle importazioni che, come fa notare il funzionario, rappresentano circa un terzo dell'indice dei prezzi al consumo. Le prognosi per il raccolto nel 2012 sono altrettanto positive, e questo è un altro fattore che contribuirà a contenere la crescita dei prezzi dei beni alimentari; inferiore rispetto al 2011 sarà anche la crescita dei prezzi dei monopoli naturali, e una politica monetaria che si è fatta più equilibrata, continua il funzionario. La Banca Centrale russa,  allargando ulteriormente il corridoio di oscillazione del sistema di riferimento a doppia valuta (euro e dollaro) lascia sempre maggiore libertà al corso del rublo e sempre meno libertà all'inflazione.
Se nessuno degli esperti è d'accordo con le previsioni ufficiali sull'inflazione, i dati del Ministero dell'Economia sui tempi di crescita del PIL corrispondono a quelli degli analisti indipendenti: si registrerà un rallentamento fino al 3,7 per cento (4,4 per cento nel periodo gennaio-novembre 2011). All'economia russa verranno meno i fattori trainanti della crescita del periodo antecedente alla crisi globale. Ma non solo. Nel 2012 smetteranno di agire anche i fattori che avevano sostenuto la crescita per tutto il 2011: la ripresa post-crisi delle riserve dell'industria, la rapida crescita del credito, il grande incremento della produzione agricola, dopo il calo del 2010 (il contributo di questo settore alla crescita del Pil nel 2011, secondo Morozov, è stato di 0,5 punti percentuali). La disoccupazione è quasi tornata ai livelli precedenti la crisi (6,4 per cento a ottobre 2011 contro il 6,1 per cento del 2007), così come l'utilizzo delle capacità produttive. E in dicembre le imprese hanno confermato la crescita del margine di eccesso produttivo rispetto alla domanda (il bilancio tra surplus e insufficienza ha raggiunto gli 11 punti contro i 5 di un anno prima) oltre all'intenzione di ridurre il personale nel corso del 2012, come avverte Sergej Tsukhlo dell'Istituto Gajdar, La stagnazione della domanda, in congiunzione col crescente margine di eccedenza delle capacità produttive, è un segnale ulteriore dell'improbabilità di un incremento dell'attività degli investimenti nel settore industriale. Come ha ammesso Petronevich, nessuno crede in un miglioramento del clima degli investimenti. Solo 3 analisti su 14 prevedono una crescita economica intorno al 3 per cento; gli altri tre la valutano al 4 per cento e oltre.
La Tsepljaeva ritiene invece che la stabilizzazione dei mercati esteri, la crescita dei prezzi del petrolio e la ripartizione del capitale, favoriranno una crescita economica del 4,5-4,7 per cento. A sostegno di una prognosi ottimista (crescita del Pil del 4,6 per cento), secondo Jaroslav Lisovolik di Deutsche Bank, ci sono diversi fattori: la fase crescente dei prezzi del petrolio che continuerà ancora per alcuni anni, la crescita dell'economia sostenuta dagli investimenti, tra cui quelli nelle infrastrutture, i consumi che resteranno a livelli alti, almeno nei primi sei mesi dell'anno, grazie alle maggiori erogazioni statali in ambito sociale nella fase pre-elettorale.
I fattori di crescita provenienti dall'esterno sono piuttosto deboli, e quelli interni anche, per cui, come fa notare Morozov, in condizioni simili, una crescita annua del 3 per cento sarebbe più che soddisfacente. Natalia Orlova, di Alfa Bank, ha calcolato che nel 2011, circa il 60 per cento della crescita del Pil  è stato registrato grazie all'incremento del prestito bancario, come è stato nel momento di massima crescita economica nel 2007. Nel corso del decennio invece, il prestito bancario ha contribuito in media al 30 per cento della crescita del Pil. "Una tale influenza del prestito bancario è destinata a diminuire, il che porterà a un rallentamento dei ritmi di crescita del Pil fino al 2,6 per cento", conclude Orlova. “L'Eurozona andrà incontro alla recessione, gli Stati Uniti a un rallentamento economico, la Cina a un atterraggio morbido. In un contesto simile, il valore del 3,7 per cento previsto dal governo è poco realistico”, afferma in conclusione Chakarov.

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